É il liceo, niente di personale.

di catnip025
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Ho sempre odiato le sveglie. Quel rumore angosciante che ti sveglia ogni singolo giorno. Stessa schifosa routine: scuola, casa, computer, telefono, cena, letto e poi tutto daccapo. Però è una cosa coerente. Un modo di svegliarsi schifoso per un giorno altrettanto schifoso. Che poi io quello che ha inventato la sveglia proprio non lo capisco. Perché? Perché l'hai fatto? A chi non piace dormire? Se a te non piaceva, ti facevi i fatti tuoi. Evitavi di costruire quell'odioso congegno che mi suona tutte le mattine e mi fa svegliare con una voglia di spaccare tutto manco fossi Hulk. Poggio i piedi nudi sul parquet, e arranco a tentoni, accecata dal sonno e dal mio letto che sembra sussurrare "non lasciarmi, stai ancora un pochino, solo un pochino", fino al piccolo bagno che si trova in fondo al corridoio. Davanti allo specchio lo scenario più orribile che si possa vedere di prima mattina: io. Con tanto di capelli arrufati e occhiaie. Un'altra giornata di merda. Mi lavo, mi vesto e scendo fino alla cucina dove la mia allegra famigliola si prepara ad iniziare la propria giornata. Mia madre squittisce qualche canzone dei suoi tempi, mio padre tiene in mano il quotidiano con uno sguardo serio, immobile come una statua di marmo. - Vuoi un omelette, tesoro?- chiede la mamma. - Va bene - rispondo stancamente. Do' la stessa risposta ogni mattina, è diventato un po' un gioco. Triste e ripetitivo, ma pur sempre un gioco. Mi siedo, e mi passo la mano fra i capelli chiudendo gli occhi. Ho sonno. Nel frattempo mia mamma, che canticchia un motivetto tremendamente anni sessanta, fa scivolare nel mio piatto l'omelette, che emana un buon profumo di... beh, omelette. Papà non dice una parola. Bofonchia un 'buona giornata cara' mentre mi metto lo zaino in spalla ed esco di casa. Per tutto il traggitto mi preparo ad affrontare la tortura del liceo. Una tortura lenta e dolorosa che dura cinque anni. Io li ho quasi superati tutti e cinque, tra poco tutto questo finirà. Le cheerleader odiose, i secchioni che non fanno copiare (odiosi anche loro) e i classici giocatori di football che, puntualmente, se la fanno con le cheerleader. Ce l'ho quasi fatta. Siamo a marzo, manca poco al diploma. Sul marciapiede opposto vedo Bill, il postino, e lo saluto con la mano. Lui sembra non notarmi, cosa che coprendo, dato che saltella come una cavalletta cercando di levarsi dalla gamba il cane dei vicini, Chuggie, un chiuaua dal muso antipatico che più che un cane sembra un criceto a cui hanno dato vitamine per crescere. Per arrivare a scuola non manca molto. Vedo sfrecciarmi accanto, la decappottabile rossa di qualche cheerleader. Accelero il passo per qualche motivo. Poco dopo inizio già ad intravedere l'ampia scalinata della mia scuola. Più che una scuola sembra un tempio greco, cosa che credo che il mio professore di storia dell'arte apprezzi. È un imponente struttura bianca costituita da una grande gradinata bianca e delle colonne che fanno da corona all'ingresso principale e che reggono una specie di "triangolo" dove sopra c'è scritto a caratteri cubitali il nome della scuola: Salem High School. Ho attraversato da poco il parcheggio e adesso sto salendo le scale. Schivo un gruppo di studenti del secondo e del terzo anno seduti a studiare all'ultimo minuto e che mangiano mele. Oltrepasso varie coppiette che si baciano del primo anno, forse. Arrivo al capolino dei gradini, sul pianerottolo dove c'è l'entrata. Appoggio entrambe le mani sui maniglioni antipanico, deglutisco e spingo forte. "Bentornata all'inferno" dico a me stessa.




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