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"Piove su i nostri volti
silvani.
Piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella..."
(La pioggia nel pineto - Gabriele
D'Annunzio)
"Strangers
passing in the street
By chance two separate glances meet
And I am you and what I see is me"
Help
me understand the best I can.
Londra
1970. Primavera.
Si
trovarono per caso, sotto il cielo
stranamente terzo di Londra. Non c’era nulla che turbasse
quel celeste manto, a
parte una vena vermiglia provocata dal sole al tramonto. Separatamente,
vagavano tra le strade della capitale, confondendosi tra i mille volti
senza
nome che le percorrevano frettolosamente. Vuoi per uno strano scherzo
del
destino, vuoi perché le coincidenze non hanno nulla a che
vedere col fato, si
ritrovarono davanti al numero 66 di Sun Street* arrivando dai due punti
opposti
della strada. Quando i loro sguardi s’incrociarono, si
salutarono con un
sorriso, sorpresi quanto felici.
-
Strano vederti da queste parti,
Wright!
-
Non posso dire lo stesso di te,
Gilmour! – il tastierista si avvicinò, lanciando
una pacca amichevole sulla
spalla di David. Questo frugò frettolosamente nelle tasche
dei jeans cercando
le chiavi. Una volta trovate, aprì il portone invitando
l’amico ad entrare.
-
Come mai sei qui?
-
In verità non saprei spiegartelo. –
rispose Rick con aria spaesata mentre salivano la breve rampa di scale
che
portava all’appartamento di Dave – Sentivo
l’Ispirazione. Così ho deciso di
uscire fuori, fare quattro passi.
-
E a cosa sei arrivato? – chiese il
chitarrista incuriosito dallo strano comportamento
dell’amico, mentre facevano
ingresso nel lungo corridoio della sua casa.
-
A nulla. Ho ancora l’esigenza di
cercare e trovare qualcosa, ma non ci arrivo. È troppo
profonda, ben nascosta,
lontana da me. Forse è per questo che sono qui! –
concluse, guardandosi
intorno, spaesato, come se si fosse accorto solo in quel momento di
trovarsi
nel salotto di casa Gilmour.
Le
pareti bianche e nude erano
ricamate dalle ombre degli alberi e
dalle sfumature rossastre della luce del tramonto che filtrava dalle
grandi
finestre, prive di tende, che davano sul giardino; il pavimento, privo
di
qualsiasi arredamento, era ricoperto da una serie infinita di tappeti e
cuscini, mentre in un angolo tra una finestra e il camino, spiccava la meravigliosa Fender nera, tirata a
lucido dalle solite cure maniacali di Dave, insieme ad altre chitarre
elettriche ed acustiche. Il centro era occupato da un grande pianoforte
a coda,
mentre il resto della stanza accoglieva microfoni, cavi, amplificatori
e una
piccola batteria. Più che un salotto, era una vera e propria
sala prove, dove
ogni tanto si ritrovavano tutti e quattro insieme, bevendo qualcosa o
semplicemente improvvisando, sintonizzandosi sul momento uno sulle
frequenze
dei pensieri e dell’ispirazione dell’altro.
Dave
non riceveva mai visite da Rick;
solitamente ci si sentiva per telefono e finiva che, dopo una manciata
di
minuti, tutti erano a casa sua facendo esplodere il caos.
-
Beh, continua a cercare qui. Io
intanto vado a prendere qualche birra. – disse Dave, mentre
Rick si accendeva
una sigaretta.
-
Va bene! – rispose il tastierista
sedendosi sullo sgabello di fronte al pianoforte. David lo
lasciò lì, di fronte
ai suoi tasti, scrollando la testa e sorridendo teneramente davanti a
quella
scena così insolita. Rick prese a fissare i tasti come
ipnotizzato, mentre
nella sua mente andava delineandosi una fitta rete di pensieri.
Silenziosamente
li seguiva, facendo fremere lievemente le labbra e quasi non si accorse
del
ritorno di Dave fino a quando non si vide sbattuta in faccia una
bottiglia di
birra. Il chitarrista soffocò una risata, vedendo
l’amico scuotere la testa
come se si fosse svegliato di soprassalto.
-
Non ti ho mai visto così concentrato!
-
Lo so. È snervante.
-
Perché?
-
Vorrei saperlo Dave. – disse Rick
grattandosi la testa – Stanotte non ho nemmeno dormito. I
suoni si rincorrevano
nella mia testa senza che si lasciassero distinguere e il compenso per
questa
tortura è stato una cazzo di nota! – e
così dicendo, premette l’indice destro
contro uno dei tasti del pianoforte con fare nervoso.
Un
si
acuto.
Dave,
nel frattempo, si era seduto a
terra, alla destra dell’amico, incrociando le gambe, dando un
sorso generoso
alla sua birra, mentre quella di Rick giaceva sul pianoforte, ancora
intatta.
Il chitarrista fissava Wright ammaliato, mentre continuava a tormentare
quel si; vederlo così
ispirato lo aveva
incuriosito a tal punto da non avvertire nemmeno un velo di nervosismo
o una
punta di noia nell’ascoltare quella nota ripetersi
all’infinito. Continuava
semplicemente a fissarlo, carezzando con un indice l’orlo
della bottiglia.
-
Niente.
-
Io dico che funziona!
-
Si. Immagina che bello. Tre minuti
riempiti da un semplice tìn!
– disse Rick
sarcastico, imitando il suono del si,
suonandolo per l’ennesima volta.
-
Io dico che è geniale. – osservò David
grattandosi il mento – Sembra il rumore che fa una goccia
infrangendosi nell’acqua.
-
Sarà, – disse Rick accarezzando la
tastiera con una sensualità che un uomo riserverebbe solo
alla sua donna – ma è
un tarlo. Non riesco a farla evolvere, crescere, esplodere.
-
Cerca nei tasti, Rick! – disse David
come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Richard, invece,
lo guardò come se
non c’avesse pensato prima, poi rivolse lo sguardo nuovamente
a quelle dita d’avorio,
tornando a tormentare il si. Dopo
averlo ripetuto per cinque volte, lentamente si piegò in
avanti, quasi a
volersi immergere tra i tasti, iniziando a premerne alcuni.
Iniziò a suonare
delle brevi melodie, lente, dolci, seguite sempre dal si
finale. Non c’era forza nel suo modo di suonare e nemmeno
intenzione, ma un delicato abbandono al suono, come accade nelle ninne
nanne,
una sorta d’incantesimo che aveva reso le dita di Rick
cordiali, schiave di quelle
armonie arcane e misteriose.
Dave
fissava l’amico ad occhi sgranati,
le labbra socchiuse, facendolo sembrare una specie di dio greco in
contemplazione, stupito di cosa potesse fare un “comune
mortale” mettendo le
proprie mani al servizio della Musica. Era come se Apollo stesse
spiando un
Orfeo ispirato, che col suo canto riesce ad equilibrare la natura e a
rendere
mansueta anche la più feroce delle fiere. Dave
pensò che probabilmente c’era
davvero qualcosa di divino in quei suoni, come se racchiudessero il
senso della
vita, il mistero della sua origine e l’indicazione del luogo
al quale ci
condurrà, tenendoci per mano, la morte.
Rick
aveva composto una manciata di
accordi quando si fermò, gli occhi chiusi, il viso disteso
in un sorriso.
-
Avevi ragione, Dave!
-
Eh? – il chitarrista sobbalzò sentendo
il suo nome, avvertendo l’anima e il respiro ritornargli di
colpo nel petto
dopo averli persi tra le vibrazioni della Musica.
-
Ho detto che avevi ragione! – ripeté
Rick piegandosi verso l’amico, poggiandogli una mano sulla
spalla scuotendolo -
È geniale!
Incrociarono
gli sguardi, sorridendo.
Orfeo e Apollo, terra e cielo insieme; l’uomo che trova in
sé la magia e i
tratti del divino, il dio che guarda l’uomo e si ritrova
debole tanto quanto
lui, vulnerabile di fronte alle emozioni, entrambi persi nella
grandezza di
qualcosa che va oltre la morte e l’eternità.
La
Musica.
Fuori
dalle finestre, il cielo si era
incupito poco a poco. Piccole stelle iniziavano ad ammiccare
nell’aria ancora
carica del calore del tramonto, mentre la luna brillava piena contro il
tetto
dell’universo, illuminando il giardino di casa Gilmour e
colorando con fili d’argento
le cime degli alberi che la brezza di Maggio faceva oscillare
dolcemente. Lo
sciame argentato riempì anche il salotto, mentre Rick
continuava a ripetere gli
accordi della sua nuova creazione, dandole un ritmo crescente, quasi
incalzante,
come se la melodia stesse accompagnando la danza sensuale e antica di
un gruppo
di ninfe che a piedi nudi ballano sotto il chiaro di luna. David decise
di
alzarsi, prese la sua Stratocaster nera e, dopo averla collegata
all’amplificatore,
andò a sedersi sul pianoforte a coda portandosela al grembo.
-
Ricomincia, Rick. Ti seguo.
Il
tastierista annuì sorridendo, il
fascio di luce lunare che svelava solo metà del suo volto.
Prese a suonare,
seguendo con lo sguardo le mani di Dave che iniziavano a muoversi lungo
la sua
chitarra, in un’aura perlata. Il suono era pieno, acuto, ma
non stridente,
caldo come i primi raggi di sole che penetrano attraverso le nuvole
dopo il
temporale. Suonavano, creavano e intanto le pareti intorno a loro si
allontanavano (o forse l’ispirazione li stava staccando dalla
realtà senza che
se ne accorgessero), l’aria aveva perso ogni traccia di
silenzio e vibrava ad
ogni nota e accordo, si riempiva ad ogni basso e si squarciava ad ogni
acuto.
Dopo un po’, anche le loro voci iniziarono a partecipare a
quel concerto fatto
di echi e di rintocchi, senza parole. Niente di umano poteva
intromettersi a
quell’atmosfera mistica che poteva appartenere solo a
creature di natura
celeste. A cosa sarebbero servite le parole, poi? Le loro voci
galleggiavano
nell’aria come quelle delle sirene nascoste negli abissi,
piegando ogni loro
fattezza umana e facendola annegare nel loro canto, senza lasciare
morire, ma
facendole rinascere ogni volta.
Dave
era ormai fuso con la sua chitarra,
i lunghi capelli biondi, eclissati dall’argenteo manto
lunare, gli ricadevano
sul viso, mentre con la testa seguiva il ritmo divenuto incalzante, le
labbra che
si protendevano in avanti spinte dalla concentrazione. Le mani si
muovevano
sullo strumento come in preda a una possessione, come se avessero vita
propria,
lasciando che dall’amplificatore scivolassero fuori suoni
simili a gemiti acuti
e sottili. Richard, invece, aveva rivolto la testa indietro, il profilo
del
pomo d’Adamo risaltato dalla luce, ormai strappato allo
spazio e al tempo per
mano della Musica. Quando sentì che l’esaltazione
stava per esaurirsi, prese a
cambiare il ritmo. Il diluvio che lascia il posto a una pioggerella
sottile,
quasi impercettibile; così erano le note che Rick aveva
preso a suonare, lievi
gocce di pioggia che andavano a morire su foglie sempreverdi, mentre
Dave le
ripeteva dopo di lui, seguendolo in un eco che, dopo un po’,
sfumò nel
silenzio.
Quando
le loro mani divennero immobili,
fuori la brezza si era trasformata in vento come per magia, come a
volersi
risucchiare anche l’ultima nota per restituirla alla natura e
alla sua armonia
primordiale. Era notte inoltrata, sia fuori che dentro i loro occhi che
rimanevano
nascosti dietro le palpebre e i loro respiri affannati. Man mano che
recuperavano ossigeno, più ritornavano al presente,
riattivando i sensi, mentre
i loro cuori iniziavano a percepire il ritorno del tempo scandendolo ad
ogni
battito. Riaprendo gli occhi, le prime cose che videro furono i loro
volti;
volti nuovi e pur sempre gli stessi. Erano tornati alla terra come
rinati, un
po’ come quando si ritorna a galla dopo essersi tuffati. Si
sorrisero, l’uno lo
specchio dell’altro, in un gesto naturale come il primo passo
di un bambino,
incerto, ma che diventa stabile con lo scorrere del tempo.
-
Wow! – sussurrò Dave, come se non
riuscisse più a parlare, forse perché le parole
non bastavano.
-
Geniale! – esclamò Rick, buttandosi le
mani nei capelli, mentre il chitarrista prese a guardarsi intorno,
cercando un
particolare che gli suggerisse il luogo in cui si trovasse.
Guardò fuori dalle
enormi finestre e incontrò una luna vanitosa, essenziale e
lontana come l’esperienza
che avevano appena vissuto. Tornò a guardare Rick e
capì che era tornato a casa
dopo aver galleggiato chissà dove per chissà
quanto tempo.
-
Dave? È tutto ok?
-
Si! – disse Gilmour sorridendo – Ma che
ore sono? – si domandò scendendo dal pianoforte e
dirigendosi verso l’interruttore
della luce, la quale colpì i loro occhi in maniera quasi
dolorosa. Beccò l’orologio
appeso sopra il camino.
02.33
**
-
Cristo, abbiamo suonato per tutto
questo tempo? – chiese Rick interpretando alla perfezione i
pensieri di Dave,
che si grattò la testa con aria spaesata.
-
E adesso? – chiese a Rick.
-
Cosa?
-
Torni a casa?
-
Non saprei, qui c’è una bionda che mi
sta aspettando da qualche ora! – disse il tastierista
indicando la birra sul
pianoforte con un cenno del mento. Dave rise.
-
Ora che ci penso, quasi quasi me ne
faccio un’altra! – disse il chitarrista continuando
a ridere – Ho la gola
secca. - aggiunse dirigendosi con aria pigra verso la cucina.
-
Prendine qualcuna anche per me! –
gridò Rick, afferrando la bottiglia di fronte a se e
dirigendosi verso le
grandi vetrate, scrutando con sguardo felino il giardino ritornato
immobile,
senza ottenere risposta da Dave.
-
È diventato sordo. – sussurrò,
sghignazzando, quando sentì i passi di David che tornava nel
salotto.
-
Ti ho sentito eccome, Wright!
-
Merda! – rispose Rick, voltandosi con
un sorriso colpevole verso l’amico che portava tra le braccia
una decina di
birre, appoggiandole vicino alle finestre. Si sedettero sul pavimento,
sereni
come la notte che li circondava.
-
Rog dovrà pensare alle parole e Nick
avrà il suo bel da fare.
-
Non avranno problemi. – rispose Dave
annuendo con convinzione – La canzone è
praticamente finita.
-
Manca un titolo.
-
Hmm.
-
Pensavo a qualcosa come Nothing***,
non so perché.
-
Forse perché non abbiamo pensato a un
cazzo mentre la componevamo! – rise Dave.
-
Gilmour, sii serio! – lo ammonì Rick
sorridendo.
-
Wright, è inutile cercare un titolo a
quest’ora. Tanto domani potrebbe succedere che a Rog non
piacerà e potrebbe
andare tutto a puttane. Lo troverà lui un titolo!
– concluse, finendo di bere
la seconda birra.
-
Giusto!
-
Ora rilassati, Rick! L’alba arriverà a
momenti con i suoi ambasciatori.
-
E noi saremo qui ad aspettarla! –
rispose Richard sbadigliando, prima che entrambi si lasciassero cadere
sui
tappeti
della sala, chiudendo gli occhi per abbandonarsi all’oblio.
Note:
*
Sun Street è una strada d'invenzione, ovviamente, anche se
non so se esista davvero. Il numero 66, invece, non è
casuale. Infatti, Echoes
è
la sesta canzone di Meddle che
è il loro sesto album.
**
L'ora che David legge sull'orologio è "l'adattamento"
della durata di Echoes,
cioè di 23
minuti e 34
secondi.
***
Il titolo, anzi, i titoli di Echoes
all'inizio erano "The
son of Nothing" e "The
return of the son of Nothing", ma per
chi è fan
è già ben informato sui fatti!
Note dell'autrice:
Salve!
Torno nuovamente in questa sezione con questo delirio mentale. Non so
quanto si sia percepito l'amore maniacale che provo per "Echoes". Ho
scelto Dave e Richard per un semplice motivo e cioè che
tempo fa ho beccato un video su YouTube tratto da "Live in Gdansk" in
cui loro due parlavano della nascita di questa favolosa canzone.
Ammetto di aver capito poco e nulla senza i sottotitoli, a parte il
fatto che trovassero geniale il fatto di ripetere quel "si"
all'infinito, quindi se ci sono incongruenze anche cronologiche,
sappiate che la storia è inventata di sana pianta.
Questa storia doveva essere un "regalo" per il compleanno di Dave, ma
data la mia natura frettolosa, l'ho pubblicata in anticipo.
Bene, spero non faccia schifo questa OS, perchè davvero ero
in preda al delirio totale mentre la scrivevo.
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