An
Unconventional Drama
{improvise}
Atto
I
Scena
I
C'è
un intero mondo nascosto sotto le fogne, un mondo che i mercenari di
Bane non hanno fatto che rinfoltire. In questi primi giorni di
ristabilito ordine, hai imparato presto a conoscerne gli abitanti, a
parlare la loro lingua, a districarti con il loro aiuto nei meandri
del sottosuolo di Gotham City.
A
fare a meno delle due ditate di disinfettante sotto le narici per non
dover subire la puzza, perché tanto quella ti si attacca ai vestiti
e non va più via. O forse è una tua impressione, forse stai
passando tanto di quel tempo là sotto che un po' è diventata casa
tua, più di quanto non lo siano le strade là sopra, più di quanto
non lo sia il tuo appartamento. Forse i volti lerci dei senzatetto ti
sono diventati così familiari che ormai ti senti parte di quella
comunità più di quanto ti sia mai sentito parte di qualsiasi altra
cosa, per quanto patetico sia questo pensiero.
Hai
un bel po' di tempo libero, ex agente Blake, adesso che il distintivo
non grava più sulla tua giacca – e sulle tue scelte. La signora
Carlyle dell'interno 4 lo sa, naturalmente, l'ha saputo il giorno
stesso in cui hai rassegnato le dimissioni. Come faccia quella donna
a venire a conoscenza degli affari degli altri, spesso ben prima dei
diretti interessati, rimane un mistero, ma al momento la cosa non
t'interessa. Ciò che t'interessa è che la pettegola signora Calryle
ti ha offerto un posto nel suo pub all'angolo della strada e, no, non
puoi permetterti di declinare. Ma di temporeggiare, sì. Sì, grazie
a Dio. E grazie alla liquidazione da detective.
Il
senso del dovere non ti abbandona certo da un giorno all'altro. Al
massimo muta, si manifesta in diverso modo. Per te è andata così
anche questa volta. Non potresti occuparti della tua vita finché non
fossi sicuro che le cose a Gotham siano tornate alla normalità. Non
potresti dormire sonni tranquilli, calcare le strade eternamente
umide e affollate, fare la spesa, allenare i ragazzi
dell'orfanotrofio nei pomeriggi pigri, avendo il dubbio che quei
terroristi che hanno incrinato il volto della tua città possano
essere ancora in circolazione. Non sarai in pace con te stesso fino
al momento in cui i manifesti con l'orrido muso mascherato di Bane
non spariranno dai lampioni e dai muri, scoloriti, strappati, rimossi
dal tempo e dal vento, portando via con loro ogni traccia di ciò che
è accaduto durante quell'eterno inverno.
Contribuirai
con tutti i tuoi mezzi ad epurare quella piaga, a ricucire la
cicatrice che ancora squarcia la città. Dovessero volerci settimane,
mesi, stanerai quei bastardi. È un giorno fortunato quando riesci a
scovarne più di uno e sarà un giorno memorabile quello in cui
troverai Bane.
Non
sai con esattezza quanti siano sopravvissuti, ma sai che ci sono. Tu
non sei il solo vigilante dell'ultima ora che si addentra nelle fogne
alla loro ricerca, sei solo meglio addestrato, meglio attrezzato e
dotato della dialettica giusta per farti amici i senzatetto. A volte
basta una bottiglia di Gin scadente, a volte una chiacchierata
attorno ad un bidone acceso. Loro sanno dove indirizzarti e tu sei
pronto a cogliere ogni opportunità.
La
caccia notturna è silenziosa e quieta, ti permette d'indugiare in
lati di te che non ti aspettavi. Lati di recente scoperta, sgrezzati
dalla guerriglia dell'ultimo anno.
Per
esempio, c'è quel lato che è venuto fuori giusto in questi giorni.
Quello che, senza il minimo rimorso di coscienza, ti fa testare i
giocattoli di Wayne sui terroristi che ti ritrovi per le mani.
Insomma, non c'è niente di mortale tra quegli aggeggi e in qualche
modo dovrai pur imparare come funzionano, no? Wayne ti ha lasciato
tutto quel ben di Dio, ma nessun libretto d'istruzioni. Grazie tante.
John
Blake è allo sbaraglio. Euforia e senso d'inadeguatezza lottano
dentro di te per la supremazia, a tratti si mescolano lasciandoti
annichilito. Perché tu, perché ora. Domande che ti sorprendono in
un tunnel qualsiasi della rete fognaria, con il continuo sgocciolio
che ti fa venire voglia di pisciare ogni cinque minuti e la luce
della torcia che danza davanti.
È
durante uno di questi momenti che lo senti.
Nelle
fogne ci sono tanti rumori, alcuni ovvi altri quasi spettrali. Col
tempo ci si fa l'orecchio, s'impara che quel raspare improvviso sono
solo le zampette di un ratto che ha avuto la sfortuna di trovarsi
sulla tua strada e che quell'ululato incostante è l'aria che
s'incunea dalla metropolitana trasformandosi in vento afoso.
Ma
questo... questo sibilo... è una cosa che non hai mai
sentito.
Alzare
la torcia e togliere la sicura alla pistola sono un unico movimento
istintivo.
Due
passi silenziosi, il rombo del sangue nelle orecchie. Svolti l'angolo
e lo vedi.
Ti
ci vuole un po' per realizzare esattamente cosa – chi –
hai davanti. Un lunghissimo attimo di smarrimento davanti alla figura
accasciata contro la parete sudicia al di là del tunnel.
La
tua mano si stringe forte attorno al calcio della pistola, la luce
della torcia è ferma. Da quella distanza potresti mandare a segno un
colpo dritto alla tempia. Blam. Il cervello che si sparge a
raggiera sui mattoni, la testa che ciondola giù. Mettere per sempre
fine al sibilo che esce da quella specie museruola.
Dilati
le narici, muovi nervoso il dito sul grilletto. La luce continua a
non tremare, sei tu che tremi.
Quando
abbassi le mani, rilasci un sospiro nell'aria fetida e ti sembra di
non aver mai respirato in vita tua. La sagoma di Bane, non più
rischiarata dalla torcia, è adesso inghiottita dalle ombre, ma ti
aleggia ancora davanti, impressa nella retina.
Cinque
giorni di ricerche: è stato più veloce del previsto. Prima ancora
che la domanda abbia avuto il tempo di prendere forma concreta nella
tua testa: cosa hai intenzione di fare una volta che lo trovi, mh?
Cerchi
sostegno nella parete alle tue spalle e ti lasci scivolare giù. Il
tremore non cenna a smettere, ogni respiro è una stilettata alla
gola.
Cosa
hai intenzione di fare, adesso?
Respira.
È solo un attacco di panico. Non mi dirai che non ricordi come si
gestiscono?
Respira.
Concentrati su un dettaglio neutro e respira. Lo scorrere del rivolo
d'acqua ai tuoi piedi, i suoi riflessi alla luce della torcia.
Respira. Così, bravo.
Gradualmente
il tuo respiro torna quasi normale, il tremore scema. Gradualmente i
tuoi occhi si abituano all'oscurità. Resti tu, la pistola ancora
senza sicura e le vestigia del mostro che ha gettato Gotham in un
incubo quotidiano per mesi.
Il
grande, terrificante Bane. L'uomo che ha tenuto in scacco un'intera
nazione, ha quasi raso al suolo una città e ha ucciso Batman. Gli
occhi saettano increduli sulla sagoma inerme e qualcosa di simile
alla frustrazione inizia a serpeggiare nel tuo stomaco. E quel sibilo
spezzato non fa che rimarcare la pateticità della scena.
Ti
viene da ridere. Sinceramente, hai una gran voglia di ridere. Abbassi
il capo tra le mani e il metallo della pistola cozza freddo sulla
fronte. Soffochi un singulto amaro in fondo alla gola.
Quel
sibilo, quel fottuto sibilo... non puoi fare altro che restare lì e
ascoltarlo. Lo assimili lentamente, lo riduci a parte dell'ambiente.
Come fosse uno dei tanti rumori che fanno da sottofondo alle fogne,
come fosse parte di esse.
È
questo che è sempre stato, no? Bane, il mostro venuto fuori dalle
fogne per dominare Gotham City nel terrore, sconfitto e infine
tornato a rifugiarsi nel suo ambiente naturale. Bane, la bestia
ferita tornata a morire lì, nel buio della propria sudicia tana.
Il
pensiero ti trafigge da parte a parte, facendoti scricchiolare le
ossa.
Cosa.
Cazzo. Devo. Fare.
– Okay.
– soffi via l'aria.
Il
cuore non ha smesso di martellarti nella cassa toracica, pompando altro
sangue alla testa.
– Okay...
– ripeti – Okay. –
Sei
un ex detective, sei addestrato per essere in grado di pensare
razionalmente in ogni situazione. Anche in questa, sì.
Che
opzioni hai? Le elenchi in bella mostra nella tua testa.
Chiamare
la polizia perché se lo vengano a prendere e restare qui a scongiurare
una sua eventuale fuga fino a che non arrivano, come hai
fatto per gli altri mercenari che hai scovato. Ucciderlo, qui e subito, e andartene via
senza voltarti indietro. Lasciarlo a morire.
– Dammi
un buon motivo per cui non dovrei ammazzarti. –
Ti
risponde il silenzio. Il silenzio di quella fogna, tutto sgocciolii e
ululati. E non avrai altra risposta. Ma il solo fatto di pronunciare
ad alta voce quell'intenzione – quella succulenta, allettante
intenzione – è sufficiente a ridimensionarla. Il tremore torna
prepotente e il tuo pollice si muove da solo sulla pistola, veloce,
inserisce la sicura.
Click.
Un suono nuovo tra quelle mura.
Non è pietà. Non è
nemmeno codardia. Non lo sai cos'è che te l'ha fatto fare, è
difficile anche per te metterlo a fuoco, ma somiglia tanto alla
frustrazione che ancora ti attanaglia i visceri. Somiglia ad un vaso
mai terminato, ad una casa diroccata, ad un albero spezzato solo a
metà. È un'eco lontana, troppo lontana, che non sei ancora pronto
ad affrontare. E l'unica cosa che ti viene in mente è di
temporeggiare.
Temporeggia, John.
Quell'eco, in un modo o nell'altro, si risolverà. Può spegnersi da
sola, oppure qualcuno può decidere che è il momento di prestarvi
ascolto. Ma non è che deve risolversi adesso, sai?
E allora
temporeggia.
–
So
che me ne pentirò. – borbotti tra te nel momento stesso in cui lo
pensi.
E metti in atto quel
folle proposito prima che il buonsenso ti faccia cambiare idea.
~
Scena
II
– Cristo,
ma quanto pesi?! –
Non
che imprecare ti aiuti in qualche modo a trascinare quella quintalata
di muscoli, eh. Appunto mentale: la prossima volta che vai a caccia
di supercriminali nelle fogne di Gotham, ricordarti di parcheggiare
vicino.
Ancora
poco. I muscoli bruciano di acido lattico. Ancora solo qualche metro
e...
E
forse imprecare non serve a un cazzo, ma quando inciampi
trascinandoti addosso tutto il peso di Bane, ti viene più che
spontaneo tirare giù i santi dal Paradiso.
Con
un grugnito spingi via l'uomo e ti lasci andare a terra, senza fiato.
Che spettacolo pietoso che siete.
– Wayne
la faceva sembrare più facile... – mormori alla Luna, pallida e
silenziosa, che illumina la strada.
Il
sibilo accanto s'interrompe, gratta, si trasforma in uno stridio
metallico. Bane sta ridendo.
E
tu non sai come ma sei già balzato in piedi, la pistola in pugno
puntata contro di lui, che si contorce ai tuoi piedi.
– Tu...
– sputi tra i denti.
E
non aggiungi altro, contrai la mascella a rimangiare ogni sorta di
maledizione, mentre la sua risata metallica riempie la strada,
spezzata da colpi di tosse.
– In
piedi. – gli ordini con un movimento secco della canna – Cammina.
–
Un
braccio piegato contro il ventre, il gigante si fa leva con una mano
per alzare il busto. È assurdo e patetico, stai perdendo la
pazienza.
– La
vita è solo un'ombra... che cammina. – altro colpo di tosse – Un
povero attorello sussiegoso che si dimena... sopra un palcoscenico,
per il tempo assegnato alla sua parte... – i suoi piedi slittano
inutilmente sul selciato e lui ride di nuovo e tu sospiri via
l'ultimo brandello di pazienza – E poi di lui nessuno udrà più
nulla. –
– Bene,
bravo. – sfili dalla cintura il grimaldello elettrico e premi il
tasto on, gli giri attorno – Ti risparmio il bis. –
Una
sola scossa, potenza media. Il tonfo di Bane che ricade a terra
esanime e il conseguente ritorno del silenzio.
– Oh,
Dio. – sospiri reclinando la testa all'indietro – Sarà una lunga
notte. –
~
Scena
III
Fattene
una ragione: non guarirà miracolosamente da sé solo perché l'hai
portato nell'infermeria della Batcave. Quindi ti conviene smetterla
di fissarlo e iniziare a fare qualcosa, non credi?
All'accademia
vi hanno fatto studiare anche primo soccorso e tu hai preso il
massimo dei voti al test, ti ricordi? Non è ferito gravemente: se
così fosse, sarebbe morto nelle fogne prima che lo trovassi.
Insomma, qualsiasi cosa abbia, la puoi anche gestire da solo.
Inizia
dalle cose palesi. Tipo il braccio. Osi avvicinarti e tastare tutto
l'arto: non c'è sangue, le ossa sembrano integre. Ma è gonfio e
immobile. Quando tenti di muoverlo, dalla maschera di Bane esce un
sordo suono di protesta e tu scatti indietro.
È
lussato. – ti dici. Proprio com'era successo a te anni
fa, durante una rissa. Cristo, che dolore! Quello ce l'hai ben
presente, come anche il tutore che hai dovuto portare per due
settimane – che palle! – ma proprio non riesci a
ricordare come ti hanno sistemato il braccio. Ora che ci pensi,
qualche tempo fa è successo anche ad uno di ragazzi: durante una
partita al Saint Swithin ti sei girato due secondi e Jason Todd ha fatto
in tempo a lussarsi una spalla. L'hai accompagnato al pronto soccorso
e l'hai tenuto fermo mentre il medico lo riaggiustava. Te le
ricorderai per sempre le sue urla, ti hanno fatto venire l'emicrania.
Dopo gli hai preso un gelato. No, non credi che sarà altrettanto
facile con Bane.
Respiri
a fondo, cerchi di riportare alla memoria il modo in cui il medico ha
riallocato la spalla di Jason. Non sembrava così difficile, no?
Praticamente ha solo afferrato saldamente il braccio e ha tirato
verso l'esterno, esattamente con questa angolatura e...
Clang
Ok,
almeno Bane non ha urlato. Ha solo scardinato la testiera della
branda per afferrarti alla gola e trascinarti sul pavimento e adesso
sta tentando di strangolarti.
Riconosci
che non è stato un buon risveglio, ma in questo momento non sei
nelle corde giuste per provare empatia nei suoi confronti. Senti il
tuo stesso battito cardiaco che pompa furioso sotto la pressione
della sua mano. Ti ci aggrappi, la graffi, scalci, tiri pugni a caso.
È inutile. Cazzo, dubiti che quella specie di carro armato umano
senta un qualsiasi tipo di dolore, ormai. Ha gli occhi iniettati di
sangue fissi nei tuoi e cola sudore su di te, il sibilo metallico è
ormai diventato un raspare veloce e agghiacciante attraverso la
museruola.
Annaspi.
Preghi divinità indistinte. La sua stretta sulla tua carotide è
d'acciaio e tu inizi a sentire un ronzio sempre più prepotente che
ti sciama in testa. Graffi il pavimento.
La
tua mano incontra oggetti indefiniti. Ne afferri uno a caso –
un frammento della testiera – e colpisci alla cieca.
Colpisci con tutta la tua forza e Bane guaisce e allenta appena la
presa. Inghiotti una sorsata d'aria che ti ferisce la gola. Colpisci
ancora lo stesso punto... due, tre volte. Con un rantolo doloroso
Bane cede di lato e infine crolla. Naturalmente addosso a te. È la
seconda volta e il suo peso non è esattamente piacevole.
Riesci
comunque a scostarlo e ti trascini fino alla parete, ti ci appoggi
ansante. Ogni respiro è un stilettata e la testa continua a girare.
Quando
lo vedi muoversi ancora, tentando di rialzarsi, non ci pensi due volte.
Getti via l'arma improvvisata e afferri la siringa di morfina che
avevi preparato per sedarlo prima di andartene di lì. Senza tante
cerimonie gliela pianti nella spalla, somministrandogli tutto il
farmaco.
Bane
si muove, rantola ancora un po', ma quando cerca di sollevarsi ricade
inerte a terra. Guardi costernato la siringa vuota e poi
guardi ancora Bane. Cristo, magari era una dose letale.
~
Scena
IV
Non
era una dose letale. Non per lui, almeno. Il bestione respirava
ancora e ha continuato a respirare per tutto il tempo che sei
rimasto lì.
Con
non poche difficoltà sei riusco a rimetterlo sulla branda e sei
sicuro di averci guadagnato almeno un paio di ernie –
'fanculo. Hai finito di controllare il suo stato, senza poter fare
molto altro – per quella sera avevi già dato abbastanza,
grazie – e poi ti sei trascinato fino al tuo appartamento.
Adesso
infili le chiavi nella toppa e le giri la serratura. Dopo il silenzio
delle strade immerse nel sonno, quel rumore di ferro ti esplode nel cranio e ti rendi
conto di avere mal di testa. Entri e ti chiudi la porta alle spalle,
accendi la luce.
– Merda!
– ti schermi gli occhi con una mano e la spegni
immediatamente.
Abbandoni
le chiavi sulla console e ti sfili il giubbotto sentendo tutta
l'adrenalina crollare all'improvviso, lasciandoti solo un sacco di
stanchezza addosso. Il divano è a un passo e ti ci getti a
peso morto.
Vuoi
dormire. Vuoi solo dormire per il resto della tua vita.
Ma
devi alzarti e mangiare qualcosa e devi farlo adesso. Adesso,
John.
Così
ti fai violenza per alzarti da lì e andare a controllare cos'è
rimasto nel frigo. È semivuoto. E quel poco che c'è non ha
un'aria esattamente commestibile. Splendido. Devi accettare al più
presto quel lavoro che ti ha offerto la signora Carlyle, rifletti
mentre apri l'ultima confezione di noodles e la infili nel forno a
microonde.
Fissi
con sguardo assente la ciotola che gira lenta su sé stessa e ti
chiedi cosa mangerà Bane. Gli hai lasciato delle barrette proteiche,
le mangerà? E come? Come fa a mangiare con quella roba in faccia?
Magari non può mangiare solidi, magari non ha i denti o che che
cazzo ne sai, magari può solo nutrirsi di pappette come i neonati...
magari morirà di fame e stenti su quella branda perché sono giorni
che non mangia e di sicuro quella dose di anestetico che gli hai dato
non gli ha fatto bene... magari...
Plim
Ti
viene un colpo. È solo il forno a microonde che ti avverte che i
noodles sono pronti, John.
Recuperi
le bacchette e stappi una birra e te ne torni in soggiorno. Accendi
la tv solo per cercare di spegnerti il cervello.
Pubblicità.
Football. Altra pubblicità. Soffi sul boccone di noodles e continui
a cambiare canale. C'è il David Letterman Show, ma non hai voglia di
ridere. C'è Jersey Shore, ma non hai voglia di piangere. Altra
pubblicità. Telegiornale. Ancora pubblicità.
Torni
indietro, al telegiornale. Gotham festeggia il centocinquantesimo
anniversario della sua fondazione, bandierine rosse e bianche e blu
ovunque, cortei con majorette e la banda municiapale e corpi di
polizia con la divisa buona.
Tu
mandi più un boccone insapore e togli il sonoro, zittisci la voce
entusiasta del cronista, il rombo della folla, il concerto della
banda. Tanto non c'è modo di spegnerti il cervello, ormai.
Hai
rapito un uomo, John Blake. L'hai rinchiuso in una cella in fondo ad
una grotta, sedato e immobilizzato, prigioniero in un luogo
sconosciuto a tutti eccetto te. Se per qualche sfigatissima ragione
tu morissi ora, nessuno saprebbe che Bane è lì e con ogni
probabilità sarebbe condannato ad una lenta e patetica morte. Che
non saranno quelle quattro barrette energetiche a farlo sopravvivere.
Hai
voglia ad atteggiarti a vendicatore della notte, a scimmiottare il
tuo idolo. Wayne era un riccone anarchico e tu non hai neppure
l'omicidio dei tuoi genitori a fare da motore propulsivo per il tuo
bisogno di giustizia.
La
tua rabbia, John, è sempre stata sorda e strisciante. Te la tieni
stretta nei pugni contratti e sorridi a chi ti chiede come stai.
Padre Reilly è il solo che forse col tempo ha imparato a vedere
cosa c'è dietro le tue sottili maschere, ma ha anche imparato che non può
andarvi oltre.
È
in qualche modo peggio della maschera nera di Batman. Wayne tornava a
casa e poteva togliersela, poteva tornare Bruce Wayne e riconoscersi
allo specchio. Tu non hai modo di toglierti il sorriso dalla faccia e
vedere chi sei realmente. Te ne sei dimenticato. John Blake è
sepolto sotto questo bel personaggio che ti sei costruito negli anni,
fatto di lealtà e gratitudine, di pistola con la sicura e distintivo
lucido.
Hai
avuto la forza di portarlo avanti per trent'anni. E sono tanti
trent'anni. Gettare tutto nel cesso perché il tuo eroe di sempre è
morto ingiustamente e pensare di potertela cavare egregiamente è
stato davvero presuntuoso da parte tua, non ti pare? Eh sì, adesso
te ne rendi conto.
È
il motivo per cui sei solo e non riesci ad ammettere che ti senti
solo, perché è passato il tempo in cui ti faceva comodo. È il
motivo per cui il venerdì sera vai a caccia di terroristi e hai
rapito il ricercato numero uno della nazione invece che consegnarlo
alle autorità.
È
il motivo per cui, invece di finire la tua birra e andartene a
dormire come meriterebbe una persona onesta, te ne stai lì a pensare a quanto durerà il
sedativo, se si sveglierà, se le costole fratturate gli faranno
male, se il braccio gliel'hai rimesso davvero a posto o hai fatto
solo ulteriori danni, se avrà fame, se avrà sete, se avrà freddo.
Se non ti sei bevuto il cervello a preoccuparti per un fottuto
terrorista assassino.
Se
non avresti fatto meglio ad ammazzarlo subito e lasciarlo a
decomporsi nelle fogne come meritava. Se non avresti fatto meglio a
prenderti un gatto su cui frustrare il tuo affetto represso, come
volevi fare da ragazzino, quando fantasticavi della tua vita fuori
dall'orfanotrofio.
Se,
se, se...
Finisci
la birra, getta nella spazzatura i noodles raffreddati e vattene a
dormire, John Blake. Ma prima lavati i denti, da bravo. Senza
guardarti allo specchio, però.
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