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N.d.A. Non ho idea di dove
questa storia andrà a parare, non so nemmeno in realtà se la continuerò, ma è un
pensiero che ho da qualche mese e vorrei provare a inseguirlo. Spero che
qualcuno lo insegua con me. Ogni riferimento a fatti, persone o situazioni
reali, è puramente casuale, tutto frutto della mia mente.
NB: il rating potrebbe
cambiare...
Prologo
Quando finì di
leggere i resoconti del contabile, Emma richiuse la cartella di pelle nera
lentamente, come se avesse paura di romperla. O di svegliare il mostro che
dormiva in essa.
Dio santo.
L'azienda era in
rosso, non c'erano soldi a sufficienza per pagare gli operai. Avrebbe dovuto
licenziare delle persone, mandare in rovina delle famiglie. Suo padre non
l'avrebbe mai permesso, com'era potuto capitare a lei?
“Signora, sta
bene?”
La voce di Claude
le arrivò ovattata, come se le parlasse attraverso una porta. “Signora Stan?”
Emma trasse un
respiro profondo e annuì. “Sì Claude, va tutto bene.”
No, andava tutto
male. La Stan&Co, l'azienda di produzione ceramiche che suo padre aveva creato
dal nulla quarant'anni prima, era sul lastrico.
Forse aveva ragione
suo padre, forse impuntarsi sulla tipologia di ceramiche era stata una stronzata
immensa!
Perchè l'aveva
fatto? Perchè insistere sull'aggiunta delle figure? Riproduzioni di opere d'arte
famose, opere di artisti emergenti, tutte prodotte in serie, per gli amanti
dell'arte!
Peccato che su
centinaia e centinaia di pezzi, ne era stati ordinate poche decine.
“Vada pure” disse
all'anziano uomo che continuava ad osservarla preoccupato. “Ora...ora penserò
sul da farsi e poi le farò sapere. Grazie.”
Claude accennò un
sorriso. “Va bene. E per qualunque cosa non esiti a chiamarmi.”
Ora le dava del lei
per esigenze lavorative, ma lui quella donna bella e triste l'aveva tenuta sulle
ginocchia da piccola. L'aveva vista crescere e diventare adulta, e prendere le
redini in mano di quell'azienda dopo la morte improvvisa del padre. E saperla e
vederla in difficoltà gli faceva male al cuore.
Povera ragazza
mia, pensò tra se mentre con discrezione, la lasciava
ai suoi pensieri.
Emma Stan era in
guai seri, e non importava come ci si fosse cacciata. Doveva uscirne e aveva
maledettamente bisogno di soldi.
Non c'erano solo
gli stipendi degli operai, ben centodieci, ma doveva pagare i fornitori, e i
collaboratori esterni, e i pubblicitari, e tutti quelli che le ruotavano attorno
e aspettavano i loro compensi, meritati o meno.
Si massaggiò la
fronte e si passò una mano nei folti capelli castani. Doveva trovare dei soldi,
subito. Nessuna banca le avrebbe concesso un prestito, non forniva nessuna
garanzia a parte la propria casa. E quella era già ipotecata per via di quel
prestito che aveva chiesto solo sei mesi prima, alle prime avvisaglie di crisi.
Aveva bisogno di
soldi ma non poteva chiederli ad una banca. Restava una sola opzione: lui.
“Merda!” imprecò
con rabbia, serrando i pugni fino quasi a ferirsi i palmi con le unghie.
Chiedere soldi a
quell'uomo era un suicidio in piena regola, un'idea che solo il giorno prima le
sarebbe sembrato a dir poco scellerato.
Robert Black era un
usuraio. Ovviamente non in modo esplicito, nessuno stamperebbe biglietti da
visita con su scritto “usuraio” anche se il suo mestiere è quello.
Sui biglietti di
Black c'era scritto “Avvocato”, ma nessuno l'aveva mai visto in tribunale, né
aveva uno studio legale. Robert Black era ricco, molto ricco e nessuno sapeva
come aveva fatto a diventarlo, ma stava di fatto che ad un certo punto aveva
iniziato a prestare denaro a chi ne aveva bisogno, e a volerlo indietro con
interessi importanti.
Con tutta
probabilità si era ritrovato a fare lo strozzino per caso, non aveva certo
studiato legge per poi finire a prestare soldi a strozzo, ma indubbiamente gli
piaceva farlo.
Forse lo prendeva
più come un divertimento, che come un lavoro. Dopotutto lui era già ricco.
“No...cosa sto
pensando? Non posso andare da lui, maledizione. Mi rovinerà del tutto!” si
disperò Emma, sul punto di piangere.
A trentacinque anni
si ritrovava già fallita, e costretta a chiedere aiuto ad uno strozzino pur di
poter pagare i conti. Non era giusto, non era questo ciò che aveva immaginato.
Guardò la foto di
suo padre, morto sei anni prima. Prese la cornice in mano e ne accarezzò i
bordi.
Lei e suo padre si
somigliavano molto, sia nel fisico che nel carattere. Testardi, orgogliosi,
intraprendenti. Avventati.
Sì, era stata
avventata molte volte in quegli anni, investendo anche dei soldi in titoli che
poi si erano rivelati un disastro. Ma si era sempre ripresa, era riuscita a
rimanere a galla. Ora però era diverso, la marea era troppo alta e non ci
riusciva. Doveva chiedere aiuto, anche se la terrorizzava.
Robert Black
prestava soldi a chiunque, non era per nulla amato ma era temuto. Non sapeva
cosa facesse a chi non pagava i propri debiti, anche perchè che lei sapesse,
nessuno aveva ancora estinto i propri debiti. Prestiti vitalizi, in pratica. I
malcapitati doveva pagare per il resto della loro vita, da quello che le era
stato raccontato.
E ora lei pensava
di cacciarsi nello stesso guaio. Ma era molto meglio dovere dei soldi per tutta
la vita ad un usuraio come Black, piuttosto che non pagare tutta quella gente
che aspettava soldi da lei.
Sì, era l'unica
cosa da fare: chiedere un prestito a quell'uomo.
Deglutì come a
voler mandare giù un boccone amaro e drizzando la schiena, raggiunse
l'appendiabiti per prendere il proprio cappotto. Ora che la decisione era presa,
doveva farlo al più presto. Prima rimetteva in piedi l'azienda, prima avrebbe
iniziato a pagare.
Magari Black
avrebbe tenuto conto di chi era lei, di chi era suo padre e dell'importanza che
la loro azienda rivestiva in quella città da quattro decenni, e non avrebbe
preteso troppo e subito.
E sopratutto,
avrebbe mantenuto il necessario riserbo. Aveva il terrore che si sapesse, che la
gente sapesse che non era stata in grado di preservare l'opera di suo padre
Arthur, l'uomo che aveva risollevato l'economia di quella cittadina inglese
ancora un po' arretrata, dando lavoro a centinaia di persone, a volte a più
generazioni di persone. Nessuno doveva saperlo, doveva essere una clausola del
loro contratto. O accordo. O qualunque cosa sarebbe stato.
“Sta uscendo,
signora?” le domandò Lara, la segretaria.
“Sì, torno tra un
paio d'ore. Se mi cercano, dì che sono uscita per delle commissioni personali,
per favore” le disse seria, mentre si sistemava il cappotto abbottonandolo per
bene.
Faceva molto
freddo, ma era un freddo che veniva da dentro.
Aveva paura, ma non
aveva altra scelta.
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