Titolo: Waiting for the sky to fall
Personaggi: Sebastian Smythe/Thad
Harwood, Blaine Anderson, Varie ed
eventuali.
Genere: Angst,
Drammatico, Romantico, Triste
Rating: Arancione
Avvertimenti: ANGST, Crossover
Nda: alla fine.
A Thalia.
You know why.
Waiting for the sky to fall
“Non capisco come fai a
rimanere così calmo.”
Sebastian si
voltò verso Thad con un sopracciglio inarcato. Erano seduti sul ciglio della
piazza principale del distretto cinque, le schiene poggiate contro i mattoni
freschi di un edificio abbandonato e in disuso; davanti a loro, Pacificatori e
operai si adoperavano per costruire il grande palco che il giorno successivo
avrebbe ospitato il rappresentante di Capitol City e i due Tributi estratti.
I loro sguardi
si incontrarono: Sebastian osservò gli occhi scuri di Thad, sinceri e
preoccupati, come sempre, per la Mietitura imminente. Avrebbe voluto dirgli che
non aveva capito la domanda, che non aveva capito a cosa si riferiva, ma
sarebbe stata una bugia.
“A cosa
servirebbe lasciarsi prendere dal panico?” chiese, laconico.
Thad sospirò e
si passò una mano tra i capelli neri. “Non lo so. Ma pensavo che, dopo quello
che è successo l’anno scorso…”
Sebastian si
irrigidì e strinse i denti; perché Thad doveva riportare a galla quella storia
ogni singola volta? Lucas era stato estratto, era entrato nell’Arena e non era
tornato a casa, fine. Il fatto che fosse suo fratello era irrilevante.
“Cosa pensavi?”
sbottò allora. “Che visto che è toccato ad uno della mia famiglia dovrei avere
più paura? È stata la casualità, Thad. Il fato. Il destino. Il caso. Vuoi altri
sinonimi?”
Erano mesi che
non si lasciava andare alle proprie emozioni fuori dalle pareti della sua
stanza e dalle braccia di Thad. Sarebbe stato inutile; piangere e strapparsi i
capelli non aveva mai riportato in vita nessuno, e gli Hunger Games non si
sarebbero certo fermati per qualche lacrima in più.
Quasi non si
rese conto che Thad l’aveva stretto in un abbraccio, il viso affondato nel suo
collo e le labbra che gli sfioravano la pelle.
“Scusa…”
sussurrò. “Non volevo farti arrabbiare. È solo che… Lucas mi manca, e so che
manca anche a te, nonostante tu non voglia darlo a vedere.”
Sebastian
sorrise e si immerse per un istante nel profumo di Thad. “Certo che mi manca…”
rispose poi, il tono di voce basso e più tremante di quanto gli sarebbe
piaciuto. “Mi manca ogni giorno.”
Dopo, restarono
in silenzio ancora stretti l’uno all’altro. Gli operai impiegarono tutto il
pomeriggio a montare il palco e gli schermi, sotto lo sguardo attento e i
fucili dei Pacificatori della Capitale; quando terminarono, grugnendo e con
passo reso malfermo dalla fatica, il sole stava ormai calando dietro agli
edifici della città.
Thad rabbrividì
appena quando una folata di aria fresca li investì, trascinando con sé polvere
e silenzio. Sebastian strinse la presa su di lui e gli posò le labbra sulla
tempia, lo sguardo fisso sulla piazza sempre più buia. Solo quando anche
l’ultimo Pacificatore si fu allontanato, si lasciò andare ad un sospiro.
“Si sta facendo
freddo,” mormorò, anche se non era neanche lontanamente vero. Il caldo di
quella giornata, infatti, non era ancora sparito, e continuava ad aleggiare
rendendo l’aria pesante e ancora più carica di attesa.
Thad annuì. “Già.”
Si alzarono in
piedi, battendosi sui pantaloni per togliere la polvere. Lanciarono un’ultima
occhiata alle impalcature e si presero per mano; Sebastian avvertì il pollice
di Thad disegnare ghirigori sul dorso della sua, forse in un tentativo di
tranquillizzarlo, e sorrise a quel semplice gesto.
Le strade erano
deserte e silenziose. Tutte le finestre erano sbarrate, e Sebastian pensò
all’anno precedente, quando aveva passato la vigilia della Mietitura davanti
alla stufa insieme a tutta la sua famiglia. Insieme a Lucas.
Avevano parlato
poco, quella sera, come ogni altra sera che Sebastian poteva ricordare. Ma
Lucas c’era sempre stato, una figura silenziosa ma presente in ogni occasione
importante. Con lui se n’era andata l’unica sorgente di luce della casa.
Lasciò che i
piedi lo trasportassero per le vie buie, la mano di Thad stretta nella sua e il
cuore indeciso se rallentare nella speranza di bloccare il tempo o se correre
per la paura che potesse succedere di nuovo, che la persona a cui teneva di più
al mondo potesse scivolargli tra le dita ancora una volta.
Aprì la porta di
casa senza pensarci, improvvisamente concentrato nei pochi centimetri di pelle
a contatto con quella di Thad e sulla sensazione di calore e sicurezza.
Sicurezza che, lo sapeva, sarebbe durata poco, trascinata via dalla Mietitura,
dal terrore che un nome uscisse da quell’innocente urna di vetro.
Trascinò Thad al
piano di sopra, con il rischio di far cadere entrambi sui gradini di legno, ma
non gli importava. Mancavano solo poche ore, all’alba, a un giorno uguale agli
altri e allo stesso tempo diverso, un giorno che si ripeteva da più di
cinquant’anni.
Quando la porta
si chiuse alle loro spalle con un leggero tonfo, si voltò. Gli occhi castani di
Thad erano lucidi e spaventati, e anche nell’oscurità della sua stanza
Sebastian poteva ricordarne il colore con estrema precisione. Era un pensiero
che lo gli faceva venire voglia di strapparsi il cuore per la paura soffrire.
“Sebastian.”
Fu un sussurro.
La voce tremante di Thad gli arrivò leggera e piena di emozione.
Improvvisamente sentì il mondo pesargli sulle spalle e la pelle iniziare a
formicolare; aveva bisogno di lui. Ne aveva così bisogno che faceva male.
Non parlò, non
gli disse niente. Si limitò ad avvicinarsi senza distogliere lo sguardo e a
poggiare le proprie labbra sulle sue cercando di trasmettergli tutto quello che
poteva: la paura, il desiderio di non pensare, il bisogno di sentirlo vicino,
tanto vicino da sperare che i loro corpi si fondessero in uno solo.
Thad rispose al
bacio con dolcezza, socchiudendo le labbra e sfiorando con la lingua quelle di
Sebastian, che respirò pesantemente dal naso prima di lasciarsi andare ad un
gemito roco.
“‘Bas…” Thad sussurrava il suo nome contro le sue labbra tra
un bacio e l’altro. “Ti prego.”
Sebastian fece
un passo indietro e lo guardò negli occhi, poi annuì e lo prese per mano,
portandolo verso il letto e spingendocelo sopra con delicatezza. Si baciarono
di nuovo, con i corpi ancora più vicini e le mani che si spostavano frenetiche
sopra e sotto i vestiti.
In pochi minuti
furono nudi. Thad allargò le gambe per permettere a Sebastian di sistemarsi
meglio tra di esse, senza smettere per un attimo di accarezzarlo ovunque e
sospirando quando le sue labbra cominciarono a scivolare umide sulla sua pelle,
dal collo all’ombelico e poi di nuovo su, più e più volte, fino a farlo tremare
di desiderio.
Sebastian
avrebbe voluto che il tempo si fermasse, avrebbe voluto avere la possibilità di
venerare quel corpo che nei mesi precedenti aveva imparato a conoscere come e
meglio del proprio. Non avrebbe mai voluto dimenticare i suoni che uscivano
dalle labbra di Thad, né la sensazione della sua pelle contro la propria.
Tuttavia, non
poteva aspettare. Non aveva la forza di continuare a pensare. L’indomani
sarebbe potuto essere l’inizio della fine, e non voleva lasciare che la sua
mente vi indugiasse più di quanto aveva già fatto.
Preparò Thad in
fretta, gemendo alla sensazione di calore che avvertiva attorno alle proprie
dita e beandosi dei sospiri che gli scivolavano tra le labbra. Ma solo quando
entrò dentro di lui, lentamente e senza fermarsi fino ad avvertire le natiche
di Thad contro le cosce, Sebastian respirò di nuovo.
Cominciò a
muoversi velocemente, ma non abbandonò neanche per un istante gli occhi di
Thad: non si sarebbe mai perdonato la debolezza di perdersi senza portarlo con
sé.
Improvvisamente,
però, neanche quella vicinanza era abbastanza. Aveva bisogno di qualcosa di
più.
Portò le braccia
intorno al corpo sudato di Thad e lo tirò verso di sé, sedendosi sul letto e
stringendolo contro il proprio petto. Lo osservò boccheggiare e gemere di
piacere mentre le sue unghie gli graffiavano le spalle.
Sebastian si
sentiva diviso a metà: da una parte c’era il calore che avvertiva addensarsi
nel basso ventre, e che confondeva i pensieri; dall’altra il desiderio di
continuare fino all’alba e poi al tramonto, senza doversi mai allontanare,
senza tornare a vivere.
Avvertiva i
muscoli di Thad flettersi e fremere sotto i polpastrelli e lo strinse ancora di
più, finché i loro petti non furono talmente vicini da bruciare, da fargli
chiedere dove iniziasse uno e dove finisse l’altro.
Il tempo sembrò
quasi dilatarsi intorno a loro, mentre Sebastian dimenticava tutto e si
costringeva a non perdersi; continuò a spingersi dentro Thad per quelle che gli
parvero ore, mentre il sudore gli imperlava la fronte e la voce si abbassava
per i troppi ansiti.
“Sebastian… ‘Bas…” Thad iniziò
quasi a pregarlo, lo sguardo lucido e scuro, e Sebastian non se lo fece
ripetere. Tremante per la fatica e il desiderio, fece scivolare una mano tra i
loro corpi uniti.
Bastarono pochi
secondi prima che Thad urlasse il proprio piacere e Sebastian lo sentisse umido
sulle dita mentre lo accompagnava in quell’orgasmo che voleva non finisse più.
Thad non chiuse gli occhi, continuò a guardarlo, mentre alcune lacrime gli
scivolavano lungo le guance e le forze lo abbandonavano.
“Dai…”
Di nuovo, bastò
un semplice sussurro. Sebastian boccheggiò per il calore improvviso, gemendo e
ansimando tra le braccia di Thad che continuava a mormorare parole dolci contro
il suo collo.
Poi, calò il
silenzio. Stesi sulle lenzuola stropicciate, rimasero a guardarsi negli occhi
finché il sonno non li reclamò. Sebastian avrebbe voluto parlare, al sicuro tra
quelle braccia forti che, lo sapeva, non lo avrebbero lasciato, ma non ne ebbe
la forza. Si limitò a stringere Thad contro il proprio petto e a sperare.
*
La giornata
della Mietitura si presentò fresca e ventosa.
Sebastian prese
il suo posto tra le file di ragazzi del distretto cinque e osservò i loro visi:
alcuni erano evidentemente spaventati, altri sembravano in lotta con se stessi
per non crollare, e i bambini di dodici anni tremavano come foglie. Lui non
sapeva neanche come sentirsi: da una parte aveva paura che il proprio nome
venisse estratto, dall’altra, tremava all’idea di un altro nome.
Poco lontano,
tra i ragazzi di diciotto anni, vide Thad, l’espressione concentrata e la bocca
stirata in una linea sottile. Era evidente che fosse nervoso, Sebastian poteva
vederlo nella tensione della mascella e nel modo in cui continua a flettere le
dita.
L’inviata di
Capitol City, dai brillanti capelli rosso fuoco, fece il suo ingresso sul
palco, chiedendo un silenzio che già aleggiava sulla piazza. Sebastian sorrise
alle parole gentili di quella donna che non aveva mai patito la fame o la
stanchezza, mentre lei blaterava di diritti, pace e gloria. Il video che
comparve sugli schermi gli fece venire la nausea, come nei cinque anni
precedenti.
Strinse i denti
e, senza sapere perché, cominciò a tremare leggermente; la rabbia, la
delusione, il terrore cieco che solo la morte poteva portare. Chiuse e riaprì i
pugni, cercando un ritmo che potesse farlo tornare a respirare regolarmente: lo
trovò dopo alcuni minuti che gli sembrarono infiniti.
Quando il video
terminò, l’attenzione di tutti si spostò sulle due urne di vetro. Era
incredibile come un piccolo pezzetto di carte potesse portare con sé tutte
quelle emozioni. Il silenzio si fece ancora più pesante quando venne annunciato
che l’estrazione sarebbe cominciata con le ragazze.
Sebastian
azzardò un’occhiata nella loro direzione. Codini biondi, ramati e scuri
brillavano leggermente sotto il sole di quella mattina, mentre i visi che li
accompagnavano mostravano vari gradi di paura e disperazione.
A Sebastian si
strinse il cuore quando l’inviata di Capitol City chiamò un nome e una
ragazzina che non poteva avere più di tredici anni scoppiò a piangere lì sul
posto. Quando i Pacificatori si avvicinarono e la trascinarono di peso sul
palco, avrebbe voluto cacciarli via e stringere quella bambina tra le braccia,
come tante volte aveva fatto con sua sorella nei mesi precedenti.
La richiesta di
una volontaria che salvasse il tributo dal suo povero destino si perse nel
silenzio.
Dopo la
presentazione della ragazza, tutta l’attenzione si spostò sull’altra urna,
luccicante e apparentemente innocente. Sebastian osservò con attenzione i
foglietti spostarsi e mescolarsi sotto le unghie laccate di verde di quella
donna che stava per condannare al macello un altro ragazzo. Chiuse gli occhi e
subito l’immagine di Thad gli si apparve dietro alle palpebre chiuse; non
sapeva cosa avrebbe fatto se…
“Sebastian Smythe.”
Il tempo si
fermò e ricominciò a fluire lentamente. Sebastian riaprì gli occhi, ma si
rifiutò di guardare da qualunque altra parte che non fosse davanti a sé. Poteva
quasi sentire il pianto dei suoi genitori, devastati all’idea che un altro
figlio finisse nell’arena.
A passo malfermo
si avvicinò al palco, circondato da altri Pacificatori. Quando si voltò verso
la folla mentre l’inviata della Capitale gli metteva una mano sulla spalla e si
congratulava con lui, fece forza su se stesso per non cercarlo, per non
spostare lo sguardo nella sua direzione. Si sentiva quasi apatico, in quel
momento: era sollevato ed allo stesso tempo completamente distrutto; poteva
avvertire la disperazione cominciare a chiudergli lo stomaco e ad annebbiargli
la mente.
“C’è qualche
volontario?”
Sebastian chiuse
di nuovo gli occhi e un piccolo sorriso gli si dipinse sulle labbra
all’assurdità di quella domanda.
“Io!”
Una voce. La sua
voce. Una sillaba che fece crollare il cielo.
Riaprì gli occhi
e si sentì morire. Thad era al centro della piazza, nel piccolo corridoio
lasciato libero tra i ragazzi e ragazze, lo sguardo determinato l’unica luce
rimasta sul viso pallido e tirato.
“No…” Il sussurro di Sebastian si perse tra gli strilli
eccitati della donna che aveva cominciato a saltellare, accanto a lui. “No. No.
No. No. No.”
“Un volontario!”
Thad salì sul palco. “Come ti chiami, ragazzo?”
“Thad…” Sebastian lo osservò deglutire. “Thad Harwood.”
“E, dimmi, Thad Harwood… perché ti sei offerto volontario?”
I loro sguardi
si incrociarono per la prima volta da quella mattina, quando le loro strade si
erano separate e Thad era tornato a casa per cambiarsi e prepararsi alla
Mietitura. Sembrava essere passato solo un istante, eppure, quello che
Sebastian lesse in quegli occhi castani era così diverso da ciò che vi aveva
letto solo poche ore prima.
Terrore, ansia,
incertezza, determinazione.
Così tanto amore
da far male.
“C’è…” Thad riprese fiato e distolse lo sguardo. “C’è bisogno
di una ragione, per voler salvare una vita?”
“Un eroe!”
L’inviata batté le mani, eccitata.
Sebastian
ritrovò la voce. “No, Thad…”
“Bene!” La voce
acuta della donna lo interrompe. “Sebastian, puoi tornare nella piazza.”
“No!” Il fatto
che Thad sarebbe entrato nell’arena al posto suo lo colpì come una cannonata al
petto. “No! Non vo-” Ma le mani dei Pacificatori lo trascinarono giù senza
fatica nonostante i suoi tentativi di ribellarsi.
Quando lo
lasciarono andare, Sebastian cercò di tornare sul palco, ma quelli gli
bloccarono la strada, e fu solo quando gli puntarono contro i fucili, che cercò
di cambiare tattica.
“Lasciatemi
passare,” disse, le mani strette a pugno e la mascella serrata.
“No.”
“Fatemi
passare!”
“Sebastian…”
Sebastian si
voltò di scatto. Blaine era dietro di lui, con gli
occhi lucidi e un’espressione addolorata sul viso.
“Andiamo, Seb…” continuò, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla
spalla.
“Ecco.
Sparisci.” I pacificatori lo spinsero indietro con la bocca dei loro fucili.
“Vai con lui e ringrazia di esserne uscito vivo.”
“Ma-”
“Smettila!” La
voce di Blaine era tremante ma forte. “Così peggiori
solo le cose.”
Sebastian
sentiva di stare entrando in iperventilazione. Non poteva permettere che
Thad entrasse nell’arena al posto suo,
non poteva permettere che morisse. Non per lui. Continuava a spostare lo
sguardo tra Blaine e i Pacificatori, finché non
guardò oltre e vide il volto di Thad, solcato dalle lacrime e indurito dalla
mascella serrata.
“Andiamo.”
Blaine lo afferrò per un braccio e lo trascinò
via, lontano dalla piazza, da Thad e dai Pacificatori. Si accorse a malapena
dell’abbraccio dei suoi genitori e di sua sorella; era finito in una specie di
trance, bloccato tra il sollievo di non dover morire e la disperazione di dover
vedere qualcun altro al suo posto.
Dopo Lucas, non
poteva perdere anche Thad.
Blaine lo allontanò dalla polvere e dalle
impalcature, fermandosi solo quando arrivarono ad uno sprazzo di erba verde e
ben tagliata che a Sebastian ricordava pomeriggi passati a ridere e a scherzare
dimenticando per un po’ il dolore del distretto.
“Siediti.”
Lui obbedì e
crollò a terra con le mani sul viso, mentre Blaine
gli si inginocchiava accanto e lo abbracciava stretto. Fu in quel momento che
Sebastian si spezzò: tutte le emozioni di quelle poche ore gli crollarono
addosso e si ritrovò a singhiozzare sulla camicia dell’altro, che non lo lasciò
andare e cominciò a sussurrargli rassicurazioni all’orecchio.
“Perché?”
Sebastian si tirò su e si asciugò il naso con la manica. “Perché, Blaine?”
“Non lo so…”
“Non dovrebbe
esserci lui, su quel palco! Hanno chiamato me!”
Blaine gli prese le mani. “Devi andare da lui e
parlargli. Prima della partenza, nel Palazzo di Giustizia.”
Sebastian scosse
la testa. “E cosa dovrei dirgli? ‘Grazie per avermi salvato la vita, ma sei uno
stronzo’?”
“Devi dirgli
quello che senti, Seb. Non puoi mandarlo via
nell’incertezza.”
“Incertezza?”
Blaine sbuffò, ma i suoi occhi tornarono a
lucidarsi. “Davvero non capisci perché l’ha fatto?”
Sebastian aprì
la bocca per ribattere, ma si bloccò quando la risposta che trovò gli tolse
l’aria dai polmoni e gli fece correre il cuore sotto alla cassa toracica.
“Devo andare da
lui.”
“Ti accompagno.”
*
L’interno del
Palazzo di Giustizia era freddo e buio, e Sebastian rabbrividì, seduto su una
sgangherata sedia di legno mentre aspettava che i genitori di Thad uscissero
dalla stanza per poter andare a parlargli.
Avrebbe voluto
dirgli tante cose: le parole gli si affollavano nel cervello e gli confondevano
i pensieri, ma non sapeva quali scegliere. Qual era la cosa giusta da dire alla
persona che gli aveva probabilmente salvato la vita, a costo della propria?
Non aveva ancora
trovato la risposta giusta quando la porta di legno si aprì e la signora Harwood uscì con le guance umide di pianto, sorretta dal
marito. Sebastian si alzò subito in piedi e fece per raggiungerli, ma lo
sguardo che la donna gli lanciò lo gelò sul posto: avrebbe dovuto aspettarsi
una reazione del genere, ma faceva male lo stesso.
Julie Harwood era sempre stata gentilissima con lui,
evidentemente colpita dal rapporto che si era creato tra Sebastian e suo
figlio, tuttavia, in quel momento gli sembrò che lei potesse incenerirlo solo
guardandolo. Era arrabbiata, completamente distrutta dalla decisione che il suo
unico figlio aveva preso; e la colpa di tutto quel dolore era lui.
Non disse una
parola, ma aspettò che si furono allontanati prima di avvicinarsi alla porta e
posare una mano sulla maniglia fredda prima che il Pacificatore che se ne stava
appoggiato alla parete lì accanto gli fece cenno di entrare.
Prese fiato ed
entrò nella stanza. Spese solo un secondo per coglierne i dettagli: un camino
vuoto, enormi finestre impolverate e due sedie di legno identiche a quella che
adornava il corridoio altrettanto spoglio. Poi si concentrò su Thad, che se ne
stava in piedi con lo sguardo fisso sul pavimento polveroso e con le braccia
lungo i fianchi.
Quando sollevò
lo sguardo, Sebastian avrebbe voluto morire: negli occhi di Thad c’era un
vortice di emozioni che lo congelò sul posto e gli fece desiderare di essere
ancora un bambino, senza preoccupazioni se non quella di arrivare a fine
giornata senza sbucciature. Invece, Thad non gli era mai sembrato così adulto:
c’era una consapevolezza, in quel castano scuro, che gli bloccò il respiro in
gola dalla paura.
E poi venne la
rabbia. Una rabbia cieca, che gli fece formicolare la pelle e correre il cuore
e, prima ancora di rendersene conto, Sebastian aveva fatto un passo avanti e
gli aveva tirato un pugno, facendogli perdere l’equilibrio e cadere a terra.
Thad volò sul
pavimento con un tonfo sordo e un gemito di dolore mentre Sebastian lo
osservava dall’alto con il respiro corto e le lacrime che avevano cominciato a
scorrergli sul viso.
“Sei uno
stronzo!” urlò, portandosi le mani tra i capelli. “Sei uno stronzo, Thad! Non-”
“Cosa avrei
dovuto fare?” La risposta acida di Thad lo colse quasi impreparato.
“Tu…” Sebastian lo osservò rimettersi in piedi e portarsi
una mano sul labbro spaccato. “Tu… Dovrei esserci io,
qui dentro! Non tu!”
Improvvisamente,
Thad sembrò quasi rimpicciolire, tutta la sicurezza sparita dai suoi occhi.
“Non potevo permetterlo.”
“Cosa?”
“Che toccasse a
te.”
“Perché, Thad?”
Sebastian si accorse di tremare, la voce che, al contrario di quella di Thad,
saliva ad ogni sillaba. La rabbia stava lentamente scemando, ma le mani gli
tremavano ancora, e sentì l’improvviso bisogno di capire, di sapere se Blaine aveva ragione.
“Perché non
volevo vederti entrare nell’arena.”
“Perché?”
Doveva sapere.
“Perché, Thad?
Perché non mi hai lasciato anda-”
“Perché ti amo!”
Sebastian boccheggiò.
“Cos-”
“Ti amo,
Sebastian. Ti amo, e non potevo permettere che tu entrassi in quella cazzo di
arena! Va bene come risposta?”
Di nuovo, la
risposta di Thad lo lasciò di stucco. Le parole stavano lentamente entrando nel
suo cervello, e lui ne capiva il senso poco alla volta.
Thad lo amava.
Lo amava, e aveva deciso di sacrificarsi per lui, nonostante sapesse di avere
pochissime possibilità di uscire vivo dai Giochi e di tornare a casa.
Perché c’era una
ragione, per salvare una vita.
Il silenzio che
calò nella stanza dopo quella dichiarazione così giusta e così sbagliata durò
pochi secondi, e l’unica cosa che svegliò Sebastian dalla trance in cui era
caduto furono gli occhi di Thad, ancora fissi nei suoi. Erano umidi,
spaventati, sembravano urlargli di dire qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma Sebastian non
parlò, si limitò a muovere un passo avanti e baciarlo. Il labbro di Thad
sanguinava ancora, ma non gli importava; in quel momento sentiva solo Thad, solo la sua bocca, il suo petto
solido contro il proprio, le sue mani tra i capelli e il suo respiro caldo sul
viso.
Si erano
scambiati decine, forse centinaia di baci, ma ciò che Sebastian avvertì in
quell’istante superava di gran lunga tutto ciò che aveva provato in tutta la
sua vita.
Le labbra di
Thad scivolavano sulle sue con voracità, come se avesse voluto divorargli
l’anima e non lasciarla più andare, incurante del destino che si era messo tra
loro. Sebastian poteva sentire il sapore pungente del sangue, ma lo ignorò e
baciò Thad con ancora più forza.
Non voleva che
se ne andasse. Non voleva vivere un solo istante senza di lui.
“Ti amo.”
Sebastian lo sussurrava con semplicità, tra i pochi centimetri che li
dividevano ogni volta che dovevano separarsi per respirare.
Alla fine, Thad
poggiò la fronte sulla sua e si leccò le labbra con un mezzo sorriso.
“Mi dispiace…”
Sebastian lo
strinse ancora di più. “Di cosa stai parlando?”
“Il nostro tempo
insieme sta per finire e…”
Sebastian lo
zittì con un altro bacio. “Zitto.”
“Ma-”
“Zitto!”
Sebastian
affondò il viso nel suo collo con un sospiro tremante. Proprio in quell’istante
la porta si aprì e Sebastian avvertì le mani del Pacificatore afferrarlo per un
braccio e tirare.
“Lasciami!”
ringhiò.
“L’orario delle
visite è terminato,” rispose quello, per niente intimorito. “Muoviti.”
“Via, ‘Bas.” Thad gli prese una mano e gli diede un leggero bacio
sulle labbra. “Me la caverò…”
Sebastian sentì
di nuovo le lacrime punge e deglutì, prima di allontanarsi con passo malfermo.
“Promettimi che
tonerai,” mormorò.
Thad fece un
mezzo sorriso. “Sai che non posso farlo.
“Promettimelo,
Thad!”
“Ti amo,
Sebastian,” rispose lui. “Spero che basti.”
La porta si
chiuse con un tonfo.
Note Finali:
Sì, lo so. Sono cattiva, e mi
fa male anche solo pensarle, queste cose.
Ma dovevo scrivere questa storia secoli fa… quindi…
Grazie in anticipo a tutti coloro che perderanno due minuti del loro tempo per
leggere, commentare e tutto il resto.
SereILU