Un caso estremo
‘Smettila!’
urlò Sara, ridendo
come una pazza davanti a me. Iniziò a rotolarsi dalle risate
nel prato verde mentre
io la guardavo scioccato, insomma era
solo una battuta e una mia per di più! Continuava a
massaggiarsi la mascella
per il gran ridere fino a che le lacrime non iniziarono ad uscirle
dagli occhi
per la forza delle sue emozioni. La schernì più
volte, insomma, ero proprio
bravo a fare le battute allora! Ma quando mi avvicinai a lei, vidi che
la sua
espressione sempre spensierata e sarcastica era cambiata, mentre il
viso si
stringeva in modo sofferente. Le alzai il mento con un dito e feci
incontrare i
suoi occhi neri nei miei, ma non erano accoglienti come al solito
mentre le
lacrime le rigavano le guance e il volto si stringeva in una morsa
sofferente.
Iniziai a preoccuparmi e mi guardai intorno in cerca di aiuto, ma in
quel
prato, quel bellissimo pomeriggio di giugno, non c’era anima
viva. La voce di
Sara mi richiamò implorante e affannata ‘Basta...
Ti prego, sai che odio il
solletico...’.
Mi
alzai di scatto e
lei crollò a terra, esausta continuando a respirare
profondamente e tornando pian
piano ad un ritmo regolare. Indeciso su cosa fare, rimasi immobile per
qualche
minuto e meditai sulle sue parole fino a che Sara non si mise a sedere
nell’erba, con una lentezza che parve infinita. Aveva il
volto crucciato e per
abbracciarla mi abbassai sul prato sfiorando l’erba con le
dita, non feci in
tempo ad avvicinarmi a lei che mi bloccò la mano e mi
guardò con sguardo truce.
‘Ti ho detto di smetterla con il solletico.’ Mi
ribadì severa.
Quelle
parole non
avevano senso, non la stavo nemmeno toccando! Aveva un urgente bisogno
di una
visita dallo psicologo quella ragazza oh si, lo avevo sempre pensato
che era un
po’ troppo fuori di testa.
‘Sara
torniamo a casa,
hai la febbre’ constatai e le tesi una mano ma lei la
rifiutò. ‘Lasciami qui,
sul prato.’
‘Sei
pazza? Tra poco
farà notte e non puoi restare fuori’ ribattei ma
vedendo che lei non accennava
ad alzarsi la presi di peso e la portai in braccio ma dopo pochi passi
di
fatica nonostante fossi più grande di lei iniziò
ad agitarsi dicendo ‘Lasciami,
lasciami! Pesi troppo!’ . La scaraventai a terra e lei si
massaggiò la schiena
per la botta. ‘Se ti sfugge Sara, ero io che ti portavo in
braccio quindi vedi
di non lamentarti okay?’.
‘No,
ero io che ci
sostenevo!’, rispose lei decisa. ‘Questa frase non
ha senso’, dissi io .
‘Sei
tu che non ne
capisci il senso!’ ringhiò la ragazza davanti a
me. Era impossibile che fosse
diventata così scontrosa in un attimo. Mi buttai a terra
frustrato e dissi ‘Se
resti qui, resto anche io. Tanto oramai si è fatta notte non
ci conviene tornare
al palazzo a quest’ora, i cancelli saranno chiusi.’
Sara
annuì lievemente
facendo dondolare la chioma rossa ‘Buonanotte
Giacomo’
Non
risposi, arrabbiato
com’ero con lei. Insomma che gli era preso? Non era mai stata
così acida. Beh,
magari lei lo era, e parecchio. Ma mai con me e mai lo era diventata
con un
cambiamento così repentino d’umore. Iniziai
istintivamente a strappare l’erba
dal prato emettendo
ogni tanto qualche
ringhio di disapprovazione.
Avevo
strappato solo
qualche filo d’erba quando Sara iniziò a
contorcersi tra le foglie come
posseduta. Gli arti si muovevano incontrollati e gli occhi neri erano
sbarrati e
fuori dalle orbite, la bocca si aprì e mi aspettai un urlo
ma lei lo ricacciò
dentro per paura di essere sentita e per non urlare si morse le labbra.
Accorsi
in suoi aiuto cercando di dare fine a quei movimenti bruschi quando il
sangue
colò dal labbro spaccato dalla forza dei denti di tener
chiusa la bocca e senza
badare ai fili d’erba strappati nella mia mano li buttai a
terra tenendo stretto
Sara in un abbraccio, restammo abbracciati in mezzo al prato fino a che
sentii
i respiri del suo cuore farsi di nuovo regolari e la vidi afflosciarsi
a terra
stremata dal dolore....Ma la domanda che mi assaliva era : quale dolore?
Mi
guardai intorno in
cerca di qualche freccia tirata da un arco nemico o qualche altra arma
che i
viandanti usavano a quei tempi, ma
niente. Mi passai una mano nei capelli neri e li solo li mi resi conto
del
sangue che colava dalle mani, ma non era il mio, era quello della
ragazza
sdraiata accanto a me,
era della mia
migliore amica. Ma io non avevo toccato il labbro insanguinato di Sara,
avevo
dell’erba in mano, dell’erba .... nient’altro.
Cercai nel prato quei fili verdi strappati
e li trovai accanto a me, impastati di sangue... Ma l’erba
non ha il sangue..
Feci
sgorgare
dell’acqua dal terreno arido con poco impegno e mi lavai le
mani aspettando il
risveglio di Sara e pensando se magari anche lei avesse appena
acquisito un
potere speciale. Provava solletico quanto sfioravo leggermente
l’erba, diceva
che il mio peso gravava in qualche modo sulle sue spalle, dai fili
d’erba
strappati colava il suo sangue e lei sentiva il loro dolore. Balzai in
piedi e
senza pensarci due volte afferrai Sara e me la misi sulle spalle e non
facendo
caso al dolore ai polpacci corsi a perdifiato verso il castello, non
importava
che fosse chiuso, l’importante era portarla il più
lontano possibile dalle
foglie, gli alberi, i prati e l’aria pulita che le era sempre
piaciuta. Ma se
la mia teoria era esatta, allora sarebbe stato meglio che non avesse
mai
conosciuto nessuna di queste cose, ora che se ne doveva separare per
sempre.
-
‘La
tua teoria è
esatta, Giacomo ‘ disse il Re sfilandosi il camicie bianco
con cui aveva
analizzato Sara. ‘Come esatta?!Sa questo che vuol dire? Sa
quanto soffrirà?
Bisogna fare qualcosa, bisogna aiutarla!’ iniziai a blaterale
ma lui mi bloccò
e disse saggio. ‘E’ normale, ora come ora in questo
nostro mondo. Ognuno di noi
ha un potere tra le mani che inizia a manifestarsi dopo i 18 anni: io
controllo
i cieli, tu controlli l’acqua, i miei servi sono scelti per
le loro capacità
rare di controllare il fuoco, c’è chi controlla le
menti e chi, come la donna
della villa accanto a questo palazzo, ha il dono di sapere sempre
quando
rompere le scatole e Sara, ha il dono di controllare la
natura...’
‘Questo
non è un
dono, è una condanna! E’ la natura che
prevale su tutto e lei lo sa, non ci metterà molto a
prevalere su una
diciottenne.’
‘Allora
proteggila,
aiutala, ma non ce la farà e lo sai. Come non ce
l’hanno fatta in tanti. Mi
dispiace Giacomo ma è il mondo, o almeno è il
nostro.’
‘Allora
vedrò di
cambiare aria.’ Dissi senza pensare e mi catapultai fuori
dalla stanza
sbattendo la porta. Ripensai in seguito alle mie parole, avrei mai
avuto
veramente il coraggio di lasciare il mio paese? E poi dove sarei andato
mai,
insomma, era tutto perfetto lì fino a poco prima almeno. I
miei passi
rimbombavano nel corridoio deserto della reggia poco prima che aprissi
la porta
principale e feci un passo fuori la porta, poi un altro e un altro
ancora fino
a lasciarmi alle spalle l’intero castello e vedere la collina
coprire con i
suoi alberi l’ultima torre. Ripresi a percorrere lentamente
lo sterrato
ricapitolando tutte le cose che erano successe nella giornata: Sara si
era
trasformata, solo questo. Beh, doveva capitare prima o poi, in fondo il
nostro
paese era noto proprio per questo, era da secoli che in quel luogo
nascevano
varie persone con mistici poteri che di solito si manifestavano
nell’evolversi
dell’età adolescenziale e tutti conducevano una
vita piuttosto tranquilla. Ma
per Sara non sarebbe stato così. Nella mia mente correvano
le immagini di
quando rideva al sol mio accarezzare un filo d’erba, il suo
piangere quando
quest’ultimo veniva strappato dalla radice, la sua
capacità di provare gli
stessi sentimenti della natura. Ma con i tempi di oggi, nessuno si
curava più
di questa, e allora, come sarebbe potuta sopravvivere se sentiva
addirittura sulle
sue spalle il mio solo camminare sul
prato ?
Sara
era destinata a
morire. Io ero destinato ad impedirlo.
Ero
chiuso in una
stanza, due ore dopo dell’incontro con il Re. Sara era chiusa
nella reggia
mentre io pensavo al gesto più drastico che potessi fare ma
la mia mente
continuava a vagare costantemente verso una decisione, che malgrado
tutto
quello che potessi aver detto, era quella giusta. Ci voleva un gesto
estremo e
quello era un bel gesto estremo.
Era
passata la
mezzanotte, tutto il borgo doveva esser nei letti mentre le menti dei
borghesi
viaggiavano sicuramente pianificando i prossimi investimenti che
sicuramente
non avrebbero considerato alcun impatto ambientale. Mi alzai, deciso ed
iniziai
a farmi strada tra i vicoli deserti passando il mercato e tutte le
baracche
serrate. Mi posizionai al centro della piazza e cominciai ad urlare
sotto la
cupola del campanile. “ASCOLTATEMI! Aprite gli occhi, zompate
giù dai letti e
aprite le serrande, sporgete la testa dalle finestre o uscite dalla
porta di
casa e ASCOLTATEMI!”. Passò qualche secondo di
silenzio prima che si sentì nel
fruscio della notte qualche serratura sbloccata, qualche sbadiglio e il
lagnarsi di un bambino. Con mia sorpresa i paesani si sporsero dalle
finestrelle e le mamme portarono i loro bambini assonnati in piazza, i
lavoratori si avvicinavano a me incuriositi mentre la gente faceva
capolinea
dai vicoli. Ma quando il Re, dalla finestra della sua stanza al lato
del
campanile, si affacciò e mi vide capii che ora tutto il
paese si aspettava una
mia parola. “Popolo!- gridai mentre la gente
sbattè all’unisono un piede a
terra in risposta – è ora di dire basta, basta al
maltrattamento della natura.
Basta sradicare gli alberi o bruciare le foglie, basta a non curarsi
della
natura.” Non dissi il perché, non raccontai di
Sara perché sapevo che qualcosa
li avrebbe fatti arrabbiare: il fatto che per una ragazza si sarebbero
dovute
fermare tutte le loro industrie e i loro negozi che mantenevano
vendendo la
legna tagliata dagli alberi o bruciandola per ottenere del calore. Ma
non ebbi
nessuna risposta solo lo scricchiolare delle foglie sotto il loro passo
e il
brecciolino spostarsi, provai a fermarli gridandogli contro, invano, ma
almeno
uno si prese la briga di rispondermi “La legna, gli alberi ci
servono. Non
dureremmo un giorno senza usarli per nostri scopi e lo sa anche il
Re!”. Rimasi
lì in piazza, impotente, mentre passo dopo passo i bambini
tornavano a dormire
e le luci della città si spegnevano una ad una e il Re
scuoteva la testa
ritornandosene a letto. Avevo fallito.
Passarono
tre giorni e
un pomeriggio, mentre ero nella stanza del Re a tenere stretta la mano
di Sara,
il mercato della piazza faceva un affare dopo l’altro. Ero
lì quando sentii la
stretta di Sara allentarsi mentre in lontananza forse qualcuno segava
un
albero, e in quel momento la forza di lei venne meno. Ero lì
quel pomeriggio
quando Sara fece un lungo infinito sospiro prima di guardarmi e
sorridermi, per
l’ultima volta, quando i suoi occhi profondi divennero muti.
E quel pomeriggio
le lacrime iniziarono a rigarmi le guance mentre prima il piede
sinistro e poi
il destro superavano uno scalino dopo l’altro le scale del
campanile. E quel
pomeriggio salii in cima e mi misi davanti alla campana chiamando per
l’ultima
volta l’attenzione del popolo impegnato con gli affari a me.
“C’era una volta
una ragazza- dissi in quello che mi parve un sussurro più a
me che a loro che
pendevano dalle mie labbra con il naso all’insù
per guardarmi- che a diciotto
anni era capace di controllare la natura. Ma la natura prevale su tutto
e pochi
minuti fa ha
prevalso anche su di lei
malgrado io vi avessi avvertito di evitare di farle del male...Sara
è morta.”
Abbassando lo sguardo vidi la madre abbracciare il suo secondo figlio e
iniziare ad urlare dal dolore. Solo in quel momento mi resi conto che
non
bastava piangere, si piange un giorno e poi si dimentica tutto.
Bisognava
cercare un gesto ancora più estremo perché una
lacrima che fugge dagli occhi di
un uomo è insignificante di fronte alla morte di Sara. Ero
pronto a farlo, ero
pronto a morire. Avanzai di un passo e allargai le braccia tendendo i
palmi
verso l’alto e sussurrai in modo che nessuno potesse sentirmi
“Arrivo da te che
sei per me l’essenziale”.
Mi
abbandonai alla
forza di gravità e mi posai nelle braccia
dell’aria mentre la gente cominciava
ad urlare, ma per me era un suono indefinito mentre l’aria mi
sferzava il
volto. Poi il buio e il pavimento freddo sotto di me. Fine.
Nient’altro ho
saputo del mio paese. Non avrei mai saputo che dopo il gesto che avevo
fatto il
popolo aveva aperto gli occhi e li aveva alzati al cielo chiedendo
mentalmente
scusa a me e Sara, non avrei mai saputo che dopo averci perso il popolo
non
aveva più sfruttato la natura per scopi personali, non avrei
mai saputo che non
sarebbe più stato sradicato un albero dal terreno per
costruire un’industria.
Perché dal gesto mio una cosa il popolo aveva capito:
bisogna trattare la
natura come fosse una persona, rispettarla, curarla e proteggerla fino,
in casi
estremi, alla morte, avevano capito che infondo anche la morte .
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