Warnings: Modern!AU,
Fluff, Angst, Prostituzione.
Word
Count: 4319
(fdp)
Disclaimer: Niente
di mio, non ci cavo un euro.
N/A: Scritta
per il COWT3 @ maridichallenge missione
speciale, prompt “Legno e/o Verde”
#TeamSuthiAllaRiscossa, per Sconfiggiamo
l'autofill @ piscinadiprompt,
prompt “Once Upon A Time, Snow/Charming, Ricerca
infinita”, e per 500themes_ita,
prompt “#81. Attraverso i mondi”.
─
La rilettura del Miglio Verde di Stephen King potrebbe aver influito
non poco nella realizzazione di questa storia *cough*
Across the universe
Ci
sono urla e ci sono risate, grida di battaglia e canzoncine cantate
sottovoce, ci sono principi, principesse, draghi, pirati, fate e
streghe, ci sono scaramucce e promesse di amicizia, si prende il
tè per finta e si fa la guerra per davvero, si iniziano e
finiscono storie, si rivivono fiabe, le si cambia, le si finisce. E
tutto sotto lo sguardo attento della maestra.
Troppo attento,
ritiene David, mentre cerca di sgattaiolare verso il limitare del
giardino. Non è una cosa facile da fare: bisogna
attraversare quasi tutto il campo giochi e, a parte gli scivoli, non
c'è molto altro dietro cui nascondersi. Ci prova comunque,
perché ha un'avventura da portare a termine, e non
può certo farlo lì, in mezzo a tutti gli altri
bambini. I veri eroi agiscono sempre da soli, si sa.
Quindi
si avvia con passo tranquillo, fingendo disinteresse. Fischierebbe, se
sapesse come farlo, invece si accontenta di tirare calci a qualche
sassolino, con la sua migliore espressione di innocenza stampata sul
volto. Gli occhi della (strega)
maestra si posano per un attimo su di lui, poi passano oltre,
concentrandosi su due bambini che giocano agli zombie. David sorride,
getta un'occhiata intorno a sé, e poi parte di corsa verso i
cespugli che segnano il limite tra il giardino dell'asilo e l'inizio
del parco.
Ci
mette meno di venti secondi per arrivarci, ma sono sicuramente i venti
secondi più lunghi della sua breve, giovane vita. Corre a
perdifiato, con il cuore che batte forte, le orecchie tese per cogliere
un eventuale rimprovero che segnerebbe la fine prematura della sua (avventura)
tentata fuga. Ma nessuno urla il suo nome, e quando rialza il volto per
spiare tra le foglie del cespuglio dietro cui si è tuffato,
può constatare con soddisfazione che nessuno ha badato a
lui. È solo, ed è libero, e può
finalmente fare quello che vuole. Ride con le mani sporche schiacciate
sulla bocca, mentre si congratula con se stesso, poi si volta a
guardare il nuovo regno appena conquistato.
Il
parco è grande, grandissimo, infinito,
anzi. Gli alberi sono alti come grattacieli ed intorno a lui
è tutto così verde da sembrare quasi colorato con
i pastelli a cera. È sicuramente un luogo magico, un posto
pieno di caverne e mostri e tesori nascosti. David non ha dubbi a
riguardo. Quindi si inoltra tra la boscaglia con massima cautela,
schiacciando il tappeto di foglie ed erba che scricchiola dolcemente
sotto i suoi passi, cercando con occhi attenti il primo (nemico)
segno di vita.
Non
si aspetta di trovarne davvero, un po' perché sa che lui
è l'unico abbastanza coraggioso da sfidare l'ira della (strega)
maestra, e un po' perché qualsiasi nemico avrebbe troppa
paura di lui e della sua spada per affrontarlo. Ne è
così sicuro che, quando infine qualcuno lo attacca,
spintonandolo alla spalle, ci manca poco che non gridi e se la dia a
gambe, lasciando cadere la sua arma.
Invece
cade a terra, tra le foglie e il fango, e subito dopo ha la prontezza
di rotolare sulla schiena e alzare la spada verso il suo aggressore.
«Indietro,
marrano!», urla, agitando alla cieca i due bastoncini
incrociati e malamente legati l'uno all'altro con il laccio di una
vecchia scarpa.
«Cosa
vuol dire “marrano”?», domanda il suo
avversario, palesemente confuso.
David
lo guarda. La guarda anzi, perché, con sua somma vergogna,
il nemico che l'ha preso alle spalle è una bambina.
Una bambina molto carina,
nota con disgusto. Una bambina con i fiori intrecciati tra i boccoli
neri e un lungo vestitino bianco pieno di pizzi e merletti. E lo
ha steso. Lei. Lo. Ha. Steso.
«Vuol
dire schifoso»,
risponde, arricciando il naso. Poi si rimette in piedi, scuote via i
residui di erba, tenta di trattenere quel che rimane della sua
dignità e la fissa dritto negli occhi.
«Perché prendere la gente alle spalle è
una cosa da schifosi, sai?», aggiunge con disprezzo.
Gli
occhi della bambina si infiammano subito, e le sue guance si tingono di
un rosso acceso.
«Io
non sono schifosa!»,
protesta. «E tu sei entrato nel mio castello, non avresti
dovuto! Questo posto è mio!»,
strilla, battendo un piede a terra.
David
torna ad agitare la spada in segno di minaccia.
«Io
non vedo nessun castello! E poi questo è un parco pubblico,
che significa di tutti, quindi non può essere
tuo», ribatte astioso.
La
bambina scuote con forza la testa, facendo cadere molti dei fiori che
si era sistemata tra i capelli, poi indica con il piccolo dito un
tronco alle loro spalle.
«Il
mio castello è lassù», spiega.
«Ed è mio perché io sono l'unica a
conoscerlo.»
«Be',
ora lo conosco anche io», replica David. Poi, incuriosito, si
volta a guardare l'albero in questione. Non è molto alto, ma
ha un tronco larghissimo, tanto che tre bambini insieme non potrebbero
abbracciarlo. I suoi rami sono altrettanto grossi e tozzi, larghi
abbastanza da poterci camminare sopra senza perdere l'equilibrio ─
proprio come si farebbe sui cammini di ronda, pensa ─ e sono talmente
intrecciati da creare una specie di gabbia o, per menti un
più fantasiose, una specie di stanza. Altri rami si
innalzano verso il cielo come torrette, e il manto di foglie che scende
da essi sventola pigramente, proprio come farebbero degli stendardi al
vento. È davvero un
castello, realizza meravigliato.
Torna
a girarsi verso la bambina, leggermente confuso sul da farsi. Se fosse
un altro maschio potrebbe sfidarlo a duello, fare una guerra per
conquistargli la fortezza, o chiedergli di prenderlo come capo delle
guardie reali. Ma è una femmina,
e David con le femmine non sa che farci.
La
bambina, intanto, deve aver notato il suo stupore e la sua invidia,
perché ora sorride soddisfatta, contenta di averlo messo al
posto suo. David distoglie lo sguardo e calcia via un sasso, irritato e
imbarazzato.
«Vuoi
salirci?», domanda però la bambina, prendendolo di
sorpresa. «Posso invitarti, se vuoi.»
Per
un momento David ha la forte tentazione di dire di no, poi la voglia di
arrampicarsi, di percorrere e di giocare tra le vie segrete di quei
rami grossi come strade hanno la meglio sul suo orgoglio.
«Davvero?»,
domanda, spalancando gli occhi. E poi aggiunge: «Ma se
è per costringermi a giocare alle principesse non vengo. Le
principesse sono delle marrane!»
Di
nuovo la bambina fa una faccia offesa. David si aspetta che lei
risponda che le principesse sono bellissime e intelligenti e hanno dei
castelli, grazie tante, invece lei avanza e lo spintona un'altra volta.
«Ahi!»,
protesta.
«Io
non gioco alle
principesse.
Sto combattendo un drago!», risponde, sdegnosa.
«Le
bambine non combattono i draghi, quello è compito degli
eroi»
«Io sono un'eroina!»
«Non
esistono le eroine!»
«E
Xena, allora?», domanda la bambina, incrociando le braccia
sul petto.
David
non sa cosa ribattere. La bambina la prende come una resa e torna a
sorridere.
«Se
mi costruisci una spada come la tua puoi venire nel mio
castello», decide infine, buttandosi un ciuffo di capelli
dietro l'orecchio. «Possiamo uccidere il drago insieme, con
le mie bombe di fuoco magico!», aggiunge, tirando fuori dalle
tasche del vestito una manciata di ghiande colorate per mostrargliele.
David
ci riflette per qualche secondo. È una femmina e lo ha
già spinto due volte, ma ha un castello, un drago, e delle
ghiande da usare come bombe a mano. Non è una scelta
difficile.
«D'accordo,
ti farò una spada. Ma sarò io a strappare il
cuore dal petto del drago!», puntualizza.
«Ew!»,
esclama la bambina che, dopotutto, è pur sempre una femmina. «Fai
pure.»
David
annuisce e si mette a cercare due bastoncini con cui costruire un'altra
spada, e una volta armati si arrampicano fino alla sala principale del
castello. Lì distruggono il drago, tre orchi, un troll, due
streghe e un polipo volante. Giocano fino a pomeriggio inoltrato,
ovvero fino a quando una trafelata maestra non riesce infine a scovarli.
Solo
quando infine torna a casa, tra le braccia di una madre furiosa,
preoccupata e sollevata insieme, David si rende conto di non sapere il
nome della bambina. E, più stranamente, si accorge anche che
la bambina senza nome gli piace perché, pur essendo una
femmina, sa combattere davvero bene. E sarebbe davvero un peccato non
riuscire più a rivederla, perché si è
divertito un sacco a giocare con lei quel pomeriggio. Molto
più di quanto onestamente si aspettasse.
Dopo
essersi sorbito ore di sgridate sia dalla maestra che da sua madre, il
bambino si lancia sul suo letto, si rigira da una parte all'altra per
qualche istante e poi si mette a fissare il soffitto.
Non
importa,
dice a se stesso un attimo prima di addormentarsi. La
ritroverò.
****
(Due
giorni dopo il padre della bambina rimane vittima di un non chiaro
incidente, e la piccola è costretta a trasferirsi in fretta
e furia con la matrigna in un'altra città. Non fa in tempo a
tornare al suo castello, non ne ha nemmeno tanta voglia. Per un po' lo
ricorda con affetto, soprattutto quando si sente triste e ha bisogno di
tirarsi su di morale; poi svanisce del tutto, come spesso fanno i bei
ricordi nei momenti di miseria.
Nei
mesi successivi, David, invece, ci torna parecchie altre volte. Contro
ogni sua aspettativa e speranza, lo trova sempre vuoto. Per un po' ci
gioca da solo, ma strappare il cuore ai draghi non gli risulta
più tanto divertente; poi, con il tempo, se ne dimentica
completamente, come succede alla maggior parte dei ricordi d'infanzia
non molto significativi)
****
Il
mondo è fatto del nero della notte e del rosso e blu dei
lampeggianti. È fatto dell'ululato delle sirene e degli
strilli delle altre donne. Della puzza di fogna delle strade e
dell'odore del proprio sudore che ricopre la pelle come un umido velo.
Snow
White corre nella notte, calcando sicura sui tacchi alti, inciampando
nelle irregolarità delle strade malamente asfaltate di quei
vicoli bui che conosce fin troppo bene. Abbastanza da sapere che non
c'è nessuna via d'uscita, comunque.
Continua
a correre lo stesso, ignorando i richiami del poliziotto alle sue
spalle. Si aspetta davvero che lei si fermi? Che diamine hanno nella
testa queste persone? Si mettono una divisa addosso e pretendono che il
resto del mondo si inginocchi ai loro piedi?
Corre,
corre, corre. Corre fino a quando la strada non finisce e i muri non si
innalzano tutt'intorno a lei come per intrappolarla. Dal forte ansimare
alle sue spalle deduce che il poliziotto è riuscito a
tenerle testa, nonostante tutto. Peccato. Per un attimo ci ha sperato
davvero di cavarsela.
Si
volta a guardarlo, fiera e provocatoria. Sa di avere le calze strappate
e il trucco sbavato, sa di essere sudata e sporca e impaurita, ma non
per questo lascerà che qualcuno la creda debole o
spaventata. Mai più, ha promesso a se stessa.
L'uomo
che si è dato tanto da fare per catturarla è poco
più che un ragazzo, scopre infine. È biondo, e ha
occhi grandi e spaventati quasi quanto i suoi. Ha la pistola spianata,
ma gli trema la mano.
«Mani
in alto e voltati contro il muro!», le ordina.
Snow
sorride.
«Di
solito prima di dirmi cosa fare mi pagano», ribatte.
Il
poliziotto arrossisce. Lei ne è così deliziata
che quasi non riesce a crederci. Ride, poi apre la bocca per prenderlo
in giro, ma in quel momento un altro uomo in divisa si affianca al
ragazzo. È più vecchio, è
più esperto, e ha molti meno scrupoli.
Snow
si ritrova ammanettata e schiacciata sul sedile posteriore di una della
auto della polizia, insieme ad altre due prostitute. Prima o poi
sarebbe finita così, era solo questione di tempo, dice a se
stessa. Lo ha sempre saputo, in fondo. Mentre continua a rimproverarsi
nota che il poliziotto giovane le lancia occhiate di soppiatto dallo
specchietto retrovisore. Allora sorride di nuovo, con ironia e
cattiveria.
«Sono
Snow White, vuoi essere il mio Charming?», domanda,
facendogli l'occhiolino.
Le
altre ragazze ridono. Il poliziotto più anziano le intima di
chiudere la bocca. Il ragazzo distoglie immediatamente lo sguardo e,
anche se lei non può vederlo, è pronta a
scommettere che è arrossito di nuovo. Adorabile.
Alla
fine la rilasciano su cauzione, un po' perché è
la sua prima volta, ma soprattutto perché la Mistress per
cui lavora ha non poche indiscrete conoscenze in quel distretto.
Ciò non toglie che la pagherà a caro prezzo,
tutte loro pagheranno, Snow White lo sa ancora prima di incontrare lo
sguardo furioso di Regina. A lei non importa più di tanto,
non è che prima facesse una vita da principessa, comunque.
Mentre
viene scortata fuori dalla cella, incrocia per un attimo lo sguardo del
poliziotto che l'ha inseguita. Per nessuna ragione al mondo lui le
sorride, un sorriso pieno e bello, di quelli che si rivolgono ad un
amico di cui si è sentito molto la mancanza. Snow considera
per un attimo l'idea di mostrargli il medio, invece si ritrova ─ anche
in questo caso senza uno straccio di motivazione ─ a sorridergli a sua
volta. È una strana serata, decide poi.
Per
un paio di settimane lavora a casa ─ o meglio in quella bettola
squallida che lei e le ragazze occupano a turno per gentile concessione
di Regina ─, poi le acque sembrano di nuovo abbastanza calme per
permettere loro di tornare in strada. Anche questo era questione di
tempo. E lei si è giocata la sua prima volta, ora
è praticamente una veterana, pensa con ironia.
È
Red ad accorgersene per prima. Le si avvicina una notte, in un momento
di calma totale per entrambe, e tende le mani coperte dai guanti rossi
verso il fuoco che zampilla contento nel venticello leggero.
«Ti
sei fatta un ammiratore. O uno stalker. Mai capita la
differenza», annuncia sottovoce, con lo stesso tono con cui
parlerebbe del tempo.
Snow
solleva un sopracciglio e la guarda come se fosse impazzita. Red
sbuffa, butta all'indietro ─ con una mossa perfettamente studiata ─ i
lunghi capelli neri, e in quel modo le indica col dito una macchina
parcheggiata poco distante.
«È
la terza volta che si ferma lì, stanotte. E solo quando tu
sei qui e non con qualche cliente», aggiunge con una smorfia
più che eloquente.
Snow
gira intorno al fuoco, spiando l'automobile da sotto le ciglia finte.
Non riconosce il conducente fino a quando una macchina non passa veloce
in mezzo a loro e i suoi fari illuminano l'altro abitacolo per qualche
istante. Allora attraversa a grandi passi la strada, consapevole dello
sguardo curioso ma attento della sua amica piantato sulla schiena, e si
avvicina fino a riuscire a bussare al finestrino dell'auto.
«Vuoi
arrestarmi di nuovo? Non hai di meglio da fare?», sibila
furiosa, mentre il volto del poliziotto che l'ha inseguita in quel
vicolo poche settimane prima, appare lentamente da dietro il finestrino
che si abbassa pian piano.
«No,
io... io non sono in servizio», risponde il poliziotto,
palesemente preso in contropiede.
«Quindi
pensi di potermi minacciare?», ringhia Snow White.
«Di potermi far fare quello che vuoi sotto la minaccia di
denunciarmi? Sei un essere spregevole, un maledetto figlio
di─»
«Voglio
solo invitarti a prendere un caffè!», esclama lui,
alzando le mani al cielo in segno di resa.
«...Cosa?»
«Un...
caffè. E qualcosa da mangiare, magari», aggiunge
il poliziotto. E le sorride. Di nuovo.
«Non
so che diamine ti sei messo in testa», sibila Snow in tono
basso e pericoloso. «Ma qualsiasi cosa sia, non mi interessa.
Se hai cattive intenzioni, sappi che ho un coltello nello stivale e che
non ho niente da perdere nell'usarlo. Se invece hai buone intenzioni,
sappi che ho visto anche io Pretty Woman, ed è una stronzata
pazzesca. Quindi sparisci dalla mia vista.»
Il
poliziotto la osserva con occhi perfettamente impassibili per qualche
secondo, poi si solleva per estrarre il portafogli dalla tasca
posteriore dei jeans e, senza smettere di guardarla, tira fuori due
biglietti da cinquanta.
«Vorrei
che venissi a prendere un caffè con me», le dice,
senza alcuna traccia di sarcasmo.
È
il turno di Snow White di arrossire. Guarda i soldi con un disprezzo
che raramente ha mai provato prima, e poi guarda lui con una rabbia e
una voglia di piangere che, invece, conosce molto bene. Ma non si
rifiuta un centone per un caffè, non in un lavoro come il
suo.
«Perfetto»,
replica quindi, afferrando le banconote e infilandosele nel reggiseno.
«Ma se è una qualche specie di
trappola...»
«Meglio
che sappia che me ne pentirò», continua lui,
questa volta con un'inflessione leggermente divertita. Ancora una
volta, invece dell'insulto che spontaneamente le sale alle labbra, Snow
risponde con un sorriso.
Finiscono
la notte in un autogrill poco lontano, bevendo caffè grigio
dal sapore di cartone e mangiando le ciambelle glassate più
buone che entrambi abbiano mai assaggiato. Parlano di musica, di libri,
di film e delle serie tv che preferiscono. Su molte delle cose sono
d'accordo, su altre si scontrano fino a lanciarsi pezzi di ciambella
addosso. Nessuno dei due parla di se stesso, nessuno dei due chiede
all'altro di farlo. Lui la riaccompagna al suo vicolo in perfetto
silenzio, e la saluta con un semplice buonanotte.
Snow
rimane a fissare i fanalini di coda dell'auto scomparire nelle prime
luci dell'alba, e si rende conto che hanno così tanto
evitato di andare sul personale che nessuno dei due ha nemmeno rivelato
il proprio nome (o perlomeno, nel suo caso, il suo vero nome).
Lui potrebbe facilmente reperire delle informazioni alla stazione di
polizia ― se non l'ha già fatto ―, mentre lei non ha alcun
modo di sapere nulla, a meno, forse, di non essere arrestata di nuovo
da lui ─ e no, grazie tante, la sua curiosità non vale tanto.
Risponde
con una linguaccia all'espressione curiosa di Red, e scuote la testa
per dire che è troppo stanca per parlare, che le
spiegherà tutto un'altra volta. La ragazza annuisce e si
stringe nelle spalle, come a dire quando
vuoi, tanto io sono qui.
È una buona amica.
Meno
di mezz'ora dopo, Snow si avvia lentamente verso la macchina che
è venuta a raccoglierle per riportarle in quella che,
suppone, si potrebbe definire la loro casa. Sta ancora pensando al
poliziotto, al significato di quella serata, al fatto che è
un gioco pericoloso quello che potrebbe stare giocando e che, in fondo,
non le importa.
Lo
ritroverò,
pensa stancamente, mentre si accascia sul sedile dell'auto di Regina. Solo
per farmi spiegare che diamine pensava di fare. Niente di
più.
Lo ritroverò.
****
(Una
settimana più tardi, il fratello gemello del poliziotto,
nonché suo collega, viene coinvolto nello scandalo creato da
un'inchiesta sulla corruzione delle forze dell'ordine. Il poliziotto,
suo padre e suo fratello, tutti agenti per tradizione di famiglia,
vengono trasferiti il più lontano possibile da quella
città. Il poliziotto, che deve già lottare per
mantenere pulito il suo nome, non può più
permettersi di pensare alla sua bella prostituta fino a quando non
è troppo tardi.
Ad
un certo punto, infatti, Snow White decide di non poterne
più, e che è giunto il momento di fuggire. Mette
da parte più soldi che può e, una notte come
tante altre, prende il primo volo disponibile per il posto
più lontano che riesce a permettersi. Ogni tanto ripensa al
poliziotto, ma sospira e scuote la testa. Non è mai stata
un'illusa, il periodo in cui credeva alle fiabe è durato
poco, e ora deve allontanarsi dall'ira della sua matrigna. Il resto non
importa)
****
Il
sole, ancora lento e assonnato, ha dato inizio all'alba da non
più di una manciata di minuti, e sol adesso il mondo torna
pian piano a fiorire di luce e di colori. È un cambiamento
troppo graduale per coglierne ogni sfumatura, ma è comunque
bellissimo da guardare, soprattutto in un giardino. Si preannuncia un
giorno caldo ― è pieno agosto, in fondo ― ma le prime ore
della mattina promettono di essere belle e fresche come una giornata di
primavera.
Il
vecchio chiude gli occhi, stringe le mani intorno alla balaustra della
veranda e si sporge per inspirare meglio il profumo dei fiori, contento
per quel momento di pace. Non che, di solito, ci sia una
vivacità insopportabile in quel posto ― è pur
sempre una casa di riposo per anziani, dopotutto ―, ma i momenti di
solitudine rimangono comunque troppo pochi, tra gli infermieri che
insistono per le odiose attività di gruppo e gli altri
pensionanti che cercano di socializzare per fare fronte comune contro
gli infermieri.
È
così assorto che non nota i passi leggeri alle sue spalle, e
solo lo scricchiolio delle vecchie assi di legno (vecchie come lui, se
non di più, quindi con tutto il diritto del mondo a
scricchiolare impunemente, proprio come le sue ossa) riesce infine ad
attirare la sua attenzione.
Si
volta piano, con la cautela dovuta alla pesantezza degli anni, e al suo
fianco trova una vecchietta dai corti capelli bianchi e un sorriso
contento. È avvolta in una vestaglia rossa, e ha una tazza
di tè profumato di cannella tra le mani secche e rugose.
«È
una bella giornata, non è vero?», domanda la
vecchia, con lo sguardo fisso sull'orizzonte che va colorandosi di rosa
e di azzurro.
Il
vecchio annuisce. Non è affatto strano trovare la maggior
parte degli ospiti dell'ospizio già in piedi ancora prima
dell'alba (non dormono molto, i vecchi), ma è abbastanza
strano trovarne fuori in veranda (i reumatismi sono una brutta bestia
anche in estate). Così strano, anzi, che con il tempo il
vecchio ha preso a considerare quel posto come il suo rifugio segreto,
almeno nelle prime ore del mattino.
«Appena
arrivata?», domanda quindi, alla straniera usurpatrice. Non
ricorda di averla mai vista, ma è anche vero che la sua
memoria non va più come una scheggia da molti anni ormai, e
che, comunque, non si è mai preoccupato troppo di fare vita
sociale.
«Sì,
giusto ieri notte», conferma la vecchia.
«Nipoti
o figli?», chiede ancora lui.
«Come?»
«Chi
ti ha rinchiuso qui, i tuoi figli, o i tuoi nipoti?»
La
vecchia si gira a guardarlo con occhi leggermente spalancati, poi
scoppia a ridere. È una risata graffiata, quasi logora, come
le cose che si è usato troppo o troppo poco.
«Nessuno
mi ha rinchiusa qui. Ci
sono venuta di mia volontà», spiega poi, con
ancora un pizzico di divertimento nella voce.
Il
vecchio alza un sopracciglio bianco e cisposo, poi scuote la testa.
«Non
dirlo in giro. Gli altri prigionieri ti considererebbero una
spia», le dice, con un sorriso a stento trattenuto.
Lei
sgrana di nuovo gli occhi.
«Una
spia? E di chi?»
Il
vecchio si stringe nelle spalle, dopodiché allunga un
braccio verso la casa, indicando tutto e niente, tutti e nessuno.
«Degli
infermieri. Dei parenti che sostengono che questo posto è
molto meglio di casa loro. Del sistema»,
l'ultima parola la sussurra sotto voce, con tono di cospirazione.
La
vecchia ride ancora.
«Siamo
nel mezzo di una guerra, quindi?»
«Una
guerra di vecchi», conferma lui. «L'ultima grande
avventura. E la prendono sul serio, meglio che tu lo sappia fin da ora.
O sei con loro o ti rubano il bastone da passeggio.»
«Bene,
mi sono sempre piaciute molto le avventure», approva la
vecchia. «E poi ho bisogno del mio bastone, ho tutte le
intenzioni di visitare questo giardino. Il dépliant lo
descriveva come “assolutamente
delizioso”.»
«È
una delle poche cose su cui non mentiva», sospira il vecchio.
«Anche io amo molto i giardini», aggiunge poi, come
un ripensamento. «Adesso sono pieni di cose di plastica e
fiori artificiali, non li lasciano più spogli nemmeno in
inverno perché “creano
tristezza”», si interrompe per far schioccare le
labbra in un suono indignato, poi riprende: «Ai nostri tempi
erano più belli e più veri, e non è
nostalgia da vecchi, ma la sacrosanta verità!»
La
vecchia annuisce e finisce il suo tè alla cannella.
«Ricordo
un parco, vicino alla casa in cui vivevo quando ero piccola»,
racconta. «Era il mio posto speciale. La mia fortezza dei
giochi. Ci ho passato i pomeriggi migliori della mia vita, in quel
posto.»
Lui
non dice nulla, comprendendo bene il sentimento. Per un attimo gli
sovviene alla memoria l'immagine di un castello in cima ad un albero,
con stendardi di foglie e granate di ghiande colorate, poi il ricordo
sfuma via, perso tra milioni e milioni di altri.
«E
tu invece?», domanda poi la vecchia, nel tentativo di
scacciare quella fastidiosa nostalgia. «Figli o nipoti? Chi
ti ha rinchiuso qui?»
Il
vecchio grugnisce.
«Nipoti.
Figli di mio fratello, ingrati e cattivi quanto lui»,
borbotta. «Appena mi hanno congedato dalla polizia quasi non
mi hanno dato nemmeno il tempo di togliermi la divisa, prima di
convincermi a ritirarmi qui.»
«Eri
un poliziotto?»
«Da
tutta la vita. Il che non è abbastanza per garantirti una
pensione decente, comunque.»
La
vecchia annuisce di nuovo, e intanto ripensa ad un poliziotto che ha
conosciuto tanto tempo prima, in uno dei periodi più bui
della sua lunga, avventurosa vita. Non ricorda più il suo
volto, ma ricorda la bellezza del suo sorriso. È un ricordo
che non manca mai di scaldarle il cuore.
«Vuoi
sederti?», domanda il vecchio, indicandole una panca di legno
dall'aspetto consunto (i vecchi, si sa, si stancano facilmente). Ma lei
scuote la bella testa candida, e si volta a guardarlo con un sorriso
malizioso e un brillio negli occhi chiari.
«Perché,
invece, non ci avventuriamo nell'esplorazione del giardino?»,
propone.
Il
vecchio rimane perplesso per un attimo.
«A
dire il vero non ci sarebbe permesso andarci così presto. La
rugiada... erba bagnata... è facile cadere»,
borbotta.
«Ha
importanza?», domanda lei, sempre sorridendo. Questa volta
lui ricambia, ed entrambi provano una sensazione di
familiarità che nessuno dei due, però, riesce a
spiegarsi.
«Vado
a prendere i bastoni da passeggio», decide lui, dirigendosi
verso la porta. Sulla soglia però si ferma e si volta
indietro, ad osservare la figurina sottile e antica che lo fissa a sua
volta con palese simpatia.
«Io
sono David», si presenta.
«Mary
Margaret», replica lei. «O perlomeno questo
è il nome che uso adesso», aggiunge misteriosa.
David
piega la testa di lato, con un'espressione interrogativa e insieme
divertita sul volto.
«Hai
una bella storia alle spalle, non è vero?», non
è propriamente una domanda. «Me la
racconterai?»
Lei
si stringe nelle spalle e alza il volto ad osservare il cielo che
scivola dall'azzurro pallido in un turchese più prepotente.
Il cinguettio degli uccellini si fa più convinto:
è davvero nato un nuovo giorno.
«Forse»,
risponde poi. «Ma non oggi. È una giornata troppo
bella.»
«Quando
vuoi. Tanto io non vado da nessuna parte», ribatte David,
tornando a voltarsi verso la porta.
«E
nemmeno io», replica Mary Margaret un attimo dopo, sempre
sorridendo.
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