Lei, di arte non aveva mai capito proprio nulla.
“Kurahashi? Che stai facendo?”
Il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione, senza neanche alzare gli occhi dal foglio: non ne aveva di certo bisogno, per sapere che si trattava di lei: la sua voce insopportabilmente squillante lo seguiva ovunque, poco importava dove si nascondesse, era sempre in grado di trovarlo, per sua sfortuna.
“Secondo te…?”, rispose dopo un po’, agitando il carboncino che stringeva fra le dita.
Era talmente ovvio, che bisogno c’era di domandarglielo?
Quel giorno la luce del sole era più splendente del solito, e lui si era nascosto sulla terrazza della scuola, immerso nel chiarore mattutino. La lezione di giapponese antico era davvero troppo tediosa, e quell’azzurro troppo irresistibile. Si chiese per un istante, se potessero esistere due occhi così.
Ancora non sapeva.
“Ma è impossibile, non puoi disegnare tutto il tempo! E poi è una giornata stupenda, andiamo!”
Diceva sempre, sempre le stesse cose. E Kurahashi non capiva: se la infastidiva così tanto, se aveva sempre da ridire, perché tornava sempre a tormentarlo? Non aveva senso. Non capiva.
“Lasciami in pace, Mataki!”
“Insomma, sono venuta fin qua, fammelo vedere per lo meno!”
“No!”
“Eddai…”
“Ho detto di no.”
“Kurahaaashiii…”
La sua voce assumeva sempre quella sfumature sottile, pronunciando il suo nome come un’allegra cantilena mentre teneva il palmo aperto teso verso di lui, in un atteggiamento di pura e semplice pretesa, al quale lui non riusciva però mai a sottrarsi.
“Bah, se proprio ci tieni…”
Semplicemente, doveva arrendersi.
“…Ma non fare commenti, perlomen-
“Sempre ‘sti soggetti, così tetri! Mai una volta che fai qualcosa di più carino o allegro… Sei proprio strano, sai?”
Non gli aveva mai fatto un complimento.
Dopotutto, di arte non ci capiva proprio niente.
“Ma sentila! Non ne capisci niente e ti permetti di criticare!”
Lei fingeva di offendersi, mentre lui, quasi quasi s’offendeva sul serio.
“Come sei sgradevole! I miei sono commenti costruttivi, sei tu che te la prendi troppo.”
“Io non me la prendo affatto.”
“Si, vorresti!”
Era vero. Lei, dei suoi disegni non capiva proprio nulla.
“Invece di fare l’antipatico, accompagnami a casa!”
Eppure, lui finiva sempre per mostrarglieli comunque.
“Che scocciatura che sei.”
E andava bene così.
Era una mattina chiara e luminosa, il cielo splendeva di un azzurro terso e perfetto.
Il caldo estivo si stava dissolvendo nella brezza di quell’autunno ormai alle porte, eppure loro sembravano non sentirlo. Non ancora. Era ancora presto, dopotutto.
E intanto, sul pavimento del terrazzo i fogli strappati vorticavano in balia del vento, mentre dal disegno, Cosette sorrideva.
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