Everything will be okay in the end. If it’s not okay, it’s not the end di Molly182 (/viewuser.php?uid=86999)
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Premessa
Allora, inizio col
dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato
che
facevano piuttosto schifo, ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno
solo
schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo
utilizzato
come protagonista Tom DeLonge (Blink-182, Angels And Airwaves) e ho
pensato: "Perché
non farla su Ed, potrebbe uscire
bene!" e quindi eccomi qui!
Spero che vi possa
piacere.
Chap
1
Un
nuovo viaggio, un nuovo volo, una nuova città e una nuova
casa.
Queste erano
le mie uniche necessità.
Non sono mai
stata una persona che restava a lungo in un posto. Tendevo
a scappare quando era più comodo, prima che i problemi
prendessero il
sopravvento, prima che le delusioni mi cogliessero.
Tendevo sempre a fuggire dalle difficoltà ma
questa volta qualcosa sembrava essere cambiato.
La mia mente
aveva iniziato a pensare in un modo totalmente
diverso, sconosciuto a me stessa, e mi spaventava. Non ero in grado di
gestire
questo cambiamento, anche se da una parte ero curiosa di cosa sarebbe
potuto
capitare.
A volte
bisognava soltanto prendere coraggio e affrontare i rischi
che s’incontravano lungo il proprio percorso.
Io volevo
farlo!
Su quel volo
diretto per Londra mi ero promessa che sarei
diventata una persona migliore, non sarei scappata e avrei vissuto al
meglio la
mia vita, anche se questo avrebbe comportato a un radicale cambiamento.
Socializzare
non era facile, o almeno non con le persone
espansive, come quelle che sembrano avere l’argento vivo
addosso, che
continuano a parlare o che ti fanno mille domande. Sono sempre stata
una
ragazza un po’ riservata, non mi fidavo subito delle persone
e quando questo
accadeva, donavo solo un decino di me.
“Signori
e signore benvenuti a Londra - Gatwick dove sono le ore 10.20
del mattino. Il nostro atterraggio è avvenuto con dieci
minuti in anticipo, v’invitiamo
a ricordarlo nel caso in cui la prossima volta dovessimo essere in
ritardo. Le
condizioni atmosferiche esterne presentano un cielo stranamente sereno,
con temperatura
di 21°. In attesa di ulteriori informazioni vi preghiamo di
rimanere seduti con
le cinture di sicurezza allacciate finché i portelloni non
saranno aperti! Grazie
di aver scelto di volare con noi e non con altre compagnie”,
disse il
comandante di volo con ilarità.
Percorsi il
lungo corridoio che portava al ritiro bagagli e attesi
che il nastro trasportatore iniziasse a funzionare. Se
l’aereo era stato in
anticipo, le valigie di sicuro non lo erano, infatti, impiegarono una
vita
prima che arrivassero.
Se dopo
cinque minuti non le vedevo, tendevo a farmi i complessi
su come avrei fatto a sopravvivere senza i miei effetti personali e
iniziavo a
chiedermi in quale Stato del mondo fosse finita.
Per fortuna
poco dopo la vidi. Non poteva passare
inosservata. Si
trattava di una valigia
arancione, l’avrei vista anche a mille metri di distanza su
una strana offuscata.
Era un pugno nell’occhio, però me
l’aveva regalata mia madre prima che
iniziassi a viaggiare, voleva essere sicura che l’avrei
sempre ritrovata e, in
effetti, aveva ragione.
La valigia si
stava avvicinando, pian piano, lungo il nastro.
Ormai non dovevo temere che fosse stata smarrita in Alaska o in
Madagascar.
Qualcosa
però andò storto. Un ragazzo si era piazzato
davanti a me
e si era preso la mia valigia e se ne stava andando incurante.
“Ehi!”,
gli dissi afferrando per un braccio il ragazzo
incappucciato. “Hai la mia valigia”
“Scusa?”,
chiese voltandosi a vedere quale pazza lo avesse
inseguito, sembrava anche infastidito.
-Ottimo!-
Pensai. - Ci
mancava solo di litigare con uno
sconosciuto in un nuovo paese -“Hai la mia
valigia”, ripetei.
“Non
credo, questa è la mia!”, disse afferrando il
cartellino su
di essa. “Visto? C’è scritto il mio
nome!”
“Non
penso che tu sia una ragazza…”, gli feci notare
che effettivamente
c’era scritto il mio nome. “Vedi?
C’è scritto Madeline Stuart, ti chiami
così?
Non credo?”
“Quindi
non potrei avere un nome da donna?”
“No!”
“E
perché no? Stai insinuando qualcosa?”
“Aspetta?
Stai cercando di accusarmi di discriminazione? Sei tu
quello che ha preso la mia valigia!”.
“Ok,
forse non è così che deve andare”,
disse passandosi una mano
sulla testa facendo cadere il cappuccio della felpa. “Scusa,
sono un po’ distratto,
ho preso tre aerei in due giorni e sto dannatamente soffrendo il jet
lag,
pensavo di essere l’unico con una valigia
arancione”.
“Su
questo sono d’accordo!”
“Sono
Christopher”, disse allungando la mano.
“Non
faresti meglio a prendere il tuo bagaglio?”, gli feci notare
mentre una valigia simile alla mia stava viaggiando sul nastro
trasportatore.
“Aspetta!”
Il ragazzo
corse dietro il bagaglio prendendola in tempo prima che
facesse un secondo giro. Certo che non passava inosservata, sia per il
colore
sia per le dimensioni. Sembrava che il ragazzo fosse stato in giro per
parecchio
tempo.
“Stavamo
dicendo…”, rispose poggiando a terra una sacca
contenente
una chitarra. “Ecco, scusami ancora per
l’errore”
“Va
bene”, dissi sorridendo.
Volevo essere
una persona migliore e non mi sarei arrabbiata per
uno stupido errore. Di sicuro non lo aveva fatto apposta e
com’era possibile
vedere eravamo gli unici due, probabilmente sulla Terra, ad avere una
valigia
di quel colore. “Cose che capitano”
“Tu
però non sei inglese, vero?”, disse
all’improvviso.
“Il
mio accento è così pessimo?”
“Non
tanto”, scherzò. Era strano come mi ero ritrovata
a parlare con un ragazzo,
che neanche conoscevo, nel bel mezzo dell’aeroporto.
“Da dove vieni?”
“Italia”
“Non
è distante”
“Esatto”
“E
cosa ci fai qui? Sei da sola? Con amici?”
“Quante
domande”
“Scusa,
non lo faccio apposta…”
“Comunque
sono qui da sola”
“Quindi
sei qui in vacanza… da sola?”
“Diciamo
che spero di restare”
“Magari
un giorno mi racconterai”, mi rispose sorridendo.
“Se vuoi,
posso mostrarti la città”
“Non
ce n’è bisogno, grazie”
“Mi
piace fare da cicerone”
“Non
vorrei essere scortese ma sono appena arrivata, devo ancora trovare un
posto dove alloggiare e un lavoro e poi immagino che tu sia stanco,
quindi…”.
“L’ho
rifatto, scusa, di solito non parlo così tanto è
solo che
non posso farne a meno e forse devo anche smettere di chiedere scusa,
mi sento
un totale cretino”, continuò a dire passandosi
nervosamente una mano tra i
capelli.
“Forse
è meglio che vada”, dissi afferrando la maniglia
del mio
bagaglio. “Ci sono tante cose da fare e come dicono i The
Clash: «London Calling»”
“Citazione
interessante”
“È
una magnifica canzone”
“London calling at the top of the dial after all
this, won't you give me
a smile?”
“Dovremmo
continuare a citare la canzone?”, domandai ridendo.
“Come
risposta potrei chiederti «Should i
stare or should i go?»”
“In
questo caso penso che dovresti andare”, dissi portandomi
dietro all’orecchio una ciocca di capelli che mi era caduta
sul viso.
“Va
bene”, disse infine sollevando la sua chitarra e mettendosela
in spalla. “Senti, ti lascio il mio numero in caso che tu
abbia bisogno di
qualcosa o che ne so, magari hai voglia di fare due chiacchiere e visto
che sei
appena arrivata e non conosci nessuno, sai che c’è
qualcuno su cui contare”,
dichiarò scrivendo con un pennarello nero dei numeri sul suo
biglietto aereo.
“Potresti
essere un maniaco, come faccio a fidarmi di te?”
“Penso
che il fatto che tu stia ancora qui a parlare con me non te
lo faccia pensare sul serio, e poi sono troppo carino e adorabile per
essere un
maniaco”
“E
sei anche poco modesto”
“Ho
il mio fascino, lo ammetto!”
“Vedo
che non ti arrendi”
“Diciamo
che se sarei stato un vero maniaco saresti già stata
soddisfatta, aspetta… io sarei stato già
soddisfatto, ma solo se fossi un
maniaco”, iniziò a farfugliare. “Non
dico che non sono attratto da te, cioè sei
una bella ragazza, ma non penso che tu ti possa interessare a me
e… beh forse è
meglio che sto zitto”, ribadì portarsi la felpa
sopra la bocca.
“Come
maniaco saresti pessimo”, dissi ridendo.
“Spero
di rivederti”
“Lascerò
decidere al destino”
“Ci
si vede Maddy”, mi salutò mentre si allontanava
con la sua
valigia arancione.
E fu
così che rimasi da sola. Non mi dispiaceva per niente,
questo
perché quel ragazzo aveva suscitato in me una strana
curiosità, ma non lo avrei
chiamato, non se ne avessi avuto davvero bisogno.
Ancora non
riuscivo a mettere da parte il mio orgoglio, anche se speravo
che questo pian piano svanisse magicamente nel nulla in un enorme puff
come
quello che si vedono sempre nei cartoni.
La cosa buffa
era che appena atterrata a Londra ero partita col
presupposto di fare tante cose eppure ora mi sentivo un po’
disorientata. Non
sapevo da dove partire, cosa fare e dove
andare.
Mi lasciai
guidare dalle insegne e mi trovai alla stazione che mi
avrebbe portato a Victoria e da lì sarebbe iniziata la mia
nuova avventura.
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