Era stata la prima cosa che avevano insegnato loro nel
corso di sopravvivenza all'accademia. Quando sei in
difficoltà, quando non sai più cosa fare, quando sei circondato e
potenzialmente catturabile…
… allora renditi utile per un'ultima volta.
Nonostante l'istruttore avesse cercato, disperato, di
trovare un termine adatto alla situazione, tutti gliel'avevano
letto in faccia.
Quando sei solo.
Quando sei circondato.
Quando sei potenzialmente catturabile.
Allora renditi utile per un'ultima
volta.
- Credo si chiami suicidio. -
Ufficio
Dolori
La cosa facile dell'annegare è tornare a galla. Quella
difficile, beh,continuare ad annegare.
È come se il cervello cominciasse a dirigere il tuo corpo
contro la tua stessa volontà. Come se i tuoi pensieri
non valessero niente, e gli istinti invece fossero
tutto.
La cosa è ridicola. Ti dicono sempre che un ninja è tale solo se ha istinto,
ma per me, sono tutte cazzate. L'istinto non mi è mai servito a niente.
Non è servito quando Ai è morta. O quando io sono caduto nell'imboscata. Mi dicevano che avevo istinto.
Aveva deciso di prendersi una vacanza, forse, quando
avevo bisogno di lui?
Cazzate, tutte cazzate.
Da quel giorno - quando Ai è caduta davanti ai miei occhi
e piangeva e soffocava e moriva e diventava polvere, tutto insieme - io
l'istinto ho iniziato ad odiarlo. Perché non lo puoi
controllare. Perché pensi che ci sia, e poi non
c'è. Perché è qualcosa d'irrazionale.
Da quel giorno - Ai era annegata
nel suo sangue, Ai era soffocata tra i singhiozzi, Ai era morta - ho iniziato a soffocarlo. L'ho soppresso sotto centinaia di
rigidi schemi, migliaia di regole di combattimento, milioni di pensieri razionali.
… fino a che mi sono ritrovato
qui, a dover morire per mia mano in un fiume gelido. Ho pensato che sarebbe stato bello averla
vinta su quel dannato istinto un'ultima, definitiva volta. Perché
lo dicevano sempre, in accademia. Quando anneghi lotti
contro la tua volontà di vivere. E ho pensato
che sarebbe stato bello. Uccidermi
lentamente. Sarebbe stato bello, sì.
Poi ho scoperto che non era servito a niente - centinaia di rigidi schemi, migliaia di
regole di combattimento, milioni di pensieri razionali.
Tutto a puttane perché qualcosa dentro di te decide che
non puoi crepare così.
Ho perso l'ultima battaglia della mia vita.
Il nemico farà di me una cavia.
Ho perso l'ultima battaglia.
Il nemico mi farà parlare, perché
qualcosa dentro di me deciderà che io non voglio morire.
…
Ho perso.
**
- Ehi, coso!, respira! -
Sono vivo. Certo, ho perso. C'è qualcuno che mi scuote. Che mi colpisce al petto. - Ma porca… ehi, cazzo!, coso, fai funzionare quei
polmoni! -
Il dolore aumenta con la consapevolezza del proprio
respiro che cerca disperatamente di risalire all'aria aperta - anche lui - senza riuscirci. Bene. Muoio.
Adesso. Ora.
- Ma. Perché. Non. Respiri? -
Poi perdo di nuovo. Il mio corpo rigetta la mia volontà in
un rigurgito di bile, vomito e dio sa solo cos'altro,
lasciandomi inebetito ed inconsapevole. E con un
pessimo sapore in bocca.
- Ah, ma allora sei vivo. - detesto puntualizzare l'ovvio,
quindi rimango immerso nel mio umiliante silenzio, circondato da un'aspettativa - ancora una volta - tradita. Non c'è vittoria nell'ammettere la propria
esistenza, non c'è piacere nel
pensare a quante cose posso ancora provare. Gioia. Amore. Dolore. Al momento
sono così frustrato da non poter pensare ad altro che alla mia sconfitta. E di fatto, c'è già chi sottolinea cose banali per me.
- Ehi coso, pensi di poter aprire gli occhi e sillabare un
"grazie", magari con tono sentito? Non ti sputerei di certo in un
occhio per questo. -
Avrei tanto voglia di ficcare un
dito nel suo, di occhio. Poi uncinare la falange, girare ed estrarre. E saprei di aver perso ancora
di più.
Perché questo è quello che farei
se volessi ascoltare il mio istinto. E io non lo faccio mai. Quindi apro gli occhi e sorrido. - Grazie. - è il mio
migliore tono sentito. L'unico
tono sentito che credo di possedere, per lo meno. - Non volevo
spaventarti. -
- Beh. - lei nicchia gentilmente. - Non
è che proprio tu mi abbia
spaventato. Semplicemente, se stai male tu, sto male
anche io. -
Non sembra difficile crederlo. Gli occhi sono scuri e
liquidi, pregnanti. Viso bianco, terreo per lo spavento. Bocca corrucciata.
Capelli da bimba. Lo sembra davvero, una bimba. Storco il naso. Detesto i
sentimentalismi da talmente tanto tempo che, beh, potrei
anche pensare di aver dimenticato il motivo di quell'odio. Ma
lo ricordo benissimo. Purtroppo.
L'insieme di Ai era così diverso, cazzo, che mi salta alla mente
per contrapposizione. Occhi blu, maliziosi. Capelli biondi. Corpo statuario. Un
concentrato di erotismo inesploso. L'amavo, certo.
Come si poteva non amarla? Era una necessità. Era un istinto.
E poi è morta. E
io ho rinunciato a tutto. Grugnisco qualcosa.
- Come scusa? -
- … non è che tu debba soffrire
per me. - lo dico controvoglia.
Lei sguaina un ghigno terribile. Che non
avrei pensato possibile su di lei. Pareva così… così. Sono stato tradito
dalle mie impressioni. Di nuovo. Dio, essere vivi è uno schifo totale. - L'idea che io sia
responsabile per la tua salute non ti passa per il cervello, eh? -
Oh.
- Uhm. Carina. Dove siamo? -
- Qui? - lei inarca un sopracciglio, l'ombra di quel
sorriso malvagio ancora sulla bocca. - Questo è l'Ufficio
Dolori, non vedi? C'è scritto anche lì. -
Ed effettivamente una ridente targhetta in
legno mi ricorda che questo è
"L'Ufficio Dolori e
Preoccupazioni Estremi, 4° piano, Sezione Ovest. Reparto di Incredulità
Mista a Cinismo"
Ridente targhetta un cazzo.
Cos'è, uno scherzo di cattivo gusto?
Ancora frastornato e, diomio, incredulo, chiedo: - Cioè?
-
La stronza malefica ride di
nuovo, spalancando le braccia in un gesto accogliente che sembra indirizzarmi
verso il suo piccolo corpo. - Questo è un posto tra il niente e il nulla, tra
il tutto e l'essere. Un posto dove puoi essere triste e
allegro ma non allegro e triste. In poche parole… -
- L'Ufficio Dolori. - l'interrompo io.
- Già. -
- Cos'è, una fottuta camera di
passaggio prima dell'Inferno? Perché se è così, non è
divertente proprio per nulla. Anzi, fa proprio cagare. Non sto ridendo, io. -
- Ti pare che io mi stia divertendo? -
- Cazzo, sì. Da quando mi hai
visto non hai fatto altro che ridere. - davvero. Mi sento
ancora più frustrato di prima, non credevo fosse possibile. Pensavo ci
fosse un limite oltre cui spingersi sarebbe stato
impossibile per tutti, persino per me. Sono così diviso tra la voglia di ridere
e quella di piangere. Perché tutto questo?
Io vorrei solo morire. Adesso. Ora.
Dimostrare che ho il controllo di
me stesso. Dimostrare
che nonostante tutto, io sono qualcosa.
- Deridere. - dice lei.
- Come? -
- Ti stavo deridendo. Non per altro, ma il significato è
proprio diverso. -
Oh.
Ancora una volta vorrei ucciderla. Stringere le mie mani
su quel collo delicato e pallido. Lasciarvi segni indelebili. Ma non lo faccio. Assurdamente, mi ricorda Ai. Perché è così diversa da lei. E' come in una circonferenza.
I due punti più lontani sono anche quelli più vicini.
Cristo, Ai. Ai.
È ridicolo come mi trattenga dal
cedere ad un istinto proprio grazie ad un'impressione. Così patetico. Mi sento
patetico. Lo sono. Lo sono.
Ai. Ai. Ai. Ancora, Ai.
C'è profumo di morte ovunque, qui.
- Questo posto è vicino a Konoha. Sono qui che vengono
mandati quelli che sono sopravvissuti al suicidio. Una squadra ti ha salvato e
gli altri ti hanno mandato qui. -
- Per fare che? -
- Per vedere se vuoi ancora vivere. -
No.
Lei lo legge nei miei occhi. Io
nei suoi. Abbiamo capito entrambi. Infine, lei annuisce. Così,
come se fosse una cosa di tutti i giorni. Ma
forse per lei lo è davvero.
- Tu sei una ninja? -
- Certo che sì. -
- Certo che sì? -
Sorriso. Sorriso amaro. Ubriaco di quel posto. Assuefatto.
Lei sapeva cosa le avrei chiesto. Evidentemente glielo
chiedono tutti. - Nessun'altra persona potrebbe comprendere
una scelta simile. Se vorrai morire, non te lo
impedirò. -
- Sei strana. Hai un nome? -
- Sì. Ma non credo che te lo
dirò. -
No, hai ragione. Fai sì che di te non rimanga traccia
sulla mia pelle, lascia che tutto scivoli verso il basso. Non voglio
ricordarti. È già difficile ricordare Ai. E il dolore
impresso a fuoco dentro di me, di quando si cerca di dimenticare l'indimenticabile.
- Certo. -
Lei si allontana a piccoli balzelli, i capelli che le
ondeggiano sulla schiena. Sparisce come tutto dovrebbe
sparire, con grazia ed in silenzio.
Apprezzo questa sua capacità. Poi piano mi lascio assalire
dai pensieri di morte che sono tutti intorno a me.
E ritorno alla mia ultima missione.
Mi rendo utile per un'ultima
volta.
Non per gli altri.
Solo. Per. Me.
Vi starete chiedendo: e dunque?
Dunque niente X°D
Questa fanfiction è totalmente
inutile e inconclusiva, lo so. Però
mi piaceva l'idea, e quindi l'ho scritta.
Per Rekishi, adorabile pargola. Ti voglio bene(L)
Ancora auguri di Buon Compleanno. Grazie
per tutto quello che hai fatto. Per l'ironia, l'affetto e la
comprensione.
RoSs