Capitolo Uno – Piovuta dal cielo.
Nolwen
si sentì scivolare e infine iniziò a cadere come
se stesse scendendo lungo un tunnel senza fine e buio.
Stava cadendo nel vuoto ad una velocità impressionante.
Cercò di
concentrarsi e invocare l’aiuto delle sue ali nere, ma
sembrava
quasi che queste non volessero collaborare. In realtà la
discesa
così veloce le impediva di concentrarsi a dovere.
Le sua ali erano
particolari. Spuntavano solo quando era abbastanza concentrata, erano
collegate al sistema nervoso centrale e non era mai stato facile averne
la padronanza.
Infatti Nolwen era stata addestrata sin da piccola a metodi di
concentrazione e meditazione antichi, che l’avevano aiutata
ad
avere il controllo sul suo corpo e sulle sue magnifiche ali oscure.
Ma queste non crebbero dalla
sua schiena, come succedeva di solito. Troppa era la tensione di Nolwen
perché si potesse concentrare.
Mentre cadeva, non riusciva a pensare a niente, solo a quando sarebbe
finito quel tunnel e dove avrebbe portato.
I suoi lunghi capelli neri
volavano tutti verso l’alto, spinti dalla forza del vento che
soffiava a milioni di chilometri a quella velocità.
Ogni tanto girava lo sguardo
verso l’alto, per cercare di capire quanta distanza avesse
potuto
percorrere. Ma era tutto inutile. Ora non si vedeva più
niente
nemmeno in alto. Era tutto buio.
Talmente oscuro che non sembrava di avere gli occhi aperti.
Ad un certo punto un piccolo
spiraglio di luce s’incominciò a intravedere dal
basso.
Finalmente Nolwen poteva vedere la punta dei suoi piedi nudi.
Più cadeva nel vuoto, più si avvicinava a quella
luce bianca, quasi accecante.
Era quasi arrivata vicino
alla fine del tunnel quando iniziò a rendersi conto di dove
stava per ‘precipitare’.
Attraversò la luce
bianca, al contatto tra il suo corpo e la luce, ci fu un bagliore
accecante, che dalla Terra di Mezzo gli uomini videro come fosse un
fulmine a ciel sereno.
I primi che videro questo lampo accecante, furono gli uomini che
scappavano da Osgiliath.
Nolwen cadde dal cielo, come fosse appena uscita da una nuvola e
precipitò con forza sul terreno.
Strano a dirsi, ma non si
fece niente. Si rialzò appena, solo un po’
intontita. Per
il resto era tutta intera, seppure indossasse solo un mezzo vestito
quasi tutto stracciato, nero e sporco. Le gambe e piedi nudi, pieni di
graffi, come le braccia.
E sul suo viso una cicatrice sotto il sopracciglio destro e un labbro
che sanguinava.
Era poco pensando alla caduta che aveva fatto.
Da dove provenisse questa
creatura ancora non si sapeva. Solo qualcuno molto saggio, che avesse
conoscenze sul mondo e sulla sua creazione, avrebbe potuto conoscere la
sua provenienza. Qualcuno come uno stregone.
Ma di questo si parlerà più in la.
Ora Nolwen si trovava
proprio sulla traiettoria su cui si dirigevano, galoppando a cavallo
alla velocità del vento, gli uomini della guardia di Minas
Tirith.
Diretti a tutta velocità, verso Minas Tirith, inseguiti da
orchi e Nazgul.
La cittadella era stata
invasa, ed erano rimasti in pochi a difenderla, gli ultimi
sopravvissuti, il resto di loro erano stati spazzati via come
polvere.
Tra loro c’era il capitano Faramir, rimasto per ultimo
infondo al gruppo di guardie, per difendere i suoi uomini.
La distanza da Osgiliath a
Minas Tirith non era molta. Ma in quel momento sembrava una distanza
enorme e bastava a far si che i Nazgul terminassero lo sterminio delle
guardie di Gondor.
A metà strada,
già un quarto degli uomini era stato abbattuto. Alle spalle
dei
cavalieri, oltre ad esserci i Nazgul, avanzavano minacciose grosse
nuvole nere.
Proprio in quel momento, le
grandi porte di Minas Tirith si aprirono. Un uomo a cavallo
uscì
sfrecciando dalle grandi mura, un cavaliere bianco. Si trattava di
Gandalf. Correva più veloce del vento, in aiuto a quegli
uomini
in bilico tra la vita e la morte.
Improvvisamente, il cavallo
che cavalcava Faramir, cadde a terra, trafitto alla zampa da una
freccia degli orchi. Molti di loro seguivano ancora i superstiti,
correndo all’impazzata.
Faramir ormai atterra e un
po’ stordito per la caduta, era bloccato sotto il peso del
cavallo. Tentò di alzarsi, ma la sua gamba sinistra era
intrappolata. Cercò di recuperare la sua spada, ma
inutilmente,
era incastrata anch’essa.
Verso di lui, avanzava un gruppo di orchi, pronti ad ucciderlo.
Nolwen si era appena alzata
in piedi, provando cosa significasse usare le gambe, cosa che non aveva
mai fatto prima di quel momento, non molto almeno. Solitamente era
aiutata dalle sua ali, ed era come se aleggiasse nell’aria
invece
di camminare.
E solo in quel momento si accorse della mandria di cavalli impazzita
che la puntava.
Ma la sua vista superiore a
qualsiasi essere umano, elfo o nano, riuscì a percepire un
altro
pericolo poco più lontano: il capitano Faramir stava per
essere
ucciso da un esercito di orchi.
Senza pensarci due volte
Nolwen iniziò a correre – anche se a fatica, con
le gambe
tremanti – verso Faramir, evitando i cavalli che le
arrivavano
incontro.
Passo dopo passo prendeva
sempre più velocità, finche ad un tratto i suoi
piedi si
staccarono dal suolo: le sue ali nere, finalmente arrivate in suo
soccorso.
Planò nel cielo alla velocità della luce,
attraversando le nuvole, dividendole a metà.
In un attimo fu davanti a Faramir.
Restò ferma davanti a lui, osservandolo dalla testa ai
piedi, cercando di capire la situazione.
Sembrava una creatura che
non capiva cosa stesse succedendo e cercasse spiegazioni. Poi
iniziò a giragli intorno lentamente.
Faramir dal canto suo, la guardò sgomento. Le sua ali nere
erano quelle che lo sconvolgevano di più.
Chi era quella nuova strana creatura? Un’altra diavoleria di
Sauron?
Nel frattempo le ali di Nolwen scomparvero lentamente, tornando a far
parte della sua schiena e del suo corpo.
Improvvisamente la strana
creatura caduta dal cielo iniziò a parlare. Ma non era il
linguaggio corrente. Faramir non capiva niente di quello che gli stava
dicendo.
Sembravano domande.
Il capitano la fissò
muto. Non si fidava di lei, non sapeva da che parte stava.
Probabilmente era lì per finire il lavoro degli orchi e
ucciderlo.
Nolwen si accorse che non
rispondeva ancora e si zittì anche lei. Lentamente
iniziò
a comprendere che l’uomo non capiva quello che gli stava
dicendo.
Il suo era il linguaggio oscuro, conosciuto solo dalle creature di
Sauron e dal demone stesso.
E lei non amava parlare la lingua corrente. Non conosceva tutti i
termini e i significati.
Quindi dovette adottare il sistema più primitivo che
conoscesse: i gesti.
Si avvicinò piano al
capitano, il quale intanto si era spostato, come se fosse pronto a
difendersi dopo essere stato attaccato.
Nolwen iniziò a fargli cenno di stare tranquillo, ma non era
così semplice come aveva immaginato.
Stava per avvicinarsi di più quando sentì forti
urla provenire alle sue spalle.
La giovane creatura si voltò di scatto. Le ali nere
riapparvero all’istante.
Un’orda di orchi si avvicinava velocemente a lei e a Faramir,
pronti a sterminarli.
Nolwen rimase lì immobile, in attesa del loro arrivo.
Si pose tra il capitano e il gruppo di orchi.
In quel momento Faramir
iniziò a chiedersi da che parte potesse stare quella
ragazza. Il
dubbio di aver sbagliato a non fidarsi quando sembrava che volesse
aiutarlo, lo avvolse del tutto, facendolo sentire uno stupido.
<< Scappa!!!
>>
disse Faramir << Non
puoi farcela contro di loro, ti
uccideranno…scappa! >>
ripetè alzando la voce.
Nolwen si voltò a guardarlo. I loro sguardi si incrociarono.
Ancora una volta il capitano Faramir rimase sgomento, senza parole.
Gli occhi di Nolwen non
avevano un colore normale, come quello umano. Nemmeno gli elfi avevano
degli occhi così, sebbene Faramir non ne avesse visti poi
così tanti.
Gli occhi della ragazza
erano grigi, molto chiari. Le iridi non esistevano, al loro posto si
rifletteva la luce bianca del cielo.
Ci si perdeva ad osservarli.
Nolwen si avvicinò
velocemente a Faramir, senza preoccuparsi che lui potesse spaventarsi,
afferrò una spada che era poco più in la del
capitano e
tornò in direzione degli orchi.
Faramir era ancora lì
fermo, senza riuscire a parlare, senza riuscire a spiegarsi quello che
stava succedendo, senza capire chi fosse quella strana creatura molto
simile ad una ragazza umana.
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