Specchio,
servo delle mie brame
1942
Lo Specchio delle Brame troneggia dinanzi a me, scintillante di mille
illusioni.
Ancora lontano dal suo incantesimo, lo vedo per quel che è: un altare
su cui si
immolano soltanto gli sciocchi, macchiato di sangue, infestato di
spettri. Una
landa in cui si smarriscono i deboli.
La cornice dorata intarsiata, la superficie scura eppure lucente,
l’avvertimento
vergato in una lingua oramai
perduta.
Perché l’essere umano non potrà mai redimersi. Sbaglierà
sempre, di fronte
ai propri desideri.
Mi avvicino lentamente. Irresistibilmente attratto, acutamente
consapevole di
star sbagliando.
Scorgo la mia figura longilinea, i capelli lunghi e ramati striati
d’argento,
il naso adunco. Ho un’espressione febbrile che mi disgusta subito.
Eppure, mio malgrado, le iridi cerulee scorrono sulla superficie
vetrosa, che
pare quasi liquida alla luce della luna, cercando con infallibile
precisione
quello che sanno di poter trovare.
Un palpito verde acceso, l’eco di una risata lontana.
Il cuore batte sempre più forte contro le costole, una patina di sudore
mi
impiastra le mani. Sono così teso da sobbalzare ad ogni minimo rumore.
“Specchio, servo delle mie brame...”.
Il sussurro si perde nel mio stesso respiro. Il ventre torturato dai
crampi,
attendo con ansia spasmodica la mia illusione.
Forse pensavo di essere immune alle delizie di quest’oggetto, grazie
alla mia
stimata intelligenza o alla mia saggezza. Non mi sono mai considerato
né uno
sciocco né un debole, eppure sono la vittima ideale.
Perché io ho un animo oscuro, peccati sulla
coscienza, errori mortali
che, per un buffo gioco della sorte, mi hanno portato al trionfo, e non
alla
tomba con la maggior parte della mia famiglia.
Albus Silente non è incorrotto.
Sono sempre stato così facile da adescare, da circuire. Persino adesso,
mentre
offro implorante tutti i miei sbagli, non posso fare a meno di fermarmi.
Non hai carpito nessun segreto stanotte, Specchio.
Nel vetro, il mio splendido Gellert si alza in piedi.
Giovane, irridente, plateale. Riccioli d’oro puro sul volto fragile, su
quel
sorriso sfacciato.
Acuminati occhi verdi, crudeli come l’amore che mi ha sempre negato.
« Mio Albus ».
Nessuna dolcezza, soltanto trionfo.
L’orrore più grande, mio Gellert, è che non ti ho mai voluto
diverso da quello
che sei.
Persino adesso, mentre distruggi il tuo paese, mentre stronchi vite su
vite,
mentre tutto il Mondo Magico mi implora di fermarti, io... Io ti trovo magnetico,
nonostante il sangue innocente che hai preteso come mantello.
Non dovrei nemmeno pensarlo, ma io ti ammiro perché hai il
coraggio d’essere
te stesso.
Sei stato incoronato dalla gloria più nera, Gellert, l’hai scelta come
tua
sposa... Quella gloria da cui io sono fuggito, in frantumi, sul
cadavere di mia
sorella.
« Sempre così sentimentale, Albus... ».
Il suo tono indolente stride nella mia testa, le sue iridi di smeraldo
mi
scrutano senza alcuna pietà.
Lo guardo, e mi consumo.
È disgustoso che dopo tutti questi anni, dopo quello che mi ha fatto,
dopo la
follia verso la quale mi ha spinto in quei mesi terribili, io non possa
fare a
meno di lui.
E non di una persona creata dalla mia fantasia, non da qualcuno di
migliore che
ho coltivato e inventato di sana pianta, solo per non impazzire di
dolore.
No, io ho potuto scegliere, ed ho scelto di nuovo la bestia.
Ma lo Specchio non sbaglia mai, e forse non sono poi tanto
migliore di te,
Gellert.
« Mi annoia quando ti compiangi, Albus. Dovresti saperlo... » inclina
il capo
di lato, il movimento dei riccioli mi incanta, so che sta per dire
qualcosa di
terribile eppure non faccio nulla per impedirglielo, « Altrimenti non
ti avrei
abbandonato sul cadavere della piccola storpia ».
Sfoggia un ghigno aguzzo, lucente come un coltello.
Vorrei fermarlo, ma non ne ho il potere. Non l’ho mai avuto.
E quando ci affronteremo a duello, Gellert, sarai tu che
vincerai.
All’improvviso, alle mie spalle si leva una voce piena. Impeccabilmente
cortese.
“Splendido artefatto, professor Silente.”
Per nulla sorpreso, mi volto lentamente verso Tom Riddle, l’allievo più
stupefacente
che mi sia mai capitato di istruire. Sembra versato in ogni arte
magica:
brillante, eccezionalmente curioso, talentuoso in tutto ciò in cui si
cimenta.
Per non parlare del volto meraviglioso, dell’intrigante falsa modestia,
del
fascino morboso.
Una tentazione che non mi si presenta da molti anni...
“Dovresti essere a letto, Tom” osservo tranquillamente.
Il Prefetto mi rimanda un’occhiata imperturbabile, senza mostrare
nessuna
traccia di emozione al mio velato rimprovero. China appena il capo in
un gesto
di moderato pentimento, eppure non si muove.
Continua a guardare affascinato lo specchio, le iridi blu oltremare
sgranate e
quasi... quasi voraci.
Corrugo appena la fronte, infastidito dai miei stessi pensieri. Ma con
la coda
dell’occhio scorgo Gellert che sorride canzonatorio, lascivamente
appoggiato
alla cornice, come se potesse saltarne fuori con uno dei suoi soliti
balzi
felini.
Mi sto facendo condizionare da lui, senza dubbio. Il ragazzo ha alcuni
comportamenti preoccupanti e un’indole votata alla segretezza, alla
cospirazione e alla smania di controllo, e certo non guasta che io lo
tenga d’occhio,
ma a volte credo di esagerare. Sono sempre sospettoso più del dovuto,
non lo
idolatro come gli altri insegnanti, e lui lo sa, è perfettamente
consapevole
che le lusinghe con me non funzionano.
« Ma davvero non hanno effetto su di te, mio Albus, le lusinghe?
».
“Professore, la prego... Mi può spiegare cos’è?”.
Tom mi distoglie da quella voce setosa, che mi sbrana dal mio passato,
dalla
superficie lucida in cui s’infrange il suo riflesso.
Cerco di vedere in lui quello che non ho... che non ho visto
in te, Gellert.
Non in tempo.
Riddle mi si avvicina, un sorriso scintillante in viso, i capelli scuri
e
morbidi che gli vezzeggiano le tempie. Accarezza la cornice con dita
sottili,
un anello antico ne spezza il seducente pallore.
Osserva senza poterlo vedere Grindelwald, i grandi occhi blu, spietati
e freddi
come un mare in tempesta, che scivolano con grazia in quelli di
smeraldo del
mio antico tormento.
Senza sapere a chi è tanto vicino.
« Sedici anni, bellissimo, talentuoso, sempre pronto a distinguersi
dalla
massa... Non è proprio il tuo tipo, Albus? ».
Gellert lo studia con sufficienza, ondeggiando sulle gambe lunghe.
Cerco di non
dargli retta, di non badare alla precisione con cui la mia disperazione
ha
ricreato ogni aspetto di lui, anche il più spregevole.
Appoggia il volto bianco su quelle mani che tanti anni fa mi hanno
strappato e
portato via ogni traccia di ragionevolezza. Mi guarda, ed è pieno di
veleno.
« Da corrompere, da sbranare ».
Una fitta di panico aleggia nella mia anima, il mio prolungato silenzio
ha
attirato anche l’attenzione di Tom, che mi scruta a caccia di qualche
debolezza
con insopportabile cortesia.
Gellert prosegue, inarrestabile.
« E così ambizioso... credi che non si getterebbe nel tuo letto, se tu
soltanto
glielo chiedessi? Rispondi, Albus, non essere timido ».
Le sue iridi velate mi sorridono. Si sta divertendo a farmi male, a
farmi a
pezzi.
Cosa vuoi vedere, Gellert? Cosa? Io che mi umilio davanti a
questo incanto
brunito? Ci vuoi guardare mentre ci rotoliamo per terra?
Storce la bocca rossa con disappunto. Brucia di gelosia, di possesso.
Mi rivolgo di nuovo al giovane Riddle, educatamente teso a cogliere
ogni mia
espressione, ogni sfumatura.
“È lo Specchio delle Brame, Tom. Vuoi provare le sue... meraviglie?”.
« Oh, sono sicuro che puoi offrirgli di meglio, Albus ».
Mi scosto dallo specchio e Gellert, finalmente, tace. Eppure già la sua
mancanza mi rode l’animo come una malattia incurabile, un cancro che si
sazierà
sempre della mia carne, che mi divorerà dall’interno senza mai, mai,
fermarsi.
Il Serpeverde, comunque, si studia per alcuni minuti nella superficie
liscia.
Mantiene un’aria indecifrabile, non fa trasparire nulla. Il suo viso
altero
resta impassibile, gli zigomi alti, le labbra schiuse, la fronte
d’avorio
appena aggrottata.
E quando si scosta, sazio, mi sembra che i suoi occhi siano logorati
dalle
fiamme, increspati di rosso, zuppi di sangue... Ma in fondo dev’essere
stato soltanto
un riverbero, uno scintillio fasullo.
Mi riporto all’istante a portata di incanto, come se la malia potesse
lenire i
turbamenti di cui sono preda, eppure dovrei saperlo che Grindelwald non
è mai
stato un granché come consolatore.
« Non puoi sopportare di vedere il male anche in lui,
non è così? ».
“Oggetto pericoloso e interessante” lo interrompe Tom, a cui non è
certo
sfuggito il mio movimento né il mio sguardo inquieto in direzione dello
specchio.
Gellert è ancora lì, perfettamente visibile e altero, come un gatto a
pelo
ritto.
Mi osserva diffidente, con quegli occhi enormi che mi avevano tanto
affascinato
nella calura di quell’estate da incubo. Quegli occhi che avevo sempre
voluto
credere innocenti.
Eppure oggi mi chiedo se abbiano mai conosciuto qualcosa di
diverso dalla
solitudine e dal dolore.
“Professore...”
Tom ha una strana espressione: è come se cercasse di contenersi, ma non
riuscisse a prevalere sulla propria bestiale curiosità.
“Lei cosa vede quando si guarda?”.
È proprio da lui fare una domanda del genere senza perdere un briciolo
di
contegno. Non gliene importa niente di essere indiscreto né tantomeno
maleducato. Sa di non poter osare, non è inconsapevole, e sa benissimo
che
tributo sta pretendendo... Eppure me lo chiede lo stesso, con
quell’aria
diligente, appena ribelle.
« La sua sfacciataggine ti piace perché ti ricorda me ».
Gellert mi richiama di nuovo a sé, più sprezzante e feroce che mai.
Ed eccola lì, la maledetta belva che si è sempre celata dietro il suo
sorriso
scintillante, dietro quella coltre di riccioli luminosi. Eccolo,
finalmente, il
suo controllo che va a brandelli per un niente, ecco la furia che ha
ucciso mia
sorella e il mio amore per lui.
Eccoti, Gellert. Di nuovo a me, mio tesoro.
« Ti piaceva, il mio essere tutto istinto. Ti piaceva quando diventavo
l’animale
che non avevi il coraggio d’essere tu stesso! ».
Mi aggredisce, Grindelwald, e non mente nemmeno una volta. Non ne ha
bisogno,
perché è soltanto l’immagine di uno specchio, si potrebbe dire, ma non
è così.
Anche se fosse davvero davanti a me, in carne ed ossa, non riuscirei a
torcergli nemmeno un capello, lo sa lui e lo so io.
« Ti piaceva la mia follia, come ti piace la violenza nel cuore di
questo ragazzino
» sibila con furia, incapace di fermarsi, una luce folle nelle iridi
altrimenti
spente.
Scatta contro la superficie invisibile che divide la realtà dal regno
delle
brame, le sue unghie vi si piantano come se ci fosse soltanto una stola
di seta
a separarci.
Ha degli occhi talmente magnetici e brutali che mi è impossibile
distogliere lo
sguardo.
« Ti piaceva il mio buio » la sua voce si rompe, mi
fissa con lascivia,
con inclemente ironia, « Ti piaceva il fatto che ti ero pari, il potere
che
trasudava dalla mia pelle... Ti piaceva il mio marciume, ed è il motivo
per cui
lui ti affascina tanto ».
Rivolge un’occhiata glaciale a Riddle, lo valuta come potrebbe farlo un
esteta.
« Quest’orfano solitario, con un bel visino e le ciglia lunghe... Credi
che lo
salverai? Non sei riuscito a salvare neanche te stesso ».
Ti prego, smettila.
« Non negare, Albus! Lui ti piace, lo vorresti, lo brami
».
Vorrei distogliere gli occhi dallo spettacolo indecente del suo
trionfo, della
sua esultanza, ma non posso. Non posso perché vorrebbe dire guardare il
sedicenne impudico che ho davanti, e ammettere che Grindelwald ha
ragione, su
di me, come sempre.
Se i miei colleghi sapessero, che scandalo sarebbe! Un grande mago come
me
farsi corrompere dalle gambe snelle di un ragazzino...
Eppure non è esatto. Non sono un animale e non vedo affatto Tom come un
potenziale amante, la differenza d’età è troppo elevata perché io possa
gingillarmi con simili fantasie. Tuttavia c’è qualcosa in lui che mi
attrae
fatalmente, un’alchimia inspiegabile, l’eco di un coinvolgimento per
cui in
passato ho quasi perso il senno.
Eppure a volte provo orrore quando ne scruto i lineamenti
squisiti, perché
inconsapevolmente mi sto chiedendo che cosa diventerà questo ragazzino
dagli
occhi chiari.
Si farà insudiciare dal male? È l’inchiostro nella mia anima, che si
ricongiunge
ai nastri neri che colano dalla fiala spaccata, che me lo fa bramare?
Sarà una bestia come te, Gellert?
« Prenditi ciò che desideri, Albus ».
La sua voce nella mia testa torna a fare le fusa, a lusingarmi, a
tentarmi come
nessuno è mai riuscito a fare altrettanto bene in tutta la mia
esistenza.
Ti è sempre piaciuto giocare con me.
“Ci vedo il mio passato, Tom.”
Il Serpeverde mi fissa critico, forse vorrebbe qualche informazione in
più. Ma,
dietro la facciata di civettuola curiosità, fiuto il pericolo e il
calcolo, la
ricerca spasmodica di un’arma da usare contro di me.
“Ci vedo una persona che ho amato, e che non sono riuscito a
salvare...”.
È estremamente attento, diligente come se non fossimo in un’aula in
disuso a
mezzanotte inoltrata, ma a una delle solite lezioni di Trasfigurazione,
eppure,
appena le mie parole cominciano a tracciare un racconto d’amore, Riddle
si
irrigidisce scettico.
Ah, ci sono così tante cose che non capisci...
“E tu? Tu cosa vedi, Tom?”
« Si vede immortale ».
A rispondermi è Gellert, inarco involontariamente un sopracciglio.
Ma questo gesto non sfugge al giovane, la cui espressione cambia,
all’improvviso
ostile, come se gli avessi strappato il suo più bel segreto.
Non si scomoda nemmeno ad inventarsi la bugia che mi aspettavo né cerca
di
ricomporre la maschera di cortesia che indossa sempre. Mi rimanda
soltanto un’occhiata
secca, intelligente come quella di una volpe.
“Buonanotte, professor Silente.”
“Buonanotte, Tom.”
Si dilegua nella notte il giovane Lord Voldemort, lasciandomi solo con
l’aguzzo
sguardo di Grindelwald addosso e qualche generale considerazione su
quanto poco
piacevole sia il nuovo soprannome che si è scelto.
« Non hai paura di lui? » mi stuzzica il riflesso, che non sopporta di
notare
la mia attenzione rivolta a qualcuno che non sia lui, esattamente come
il suo
doppio nella vita reale.
“E perché dovrei?”.
Sospiro appena e lui sbotta sarcastico, chiaramente infastidito dalla
mia
attitudine a voler vedere sempre il meglio delle persone, a voler
concedere in
qualsiasi caso una seconda possibilità.
« Non ti capisco ».
Dev’essere sconvolgente sapere di poterlo ammettere.
“Ma davvero, Gellert? E dire che senza questa attitudine che tu tanto
disprezzi
io ora sarei soltanto un orfano infelice.”
Gli rivolgo un sorriso immensamente triste, velato di dolcezza.
« Come se adesso fossi qualcosa di diverso » sibila sprezzante,
irrispettoso, «
Cosa farai quando davanti a te non avrai me, quest’adolescente che
conosci, ma
un adulto che ti è estraneo? ».
La sua domanda mi spiazza, riportandomi alla cruda realtà.
Già, il duello che ci è così prossimo.
Tutti si aspettano che io affronti il perfido Grindelwald, che vinca e
probabilmente anche che lo uccida. Nessuno sa che non posso farlo, e
comunque a
nessuno importerebbe. Ancora una volta, io ed io soltanto dovrò
decidere quale
strada seguire, se quella giusta o quella facile, con la consapevolezza
che
sarà una sconfitta in entrambi i casi.
Ma non farmici pensare, Gellert. Non adesso.
“Cercherò di redimerlo” mormoro con un filo di voce, e più che un’idea
vera e
propria è un desiderio.
A questo, nemmeno il mio spietato compagno sa trovare una risposta
abbastanza
svilente.
Cala il silenzio, sento il suo sguardo addosso per tutto il tempo, ma
non lo
incrocio neanche per un attimo. Dopo quelle che sembrano ore, lui
riprende di
nuovo la parola.
« Addio, Albus ».
Non posso fare a meno di guardarlo, nonostante non sia affatto sorpreso.
Nemmeno un’illusione è per sempre.
Eppure, per la prima volta dall’inizio di questa maledetta serata,
Gellert non
mi appare malvagio. È vagamente malinconico, con quegli occhi
incandescenti,
che un tempo mi irretivano al punto da non capire più nulla, fissi nei
miei. Le
palpebre per metà calate, le ciglia dorate come le sbarre di una gabbia.
« Non tornerai ».
Non è una domanda, ma il tono implorante con cui mi si rivolge non mi
lascia
affatto indifferente.
Al mio silenzio, sospira e continua a parlare.
« Ci rivedremo quando verrai a fermare la mia ascesa al potere,
immagino » la
voce gli si incrina, si nasconde appena tra le ombre dei riccioli
dorati,
vagamente sfatti, « Buonanotte, Albus ».
Distolgo le iridi cerulee dal suo volto, serro le palpebre. Fa troppo
male
guardarlo mentre se ne va, anche se è soltanto un’illusione, anche se è
soltanto un ragazzo di sedici anni che non esiste più, anche se là
fuori c’è
lui da adulto che, forse in questo stesso momento, sta compiendo una
strage.
Fa male lo stesso, anche se non è giusto.
« Perdona la mia crudeltà, se puoi... È la mia natura » una pausa
dolente,
altre lame nel petto, « Mi mancherai ».
Quando riapro gli occhi di scatto, lo Specchio delle Brame è vuoto e
placido
come uno stagno senza vita.
Nessun palpito verde acceso, nessuna eco di una risata lontana.
Mi mancherai anche tu, Gellert.
1945
A duello finito, stordito e scosso, abbasso la bacchetta ed osservo il
suo
corpo magro riverso a terra.
I riccioli bianchissimi, il volto segnato dall’età. Quegli occhi sempre
così
vivi rovesciati all’indietro.
Non è morto, ovviamente.
Io non avrei mai potuto, non senza smettere di vivere.
Gli Auror si riversano all’improvviso nella radura gelata, urlano di
gioia, si
congratulano con me, sono davvero felici che io li abbia aiutati, che
abbia
vinto. Persino le mie lacrime appaiono appropriate.
“Andrà a Nurmengard” mi limito a ripetere, come una cantilena, come se
fosse
importante.
I maghi stranieri mi porgono la sua bacchetta, che tuttavia non è la
stessa di
quando l’ho conosciuto e, naturalmente, non mi ci vuole molto per
capire che è
uno dei Doni.
La Bacchetta di Sambuco, finalmente mia.
Nemmeno questo pensiero mi dona un minimo di contentezza, perché in
fondo... In
fondo, cosa importa?
Al diavolo i Doni, sono stati soltanto in grado di rovinarci, Gellert.
Al
diavolo la fama, che è una carceriera spietata. Al diavolo il potere,
che non
mi ha salvato da un cuore spezzato.
Al diavolo tutti quei sogni crudeli che avevamo, che ci hanno uniti
come due
amanti e poi ci hanno separati come i nemici che non avremmo mai voluto
essere.
Al diavolo i tuoi occhi stupendi, Gellert, a cui avrei volentieri
consacrato la
mia vita.
Al diavolo lo Specchio delle Brame, che non mi ha mai mostrato la mia
redenzione, i miei errori finalmente riparati, i miei sbagli cancellati
uno ad
uno. Al diavolo, non vi ho mai nemmeno scorto Ariana fragrante di vita,
in salute,
tra le braccia amorevoli dei miei genitori, di nuovo insieme. Non vi ho
trovato
il perdono di Aberforth, non l’ho mai cercato né in quell’inganno né
nella
realtà.
Lì dentro, in quella lastra scura, io ho sempre e soltanto visto te,
Gellert.
Non ridevi, non mi ammaliavi.
Eri quello che eri.
Non hai idea di quanto mi sia disprezzato per questo, Gellert. Non sai
quanto
ho desiderato che tu non fossi la mia malia, la mia brama
inconfessabile.
Davanti a quello specchio, il mio cuore ha scelto. Ha scelto te, non la
mia
famiglia.
Ed è come se li avessi ammazzati con le mie stesse mani.
Hai vinto, Gellert. Non di fatto, eppure
su tutti i fronti.
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