Ennesima giornata sfinente e incasinata, ma
eccomi qui a condividere qualcosa, con la speranza che possa essere di vostro
gradimento. ^^
Questa è la terza storia, di quelle famose
bozze scritte sull’onda delle emozioni post-finale, rimasta ad ammuffire nel pc da dicembre.
Ad essere completamente onesta, però, l’idea di base è una mia original scritta (credo) nel 2003 e mai postata. Avendo
capito che potrebbe essere esattamente ciò che sente ora Merlin, ho deciso di
tramutarla in una merthur.
Fa anch’essa parte della serie “A new life - Merlin post!5x13”
Spoiler! Post 5x13 “The Diamond of the Day (2)”.
Lieve angst,
con lieto fine.
Storia
dedicata ai miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto
con tanto amoreh!)
E agli amanti del merthur, ovviamente.
<>O<>O<>
Like a child
(Vegliandoti)
Un rumore sconosciuto lo districò dalle
trame del suo sonno.
Nel buio della notte, ad
occhi ancora chiusi, Merlin ingoiò il respiro e allungò una mano sul materasso,
alla sua destra.
Non
era la sua brandina a Camelot.
Non
era il lettuccio della capanna sul lago.
Era
il letto nuovo. Nella casa nuova.
Dio. Non era un sogno.
Non era
stato tutto un sogno.
Quante
volte succederà ancora?, pensò, avvolgendosi un leggero plaid sulle spalle, uscendo
in silenzio dalla propria stanza.
Felix sollevò il musetto nella sua
direzione, quando lo sentì vicino.
Lui sorrise, regalandogli una carezza e borbottandogli
di riprendere a dormire.
L’animale fece le fusa, in
risposta, riacciambellandosi su se stesso.
Merlin andò in cucina, camminando scalzo
sul lucido parquet, prese un bicchiere d’acqua, senza realmente averne bisogno,
e si diresse alla finestra: Londra ancora dormiva, in quel principio d’autunno.
Distolse gli occhi dal paesaggio assopito,
intrappolato ancora in quel sogno fin troppo reale.
E sempre senza far
rumore, socchiuse la porta della camera in fondo al corridoio.
S’accoccolò sulla poltrona ai piedi del letto, coprendosi con
la coperta, con calma.
Raccolse le ginocchia al petto e vi posò
sopra il mento, accomodandosi stanco.
L’unico rumore, in quella quiete assoluta:
un leggero respiro.
~
Nel
corso della propria esistenza – perché, chiamarla semplicemente vita, sarebbe stato riduttivo –, Merlin
aveva paragonato spesso Arthur ad un bambino.
Un bambino viziato, anzitutto.
Un bambino
prepotente, per ogni volta – delle infinite volte – in cui
aveva battuto i piedi e aveva preteso le cose a modo suo, spuntandola.
Aveva visto in lui un bambino, nella sua ostinata convinzione di credere nella gente, nel tirar
fuori da essa il meglio che poteva esserci nascosto.
In quell’ingenuità tipica dell’infanzia –
dei cuori buoni, dei cuori
puri – che forse era stata la sua rovina.
Come i bambini, Arthur si
infilava le maglie a rovescio e non sapeva neppure pettinarsi
decentemente da solo.
Come i bambini, Arthur si buttava anima e
corpo in tutto, senza risparmiarsi mai. Senza conservare un’oncia di energia.
Come i bambini, credeva nell’amicizia più
sincera, nel più sacro dei legami.
Arthur era stato disposto a morire per i suoi uomini, per ciascuno di loro. E
in cambio aveva ricevuto autentica devozione.
Anche adesso, Arthur sembrava ancora un
bambino, quando – con occhi sgranati e bocca spalancata – imparava le cose di
quel nuovo mondo così affascinante e spaventoso.
Benché il Re del Passato e del Futuro
fosse grande e grosso, a volte Merlin aveva l’impulso di stringergli la mano,
per rassicurarlo, per non farlo sentire sperso, per accompagnarlo passo dopo passo in quella loro nuova vita insieme.
Anche mentre dormiva, Arthur
sembrava un bambino.
Di tanto in tanto, aveva il sonno agitato e passava il tempo
rotolandosi tra le lenzuola senza trovare requie. Più spesso, invece, l’Asino
Reale crollava, esausto, non appena la sua nobile testaccia dura toccava il
cuscino.
E Merlin, come il buon servo che era
stato, gli rimboccava le coperte, gli accarezza i capelli. Gli augurava un buon riposo.
Eppure questo non era abbastanza. Non gli bastava.
Da che Arthur era tornato, qualcosa in
Merlin era cambiato.
Ogni notte, si alzava un numero
imprecisato di volte, socchiudeva l’uscio e ascoltava il ronfare di Arthur.
A volte, quando Sua Maestà russava, lo
faceva sorridere e gli rasserenava il cuore.
Eppure… quando non udiva nulla, egli
correva al suo capezzale, e gli controllava quell’essenziale soffio di vita, come avrebbe fatto un buon padre con un
figlio neonato.
Forse
perché aveva visto Arthur morire.
Forse
perché il sonno, si dice, è una piccola morte.
Ma passava notti intere a vegliarlo. Cullato dal suo respiro
quieto.
Solo il ritmo familiare del suo signore
sembrava calmare il suo cuore tormentato e dare requie al suo animo, cosicché
anche lui potesse riposare.
~
Anche quella notte, Arthur dormiva con un’espressione
serena, in quel letto caldo.
Il buio non gli permetteva di distinguere i contorni del suo viso con
precisione…
Ma lui era lì.
E questa certezza gli scaldava l’anima,
gli dava pace.
Con gli occhi della mente, Merlin accarezzò
il suo nobile profilo, poi lasciò acquietare anche il proprio potere.
Poco dopo, anche la sua magia ronfava
quieta, accoccolata tra lo sterno e il cuore.
Ma le sue palpebre stanche, invece, si ostinavano a non
volersi chiudere – come se, facendolo, avessero potuto rompere un fragile,
essenziale equilibrio e qualcosa d’imprevisto, d’irreparabile sarebbe potuto
accadere.
Fra
mille confuse domande, quella era quasi una certezza.
Ma l’unica cosa che importava era Arthur.
Avere
nuovamente Arthur accanto.
Non importava perché fosse tornato adesso.
Non importava quale nuova, vitale missione li attendesse nell’immediato.
Non avevano ancora chiarito neppure cosa erano. Cosa sentivano l’uno per l’altro.
Forse non erano più solo
amici, ma non erano neppure amanti.
Dopo averlo ripescato dal lago, Merlin si era
inventato una vita. E una casa. E aveva dato una stanza ad Arthur – una tutta
sua, perché non voleva affrettare i tempi – perché
non era affatto un risultato scontato.
Lui
aveva sempre amato il suo re… ma sarebbe mai stato ricambiato, prima o poi?
E il suo vecchio cuore immortale non era
pronto a soffrire ancora, di nuovo. Non
così presto.
Merlin sospirò, riprendendo a vegliare il
corpo addormentato; se ne sarebbe andato da lì prima dell’alba. Prima che lui si fosse svegliato, si
ripromise. Non l’avrebbe trovato così,
pensò con convinzione, finché il sonno non lo colse, traditore, per pochi
attimi.
…Ma era così confortante lasciarsi cullare dal respiro del
suo signore…
Le sue stanche membra lo pregarono di essere
distese e il mago assecondò distrattamente quel desiderio, stiracchiandosi e,
involontariamente, andando a colpire un oggetto indefinito dimenticato accanto
al letto.
Fu
solo un piccolo, insignificante rumore perso nel caos della notte londinese.
“Merlin?” ansimò il giovane Pendragon, ugualmente, i sensi in allerta – da cavaliere
addestrato – mai del tutto assopiti.
“Shh… dormi, Arthur. Non è neppure l’alba”, lo
blandì, maledicendo la propria goffaggine.
“Un altro incubo?” chiese il re, con la
voce impastata dal sonno, da cui traspariva comunque una punta di
preoccupazione.
“È tutto a posto, Arthur, torna a dormire”, ripeté il mago,
cercando di essere rassicurante e persuasivo.
Ma lo era molto di più la coperta che si spostava di lato. E
l’offerta invitante che il nobile gli stava porgendo.
“Ho i piedi gelati, Merlin. Cosa aspetti a renderti utile?” ordinò Sua
Maestà, dandogli il pretesto per accoccolarsi accanto a lui e Merlin, da bravo
servo, non poteva deludere il suo padrone…
-
Fine -
Disclaimers: I personaggi, citati in questo racconto, non
sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.
Ringraziamenti:
Alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D
Note: Solo
un appunto superfluo: “La petite mort”,
per i Francesi, è anche un modo per definire l’orgasmo.
Comunemente, però, il sonno è considerato il fratello
piccolo della morte.
Ci sono alcune ripetizioni nel testo, ma è una cosa voluta e
non una svista. ^^’’
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie): Linette 71 arriverà fra qualche
giorno.
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elyxyz