Uno,
due, tre... quattro... cinque... sei... sette... set-te... se...
sette...
Caroline
si immobilizzò sulla vittima.
Il suo corpo esile ebbe un rapido scattino e la vista si ottenebrò
di colpo. Inghiottì più aria che poté e
d'istinto puntò le mani contro il torace, abbassando
leggermente la testa. Quando finì, sospirò tirando
indietro una ciocca di capelli. Le ginocchia, nude sul terreno brullo
del bosco, mostrarono piccole lacerazioni che si chiusero appena
Caroline si rialzò dal corpo della
vittima. La testa ondeggiò, la vampira chiuse gli occhi e si
sforzò di ritrovare l'equilibrio. Tirò giù il
vestito e indietreggiò di un passo.
“Almeno
slegami...”
Poteva
farlo. O poteva lasciarlo legato alla base dell'albero con i jeans
calati poco oltre le natiche. Caroline lo guardò - non in
viso, mai in viso – girò attorno al tronco e strappò
via la corda che lo immobilizzava.
Le
braccia di Klaus ricaddero formicolando ai lati della testa. Era la
seconda volta che succedeva. La seconda volta che Caroline lo 'usava'
a quel modo e lo lasciava agonizzante in una pozza di desiderio.
Klaus si mise a sedere, tirando i jeans verso l'alto. La notte era
fredda e umida e gli ghiacciava il ventre dolorante per l'eccitazione
inespressa. Non essere più un vampiro aveva i suoi svantaggi,
ora. Katherine gli aveva cacciato di forza la cura in gola.
Prima
di morire.
E
sì, ci aveva messo un po' a fare effetto.
Klaus
si inginocchiò sul terreno, premendo su se stesso per calmare
le fitte lancinanti che risalivano lo stomaco e correvano giù
nelle gambe. Non era facile, il suo corpo non rispondeva più
come prima. Di fronte alla novità,
reagiva come quello di un adolescente che si risveglia bagnato dopo
una polluzione notturna.
Non
che gli fosse mai successo, se ci ripensava a mente fredda.
Klaus
si rialzò lentamente quando credette di aver raggiunto un buon
grado di controllo. Il cuore sembrava sempre volergli uscire dal
petto e un'ansia sorda gli stringeva la gola. Risistemò i
vestiti e inghiottì. La corda giaceva alla base dell'albero.
Caroline si preoccupava sempre di immobilizzarlo in modo che non
potesse toccarla. Si assicurava che non potesse muovere liberamente
il bacino. Prendeva quel che voleva, incurante dei suoi bisogni e
appena finito scompariva all'orizzonte. Non diceva una parola, non lo
guardava mai negli occhi, si preoccupava solo di se stessa. Che era
più o meno quello che aveva fatto lui, fino ad una settimana
prima. Il pugno di Damon lo sentiva ancora nello stomaco. Non era
sembrato vero, al vecchio Salvatore, di giocare ad armi pari. Un paio
di ematomi non volevano andarsene e i segni di unghie, sotto
l'ombelico, gli ricordavano la prima volta che Caroline l'aveva
braccato e immobilizzato. Le tremavano le mani mentre gli slacciava
la cintura. L'aveva graffiato. Aveva chiesto scusa. Per il graffio,
non per altro.
Klaus
si ritrovò di fronte la propria abitazione. Infilò le
chiavi nella toppa e aprì la porta. Il salotto era vuoto,
un'unica luce accesa in un angolo della stanza a rischiarare
l'oscurità della notte che penetrava dalla finestra chiusa.
“Bekah?”
Klaus
si mise in ascolto ma non sentì alcun rumore provenire dalle
stanze al piano superiore. Girò attorno al divano e vi si
buttò sopra, fissando il soffitto e poi il caminetto spento.
L'eccitazione, soppressa a fatica, perdurava, lo torturava ma non
fece nulla per porre fine al supplizio. Chiuse gli occhi e lanciò
a terra un cuscino che lo infastidiva. Poi lo riprese e lo strinse
contro lo stomaco, girando su
un fianco.
Ma
era sempre stato così difficile?
***
Caroline
uscì dalla doccia e si asciugò i capelli, ricordando di
tamponarli, invece di strofinarli.
Caroline
teneva molto al suo aspetto. Fin da quando aveva avuto memoria, aveva
chiesto il meglio a se stessa e anche quando Liz la incitava a
'prendersi una pausa', Caroline andava dritta per la sua strada come
un soldato in battaglia. Forse esagerava e, da una settimana a quella
parte, poteva dire con certezza che stava camminando su una china
pericolosa. Ma il passo era saldo e le braccia ben allargate per
mantenere l'equilibrio.
Ora
era lei, la più forte.
Caroline
aveva rifiutato di prendere la cura. Non si poteva dire che la
tenessero a distanza, ma di certo non capivano la sua scelta. Elena e
Bonnie erano trasecolate, Damon se n'era infischiato e Stefan aveva
assicurato che ci sarebbe stata sempre una dose per lei, in caso
avesse cambiato idea.
Caroline
non avrebbe cambiato idea.
Solo
una persona fra tutte aveva capito.
L'unico
che non poteva avere, ma poteva prendere tutte le volte che voleva.
Ora poteva farlo, era lei la più forte. Ora non ne aveva più
paura, ma si assicurava che non arrivasse a sfiorarla.
Caroline
si morse il labbro inferiore. Tecnicamente, era uno stupro. La
Reginetta di Mystic Falls, la direttrice delle feste, la queen
bee del liceo in piena sessione
finale di studi, si dilettava a stuprare uomini nel bosco per
smaltire la tensione.
Uomini!,
sbuffò. Un uomo. Sempre
lo stesso. Tyler stava tornando a casa e presto tutto quello sarebbe
cessato. Avrebbero ripreso le loro vite e Caroline l'avrebbe rivisto
vagare per le vie di Mystic Falls con lo sguardo perso e la
frustrazione che gli faceva stringere i pugni, le nocche sanguinanti
sotto la benda elastica. Era stata quel medicamento a farla scattare.
La dimostrazione che Klaus Mickealson era umano a tutti gli effetti.
La certezza di non correre alcun pericolo.
***
Rebekah
era rincasata facendo un gran fracasso, stordita dall'alcool che ora
saliva alla testa ben più velocemente di prima. Si era unita
ai silenziosi festeggiamenti dei Salvatore, persi come lei dalla
novità, e poi
si era costretta a camminare in linea retta per tornare a casa. Era
stato un vero spasso, comportarsi come una ragazza normale. Damon le
aveva fatto notare che il suo bel visino non sarebbe rimasto
inalterato nel tempo, presto avrebbe avuto i capelli bianchi e le
rughe, e Rebekah aveva sentito il cuore esploderle nel petto e
d'istinto l'aveva abbracciato. Lei
aveva abbracciato quel verme di Damon Salvatore che si era
approfittato della sua ingenuità e del suo bisogno di amore.
Potevano
seppellirla l'ascia di guerra, ora?
Rebekah
aveva annuito, lasciandolo con una cameratesca pacca sulla spalla.
Aveva pagato la sua parte, baciato Stefan su una guancia – ehi,
si facevano grandi concessioni, quella sera! - e aveva ciondolato
sulla via di ritorno guardandosi attorno. Il cielo era terso e pieno
di stelle. Rebekah si era sentita piccola piccola e aveva sorriso,
girando su se stessa come una trottola.
Che
sbaglio!
L'alcool
era salito tutto insieme, annebbiandola. Rientrando, era inciampata
nel mobiletto – gli aveva fatto notare più di una volta
che era una sciocchezza metterlo lì, ma Nik non aveva voluto
ascoltarla - aveva battuto il ginocchio soffocando un gridolino, era
saltellata fino al divano e l'aveva trovato occupato.
Perché
dormiva lì quando aveva un comodo letto quasi king size nella
sua stanza? Rebekah scivolò lo sguardo lungo il polso, fino
alla fasciatura. Per la rabbia di essere stato giocato da Kat, aveva
tirato un pugno al muro e si era quasi rotto le ossa.
“Becky...”
“Il
tuo fottuto mobiletto domani lo brucio” lo avvertì
massaggiando il ginocchio e sedendo sul bracciolo del divano per
sfilare gli stivali. Rebekah gli lanciò un'occhiata quando si
alzò facendole spazio e stropicciando gli occhi.
“Fa
pure...”
“Che
hai?”
“Niente...”
“Non
è niente.”
Klaus
scosse la testa, posando i gomiti sulle ginocchia. “Dove sei
stata?”
“A
festeggiare.”
Klaus
annuì e si mosse in avanti per accendere il camino. “Elijah
vuole prendere la cura.”
“Ne
abbiamo ancora?”
L'ex
vampiro scosse la testa, tormentando i ciocchi di legno con le molle.
“E' nelle mani dei tuoi amici... chiedi a loro.”
Che
brutto tono! Rebekah si umettò le labbra, preoccupata. “Nik,
che succede?”
Se
gliel'avesse detto, ci avrebbe creduto? Ma poteva dire una cosa del
genere a sua sorella? E da quando parlava di se?
La
ragazza calpestò il tappeto a piedi nudi e si inginocchiò
alle sue spalle. Il fuoco prese forma nel camino, illuminando il viso
assente di Klaus.
“Lo
sai che puoi appoggiarti a me, se hai un problema.”
“Non
ho alcun...”
La
voce del ragazzo si esaurì e un brutto sospiro esalò
dalla gola contratta. Rebekah se lo ritrovò addosso di colpo,
perse un po' l'equilibrio e, attonita, gli strinse le braccia attorno
alle spalle, sfiorandogli i capelli. Poteva sentire i loro cuori
battere ritmi diversi, ma entrambi erano accelerati e...
“Lasciami!”
Rebekah
ricadde a sedere, quando Klaus la spinse via. Era abituata ai suoi
scoppi d'ira improvvisi ma quello era diverso dagli altri. Conteneva
tutta la sua disperazione.
“Non
commiserarmi!” esclamò con voce contorta, strofinando la
benda elastica su una guancia bagnata di lacrime.
Rebekah
lo guardò allontanarsi e, quando si punse le mani con le crine
del tappeto, si accorse del terriccio e delle foglie secche sul
divano. Era stato di nuovo nella cripta?
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