Sofferenza

di Mapel
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La notte, semplicemente, soffro.

Ed è una di quelle sofferenze che non puoi esprimere a parole, che sembra solo una grande massa nera che ti si appoggia sul petto, sullo stomaco e non puoi mandare via.

È quel genere di sofferenza che ti rende malinconico, che ti fa ascoltare notturni di Chopin e leggere poesie di Leopardi al buio.

Quella sofferenza che spesso assecondi, perché è facile soccomberle piuttosto che cercare di respingerla e alla fine ti crogioli in essa perché è parte di te.

Ti lascia la gola secca anche se hai appena finito di bere, ti affatica in ogni singolo gesto perché ti impedisce di muoverti, ti lega ad un letto a fissare il vuoto.

Non deve necessariamente avere un motivo, la maggior parte delle volte è una condizione stabile, alla fine sarà lei stessa a spiegarti le sue ragioni, radicandosi sempre di più sul tuo petto mentre ti richiama alla memoria episodi che pensavi di aver seppellito per sempre.

La sofferenza ride di te, la puoi quasi vedere, è proprio lì, incombente, e si sta divertendo a vederti sempre più sprofondato e dipendente dalla sua presenza.

Quando se ne va, lo fa dolcemente, con una carezza degna della più dolce delle amanti e una muta promessa: non ti lascerò mai solo.





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