Note
di Trick - e stavolta, fossi in voi, le leggerei davvero,
perché c'è un sacco di casino in questa
mini-long.
Sì, è una mini-long e per la prima volta nella
mia vita è già
finita, quindi conto di pubblicare in fretta gli altri due
capitoli. Squilleranno gli angeli, insomma, ma sono destinata a finire
la prima storia a capitoli. Urrà. Questa storia è
un po' strana - e qui torniamo al fatto che vi ho suggerito di leggere
le note - perché partecipa al contest "Paddy's
Day - Festeggiamo San Patrizio" indetto da Ferao.
Un contest vagamente allucinante, in cui veniva richiesto di... beh,
San Patrizio, gente. Bisognava infilare l'Irlanda dove si poteva. E io
l'ho infilata nelle tasche di Remus Lupin, poveretto, come se non
avesse già abbastanza sfighe.
Suppongo sia una What-If,
ma mi sa che non lo è sul serio... ho semplicemente aggiunto
dettagli all'infanzia e all'adolescenza di Remus che non conosciamo. In
effetti, no, ehi, non lo è per niente.
Ehm... no, okay, mi sa che ho finito. No, invece no, un attimo.
1. Le citazioni tratte dalla Bibbia o dal Vangelo non sono sempre
letterali. È stata una scelta stilistica che mi auguro non
arrechi offesa agli Evangelisti.
2. Non sono un'esperta d'Irlanda e irlandese, ma "och" sembrerebbe
un'esclamazione gergale piuttosto dipica. Tipo il "socc'mell" dei
bolognesi, ma più nordico.
3. Il Fianna Fàil è il più importante
partito repubblicano irlandese. Non mi sono informata oltre
perché faccio già abbastanza fatica a capire la
politica italiana, figurarsi quella irlandese.
E stavolta direi che no, non ho più altro su cui fare
bla-bla-bla.
*
Santi
di cartastraccia
Capitolo
Uno
San
Tommaso – Fui l'unico
a dubitare
«Se
non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e
non metto il dito nel posto dei chiodi
e
non metto la mano nel suo costato,
non
crederò».
Giovanni,
20, 24
Branna
O'Buckley era l'ultima di quattro sorelle, ma a sedici anni pesava
dieci chili in meno di Edna, era alta quindici centimetri in
più di
Maire ed era venti volte più graziosa di Fiona.
Quando
frequentavano la Saint Anthony – due piani, una latrina in un
angolo del cortile di cemento e le finestre rotte – Branna
spiccava
fra tutte loro per sagacia e intelligenza. Eppure la madre che le
aveva messe al mondo era la stessa: Gormlaith O'Buckley, la donna dal
nome più assurdo e dalla fede più inviolabile di
tutto il villaggio
di Kinsale – la chiamavano Gora, ma mai in sua presenza.
Gora
aveva gli scuri e penetranti occhi delle figlie, ma il suo viso era
sempre tirato in una smorfia seria. Rigida e orgogliosa come una
statua greca, rimaneva con l'enorme petto in avanti per tutta la
durata della funzione domenicale, lo sguardo duro fisso su padre
Conor e le figlie allineate al fianco come le mele del mercato.
Il
posto immediatamente alla sua destra era riservato a Edna, la
maggiore, la ragazza con la lingua biforcuta più avvelenata
di
Kinsale; poi c'era Maire, piccola, rotondetta e con le guance rosse e
paffute come due gonfie ciliegie; subito dopo c'era Fiona, con quel
suo problema di pronuncia che tutti fingevano sempre di ignorare;
l'ultimo posto della panca, quello più distante dall'altare,
era
sempre quello di Branna.
Branna
ridacchiava nel bavero del cappotto e si divertiva a scambiare mezzi
sorrisi con Liam O'Keefee, il garzone del lattaio. Se Liam non era in
chiesa, eccola spostare la sua attenzione su Brian Flanagan, il
figlio del calzolaio, o magari sui fratelli Sheehan – ed era
difficile stabilire a chi di loro stesse dedicando il proprio tempo.
Le
donne di Kinsale dicevano che sarebbe finita in pasto al diavolo, e
difatti Branna finì per sposare un inglese di nome John
Lupin.
L'assurdo avvenimento sconvolse il villaggio al punto tale che per
mesi non si parlo che di lei, della sua fuga senza senno e di quell'inglese, santo cielo, che si scoprì essere perfino londinese.
Lo
scalpore durò fin quando rimasero voci ad alimentarlo, ma
proprio
come prima o poi si spegne ogni barzelletta, anche quello venne
dimenticato. Fu solo quando la videro tornare dodici anni
più tardi
con un ragazzino magro come uno sputo e con i capelli biondicci
appiccicati alla fronte che Kinsale riprese a parlottare della
sventure della povera vedova O'Buckley, di quanto grama e triste
fosse stata la sua esistenza e di come avesse potuto il Signore
essere tanto crudele da affibbiarle una figlia tanto incosciente da
farsi ingravidare da un inglese.
*
«Och,
questo ragazzino è pallido come un inglese».
Remus
affondò il cucchiaio nel brodo di pecora. Non aveva un
aspetto
particolarmente invitante, ma il trascorrere dei mesi a Kinsale gli
aveva insegnato due importantissime verità: la prima era che
il pane
secco riusciva ad addolcire il sapore amarognolo di tutto
ciò che
finiva sulla tavola; la seconda era che che non si doveva supporre
che il brodo di pecora non fosse buono. Il brodo di pecora era sempre
buono, a Kinsale, e ci mancava poco che sua zia Maire non ci fondasse
attorno una nuova religione.
«E
c'ha pure i capelli da
inglese». Zia Edna aveva alzato di un'ottava il
tono di voce
– Remus pensò volesse essere certa di farsi
sentire dai vicini.
«Anche
i piedi, zia Edna?».
Le
narici della donna si dilatarono e il suo labbro inferiore
iniziò a
tremolare. Remus alzò lo sguardo dalla colazione, si
scostò la
frangia dalla fronte e le regalò un sorriso innocente.
«Lo
sapevi che inglesi hanno cinque dita?».
Zia
Fiona si affrettò a soffocare una vaga risatina in un angolo
della
tovaglia. Il mestolo di zia Maire si abbatté sulla testa di
Remus e
il ragazzo si piegò in avanti con un'esclamazione di
dolorosa
sorpresa, massaggiando la parte lesa con una smorfia. I piccoli
occhietti di Maire lo scrutavano severi, ma a Remus non
sfuggì il
sorrisetto che tentava di celare alla sorella maggiore.
«Non
posso credere che questa famiglia sia giunta a questo!»
sbraitò zia
Edna con ammirevole dramma.
Zia
Maire la liquidò con un gesto frettoloso della mano
grassoccia.
«Oh,
cielo, Edna, dacci un taglio. E tu finisci di mangiare in fretta o
arriverai in ritardo per la Messa».
Remus
ingoiò in silenzio un'altra cucchiaiata.
Prima
di morire, John Lupin era stato uno dei tanti protestanti che avevano
sempre rivolto molti più pensieri al lavoro, alla famiglia e
al
Quidditch che non a Dio. Ci pensava così poco, in effetti,
che non
si era mai disturbato a cercare il tempo di battezzare Remus
– e di
chiese e santi Branna Lupin sembrava averne avuto abbastanza da
camparci per tutta la vita.
“ Infilare
la testa nell'acquasantiera non rende per forza buoni
cristiani”
gli ripeteva spesso suo padre. “Vuoi cercare Dio? Cercalo
dove la
gente è felice”.
A
Remus quel concetto schietto di religione era sempre bastato, ma
quando Gora O'Buckley e le sue tre figlie avevano scoperto che non
aveva ricevuto il Santo Battesimo, gli parve di essere testimone del
disastro di Sodoma e Gomorra. Sua madre era rimasta appoggiata al
davanzale del balcone a fumare stancamente una Rothmans
senza
filtro. Era stata un'altra tragedia familiare, quella: Branna di
ritorno dalla Gran Bretagna con un ragazzino britannico
e un pacchetto di sigarette britanniche.
“ Suo
padre era metodista” aveva spiegato annoiata alle sorelle.
“ Un
comunista!”.
“ E-Edna,
p-per te t-tutti i n-non c-c-cattolici s-sono
c-c-c-comunisti”
aveva balbettato a fatica Fiona.
Branna
aveva schioccato la lingua.
“ In
verità in verità vi dico... chiunque non sia di
Kinsale è un
comunista”.
“ Non
deridere la parola di Gesù!”.
C'era
stato bisogno dell'intervento pratico e determinato di zia Maire per
spegnere sul nascere il clima bellicoso che stava per divampare nella
cucina. Remus era rimasto immobile sulla sua sedia ad aspettare che
decidessero dove immergergli la testa, con in mano il cucchiaio e una
brodaglia di pecora sotto al naso – nella cucina delle
sorelle
O'Buckley si entrava solo per tre motivi: mangiare, cucinare o
litigare, con l'eccezione di Branna che ci andava pure a fumare le
sue sigarette inglesi.
Il
suo battesimo da fiero cattolico irlandese era stato un inferno:
Remus era quasi affogato e aveva sputacchiato dentro l'acqua santa.
Per zia Edna era stato un segno del demonio; per zia Maire la
perdonabile bestemmia di un ragazzino; per zia Fiona una storiella
divertente da raccontare alle amiche; per sua madre non era mai
neanche capitato, perché era rimasta seduta sul sagrato
della
piccola chiesa a fumare; e sua nonna, Gora O'Buckley, non riusciva
più ad alzarsi dal letto a causa dell'artrite alle gambe,
così
Remus si era potuto risparmiare i suoi sordi brontolii scontenti.
Per
Remus era stato proprio come sua padre gli aveva raccontato: un po'
di acqua in testa senza alcuna consapevolezza di essere in qualche
modo diverso. Quella sera aveva scritto una lettera a James e Peter
–
gli dispiaceva tanto non poter scrivere anche a Sirius, ma Grimmauld
Place era una dimora inaccessibile per ognuno dei gufi dei
Malandrini. Oltretutto, Remus era obbligato a usare le poste Babbane,
perché a Kinsale non c'erano Guferie e alle sue zie sarebbe
venuto
un infarto nel vedere l'allocco di James andare e venire
dall'Inghilterra.
Caro
Prongs,
fa'
squillare le trombe e fa' rullare i tamburi, perché da oggi
sono
ufficialmente un vero cattolico di Kinsale.
Le
mie zie ne sarebbero entusiaste, se solo non avessi rischiato di
riempire di saliva la sorgente di Dio, condannando me e tutta la mia
progenie all'eterno vagabondaggio nel limbo degli inglesi. Testuali
parole di mia zia Edna (a Padfoot piacerebbe: hanno in comune lo
stesso amore per il palcoscenico). Insomma, a quanto pare non dovevo
sputacchiare nell'acquasantiera: avrei dovuto lasciare che il vecchio
padre Conor mi ci affogasse dentro, così il Santo Padre mi
avrebbe
fatto beato e le mie zie sarebbero state fiere di avere il santino
del proprio nipote martire accanto a quello di San Giuseppe.
A
parte il mio tragicomico esordio nella vita cattolica, mi sono
abituato a trovare pezzi di pecora in qualsiasi pietanza cucinata da
mia zia Maire e ho affinato il mio modo di pronunciare
“och”.
Mi
sento sempre più irlandese.
Confido
possiate aspettarvi di vedermi raggiungere King's Cross a dorso di un
Lepricano e con i capelli tinti di verde.
A
ogni modo, Kinsale inizia a piacermi per un sacco di intelligenti
motivi.
Primo,
nonna Gormlaith (ti riscrivo il suo nome per l'ennesima volta giusto
nel caso tu non sia ancora stanco di deriderlo) è ancora
tutt'uno
con il suo materasso e la sua artrite, così ho smesso di
temere che
si alzasse in piena notte per salassarmi dal mio infetto sangue
britannico.
Secondo,
zia Edna è ancora pazza e si diletta ancora in esorcismi, ma
inizio
ad apprezzare la cucina di zia Maire: ogni tanto cerca di cucinare
animali diversi dalla pecora, ma la pecora in salsa di pecora
appoggiata su un letto di pecora resta ancora la sua pecora
di battaglia (spero sarai felice di vedere quali e quanti passi da
gigante sta facendo il mio umorismo irlandese).
Terzo,
mia madre sta uscendo con un nuovo tizio di Cork. Questa volta
è un
meccanico. È un po' come un manutentore di manici di scopa,
solo che
aggiusta le automobili. E le automobili funzionano più o
meno come
dei manici di scopa, solo che non volano e tu
non puoi guidarne una per nessuna
ragione, Prongs.
Non
chiedermelo nemmeno.
Quarto,
zio Patty è riuscito a raccattarmi un lavoretto al Donegan's
Inn.
Hanno bisogno di un ragazzo che asciughi i boccali: l'occupazione
perfetta per uno con dei polsi ridicolmente ossuti come me. Gli ha
detto che sono un po' malaticcio e che ogni tanto dovrò
tornare a
Londra per farmi delle trasfusioni di sangue al Saint Jack Hospital.
E
dire che l'Irlanda dovrebbe essere il paese delle strane creature...
se solo le mie zie sapessero che danno da mangiare pecora a un Lupo
Mannaro tre volte al giorno, credo cercherebbero sul serio di
affogarmi nell'acquasantiera.
Och,
non vedo l'ora che arrivi il primo settembre.
Moony
*
Il
loro camino era l'unico di tutta Kinsale collegato con la
Metropolvere. Remus teneva un sacchetto di polvere magica ben
nascosta dietro ai cassetti della biancheria, in attesa del giorno in
cui qualcuna delle sue zie lo avrebbe scovato e confuso con
chissà
quale sostanza stupefacente. Lo usava solo il giorno prima del
plenilunio, quando riempiva la borsa del misero occorrente per
giacere moribondo in un letto dell'infermeria e tornava a Hogwarts.
Era
l'unico studente a cui era concesso – era un caso a dir poco
eccezionale, lui. Silente aveva lungamente insistito
affinché Remus
continuasse a sfruttare il passaggio segreto che conduceva alla
Stamberga Strillante anche durante il periodo estivo. Sebbene non
avesse mai capito niente di magie e sortilegi, Branna gliene era
sempre stata grata.
Ogni
volta che Remus compariva nell'ufficio della professoressa McGranitt,
aveva sempre fra le mani una crostata ancora calda o un vasetto di
marmellata fatta in casa.
Era
il solo modo che aveva trovato per far parte di quella
realtà che
tanto assorbiva suo figlio – parlava di incantesimi, di
Goblin,
pozioni e di quel gruppo tutto matto con cui divideva il dormitorio,
e il suo viso si accendeva sempre di gioia. Lei aveva conosciuto quel
mondo diversi anni prima, quando John le aveva rivelato di essere un
mago e di lavorare per l'Unità di Cattura del Ministero
della Magia,
e non gli aveva creduto fin quando non aveva visto le magie che
sapeva fare. Ed erano vere, erano davvero
magie.
Poi
aveva scoperto che esistevano anche i Lupi Mannari e, suo malgrado,
aveva dovuto accettarlo in fretta. Ma lei era sempre stata una donna
forte e indomabile, era cresciuta nel sud dell'Irlanda e l'avevano
battezzata come una cattolica d'Irlanda, ed era rimasta in piedi
quando John non ce l'aveva fatta. La accusava spesso di sottovalutare
la loro drammatica situazione, e probabilmente aveva ragione,
perché
Branna non aveva mai davvero capito cosa fosse un Lupo Mannaro. Ma
capiva chi era suo figlio e tanto le era sempre bastato.
“ Remus
è tuo figlio” gli ripeteva in continuazione, ma
gli anni avevano
reso John Lupin sempre più sordo ai rimproveri della moglie,
fin
quando per lei non fu troppo. Acciuffare Remus per una man e la
valigia con l'altra era stato facile, ma aspettare nel cortile di
casa con la speranza che John si alzasse dalla poltrona per fermare
entrambi era stato come ricevere mille pugnalate nei reni in un solo
istante.
La
stretta di Remus si era fatta più decisa e lei lo aveva
guardato di
sottecchi. Era la copia di suo padre: aveva gli stessi capelli chiari
un po' mossi, gli stessi occhi nocciola, il naso lungo e sottile e il
viso minuto.
“ Ho
sempre voluto vedere l'Irlanda” aveva detto Remus con un
sorriso
tirato.
Non
avevano più parlato per tutto il viaggio fino alla stazione
di
Harrow. Fu solo quando il loro treno si fu lasciato alla spalle anche
le ultime colline dell'Hertfordshire che Branna aveva trovato la
forza di dire qualcosa.
“ Non
è colpa tua”.
Remus
aveva sollevato il capo dalla vecchia edizione tascabile di Cuore
di tenebra e l'aveva fissata a lungo con espressione
imperscrutabile. Poi aveva abbozzato una smorfia triste e aveva fatto
la spallucce.
“ Nemmeno
tua, mamma”.
“ E
nemmeno di tuo padre”.
A
quella parole Remus aveva sgranato stupito gli occhi.
“ Non
devi pensarlo mai, Remus” aveva continuato Branna con
più forza,
appoggiando la propria mano sul polso del figlio. “Tuo padre
è un
brav'uomo... ma non tutti i bravi uomini riescono ad affrontare i
calci in culo della vita”.
“ Io
lo devo fare”.
“ Och,
puoi giurarci” sbottò con finta allegria lei,
appoggiando la nuca
al sedile e socchiudendo affranta le palpebre. Si era ripetuta che
forse John aveva ragione a sostenere che lei non capiva quanto
davvero fosse tragica e insuperabile la situazione in cui erano
precipitati. Forse era realmente lei ad essere in torto,
perché di
Lupi Mannari, maghi e restrizioni del Ministero della Magia non
sapeva davvero nulla; ma quando aveva parlato, la sua voce era piena
di forza e sicurezza. “Ma tu non sarai un brav'uomo,
Remus”. Gli
aveva carezzato la guancia con un sorriso di timida nostalgia.
“Tu
sarai un uomo straordinario”.
Erano
già trascorsi quattro anni da quel giorno, e Remus era
davvero
diventato un piccolo ometto assennato di cui poteva dirsi ben fiera.
Edna continuava a chiamarlo il ragazzo inglese, ma
a vederlo
camminare per le strade di Kinsale, con i capelli troppo lunghi e
spettinati e le toppe cucite sui gomiti dei maglioni sformati, non lo
si sarebbe distinto dagli altri adolescenti della sua età.
E
Gormlaith O'Buckley giaceva nel proprio letto senza più la
forza di
muoversi, con il volto grigio, la pelle cadente e le dita gonfie e
tremanti. La luce che filtrava dalla finestrella impolverata nella
sua stanza disegnava pesanti ombre sulla sua faccia stanca, ma gli
occhi neri brillavano ancora risoluti mentre fissava l'espressione
rapita con cui Remus recitava i passi della Bibbia.
Sedeva
sempre sul solito sgabello malmesso, ma quel giorno il caldo
dell'estate soffocava più del solito e Remus indossava solo
una
vecchia canottiera bianca dall'aspetto frusto. Portava ancora i
calzoncini corti, ma zia Maire aveva già preso qualcuno dei
vecchi
pantaloni di zio Patty e li stava stringendo in vista dell'autunno.
“ Sei
tutto ossa, ragazzo” aveva dichiarato mentre prendeva la
misura del
suo girovita. “Och, ma in quel collegio
cattolico della
Scozia vi danno da mangiare?”.
«E
Gesù disse loro; ‘In verità vi dico:
voi che mi avete seguito
nella nuova creazione, quando il figlio dell’uomo
sarà seduto sul
trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a
giudicare le dodici tribù di Israele’».
Remus sollevò appena
un sopracciglio, rivolse alla nonna un’occhiata divertita e
aggiunse: «Sembra un proclamo dei conservatori».
Ridacchiò nel
vedere l’espressione offesa lampeggiare nelle pupille di Gora
e
riprese la lettura. «Chiunque avrà
lasciato case, o fratelli, o
sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome,
riceverà
cento volte tanto e avrà in eredità la vita
eterna. Molti dei primi
saranno ultimi e gli ultimi i primi. Mmh, adesso invece fa
il
comiziante laburista».
Le
narici di Gora si dilatano appena. Remus scoppiò in una
risata
fragorosa e appoggiò la propria mano su quella
dell’anziana donna.
«Och,
nonna, stavo solo scherzando» si scusò
sinceramente con un lesto
sorriso innocente. «So perfettamente che Gesù vota
per il Fianna
Fàil».
«All'Inferno
c'è un sacco di gente che scherzava troppo»
borbottò stentatamente
Gora. La sua voce era bassa e pastosa, e la mancanza dei denti
rendeva quasi impossibile afferrare il senso di ognuna delle sue
parole, ma Remus ci aveva fatto l'abitudine. Era l'unico, in effetti,
capace di comprendere i suoi vaghi lamenti senza costringerla a
ripetere ogni frase almeno tre volte.
Gora
non glielo aveva mai confessato apertamente, ma Remus aveva
l'impressione che avesse iniziato a trarre piacere dalla sua
compagnia. Sfogliò nuovamente la vecchia copia della Bibbia
e le
domandò se ci fosse qualche brano in particolare che
desiderasse
ascoltare, ma lei scosse leggermente la testa e Remus si
sentì
libero di scegliere il suo preferito.
«Una
serva si avvicinò a Pietro e gli disse: ‘Anche tu
eri con Gesù il
Galileo!’. Ed egli negò davanti a tutti:
‘Non conosco
quell'uomo’. Giunse un'altra serva e disse: ‘Costui
era con Gesù
il Nazareno!’. Ma egli negò ancora:
‘’Non conosco quell'uomo’.
Infine gli si accostarono altri presenti e dissero a Pietro:
‘Anche
tu sei uno di loro. La tua parlata di tradisce’. Allora
Pietro
imprecò e giurò una terza volta: ‘Non
conosco quell'uomo!’. E
subito un gallo cantò». Remus tacque,
d'un tratto pensieroso.
«Tu hai sempre creduto in Dio, nonna?».
«Ho
creduto in Dio da sempre»
mormorò la donna. «Ma non
sempre».
Remus
alzò il viso dalla Bibbia e aggrottò confuso la
fronte.
«C'è
differenza?».
Parve
quasi che le labbra bluastre e screpolate di Gora si fossero piegate
in un lievissimo sorriso.
«Dio
conosce i limiti del proprio Creato. La fede è come l'amore,
come la
vita, come l'uomo... e come talvolta se ne vanno loro, talvolta se ne
va anche lei. Talvolta tornano, talvolta no».
«E
la tua quand'è tornata?».
«La
domanda più furba sarebbe stata “quando l'ho
perduta”, ma tu
resti sempre un inglese, e di furbizia siete sempre stati
magri».
Remus
schioccò la lingua come sua madre.
«Och,
nonna, quanto hai ragione».
Gora
rimase in silenzio per un lunghissimo momento. Dalla finestra aperta
salivano i cori dei bambini che giocavano a pallone nella strada di
sotto e gli strepiti delle donne che stavano stendendo il bucato
fresco. Remus si godette un improvviso alito di vento che gli
accarezzò la nuca sudata.
«Ho
perduto la fede quando ho perduto tuo nonno»
raccontò dopo un
attimo di esitazione Gora. «Noi irlandesi non volevamo fare
quella
dannata guerra. E sai che ti dico, ragazzo? Se l'avessimo fatta fin
da subito, och, saremmo stati dalla parte dei
tedeschi solo
per fare un torto agli inglesi». Si fermò e si
schiarì la voce in
un fiacco suono gutturale. «Ma poi i loro aerei hanno beccato
Dublino e gli animi si sono infiammati. Tuo nonno era un vero
irlandese, un vero irlandese nato a Kinsale... ed è andato a
morirsene nelle dannate coste danesi, och».
Remus
era a conoscenza della storia di Malachy O'Buckley, ma non l'aveva
mai sentita raccontata dalla bocca sdentata di sua nonna –
non
l'aveva mai sentita raccontata davvero, in effetti.
“ È
inutile che tu mi chieda di lui” era stata la risposta di sua
madre. “Io non avevo nemmeno un anno, Remus, che vuoi che
ricordi?
Prova a chiedere a tua zia Fiona: non ha mai scordato un torto in
vita sua, lei”.
“ Che
torto, mamma?”.
Branna
aveva schioccato la lingua con la sua espressione più
spavalda e
aveva liquidato la questione con un gesto scocciato della mano.
“ Och,
hai quattro figlie, una moglie da sfamare e che fai, te? Vai a farti
sparare dai fottuti nazisti. Bell'affare”.
Il
tono della voce di Gora non suonava risentito quanto quello della
figlia minore. Era più debole e incerto, ma le sue parole
erano
scandite da tiepida nostalgia. Remus richiuse la Bibbia,
appoggiò il
mento fra le mani e le rivolse un'occhiata curiosa.
«Deve
essere stato crudo come l'Inferno, nonna».
Gora
emise uno strano soffio ironico. La sua risata uscì dalla
bocca
sdentata come un vago colpo di tosse grassa.
«Per
lui che è andato a morire nel culo d'Europa? Och,
puoi
giurarci che lo è stato. Io ero a casa a patire la fame con
quattro
bimbe, sì, ma l'Irlanda era piena di fame e bambini pure
prima della
guerra, ragazzo. E qua avevano tutti paura che Kinsale diventasse
come Dublino, che passasse un caccia a farci esplodere mentre stavamo
a Messa... ma non era l'Inferno, no. Tuo nonno, lui sì, che
c'è
andato a morire. Io no. Io ci sono solo passata accanto».
«Credevo
che la fede servisse a farsi forza nei momenti più
difficili»
commentò seriamente Remus.
«Ed
è nei momenti più difficili che ti
molla».
«E
ti ha mollato».
La
donna annuì con blanda fiacchezza.
«Perché
se ne è andato?» le chiese dopo un po'.
«L'Irlanda non scese in
guerra. Chi partì lo fece come volontario. Aveva quattro
bambine
piccole e te... perché l'ha fatto?».
Le
labbra di Gora si piegarono nel primo vero sorriso che Remus le
avesse mai visto fare.
«Perché
era un irlandese con le palle, ragazzo. Partì dalla stazione
di
Cork. Quel giorno c'erano un sacco di irlandesi con le palle a
prendere il treno. “Non me ne frega un accidente se quelli
sparano
agli inglesi” mi ha detto. “Ma che facciamo se poi
perdono e i
tedeschi pensano di venire pure qua? C'è mezza Dublino che
brucia
per colpa loro. Che facciamo, se dovesse bruciare tutta
l'Irlanda?”».
«Non
hai cercato di fermarlo?».
Gora
schioccò la lingua contro il palato con la stessa identica
arroganza
con cui era solito farlo sua figlia. Remus sorrise d'istinto nel
guardare gli occhi neri di sua nonna brillare fieri sul suo volto
scavato. Una piacevole sensazione di calore gli inondò il
petto.
«Se
Dio non m'avesse fatto le tette, sarei andata con lui. Di', ragazzo,
te che studi così tanto... che sarebbe successo, se avessero
vinto i
tedeschi? Se fossero arrivati anche qua, che ne sarebbe rimasta
dell'Irlanda?».
Remus
si umettò le labbra e ingoiò un fastidioso groppo
di saliva.
«Niente».
«Och,
niente. E lo sapevamo tutti» aggiunse con asprezza.
«Te non saresti
andato?».
Lui
chinò la testa e sfiorò distrattamente la croce
sulla copertina di
pelle rovinata della Bibbia. Aveva la mente rivolta altrove, a
immaginarsi il fango della Danimarca della Seconda Guerra Mondiale,
l'eco delle cannonate tedesche nelle orecchie e il puzzo stantio del
sudore di mille uomini terrorizzati. E poi un ricordo ben
più crudo
si affacciò nella sua testa.
“ Queste
su Lord Voldemort non sono stronzate” riecheggiò
la voce di
Sirius. “Il Ministero può continuare a dirci che
è solo un
momento passeggero tutte le volte che vuole, ma questo non lo
è per
niente. Diavolo, dovreste sentire le cose che dice mia cugina
Bellatrix a cena. Meglio prepararsi, ragazzi, perché quelli
che
stanno arrivando sono davvero tempi di merda”.
«Sì»
sussurrò fra sé e sé.
Gora
assottigliò le palpebre e scosse appena la testa. Remus
alzò lo
sguardo su di lei e fece un respiro profondo.
«Och,
nonna, certo che sarei andato anch'io».
Le
dita artritiche della vecchia si allungarono deboli fra le coperte e
lui appoggiò la propria mano sulla sua. Nonostante la
malattia se la
stesse mangiando giorno dopo giorno con foga sempre più
crescente,
la stretta di Gora era salda e decisa – era quella di una
donna di
Kinsale.
«Hai
la faccia da inglese, ma parli come un irlandese». Nei suoi
occhi si
era accesa un'inaspettata luce orgogliosa. «E ora va' a farti
un
giro, voglio riposare».
Remus
annuì, si alzò in piedi e si chinò
verso il comodino per riporre
la Bibbia, ma Gora lo interruppe con aria seccato.
«Prendila
te».
Lui
si bloccò stupito. Sua nonna non era quel tipo di persona
particolarmente propensa a elargire lodi e regali. E a quella Bibbia
era sempre stata particolarmente affezionata. Era vecchia e puzzava
di muffa, l'inchiostro era scolorito e qualche pagina si era
addirittura staccata. La copertina di pelle esibiva i segni del
tempo, dei tarli e di infiniti passaggi di mano in mano.
«Ma
domani tornerò alla solita ora a leggertela,
nonna».
«Och,
certo che sì. E sarà meglio che te ne
ricordi».
Remus
accennò un sorriso gentile e aprì la bocca con
l'intenzione di
declinare l'offerta, ma Gora parve leggergli nella mente.
«Ti
ho detto di prenderla. Non si sputa mai nel brodo che ti viene
offerto. Io non riesco più a leggere un dannato accidente,
ma tu sì»
si fermò, socchiuse le palpebre con aria stremata e aggiunse
al
soffitto: «E ne avrai bisogno. Och,
ragazzo, fidati di me. Te
non ci vuoi credere, ma un giorno ne avrai più bisogno di
me».
*
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