INaH - 1
Bene, prima o poi dovevo decidermi a farlo: questa storia doveva uscire dal mio pc.
È la prima che scrivo in questo fandom e mi stupisco
di aver cominciato con una long, ma tant’è. Mi sono
infilata in territori che frequento poco e spero che la seconda parte
non risulti un po’ troppo surreale anche per chi segue supereroi;
quanto alla prima parte, ero nel mio campo, ma non so cosa ne sia
uscito, ho avuto dubbi su tutto per un sacco di tempo. Nel caso, spero
sarete magnanimi nel perdonarmi un tantino di marysueismo, può
capitare a chiunque, anche a chi lo rifugge da sempre.
Infine – nota che potrebbe essere inutile, ma non la
ritengo tale – questa è una storia molto musicale, che ha
pesantemente risentito delle canzoni che ho ascoltato scrivendola. Mi
farebbe piacere se qualcuna incuriosisse anche voi.
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono
proprietà degli aventi diritto (non fatemeli citare tutti, vi
prego); questa storia è stata scritta senza alcun scopo di
lucro.
La canzone che introduce il capitolo è quella che da
il titolo alla storia: “I need a Hero” di Bonnie Tyler,
dalla colonna sonora di “Footloose” (quello vecchio, che io
c’ho un’età).
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
Sara
Capitolo 1
Up where the mountains meet the heavens above
Out where the lightning splits the sea
I could swear that there's someone somewhere
Watching me
“Se ritieni ancora che sia la cosa giusta da fare,
penso di avere la persona perfetta.” Dichiarò Pepper,
mentre sistemava alcune carte sulla scrivania.
“Certo che lo è!” Esclamò Tony,
immerso nella proiezione di almeno quaranta schermi diversi.
“Quel ragazzo è incapace di affrontare questo secolo senza
aiuto, almeno quanto è capace di sconfiggere da solo
un’orda di alieni!”
“Bene, allora trovi i dati sullo schermo trentadue.” Riferì la donna.
Stark acchiappò con la punta delle dita la proiezione
dello schermo trentadue e lo trascinò all’altezza dei suoi
occhi con un gesto simile ad un dritto di tennis, poi lo
ingrandì.
“Euridice Spitz…” Lesse attento, quindi si
grattò il pizzetto scolpito. “Che razza di
nome…”
“Tutti la chiamano Dixi.” Riferì la Potts.
“Ecco! Dixi Spitz, mi piace!” Esclamò
allegro l’uomo, battendo le mani. “Sembra il nome di una
pornostar, è divertente! Parlami un po’ di lei.”
“Laureata ad Harvard, ottimo quoziente intellettivo,
lavora con noi dal 2007, brillante programmatrice, acuta osservatrice,
poco appariscente, sensibile, carattere aperto, ama la musica, i
fumetti e conosce quattro lingue…” Elencò la donna.
“Non so se ricordi, ma si tratta della ragazza per cui i tuoi
avvocati hanno fatto un accordo col procuratore federale Palmer.”
“Ah, sì!” Esclamò Tony.
“È stato un ottimo intrattenimento, leggere quei
verbali.” Aggiunse. “E per quanto riguarda le
abilità più… diciamo, di sopravvivenza?”
S’informò poi Stark.
“Mai tenuta in mano un’arma.” Riferì
Pepper. “Se escludiamo la mazza da softball con la quale ha
picchiato il vice allenatore del liceo che molestava una sua
compagna.”
Tony la guardò sorpreso, poi fece un sorriso storto.
“Questa ragazza già mi piace… Spero lo abbia
spedito nel coro delle voci bianche.”
“Non sono informata su questo particolare.” Ammise lei.
“Oh, Miss Potts, lei mi delude…”
“Sono spiacente, Mister Stark.”
Si scambiarono uno sguardo complice e malizioso, poi Pepper
gli si avvicinò e gli circondò le spalle con le braccia,
appoggiando il mento sulla sua spalla. Si sorrisero.
“Allora, cosa ne pensi?” Domandò la donna, accennando allo schermo.
“Hm, avrebbe bisogno di un parrucchiere e, forse, delle
lenti a contatto…” Affermò lui, osservando lo
schermo. “…e magari un push up…”
“Tony!” Lo rimproverò scherzosamente Pepper.
“Non è nemmeno brutta brutta…” Lei
gli diede una spinta. “Penso che vada bene, ci si può
fidare?”
“Non te l’avrei proposta, altrimenti.” Rispose lei, prima di baciargli la guancia.
La ragazza si tormentò di nuovo le mani, mentre sedeva
impacciata su quella poltrona di pelle nell’atrio tutto marmi e
cristalli dell’ufficio di Tony Stark.
Era la prima volta che la convocavano ai piani alti, lei che
di solito era relegata nel suo ufficio angusto, ad un modesto
trentesimo piano da dove non si vedeva nemmeno il cielo.
Quando, due anni prima, era arrivata all’Ufficio
Incarichi Speciali, aveva giustamente pensato che avrebbe avuto un
incarico speciale, non soltanto un avanzatissimo pc da dove risolvere
misteriosi bug in altrettanto misteriosi software. Per carità,
le piaceva il suo lavoro, non era fatta per mestieri come fare la
cameriera o la barista, tanto imbranata con le cose pratiche quanto era
abile col computer. Adesso, invece, la signorina Potts – braccio
destro/compagna/amministratore delegato di Tony Stark – le aveva
proposto un incarico davvero speciale. Ancora non sapeva di cosa si
trattasse, ma era abbastanza nervosa.
Era necessario che incontrasse il gran capo in persona. Lei
lo aveva visto solo in televisione. Aveva tutta l’apparenza di un
tipo dall’ego strabordante che si divertiva ad infilarsi dentro
un’ipertecnologica armatura e salvare il mondo.
Beh, in effetti, sembrava proprio che lo avesse fatto
più di una volta. Solo qualche mese prima un’invasione di
mostruosi alieni era stata fermata da un fantomatico gruppo di super
eroi, lasciando la città devastata. Ora c’erano lavori in
corso praticamente ovunque e lei doveva fare lo slalom tra buche e
cantieri per arrivare ogni giorno al lavoro.
Chissà cosa l’aspettava adesso… Si strinse di più nel maxi cardigan nero e attese la chiamata.
Pochi istanti dopo la testa biondo fragola di Pepper Potts
apparve tra le ante di legno lucido alla sua destra. Le sorrise
gentile, mentre lei si alzava.
“Ora puoi entrare, Dixi.” Le disse la donna.
“Grazie.” Fece lei e si diresse verso la porta.
L’ufficio di Stark era il più bello che Dixi
avesse mai visto. A parte le immense vetrate da cui si poteva godere
della vista dell’intera baia fino al New Jersey, tutto
l’arredamento era modernissimo eppure elegante, con oggetti
particolari che rispecchiavano sicuramente la personalità
eclettica del proprietario delle Stark Industries.
“Oh, Dixi Spitz!” La accolse entusiasta
l’uomo dietro la scrivania, osservandola con due brillanti occhi
scuri. “Finalmente la conosco, la Signorina Potts mi ha parlato
moltissimo di lei.”
“Ah, davvero?” Mormorò lei un po’ intimidita, con un sorriso tirato.
Pepper le sorrise. “Tranquilla, cara.” Le disse rassicurante. “Siediti.” La invitò poi.
La ragazza sorrise, ancora un po’ rigida, sedendosi sul
bordo della poltroncina. I sorrisi della Potts e di Stark erano
gentili, ma era comunque davanti al suo capo, non riusciva a rilassarsi
del tutto.
“Allora, Dixi, ti senti pronta per il tuo primo incarico speciale?” Le chiese Tony.
“Beh… non ho ben capito di cosa si
tratta…” Ammise titubante la ragazza, spostando lo sguardo
tra l’uomo davanti a se e la donna al suo fianco.
“Hai presente un life coach?” Fece Stark.
“Ehm, sì… ne avrei bisogno…” Rispose lei con un sorriso nervoso.
Tony guardò scoraggiato Pepper. “Non è la risposta che mi aspettavo…” Biascicò deluso.
“Non mi state chiedendo di insegnare a vivere a qualcuno, vero?” Domandò preoccupata Dixi.
“Oh, no, cara!” Soggiunse immediata la bionda, prendendole la mano.
“Vogliamo solo che insegni a qualcuno come funziona questo secolo.” Precisò Tony.
“Come: questo secolo?!” Esclamò incredula
la ragazza. “Perché, dov’è stato finora? Cosa
gli è successo? È stato in coma?”
S’informò con febbrile curiosità.
“Una cosa del genere…” Spiegò vaga Pepper.
“È stato, diciamo… in freezer…” Aggiunse Stark con un sorriso beffardo.
“Cosa?!”
“Ibernato.” Affermò la donna.
“Sotto ghiaccio per un po’ di tempo, tutto qui.” Disse lui a mani aperte.
“Andiamo, mi prendete in giro?!” Sbottò
Dixi offesa. “Non sono una stupida! Nessuno potrebbe uscirne
vivo!”
“Senza entrare in particolari, è un tipo piuttosto resistente.” Dichiarò Tony.
“E quanto ci sarebbe rimasto, sotto ghiaccio?” S’informò lei.
“Beh…” Soffiò la bionda, guardando altrove.
“Più o meno settant’anni.” Rispose l’uomo.
“Ok, mi state prendendo in giro.” Sostenne Dixi.
“È una specie di prova, per vedere quanto ci metto a
capire che è uno scherzo… Non so il motivo, ma mi state
esaminando…”
“Non è uno scherzo, Dixi.” Le disse seria Pepper.
“Il mio amico è stato veramente ibernato per
settant’anni ed ora ha bisogno di qualcuno che gli spieghi come
vanno le cose nel ventunesimo secolo.” Aggiunse Tony.
Lei li osservò guardinga per qualche minuto, spostando gli occhi da uno all’altra, ancora dubbiosa.
“Bene, ammettiamo anche che sia vero.”
Affermò poi. “Ma questo tizio, ormai, sarà
decrepito…”
“Ti assicuro che si è conservato piuttosto bene…” Sostenne convinta la bionda con sguardo compiaciuto.
“Signorina Potts!” La rimproverò Stark,
lei si strinse nelle spalle con un sorriso incurante. “Dixi
Spitz…” Riprese poi l’uomo, rivolgendosi
all’altra donna. “…ti assicuro che, se accetterai la
mia proposta, ci saranno enormi vantaggi per te.”
“Sentiamo un po’ di cosa si tratta.” Fece
lei, più collaborativa. Gli altri due si scambiarono uno sguardo
significativo.
Nei giorni successivi, dopo l’accettazione
dell’accordo, Dixi ebbe un avanzamento di carriera con relativo
aumento di stipendio, il trasferimento in un nuovo, luminoso
appartamento con vista sul parco e perfino una macchina. L’unica
cosa che mancava era l’uomo dei ghiacci.
Una mattina, però, le arrivò un messaggio sul
fiammante Blackberry d’ordinanza – che lei riteneva
indubbiamente tracciato dalle industrie Stark.
«Clark Building,
piano interrato, 416 della 32° - riconoscimento all’entrata
– Capitano Steve Rogers» questo era il testo.
E lei sapeva che si trattava praticamente di un ordine. Prese
le chiavi della macchina, sapendo che non avrebbero accettato che
evitasse il traffico usando la metropolitana.
Il Clark Building era un edificio come tanti, nel centro di
New York. Quando Dixi entrò si trovò davanti un anonimo
atrio con un semplice e spoglio bancone, dietro il quale c’era
una donna in uniforme nera. La ragazza si avvicinò.
“Salve.” Salutò, attirando
l’attenzione della guardia. “Cerco il Capitano Rogers, mi
manda il Signor Stark.” Le disse quindi.
“Il suo cartellino di riconoscimento?” Replicò immediata l’altra donna.
Dixi le passò il proprio badge e quella lo introdusse
in un lettore, poi aspettò che i dati comparissero sul suo
schermo, mentre uno scanner di riconoscimento facciale analizzava i
tratti della ragazza.
Santo cielo, ma dove siamo, all’Area 51… pensò Dixi infastidita.
“Devo lasciarle anche l’esame della retina?” Scherzò sarcastica, la guardia la guardò malissimo.
“Può andare.” Le disse fredda,
restituendole il tesserino. “Tenga il badge in vista, il piano
è il B3.” Aggiunse, indicandole l’ascensore.
Dixi lo prese, premette il tasto per il terzo piano interrato
e, quando le porte si aprirono, si ritrovò in uno stanzone
grigio, attrezzato in modo simile ad una palestra. E lei odiava le
palestre.
S’incamminò lungo il grande spazio deserto,
osservando i vari attrezzi che le ricordavano una sala di tortura; ad
un certo punto si fermò, notando un qualcosa che doveva essere
stato un vogatore, ma che adesso giaceva praticamente smontato sul
pavimento. Alzò le sopracciglia, stupita.
Un rumore la distrasse dalla contemplazione. Si voltò
e vide, dietro una parete formata da sostegni per i pesi, un piccolo
ring, sul quale un uomo fendeva l’aria con i pugni. Aggirò
la rastrelliera ed ebbe una visuale migliore.
Lui indossava i pantaloni di una tuta ed una canottiera
bianca. Il suo corpo era quanto di più vicino alla perfezione
Dixi avesse mai visto: due spalle larghe e scolpite scendevano verso
una vita sottile e poi in due gambe chilometriche. I glutei marmorei
riempivano perfettamente il tessuto aderente della tuta. La ragazza non
poté trattenere la sua bocca dall’aprirsi incredula.
E questo sarebbe Capitan Sotto
Zero? Santo cielo, tesoro, ti sei conservato meglio di un trancio di
merluzzo! Tutto questo ben di Dio sprecato sotto i ghiacci della
Groenlandia?! Che il Signore benedica le attrezzature moderne!
Questi furono i veloci pensieri di Dixi, prima che il panico
di dover dividere l’appartamento con lui prendesse il sopravvento.
Si avvicinò timorosa al ring. Lui sembrava talmente
concentrato che non se ne accorse. Dixi poté osservarlo di
soppiatto ancora un po’.
Lei non si poteva certo considerare un’esperta in fatto
di uomini. Sì, aveva avuto un paio di storie importanti, ma poco
più. E nessuno dei suoi grandi amori si poteva considerare un
adone. Che gli raccontava lei, a uno così? Si ricordò dei
bellocci sportivi del liceo, che la chiamavano Bastoncella, o Stecco, o
Stampella e la deridevano per gli occhiali e l’apparecchio…
Dio, fa che non sia uno stronzo, ti prego… supplicò, prima di fermarsi a qualche metro dal ring.
“Capitano Rogers?” Chiamò interrogativa.
L’uomo si fermò e si voltò, ansimante e
sudato. Aveva un bel viso da bravo ragazzo americano, grandi gentili
occhi blu circondati da lunghe ciglia. I capelli biondo scuro erano un
po’ scompigliati.
“Sì.” Fece, con la voce appesantita dal
respiro veloce. “La Signorina…” Sembrò
riflettere per un secondo. “…Spitz?”
“Sì.” Annuì lei.
Lui la osservò per un istante, forse incuriosito dai
jeans skinny neri infilati in un paio di anfibi pieni di borchie, o
dalla maglietta col Tricorder di Star Trek e la scritta «Ricerco
vita intelligente». Lei si sentì imbarazzata e
abbassò gli occhi.
Rogers, a quel punto, afferrò una delle corde del ring
e, con un balzo elegante, volò con agilità direttamente
sul pavimento sottostante, come avesse saltato non più di un
paio di gradini. Sconvolta dal gesto atletico, Dixi spalancò gli
occhi.
“Piacere di conoscerla.” Fece lui, porgendole la mano.
“Piacere mio.” Replicò lei,
stringendogliela. “Lo fa spesso?” Aggiunse, indicando il
ring, lui la fissò interrogativo. “Il salto, dico.”
Il capitano si strinse nelle spalle. “È un salto basso.”
“Sì, basso…” Dixi guardava i quasi
due metri, perplessa. “Io mi sarei frantumata le rotule, ma
è basso, sì…”
“Deduco che il Signor Stark non le abbia parlato delle mie caratteristiche.” Affermò l’uomo.
“Ehm… no.” Ammise lei.
“Quindi sarà un argomento di conversazione…” Mormorò rammaricato.
“Come vuole.” Lo stupì lei, stringendosi nelle spalle. “Se non vuole parlarne, non lo faremo.”
La osservò per un attimo. La ragazza era abbastanza
alta, ma piuttosto magra; i capelli, di un castano smorto, erano
raccolti in una coda arruffata. Doveva avere dei begli occhi, di un
nocciola dorato, ma erano nascosti dietro un paio di grandi occhiali
squadrati dalla grossa montatura nera. La pelle era chiara, con leggere
lentiggini. Forse aveva più anni di quelli che dimostrava.
C’era una strana malinconia nel suo sguardo e questo
gl’ispirò fiducia.
“Senta…” Riprese Rogers. “…se
non le dispiace, vado a farmi una doccia, poi potremo parlare.”
“Prego, vada pure.” Lo invitò lei, con un bel sorriso. “Io l’aspetto qui.”
Meno di un’ora dopo erano seduti ad un tavolino
all’aperto, davanti ad un trancio di pizza. E non sapevano cosa
dirsi.
Lui sembrava… timido, e si limitava a mangiucchiare la
sua pizza distrattamente. Lei avrebbe preferito essere sepolta viva,
piuttosto che avere addosso gli sguardi degli altri clienti del locale.
“Sembra che non riusciamo a rompere il ghiaccio, eh
Capitano?” Fece ad un certo punto Dixi, stanca di quel silenzio
fastidioso.
“Per due che dovranno vivere insieme è un po’ strano, vero?” Replicò lui con un breve sorriso.
“Pare che non abbiamo molto in comune…” Ipotizzò lei, prima di bere un sorso di coca.
“Non ci conosciamo per niente, è presto per
dirlo.” Affermò Rogers, sorprendendola. Il suo tono era
ottimista e le piaceva la sua voce, era mite, dolce.
“Perché lo dice?” Chiese quindi l’uomo.
“Beh…” Rispose lei, dopo essersi pulita la
bocca. “…stiamo su due lati diversi della
figaggine.” Il capitano la fissò interrogativo. “Lei
è un figo e io una sfigata.” Spiegò Dixi,
scrollando le spalle.
Rogers abbassò gli occhi con una smorfia amara.
“Non sono sempre stato così.” Affermò poi.
“E lei non mi sembra tanto sfigata. Mi creda, so bene cosa
significa esserlo.”
Dixi lo fissò sospettosa. Santo cielo, era bello! E
atletico! E c’erano almeno cinque ragazze distribuite su due
tavolini diversi che la guardavano con odio solo per essere seduta con
lui! Che discorso era quello?
“Va bene, allora, conosciamoci meglio.”
Affermò infine, dopo un lungo respiro. “E smettiamola con
le formalità, è assurdo se dobbiamo convivere.”
Lui sorrise, visibilmente più rilassato. “Molto
bene.” Annuì, poi le porse di nuovo la mano. “Io
sono Steve.” Si presentò.
Lei gli strinse la mano e sorrise a sua volta. “E io sono Dixi.” Gli disse.
“Dixi?” Fece Steve, tornando seduto
compostamente. “Ma sul tuo tesserino c’era una E
puntata…”
“Oh, beh…” Mormorò la ragazza,
tormentandosi un buco nei jeans. “…in realtà il mio
nome di battesimo è un imbarazzante Euridice…”
“Imbarazzante perché?” Replicò lui con tono sincero. “È un bel nome, particolare.”
“Sei il primo che lo dice.” Commentò la
ragazza. “Nessuno ha mai pensato che fosse carino avere il nome
di una tizia rimasta intrappolata nell’Ade…”
“Non m’interessa.” Negò Steve. “Euridice è più bello di Dixi.”
“Devo dedurre che mi chiamerai Euridice, quindi…” Sostenne lei con tono lugubre.
“Sì.” Annuì l’uomo, prima di addentare nuovamente la sua pizza.
“Quando pensi di trasferirti?” Gli domandò allora la ragazza.
“Non ho molta roba.” Affermò lui. “Quando fa più comodo a te, Euridice…”
Dixi alzò gli occhi con divertito rimprovero quando
lui sottolineò divertito il suo nome; il capitano rise piano.
Aveva un bel sorriso.
“Quanto sei spiritoso, Stevie…” Lo prese
in giro lei. “Ad ogni modo, sono venuta in macchina, puoi
caricare le tue cose e trasferirti stasera stessa.”
Dixi stava finendo di preparare la cena, mentre Steve era
appollaiato su uno degli sgabelli di cucina con Zephyr acciambellata in
grembo.
Quella traditrice di una gatta! Era altezzosa e scostante con
qualunque umano le si avvicinasse, compresa la sua padrona e
dispensatrice di cibo, ed ora arrivava Capitan Ghiacciolo con i suoi
occhioni blu e in meno di un secondo scoccava l’amore
incondizionato!
La ragazza osservò per un attimo l’uomo che
carezzava con dita gentili il morbido pelo argentato del gatto e
pensò che, con la sua camicia a quadretti e i capelli pettinati
con la riga di lato, era così adorabilmente fuori moda da
sembrare uscito da un film di Lubitsch.(1)
Lui alzò improvvisamente i suoi sinceri occhi azzurri
su di lei e le sorrise con dolcezza. Dixi poté solo rispondere
allo stesso modo.
“Non avevi detto che la tua gatta era sociopatica e
lunatica?” Le chiese, mentre delle chiaramente avvertibili fusa
riempivano la stanza.
“Lo è.” Rispose scoraggiata. “Ma
evidentemente avevo sottovalutato la sua mancanza di feromoni
maschili.” Aggiunse sarcastica. Ridacchiarono.
“Potevo aiutarti, con la cena.” Affermò Steve, accennando alle stoviglie.
“Cominceremo da domani a spartirci i compiti.” Decretò Dixi, mentre cominciava ad apparecchiare.
“Non è la prima volta che convivi con
qualcuno.” La ragazza lo guardò, non era una domanda ma
una costatazione.
“Già.” Ammise quindi.
“All’università avevo un coinquilino, adorabile
ragazzo gay.” Raccontò poi. “Ed ho vissuto un paio
d’anni col mio fidanzato, Julian.”
“Ah…” Fece Steve, con un tono strano, deviando gli occhi. “E lui dov’è ora?”
“Fidanzato con un’altra.” Rispose Dixi senza amarezza.
“Mi dispiace.” Mormorò lui e sembrava veramente rammaricato. “Spero tu non abbia sofferto.”
“Non più di tanto.” Disse lei, scrollando
le spalle. “Non eravamo tutta questa perfezione, come
coppia.” Aggiunse, mentre mescolava l’insalata. “E
tu, ce l’hai una ragazza?”
Steve la guardò stupito. “Non credi che, nel caso, sarei con lei?”
“Oh, sì, che scema… scusa!”
Esclamò Dixi, ma poi vide sul viso dell’uomo
un’espressione triste e remota e capì di aver toccato un
tasto infelice. “Lasciamo stare, dai!” Fece allora,
cambiando argomento con tono allegro. “C’è una cosa
che voglio chiederti da stamattina.”
“Dimmi.” La incitò lui.
“Cosa è successo a quel vogatore, nella palestra? Era tutto smontato…” Domandò la ragazza.
“Oh…” Esalò Steve, grattandosi
imbarazzato la nuca. “Alla seconda vogata è andato in
pezzi, credo che fosse assemblato male…”
“Sì, oppure sei Capitan America!”
Commentò divertita Dixi, prima di girarsi verso il lavello a
prendere i bicchieri.
Il silenzio pesante che avvolse la stanza fu l’unica
replica che giunse da Rogers. Qualcosa fece realizzare a Dixi di aver
appena affermato una verità pensando di dire una cazzata. Si
girò verso di lui e lo vide fare un sorrisino tirato.
“Tu non sei Capitan America, vero?” Gli chiese titubante.
“Sì.” Rispose impacciato lui.
“Quello con la tutina a stelle e strisce e lo scudo invincibile…”
“Lui…”
“Cioè, te ne vai in giro a combattere i cattivi con addosso una calzamaglia patriottica?”
“Detto così, sembra un tantino ridicolo…”
“Anche se l’idea di te con addosso qualcosa di
aderente come una calzamaglia, potrebbe turbarmi molte notti a
venire…” Rifletté lei senza ascoltarlo, occhi al
cielo e indice sul mento.
“Guarda che i miei poteri sono una cosa molto seria per
me.” Dichiarò severo Steve, riportando l’attenzione
di Dixi su di se. “È un dovere che mi sono preso, una
responsabilità.”
La ragazza lo fissò, colpita. “Sembra proprio
che sia così.” Mormorò, rendendosi conto che lui
non scherzava davvero. “Scusami, se ti ho offeso.”
“No… insomma, non ti preoccupare.”
Replicò il capitano. “Il costume è solo una parte,
la più appariscente, ma non è quello che conta,
ciò che importa davvero è quello che faccio quando ce
l’ho addosso.” Precisò quindi.
“Ho sentito che hai salvato un sacco di gente, durante
l’attacco.” Gli disse, con un sorriso comprensivo.
“Quindi è ok, anche se somigli un po’ ad un
ballerino col sospensorio…”
“Un che?!” Esclamò sconvolto Steve.
“Mangia il pollo, Capitano, ti fa bene ai muscoli.” Soggiunse Dixi, spingendo il vassoio verso di lui.
Il mattino dopo, Steve si svegliò a causa della luce
che attraversava le tende chiare della sua camera. Doveva ammettere che
il letto era molto più confortevole di quello che aveva nel
bunker e vedere il sole di prima mattina lo metteva di buon umore.
Si alzò ed andò a scostare le tende. Una bella
giornata di primavera lo accolse, mentre osservava con un sorriso il
cielo azzurro sopra Central Park.
All’improvviso una musica lo distrasse dalla
contemplazione del panorama. Si voltò verso la porta, attraverso
la quale filtrava la melodia. Non era esattamente una delle cose che
era abituato a sentire un tempo, niente che uscisse da una radio degli
anni quaranta poteva essere così violento.
Incuriosito, lasciò la camera da letto. La musica si
fece subito più forte, ma lui dovette fermarsi, perché si
ritrovò Zephyr tra le gambe, che si strusciava miagolando.
“Andiamo dalla tua padrona.” Le disse, prendendola in braccio.
Trovarono Dixi che, in mezzo alla cucina, cantava il testo della canzone con una banana in mano.
“The walls start
shaking, earth was quaking, my mind was aching, we were making
it… And you shook me all night long! Yeah, you shook me all
night loooong!”(2)
“Buongiorno.” Salutò divertito Steve.
“Oddio!” Esclamò lei sussultando, poi si girò e abbassò la banana.
Si squadrarono per un attimo. Lei aveva addosso una maglia un
po’ lunga, ma che lasciava comunque scoperte abbondantemente le
gambe, mentre lui indossava nient’altro che un paio di boxer e un
gatto. Entrambi arrossirono e si voltarono nelle direzioni opposte.
“Metto i pantaloni!” Si ordinò Dixi, filando in camera propria.
“Prendo una maglia!” Dichiarò Steve, lasciando andare il gatto.
Pochi minuti dopo, quando tutti e due avevano recuperato la
propria dignità, il caffè era pronto e gli AC/DC erano
stati sostituiti da un pezzo meno duro, loro erano di nuovo seduti in
cucina come la sera prima.
Tutto era di nuovo tranquillo, si disse la ragazza. Anche se lo scolo dei suoi addominali mi tormenterà anche dopo la morte… pensò poi. Smettila di ragionare come una stupida fangirl! Si rimproverò, dandosi un pugno in testa.
Steve la guardò stranito, da sopra il bordo della sua tazza.
“Scusa, era per tutto un ragionamento con me stessa che preferirei non riferire…” Spiegò vaga lei.
“Tranquilla.” Le concesse il capitano. “Tu, adesso, vai al lavoro?” Le chiese poi.
“Sì.” Rispose la ragazza annuendo. “Tu hai qualche programma?”
“Hm…” Steve fece una smorfia.
“Sembra che attualmente non ci siano minacce aliene, folli
dittatori che vogliono assoggettare il mondo, né fanciulle in
pericolo, quindi posso considerarmi disoccupato.” Affermò
lui stringendosi nelle spalle.
“Hey!” Sbottò Dixi divertita. “Sei più autoironico di quello che pensavo!”
“Qualcuno mi ha fatto notare che mi prendo troppo sul serio.” Commentò lui; risero piano.
“Che ne dici di pranzare insieme, allora?”
Propose quindi la ragazza. “Mi passi a prendere verso l’una
alla Stark Tower e andiamo a mangiare al parco.”
“Mi sembra una buona idea.” Approvò l’uomo con un sorriso.
“Bene.” Annuì Dixi. “Te la cavi con
la metropolitana?” S’informò poi, presa da
un’improvvisa preoccupazione riguardo alle sue capacità di
sopravvivenza nella metropoli.
“È una delle poche cose rimaste simili ai miei
tempi.” La rassicurò Steve. “Penso di farcela.”
“Anche perché sarebbe imbarazzante per un
supereroe perdersi nella metro…” Ipotizzò ironica
la ragazza; lui la guardò con divertito rimprovero e lei rise.
Quando Steve si muoveva per la città, restava ancora sorpreso da quanto il mondo fosse cambiato.
Le cabine del telefono, ad esempio: esistevano ancora?
Insomma, sembrava che la gente vivesse in simbiosi con quegli aggeggi
portatili appoggiati all’orecchio, oppure in mano a scorrere gli
schermi con le dita, sempre con gli occhi fissi su qualcosa che
sembrava più interessante della vita vera.
Ne avevano dato uno anche a lui, Tony gli aveva detto che non
poteva vivere senza. Ancora non aveva neanche capito come fare una
telefonata. Sapeva che avrebbe dovuto chiederlo a Dixi, che gli sarebbe
bastata una breve spiegazione per capire, ma gli sarebbe piaciuto molto
di più farlo da solo… Non voleva sembrare stupido e
inutile.
E poi c’era il traffico, le automobili –
completamente diverse dai suoi tempi – i cartelloni pubblicitari,
i negozi… Tutto era un turbine di luci, suoni e colori quasi
disturbante.
Le persone erano cambiate forse più del resto. Nessuno
sorrideva più, salutava più, nessuno chiedeva permesso o
si scusava. Tutti sembravano arrabbiati e di fretta, troppo presi dallo
squillare dei telefoni per guardare in faccia chi gli passava davanti.
Si erano trasformati anche i vestiti. Come ti giravi potevi
vedere ragazzi dai bizzarri abiti colorati ascoltare musica
incomprensibile, ragazze con addosso praticamente niente – ma
davvero i genitori le mandavano fuori così? – donne con
tacchi vertiginosi. Perfino i completi grigi giacca e cravatta erano
diventati più morbidi, meno formali e impettiti di un tempo.
I costumi sessuali, poi, dovevano essersi evoluti in un modo
inaspettato. Come ti giravi potevi vedere cartelloni con donne
completamente nude che pubblicizzavano qualcosa che non c’entrava
niente col sesso. C’erano enormi manifesti di uomini in mutande
che esponevano i loro attributi in modo imbarazzante. C’erano
anche giganteschi pannelli retroilluminati con sopra coppie avvinghiate
in pose decisamente troppo poco caste.
Erano i momenti, quelli, in cui si sentiva più
spaesato. Andiamo, lui era nato nel 1917… Avrebbe dovuto essere
morto da un bel pezzo, come tutti quelli che conosceva, come la
città che una volta era la sua e ora non riconosceva.
Come… Peggy.
Si disse che non doveva ragionare così, mentre si
avvicinava all’imponente Stark Tower. Gli era stata data
un’altra possibilità ed ora, il suo tempo era quello e
doveva viverlo.
Gli sarebbe piaciuto sentirsi, nella vita, sicuro come in
mezzo alla battaglia, sapendo che poteva fare la differenza, che se
diceva la cosa giusta l’avrebbero seguito, ma vivere non gli era
mai riuscito così facile.
Sospirò, entrando nel moderno, elegante,
ecosostenibile atrio della torre e si diresse alla portineria, dove
un’impiegata lo stava già squadrando da capo a piedi con
espressione lussuriosa. Ma cosa sono diventate, le donne? Si disse sconsolato Steve.
Arrivato al trentesimo piano e attraversato un atrio con
diverse porte, Rogers trovò quella che cercava; oltre di essa
c’era un grande ufficio diviso in molti cubicoli.
Lì lavorava alacremente il più assurdo insieme
di esseri umani che lui avesse mai visto, ed era un Vendicatore…
Tra capelli dai colori più improbabili, accessori dall’uso
sconosciuto, bizzarre figurine umanoidi in plastica, penne biro col
ciuffo e la faccina, teschi inquietanti, il capitano riuscì a
scovare l’angolo di Dixi.
Anche la ragazza aveva il suo nutrito gruppo di improbabili
soprammobili. A parte lo scheletrino fosforescente che pendeva a lato
di uno dei suoi schermi, c’erano anche il poster di qualcosa che
poteva somigliare ad una nave spaziale appeso al muro – Millenium
Falcon? Bah… – un pupazzetto con le orecchie a punta e una
maglia blu seduto nell’angolo dietro lo schermo di destra, un
portapenne con un altro scheletro scolpito, c’era anche una fila
di borchie che decorava il bordo della scrivania.
“Capitano Rogers!” Esclamò la ragazza
appena lo vide, mentre lui esaminava ancora il piccolo spazio che
diceva così tanto di lei.
“Ciao.” La salutò lui con un breve sorriso. “Ufficio particolare, eh?” Aggiunse poi.
Lei si alzò sorridendo. “Ci lavora gente strana
qui, sai.” Gli disse in tono cospirativo. “Anche qualche ex
ricercato dal FBI…”
“Ricercato dal FBI? E per che cosa?” Rispose Steve allibito.
“Diciamo, per pura ipotesi, che abbia crackato alcuni codici segretissimi tipo della NASA…”
Lui la guardò male. “Tu non hai…”
“Ho detto: per ipotesi.” Sostenne Dixi.
“Dimmi, perché avevi quella faccia afflitta, quando sei
entrato?” Gli domandò quindi, cambiando agilmente
argomento.
“Oh, beh…” Fece lui, abbassando il capo.
“Non capisco perché le ragazze continuino a fissarmi in
quel modo, come se fossi… fossi…”
“Una cialda belga inzuppata nel cioccolato?” Lo imbeccò lei.
“Sì… è imbarazzante.” Disse Steve, massaggiandosi la nuca.
“Oh, ma tu devi capire che è più forte di
loro!” Esclamò Dixi. “Insomma, si vedono passare
davanti Capitan Culosodo e non gli danno nemmeno un’occhiatina
famelica? Hm, non sarebbero le ragazze di oggigiorno!”
“Non darmi questi nomignoli stupidi, somigli a Stark.” Brontolò offeso il ragazzo.
“E tu smettila di essere così umile!” Ribatté Dixi. “Dovresti tirartela come una fionda!”
“Io… io non sono così…” Mormorò lui, sempre ad occhi bassi.
“Ed è ok, non sei così, sei umile e
timido, va bene.” Annuì lei, prendendolo per gli
avambracci, Steve la guardò negli occhi. “Però devi
sapere che il rapporto tra i sessi è molto cambiato, mentre tu
eri sotto ghiaccio, non c’è più quel corteggiamento
demodé, fiori e cioccolatini, poi t’invito a ballare e ti
riporto a casa con un casto bacino.” Aggiunse a bassa voce.
“Non capisco cosa vuoi dirmi…” Fece lui smarrito, con le sopracciglia aggrottate.
“Che ora le donne sono sessualmente libere e quando
vedono un bel ragazzo, fanno di tutto per portarselo a letto.”
Gli spiegò dura lei. “E fanculo il matrimonio, i bambini e
la casetta monofamiliare.”
“Sembra che la cosa non ti piaccia.”
Affermò Steve stupendola. Lei spalancò gli occhi e si
scostò, abbassando poi il viso.
“Io… vorrei essere come loro, ma non mi
riesce.” Biascicò a capo basso. “Quindi resto
l’imbranata che non è capace di trovarsi uno straccio
d’uomo.”
“Hey, hai me!” Sbottò Steve, lei lo guardò incredula.
“Sì, ma noi…”
“Se sono veramente così attraente come
dici.” La interruppe lui. “È la volta che fai morire
d’invidia
queste donne così brave con gli uomini.”
“Lo faresti veramente?” L’interrogò la ragazza ancora stupita.
“Non mi costa niente, tenerti a braccetto.” Rispose il capitano con un sorriso dolce.
Dixi fece un gridolino allegro e acchiappò il braccio solido di Steve, poi alzò su di lui uno sguardo malizioso.
“Posso toccarti il sedere?”
“Ora non ci allarghiamo…” La rimproverò bonariamente lui.
“Va bene…” Piagnucolò delusa la
ragazza. “Solo perché è ora di pranzo.” Si
guardarono e risero, poi uscirono dall’ufficio sotto braccio, tra
le occhiate incredule dei presenti.
“Una mega con doppio formaggio e una normale con salame piccante,
sono sette e ottanta.” Disse con tono cantilenante il fattorino
della pizzeria.
“Grazie!” Rispose Dixi, allungandogli una banconota a dieci e dicendogli che poteva tenere il resto.
Portò le pizze sul bancone della cucina e poi, invece
di urlare al suo coinquilino, decise di adottare un sistema che a lui
sarebbe piaciuto decisamente di più: gli avrebbe bussato alla
porta.
La ragazza si diresse lungo il corridoio coperto da moquette
chiara, fino alla porta di Steve. Era socchiusa e poteva vederlo seduto
sul bordo del letto ad osservare alcune carte. Zephyr era accoccolata
poco più in là, contro qualcosa di azzurro e ben piegato.
“Posso?” Chiese Dixi. Lui alzò gli occhi e le sorrise.
“Certo, vieni.” La invitò.
Lei si avvicinò al letto guardando il gatto. “Quello non è il costume di Capitan America, vero?”
“Preferisco chiamarlo uniforme.” Precisò lui, mentre continuava a sorriderle.
“Comunque lo chiami, sarà pieno di peli di
gatto, la prossima volta che lo metti.” Fece lei con tono
sarcastico, mentre si sedeva accanto al ragazzo.
“Lasciala stare, è così dolce.”
Replicò Steve, carezzando appena il gatto, che rispose con fusa
entusiaste: a quanto pareva il colpo di fulmine era stato reciproco.
“Solo se poi mi lasci usare su di te il rullo leva
pelucchi.” Ribatté immediata Dixi, con un malizioso
sollevamento di sopracciglia. Lui la guardò strano, ma con gli
occhi divertiti.
“Lei, signorina Spitz, cerca troppi pretesti per mettermi le mani addosso.” Scherzò poi.
“Non è colpa mia, hai un corpo da reato!”
Esclamò la ragazza; risero. “Che stai facendo?”
Domandò quindi.
“Mettevo in ordine vecchie cose.” Rispose il
capitano, tornando con lo sguardo alle carte sul copriletto.
C’erano documenti ingialliti, vecchie foto, rapporti più
moderni, una quantità di documentazione medica, bellissimi
schizzi tracciati a matita.
Dixi ne osservò un paio, domandandosi se li avesse
fatti lui; nel caso, era veramente bravo e la delicatezza del tratto,
secondo lei, la diceva lunga sull’indole del capitano.
La sua attenzione, poi, fu attirata dalla foto di una donna
in divisa: l’immagine aveva il classico color seppia delle foto
antiche, ma era ancora nitida abbastanza. La donna era bella, giovane,
con un sorriso dolce ed i capelli scuri.
“Lei chi è?” Chiese timorosa la ragazza, sfiorando appena il bordo della foto.
“È… Peggy.” Rispose piano Steve.
Dixi lo guardò. Aveva gli occhi fissi
sull’immagine e di nuovo quello sguardo remoto e triste che gli
aveva già visto. Non sapeva cosa dirgli, se spronarlo a tirare
fuori il suo dolore oppure tacere. Gli sfiorò un braccio
attirando la sua attenzione; quando lui alzò gli occhi, lei gli
sorrise accogliente, ma non ci fu un seguito. Steve coprì la
foto di Peggy con altre carte e Dixi lasciò che il discorso
cadesse.
La ragazza allora, un po’ delusa, si mise ad esplorare
le altre foto. Le capitò tra le mani l’immagine di una
famiglia: un uomo impettito e una donna vestita di chiaro con in
braccio un bambino.
“È la tua famiglia?” Domandò, senza togliere gli occhi dalla foto.
“Sì.” Annuì lui.
“Era bella, tua madre.”
“Molto.” Affermò Steve con una dolce malinconia nella voce.
“E questo?” Fece Dixi, afferrando un’altra fotografia. “Non dirmi che sei tu…”
Steve osservò con un sorriso nostalgico
l’immagine di due ragazzi, fatta davanti alle giostre di Coney
Island in un giorno d’estate.
“Siamo io e Bucky.” Spiegò poi.
“Poco dopo, lui si è arruolato e io sono stato respinto
per l’ennesima volta.” Aggiunse con amarezza.
“Eri magrolino…” Commentò lei,
faticando a riconoscere in quello scricciolo biondo il ragazzone
muscoloso e proporzionato che aveva davanti, se non forse dalla luce
sincera in quegli occhi chiari.
“Dillo pure.” La spronò lui. “Ero rachitico.”
“Ma no…” Tentò Dixi.
“Non cercare di essere gentile.” La bloccò
Steve. “Sono perfettamente consapevole di qual era la situazione,
sono stato l’obiettivo preferito dei bulli fin
dall’asilo…”
“Parlami della trasformazione.” Gli chiese allora
lei, incuriosita; lui la guardò un po’ stupito.
“È stata dolorosa?”
“Sì, molto.” Raccontò allora il
capitano, arrendendosi alla delicata curiosità della ragazza.
“Quando sono uscito dal macchinario non mi sono reso conto subito
del cambiamento, fino a quando ho realizzato di essere molto più
alto.” Lei ridacchiò. “Poi ho inseguito un nazista,
a piedi, ed ho distrutto il suo sottomarino…”
“A mani nude?!” Fece Dixi.
“Sì, non avevo altro…” Rispose lui. “…ed ero arrabbiato.”
“Non è pericoloso solo Hulk, quando
s’incazza, allora!” Commentò divertita la ragazza.
Steve le sorrise, gentile.
“Ti confesso…” Riprese l’uomo ad
occhi bassi. “…che a volte mi sento ancora estraneo in
questo corpo.” Lei alzò le sopracciglia stupita.
“Anche stamattina, mi sono fatto la doccia, poi mi sono guardato
in quello specchio laggiù…” Indicò il grande
specchio a figura intera. “…e mi sono detto: chi è
questo?”
Lei trattenne palesemente una risatina. “Mi
dispiacerebbe rispondere ai tuoi crucci esistenziali con una battuta
lasciva, quindi mi tratterrò.” Mormorò poi, le
labbra arricciate senza controllo.
“Euridice, le brave ragazze…” Predicò serio lui.
“Vanno in Paradiso.” Lo interruppe lei. “E
io, invece, vivo a New York, quindi devo essere pratica, vieni con
me.” Aggiunse poi, prima di prenderlo per un braccio a
trascinarlo davanti allo specchio.
Si ritrovarono riflessi sul grande rettangolo. Lei, con la
maglietta larga dei Deep Purple ed i leggins. Lui, con la sua t-shirt
bianca ed i pantaloni caki.
“Guardati.” Lo incitò Dixi. “Sei
Steve Rogers, il bravo ragazzo di Brooklyn, un uomo buono, con degli
ideali e pronto a combattere per difenderli…” Lui,
però, guardava la ragazza nello specchio che con sguardo deciso
proclamava le sue qualità, e le sorrideva dolcemente.
“…sei l’eroe di cui avevamo bisogno.”
“Lo dici come se ci credessi.” Sostenne Steve.
“Ma io ci credo!” Esclamò Dixi. “Io
credo nei supereroi e tu devi smetterla di fare Capitan
Ingenuità e capire che invece sei Capitan Figo, con stuoli di
ragazze questuanti ai piedi.”
“Non m’interessano queste cose.” Negò lui con tono quasi offeso.
“E allora, abbi almeno pietà e mettiti maglie
più larghe!” Sbottò Dixi. “O un giorno potrei
non rispondere di me!” Stavolta rise anche lui.
“Perché non hai un fidanzato, Euridice?” Le domandò con delicatezza.
“Beh…” Fece lei, stringendosi nelle
spalle. “…suppongo di aver passato troppo tempo sui
computer e troppo poco a cercarmi un uomo e poi… guardami, sono
una nerd.”
Steve la guardò riflessa nello specchio, pallida, con
i capelli appuntati sulla nuca e gli occhialoni, un sorriso incerto che
faceva tremare di luce i suoi occhi nocciola.
“Secondo me, sei carina.” Affermò quindi, poi si girò verso di lei.
Dixi non se lo aspettava, si ritrovò a mezzo passo di
distanza dai pettorali di Steve. Fece un istintivo passo indietro, ma
lui se la riportò vicino con una facilità disarmante,
quasi fosse fatta di paglia leggera, quindi le tolse gli occhiali e li
gettò sul letto, poi fece lo stesso col fermaglio dei capelli.
La ragazza, in un istante, si trovò di nuovo voltata verso lo
specchio.
Ora aveva i capelli sciolti che le scendevano ai lati del
volto in morbide onde, il viso e le labbra accese da un lieve rossore e
gli occhi lucidi.
“Lo vedi, che sei bella?” Le disse la voce gentile di Steve all’orecchio.
Lei deglutì a vuoto, continuando a guardarsi
incredula: si vedeva davvero bella. Forse perché non aveva gli
occhiali e tutto era sfocato. E sentiva le mani calde di lui sulle
braccia.
“Dai, andiamo a mangiare questa pizza.” La incitò l’uomo, prima di lasciarla.
Lei barcollò un secondo, confusa, poi si riscosse come
se le mani di Steve le avessero scottato la pelle. Si girò e lo
vide infilare la porta.
Lui profumava di buono e lei, lei non era proprio all’altezza.
CONTINUA
NOTE:
(1) Famoso regista di origine tedesca noto per alcune
commedie dell’epoca d’oro di Hollywood, ad esempio
“Ninotchka” con Greta
Garbo.
(2) Si tratta di “You shook me all night long” degli AC/DC, Tony Stark apprezza e ringrazia con un inchino XD
|