Autrici:
ladyflowdi
&
MirrorSkippy
Traduttrice:
zuzallove
Beta
Reader: SereILU
Pairing:
John Watson/Sherlock Holmes
Personaggi:
John Watson, Sherlock Holmes
Rating:
giallo
Avvertimenti
& generi: linguaggio esplicito, crack, commedia,
comico,
one-shot
Wordcount:
7685
Note
iniziali: questa storia non mi appartiene, è una
traduzione
dall'inglese e potete trovare l'originale qui.
Se masticate l'inglese vi suggerisco di leggere l'originale,
è tutta
un'altra cosa.
Di
questa storia esistono anche una traduzione
in cinese e una splendida fanart di Reapersun,
che trovate qui.
Questa
storia, inoltre, è la seconda parte su tre di una serie che
trovate
qui,
e che io
non ho mai letto: le storie, ve lo garantisco, possono essere lette
separatamente senza alcun problema di comprensione.
The
Love Song of Two Idiots
Qualche
anno prima – qualche decennio, in realtà
– Sherlock Holmes era
un bambino che viveva in una grande casa di campagna, comodamente
accasato con i suoi genitori, suo fratello maggiore e una media di
sette domestici. Poteva suonare nella serra, disegnare in salotto o
fare i suoi esperimenti in uno spazio creato apposta per lui nel
laboratorio di suo padre. Poteva leggere libri in due biblioteche,
arrampicarsi sugli alberi della tenuta, persino cavalcare il cavallo
che gli era stato regalato, un purosangue bianco e marrone di nome
Franklin. Erano poche le cose che il piccolo Sherlock non poteva
fare se voleva farle, e passò la maggior parte del tempo
beatamente
ignaro di quanto ciò fosse insolito.
Nello
stesso momento, non moto lontano, c'era un altro bambino di nome
John, che cresceva con un padre medico, una sorella con cui non
andava d'accordo (e il disaccordo era per colpa sua quanto di lei) e
una madre il cui primo lavoro sembrava confonderlo ad
ogni occasione.
La loro casa non era grande, ma era carina, e in una parte carina
della città, e sapeva quanto questo fosse importante. John
andava
bene a scuola, era gentile coi suoi coetanei, e cercava di non
tornare a casa troppo sporco. Certi giorni bastava per rendere tutti
felici, anche se non sempre, e John passò la maggior parte
del tempo
a cercare di capire perché, senza mai trovare una risposta.
Nonostante
a separarli ci fosse relativamente poca distanza, nessuno dei due
bambini era consapevole dell'esistenza dell'altro. Non ce n'era
ragione, avevano così poco in comune. Tuttavia,
condivisero l'immancabile esperienza di imparare ad andare in
bicicletta, e allo stesso modo condivisero
il parere su tale impresa: la odiarono.
Sherlock
aveva imparato così come imparava tutto il resto –
sarebbe a dire
facilmente – ma aveva trovato frustrante
la
sua limitata funzionalità. Non gli era permesso di pedalare
dentro
casa, o nelle stalle, e mai di notte, o durante il giorno come
espediente per scappare dalle sue tate. Fu gettata con disgusto sul
pavimento e venne presto dimenticata.
John,
invece, avrebbe tanto voluto usare una bicicletta, ma non una rosa
acceso, piena di fronzoli, il cambio difettoso e i danni accumulati
dopo troppo tempo in possesso di sua sorella. Si lamentò, e
sua
madre pianse e gli diede dell'egoista. Decise di non volere una
bicicletta, dopotutto.
Impararono
entrambi (e avrebbero continuato a impararlo nel corso degli anni con
una ripetitività angosciante) che era raro ottenere
ciò che si
voleva, nel modo in cui lo si voleva, esattamente nel momento in cui
lo si voleva. Entrambi divennero diffidenti da ciò che
sembrava
troppo bello per essere vero, ed evitarono tutto ciò che
sembrava
perfetto, prima che la perfezione potesse rivelarsi difettosa e
lasciarli comunque delusi.
Tutto
ciò è importante da sapere perché
spiega come, tutti quei decenni
dopo, quelle due persone intelligenti – uno dei due un vero e
proprio genio – possano essere
completamente
ottuse.
**
L'ottava
volta che Sherlock fece la proposta a John era un martedì
pomeriggio
nel bel mezzo di Tesco. E come le sette volte precedenti, fu
respinto. Era probabile, visto che il tentativo e l'uscita di per
sé
seguivano un litigio di diverse settimane riguardante computer
portatili, il valore di un cappotto e dei fagioli.
Insomma,
litigavano per via dei soldi.
“Sherlock,
dobbiamo parlare,” aveva esordito John quella frizzante
mattinata
ottobrina. Erano tornati dall'America da neanche tre mesi, guariti
quel poco che gli consentiva di poter stare fuori dal letto, ma
di
sicuro non di fare lavoretti nell'appartamento come una coppia di
anziani, ma era questo che facevano due uomini più a loro
agio
nell’agire che nel riposare. John era riuscito a leggere
l'enorme
pila di scartoffie che Mycroft – o più
probabilmente l'esercito di
schiave di Mycroft – aveva raccolto e lasciato sul tavolo
della
loro cucina, per una volta privo degli esperimenti di Sherlock ma
pieno zeppo di cumuli
di
ogni genere di foglio immaginabile. Aveva passato due ore a
organizzarli, e ora aveva una collezione di scontrini e bollette
sparpagliate davanti a sé, con una calcolatrice e
un'espressione
accigliata abbinate. “Senti, so che sei il miglior consulente
investigativo del mondo, e per quanto quel lavoro ci appaghi
entrambi, la dura realtà è che siamo un po' in
bancarotta.”
“L'unico
consulente investigativo del mondo,” lo corresse Sherlock dal
divano sul quale era stravaccato. “Soldi, John, davvero? La
nostra
evoluzione domestica procede spedita, dunque,” aggiunse,
torturando
il violino per un attimo. Non era più stato lo stesso da
quando
Moriarty lo aveva tenuto in mano. “Mammina sarà
contenta.”
“Sono
serio, Sherlock.”
“Lo
so,” replicò Sherlock, con quel sorrisino sghembo
che pareva
urlare quanto trovasse John adorabile. Non avrebbe mai
smesso
di essere incredibilmente irritante. “Il lavoro
arriverà presto.”
“Lo
spero proprio, o tutto quel lavoro sarà stato
inutile.”
John
non era ancora sicuro di come esattamente fossero
riusciti a trasformare il 221C, che prima aveva la muffa incrostata
nella tappezzeria e sospette tane di topi, in un ufficio degno di
tale nome. C'era voluto un mese intero per togliere tappezzeria e
moquette e muri e infissi, rifare l'impianto elettrico,
ri-pavimentare e rimpiazzare tutto con un budget che sembrava
illimitato, e che – John ne era saldamente convinto
– veniva da
Adella, prima che riuscissero a trasformare il 221C da una stanza
indegna
di considerazione
a un elegante ufficio. Ogni singolo istante di duro lavoro fu
ripagato quando ricevettero il primo cliente.
“Sapete,
abbiamo una scommessa in corso giù alla centrale,”
aveva detto
Lestrade, sedendosi con
aria plateale sulla
comoda poltrona in pelle che John aveva trovato in un negozio di
seconda mano (e re-imbottito personalmente). Li aveva guardati come
fossero molto affascinanti e molto, molto divertenti. “Questo
posto
è bello, comunque.”
“Puoi
dire ai tuoi compari idioti che hanno tutti perso la scommessa, e che
passerò martedì a raccogliere le
vincite,” aveva risposto
Sherlock, giungendo da chissà dove. Non era neppure andato
di sopra
a lasciare sciarpa e cappotto, gettandoli invece distrattamente sulla
cassapanca.
“Non
ne sono sicuro,” aveva detto Lestrade, affondando nella
poltrona
con un sorrisetto compiaciuto. “Metà di loro non
riesce a crederci
– Anderson non ha smesso di ridere per due giorni.”
Di solito la
sola menzione di Anderson faceva schizzare Sherlock come una
girandola impazzita, ma dopo un istante, quando tutto ciò
che fece
Sherlock fu fissarlo con quei maledetti occhioni da alieno,
proseguì
subito dicendo, “Ho un caso per te. Giovane donna assassinata
in un
negozio di Fish&Chips, in una stanza sul retro senza
uscita.”
“Senza
uscita?”
“Nessuna.
Le porte all'ingresso e sul retro non sono state scassinate e non ci
sono segni evidenti di colluttazione – è solo
morta, e non abbiamo
idea di come sia successo. Ci serve il tuo aiuto, Sherlock.”
Con
grande delizia di John, Sherlock si era seduto dietro alla scrivania
– ciliegio, scintillante, lucidata da loro fino allo stremo
– e
batté sulla tastiera del computer per un attimo prima di
voltare il
monitor sull'anello girevole. “Immagino che il fascicolo che
hai
lasciato in macchina contenga i dettagli del caso. Mentre John va
fuori a prenderlo, dà un'occhiata ai nostri prezzi. Se
andranno
bene, stamperò il nostro contratto e andremo.”
L'espressione
scioccata di Lestrade li ripagò di ogni ora di lavoro
passata a
depavimentare e togliere la vecchia tappezzeria.
Era
passato quasi un mese da allora – le trecento sterline che
avevano
ricevuto dalla polizia per il caso da
tempo erano
stati usati per comprare da mangiare, e dato che Sherlock per qualche
motivo si sentiva moralmente opposto a pubblicizzare i loro servizi,
erano tornati al punto di partenza.
Cioè,
erano nella più totale bancarotta.
“Fra
l'esorbitante ammontare delle tasse, le provviste per il tuo
laboratorio, l'affitto e le bollette... la mia pensione non ne copre
nemmeno un quarto, e i soldi che porti da Dio solo sa dove non stanno
migliorano la situazione. Francamente, siamo al punto in cui dobbiamo
cambiare un po' il nostro stile di vita,” disse John,
grattandosi
la nuca con un sospiro allarmato, urtando gli occhiali cerchiati di
corno che portava leggermente storti, anche se nessuno lo sapeva
tranne Sherlock.
La
risposta di Sherlock fu una potente resa di qualcosa che John
riconobbe vagamente come Bach, se non fosse che Bach non l'aveva mai
suonata con un violino che era stato riempito d’acqua.
John
lo lasciò fare, e con quella specie di fastidiosa cura che i
militari adoperano per tutto quello che facevano, iniziò a
bilanciare i loro conti. Alla fine era scosso, e anche se Sherlock
non sembrava minimamente agitato, John era nel panico, come qualsiasi
essere umano (militare o no) sarebbe nel realizzare di non avere idea
su come nutrirsi fino al prossimo assegno.
Passò
tre giorni a stendere attentamente un piano, e poi una mattina
sgattaiolò fuori casa e vendette tre degli abiti che gli
aveva
regalato Mycroft. Ottenne una bella cifretta in grado di farli stare
tranquilli per la durata della guarigione, se avessero tagliato tutte
le frivolezze che Sherlock insisteva per avere fin da quando John
l'aveva conosciuto (la fortuna non sembrava sorridergli).
Addio ai taxi, anche se ovviamente al momento non ne avevano
granché
bisogno, e alle cene fuori, alle corse al negozietto all'angolo
per il tè che piaceva a entrambi, e a quasi tutta la carne.
John
lesse le ricette che aveva scaricato da internet e pianificò
ventinove giorni di pasti con l'abilità che solo un chirurgo
può
possedere – bilanciamento perfetto di calorie, vitamine e ed
elementi nutritivi per aiutarli a guarire senza perdere troppe
energie. Le magie che John riusciva a fare con il vasto assortimento
di fagioli a propria disposizione era un'abilità
insegnatagli dai
mesi nel campo di battaglia a stomaco
vuoto.
Non
pensava che Sherlock se ne fosse accorto, dato che più che
un
vegetariano era un nullariano, fin quando un giorno (il
quattordicesimo, curry di lenticchie rosse con riso basmati) Sherlock
aveva affermato: “Un chilo e mezzo.”
John
l'aveva squadrato da sopra al proprio bicchiere. “Parliamo di
soldi
o di peso?”
“Peso.
Hai perso un chilo e mezzo nelle ultime due settimane.” Non
aveva
l'aria di ritenerla una buona notizia. Però
riuscì, in qualche
modo, a far sembrare che John avesse perso peso solo per fare il
difficile.
“Tra
le camminate e l'assenza di biscotti era naturale che
accadesse,”
aveva risposto John, tornando a leggere il giornale. Era del tutto
legittimo per lui supporre che la conversazione fosse finita;
Sherlock aveva l'abitudine di sparare osservazioni apparentemente
casuali su John per poi tornare alle precedenti attività
come se una
volta messi entrambi a conoscenza dei dettagli non ci fosse
più
nulla di cui discutere. Generalmente John lo trovava piuttosto
lusinghiero, nonostante un commento su tre fosse annunciato in luoghi
pubblici e solo pochissimi avrebbero potuto essere considerati
complimenti di seconda mano.
Quella
volta, nel bene o nel male, Sherlock non aveva finito.
“Giusto, che
fine hanno fatto tutti i biscotti?”
John
continuò a leggere, concentrato sulla disastrosa notizia che
le
casse self-service erano un fenomeno in crescita e non un esperimento
sociale fallito. “Intendi quelli che ho smesso di comprare?
Immagino che siano ancora sani e salvi sugli scaffali di
Budgens.”
“E
come mai ultimamente la tua spesa è così
scarsa?”
“Perché
le nostre finanze sono scarse – ricordi quella conversazione
che
abbiamo avuto qualche settimana fa? Diminuiscono i soldi, aumentano i
fagioli?”
Sherlock lo aveva fissato per un lungo istante. “Devo
averla cancellata.”
“Siamo
poveri,
Sherlock.” Gli occhiali di John finirono di traverso,
così che
potesse strofinarsi gli occhi. “E quella ridicola scusa sta
diventando vecchia, comunque.”
“Quindi
è un'ossessione quella di voler mangiare fagioli a ogni
pasto.
Quando andrai a fare la spesa?”
“Quando
avremo soldi,” aveva risposto John.
Sherlock
aveva alzato gli occhi al cielo e lanciato a John la carta di credito
tolta dalla tasca della giacca. “Soldi, soldi, soldi
– abbiamo tutti i soldi che vogliamo, ora, per piacere, vai a
prendere quei maledetti biscotti.”
Quello,
prego notare, era stato il momento in cui La Discussione era diventa
ufficialmente Il Litigio.
“Su
quale stramaledetto pianeta vivi?” aveva chiesto John.
“O non sai
nemmeno questo?” Sherlock aveva stretto le palpebre, ma
fortunatamente per tutti John aveva ripreso a parlare prima che
potesse interromperlo. “Noi non
abbiamo
soldi, Sherlock. Niente. Ho venduto
dei vestiti per
pagare l'affitto lo scorso mese. Sei fortunato che non ho venduto
quel tuo dannato cappotto.”
“Non
oseresti.”
“Tu
continua a parlare,” lo minacciò John.
Forse
era necessaria un po' più di prospettiva: quella non era la
prima
volta che Il Cappotto era saltato fuori durante un litigio.
Per
quanto riguardava Sherlock il cappotto era off-limits. Alle origini
era stato un regalo non richiesto da parte di Mycroft, ai tempi in
cui Sherlock
metteva nel suo organismo più cocaina che cibo. Il Cappotto
era
stato l'unico tentativo riuscito di Mycroft di coprire Sherlock in
una simil coperta, anche se Sherlock (prevedibilmente) lo aveva
apprezzato solo per l'aria drammatica. Per ragioni simili, nonostante
avesse odiato la scuola privata, Sherlock era sempre stato un fan
dell'uniforme, e pensava ancora di stare davvero molto bene col
mantello.
Ma
sembrava che John non avesse intenzione di cedere e perdere quella
che secondo Sherlock era una fastidiosa compulsione a voler tirare
fuori Il Cappotto il più spesso possibile. Molti dei loro
recenti
litigi sui soldi erano cominciati con quella prima discussione sul
suo valore. Era stato un litigio così duro che aveva mandato
a monte
il primo tentativo non esattamente ben riuscito di Sherlock di
proposta di matrimonio, due giorni dopo.
“Avrai
freddo,” aveva detto Sherlock, mentre John scrollava le
spalle e si
avviava alla porta.
John
si era fermato e aveva osservato fuori dalla finestra, dove la
giornata era grigia e cupa come le cinque precedenti. “Non fa
tanto
freddo; starò bene.”
Sherlock
non aveva neanche alzato gli occhi dal libro – un tomo dalle
dimensioni ridicole intitolato L'alveare
e l'Ape Mellifera
– per rimproverare John. “Il tuo cappotto era di
seconda mano
quando l'hai comprato l'anno scorso; ora è irrimediabilmente
danneggiato per le fatiche a cui lo hai sottoposto. Inizierai ad
avere i brividi a un isolato da qui, e arrivato al centro di
riabilitazione sarai di pessimo umore, che non farà che
peggiorare
il resto della giornata. Risponderai male alla segretaria, ti
sentirai in colpa, avrai i brividi per tutta la strada di ritorno e
poi inizierai a urlarmi addosso per aver lasciato il mio esperimento
vicino al tuo ultimo, fallito tentativo di coprire il sapore dei
fagioli con ancora altri fagioli.”
John
aveva fissato Sherlock e contato mentalmente fino a dieci; Sherlock
aveva stimato che John sarebbe arrivato fino a sette prima di
arrendersi e nonostante John non l'avesse dato a vedere Sherlock
sapeva di aver avuto ragione. “Potresti semplicemente spostare
l'esperimento.”
Sherlock
voltò pagina. “E in che modo esattamente ti
riscalderebbe? E poi,
basterebbe comprarti un nuovo cappotto.”
“Sì,
come il tuo? Il tuo mantello da milletrecento sterline?”
“Pensi
davvero che l'abbia pagato?”
John
aveva tirato su la zip con aria di sfida. “Avrei dovuto
sapere che
era un regalo, non possiamo permettere che tu ti scordi cosa si provi
ad essere un principino.”
Il
libro era stato calato per permettere all'espressione di sdegno di
Sherlock di raggiungere il destinatario. “Parli tu, che credi
che
ti si debba regalare della torta un martedì
qualsiasi.”
“Non
era un martedì qualsiasi, Sherlock, era il mio compleanno,
Gesù,
sei un vero stronzo.”
Sherlock
gli aveva rivolto un'occhiata per la quale John a suo tempo si era
sentito davvero offeso. Sfortunatamente per entrambi l'espressione
sgradevole era stata smorzata da uno spruzzo di affetto che Sherlock
non aveva previsto, e senza averci pensato minimamente aveva detto
d'impulso, “Ti va?”
Aveva
pensato che John gli avrebbe chiesto di cosa stesse parlando, e poi
Sherlock avrebbe risposto qualcosa come proposta di matrimonio con
cerimonia civile per tenere John al suo fianco avvolto in caldi
cappotti per il futuro, problema risolto. John, invece, era
più
infastidito dalla filippica di Sherlock contro la sua cucina di
fagioli di quanto non avrebbe mai ammesso, e così non aveva
colto
l’indizio. “No. Non sprecherei milletrecento
sterline su un
singolo articolo di abbigliamento, nemmeno se potessi. Pensa solo a
spostare l'esperimento prima che torni a casa e non rovinare la
cena.”
Sherlock
aveva guardato John uscire dalla porta d'ingresso con la stessa
andatura di sempre – come se stesse cercando una scusa per
compiere
un atto violento – e aveva sbuffato per la frustrazione. La
volta
successiva sarebbe andata meglio.
**
La
volta successiva non andò meglio.
Sherlock
fece la proposta per la seconda volta basandosi sull’idea che
forse, forse,
John non aveva capito che la prima era stata una proposta di
matrimonio.
Averlo
fatto nel bel mezzo di un inseguimento a piedi lungo il Tamigi alle
due del mattino fu, per un uomo così intelligente,
straordinariamente stupido.
John
lo afferrò per il gomito come da manuale quando qualcuno gli
sparava
addosso e lo trascinò dietro a un enorme pila di casse. Le
casse,
prevedibilmente, non si rivelarono adatte a tenere se stessi e il
proprio partner in vita sotto a una pioggia di proiettili.
L’occasione
giusta
– “Non posso!” urlò Sherlock
sopra al frastuono dei proiettili
e all'ancor più forte, quasi assordante, rumore della
risposta al
fuoco di John. “Senza di te!”
John
urlò di rimando, “Lo so, sono io quello con la
pistola!” e
distrasse pienamente Sherlock col suo sparare e i suoi movimenti e in
generale la sua aria di sicurezza, che avevano un effetto allarmante
sulla connessione fra il cervello di Sherlock e la sua libido.
Per
fortuna, John lo afferrò per il braccio, lo tirò
su e lo trascinò
via di corsa prima che la situazione potesse farsi inappropriata, e
quasi non gli importò che John fosse eccezionalmente ottuso,
perché
le gioie del correre dietro di lui curavano ogni male.
La
terza volta che Sherlock fece la proposta a John accadde solo una
settimana dopo. Se anche farla nel bel mezzo di un inseguimento a
piedi lungo il Tamigi alle due del mattino era positivo per chi
possedeva il senso dell'avventura, non giovava proprio alla salute,
specie dopo così poco tempo dalla guarigione delle ferite
inflitte
da Moriarty.
In
sostanza, Sherlock finì con una brutta influenza.
Trascorse
quattro orribili giorni a letto con vari liquidi che gli uscivano dai
vari orifizi, ognuno peggiore del precedente. Sudò per la
febbre e
tremò per i brividi, e si lagnò come se fosse uno
sport Olimpico
nel quale era determinato a vincere. In tutto ciò John
stoicamente
gli asciugò la fronte, gli preparò tè
e zuppa e poi diversi tipi
di tè e zuppa quando i primi non furono più
sufficienti.
Sherlock
ricordava solo vagamente di aver detto senza pensare,
“Sposami,”
e in risposta John aveva riso – riso
– di lui, e aveva sistemato la flebo di cui secondo lui
Sherlock
aveva bisogno, e l'aveva aiutato a sedersi a fatica per sistemargli
il cuscino che gli era scomodamente scivolato dietro alle spalle.
L'avergli
poi baciato con delicatezza una tempia e accarezzato i ricci
arruffati e sudaticci e mormorato, “Sei davvero
pazzo,” con la
voce tenera e affezionata che a volte sapeva produrre,
alleviò
l'amarezza del terzo rifiuto, e gli lasciò dunque speranza.
Fu
necessario arrivare alla proposta numero quattro (una particolarmente
ispirata, fatta in presenza di un cadavere in decomposizione)
perché
John capisse che Sherlock era serio, e non sotto l'influsso di
droghe, minacce di violenza da parte della sua famiglia o della noia.
Prevedibilmente questa scoperta non fece che trasformare i tentativi
in catastrofi ancora peggiori.
Per
correttezza verso John, le proposte numero quattro, cinque e sei non
furono esattamente un trionfo del buongusto, e avevano incluso
dichiarazioni come “contrariamente ai miei propositi sono
chiaramente diventato dipendente dalla tua presenza, e saldare questa
circostanza sarebbe un bene per entrambi,” e
“nonostante nella
tua famiglia ci siano storie di abuso di sostanze, malattie mentali e
generali difficoltà funzionali, non è del tutto
improbabile che
possa funzionare.”
Non
parleremo della proposta numero sette.
Ma
torniamo alla famigerata proposta numero otto, meglio conosciuta come
L'Incidente al Tesco.
“E
questo, John? Rientra nel nostro budget
o dobbiamo prendere di nuovo quello scremato?” chiese
Sherlock,
tenendo in mano un gallone di latte parzialmente scremato con
espressione ribelle.
La
maggior parte della gente si sarebbe sentita in imbarazzo; la voce di
Sherlock (così come la sua aria da scontroso ribelle) era
appariscente e diversi altri clienti scoccarono occhiate curiose
verso di loro. John, però, aveva un passato di insultatore
non solo
di persone, ma anche di oggetti inanimati, e perciò gli
andò
dietro. “Dipende se ho un
buono oppure no.”
John
si infilò le mani nelle tasche e le frugò con
fare teatrale, ma le
tirò fuori vuote.
“Pare
di no,” replicò, occhieggiando Sherlock. Chi non
l'avesse
conosciuto avrebbe potuto prendere per buona la sua preoccupazione.
“E poi non sono neanche sicuro che dovresti bere latte
parzialmente
scremato – apri il cappotto e fammi vedere la vita.”
Il
capotto fu sbottonato e Sherlock chiese con quello che molto
probabilmente era il tono più petulante del creato,
“Sbottono
anche la Dolce&Gabbana già che ci sono?”
John
emise un suono che sembrava un ruggito trattenuto. “Sei il
bambino
più insopportabile e fastidioso che abbia mai...”
“Insopportabile!
Io!” Sherlock non era mai sembrato così offeso.
“Non sono io che
pianifico le nostre vite fino all'ultimo dettaglio!”
“Già,
oh, come sono stupido a preoccuparmi di cose insignificanti come se
domani avremo da mangiare, o se avremo la luce in casa, o l'acqua
corrente, o se sarà rimasto abbastanza per comprare la
moltitudine
di medicinali che stiamo ancora prendendo!”
Sherlock
strinse le palpebre. “È il tuo disturbo da stress
post-traumatico
a parlare?”
John
si premette forte le mani sul volto finché non ebbe
ritrovato il
controllo. Ci mise un bel po' di tempo. “Sherlock, ascolta.
So che
la tua famiglia è ricca. So che per te, per come sei
cresciuto, i
soldi non sono un problema. E ora, a causa di circostanze che nessuno
di noi due può controllare, siamo in questa situazione.
Farò del
mio meglio per trovare lavoro, o pregherò Sarah di ridarmi
quello
vecchio, ma fino ad allora dovrai collaborare con me,
d'accordo?”
Sherlock
lo fissò, e poi sputò fuori: “Se
fossimo sposati, questo non
sarebbe un problema.”
Più
che un ruggito soffocato, fu un vero e proprio urlo angosciato.
“Sherlock, giuro su Dio–”
“Perché
hai così paura di trasformare quello che abbiamo, e quello
che
avremo sempre,
in un documento legale?” chiese Sherlock. Sembrava perso e
frustrato, ma secondo lui era meglio che mostrare il dolore che non
avrebbe comunque mai ammesso di provare. Sherlock era stato
fermamente convinto di essere riuscito a estirpare quelle emozioni
fastidiose molto tempo prima, prima di conoscere John. Sbagliarsi
sulla stessa cosa in due modi diversi era incredibilmente fastidioso.
Qualunque
fosse la sua origine, l'espressione di Sherlock lasciò John
incredibilmente frastornato, e per un istante balbettò prima
di
sbottare, “Stai
zitto,
Sherlock, stai... zitto e prendi il latte, il latte che ti
pare.”
Gettò via il carrello, che si scontrò rumoroso
contro il banco
frigo dei latticini. “Vado a casa.”
“Dimmi
solo perché sei così opposto all'idea del
matrimonio,” ordinò
Sherlock, cercando di puntargli il dito contro col gallone di latte
in mano. “Non hai relazioni intime con nessun altro, io
non ho relazioni intime con nessun altro, anche se a lungo andare
sarà più semplice. Dividiamo le finanze, il cibo,
il novantadue
percento del nostro tempo e la maggior parte dei fluidi corporei. Che
differenza dovrebbe fare essere legati da un foglio di carta?”
Per
un orribile istante John parve sull’orlo
delle lacrime; sfortunatamente Sherlock a quel punto ne sapeva
abbastanza da riconoscere i segnali. Ma John – che
dall'età di
diciannove anni si era lanciato nel ruolo di Uomo Vivente
Più
Imperturbabile con una passione recitativa che non si vedeva dai
giorni del canto del cigno di Brando – riuscì
invece a calmarsi
per mormorare: “Perché? Perché non ci
hai pensato bene. Che
diavolo potresti volere da un medico militare infortunato per il
resto della tua vita? Il mio braccio è irrimediabilmente
danneggiato. La mia zoppia potrà solo peggiorare con la
vecchiaia.
Un giorno non troppo lontano non sarò in grado di deambulare
autonomamente e tu... tu sei come una fontana di energia.” Il
tono
ovvio che John stava usando non faceva che rendere tutto ancora
peggiore, secondo Sherlock. “Non sarò
più in grado di starti
dietro, e allora che scopo avrò?”
A Sherlock quasi sfuggì il
latte di mano, il che risultò in uno scatto piuttosto brusco
mentre
replicava con un sempreverde “Cosa?” Era fermamente
opposto
all'idea di usare la parola 'balordo' in relazione a se stesso, ma la
guerra fra l'orgoglio e l'accuratezza venne vinta da quest'ultima, e
per amor di accuratezza Sherlock era sbalordito. “Credo che
questa
crisi isterica sia eccessiva.”
“Non
ho una crisi isterica,” rispose John.
“Sembra
che tu stia per piangere.”
“Non
sto per piangere!” urlò John. Non era importante
che i suoi occhi
fossero completamente asciutti – sembrava un cagnolino
abbandonato,
forse un Carlino, nel caso in cui i Carlini riuscissero a farsi
tremare il labbro inferiore. “Sei davvero un idiota, un
maledetto
idiota.”
“Sarà
vero, dato che semplicemente non riesco a capire come un essere umano
intelligente e ragionevole possa essere così incredibilmente
ottuso,” disse Sherlock. “Okay, proviamo in un
altro modo: John,
la nostra relazione è al momento l'equivalente emotivo della
frustrazione sessuale più intensa. Per il bene della mia
salute
mentale, e quindi di riflesso per la tua pace interiore, ti prego,
piantala e finiscimi.”
Forse
c'era stata una risatina alle sue spalle, ma John era troppo
impegnato a squadrare Sherlock per cercare il colpevole. Aveva quel
genere di espressione che avrebbe fatto scappare qualsiasi normale
essere umano; richiedeva un bel po' di concentrazione.
“Grazie per
questa splendida dichiarazione, Sherlock, davvero. Nel bel mezzo di
Tesco, pure.” Ad aumentare l'irritazione di John concorreva
la
totale indifferenza di Sherlock alla sua occhiataccia; John l'aveva
usata diversi casi prima su un ignaro agente solo per assicurarsi che
facesse ancora effetto (aveva funzionato). Dopodiché si
sfregò i
polsi sugli occhi e sbottò: “Prendi quel dannato
latte
parzialmente scremato.”
“Non
voglio questo stramaledetto latte! Voglio che tu dica
sì!”
“Lo
so!” urlò John di rimando, agitando un braccio
verso il pubblico,
che includeva un assortimento di universitari in procinto di
acquistare dei liquori, diverse casalinghe e quello che assomigliava
sospettosamente al direttore. “Tutti in questo maledetto
negozio lo
sanno!”
Sherlock
perse la battaglia sulla questione del latte e lo lasciò
cadere con
malgarbo nel loro carrello vuoto, mentre il pubblico tratteneva il
fiato per vedere se il litigio sarebbe entrato nella fase di
distruzione di proprietà altrui. La bottiglia si era
ammaccata ma
aveva retto, e almeno un terzo degli spettatori si mostrò
apertamente deluso. Sherlock nel frattempo aveva dimenticato del
latte nel momento in cui lo aveva abbandonato alle leggi della
fisica. “Se non vuoi stare con me basta che tu lo dica.
Sono egoista, John, lo sai bene, me lo dici almeno una volta ogni tre
giorni. Ho
bisogno
di saperlo.” Proseguì in una delle sue non tanto
rare
manifestazioni di irascibilità passandosi le mani tra i
capelli e
stringendole a pugno per un attimo. “Ti ho mai
dato motivo di credere che trovi in te qualcosa di meno che
accettabile?” John aprì la bocca e Sherlock si
affrettò a
specificare, “Parlando sul serio, non solo quando dici o fai
qualcosa di stupido?”
“Al
nostro primo appuntamento hai detto di essere sposato col tuo
lavoro,” rispose John immediatamente, puntandogli contro un
dito.
“...Tu
consideri quello il nostro primo appuntamento?” Sherlock
diventò
paonazzo. “Avevi detto di non
essere il mio ragazzo diverse volte, verso la fine anche a volume
molto alto–”
“Ero
sorpreso! E confuso – io, tu, mi hai colto
impreparato.” Il
pubblico, osservando quella triste mostra di goffaggine, non ebbe
alcun problema a immaginare un simile scenario.
“–E
a fine serata non ti sei spogliato, quindi chiaramente non era un
appuntamento.”
“Stai
scherzando? Ma ti senti?” chiese John. “Quindi
è appuntamento
solo se finisce con il sesso?”
“Secondo
quasi tutti i programmi della ITV4, sì.” A quel
punto, Sherlock
era in grado di ribattere con le conoscenze di prima mano acquisite
dopo ore e ore di televisione. C'era stato un caso tra la proposta
numero sei e la numero sette che aveva incluso un SMS con scritto
'Your sex is on fire'; Dato che Sherlock era ignaro che l'SMS della
fidanzata fosse in realtà un riferimento a una canzone, era
seguito
un lungo e inutile interrogatorio sulle malattie sessualmente
trasmissibili che non li aveva portati da nessuna parte. Subito dopo
Sherlock aveva iniziato a provare con più impegno a
familiarizzare
con la cultura pop moderna, deciso a non permettere mai più
che lo
intralciasse davanti a John (o a Lestrade). “John, ti stai
comportando come un deficiente,” terminò, come se
ciò avesse
risolto la questione.
John
alzò gli occhi al cielo, chiaramente ancora irritato.
Tuttavia una
donna dietro di lui si lanciò in una valutazione poco
assennata, e
parve pensare che fosse il momento giusto per intervenire con la
propria opinione.
“È
una cosa orribile da dire al proprio fidanzato.”
Sherlock
le rivolse la consueta occhiata alla 'Non conosco questa plebaglia',
che era analoga all'espressione che la maggior parte della gente
aveva quando si grattava via la merda di cane dalle scarpe.
Lei
si offese prima ancora che lui aprisse bocca (cosa che fece,
ovviamente).
“Signora,
posso suggerire che prima lei si occupi della dipendenza al gioco
d'azzardo di suo marito? E sì,”
continuò, osservandola brevemente
prima di tornare a John. “Lei è troppo abbondante
per quei
pantaloni; la dieta non funzionerà mai se continua a
indulgere negli
spuntini di mezzanotte.”
Il
pubblico trattenne il fiato bruscamente, John si massaggiò
la sella
del naso e cercò di immaginare di essere altrove. Sherlock
lo fissò
con la solita snervante intensità. “Allora,
John?”
“Allora
cosa?” sbottò John di rimando. Avevano
già affrontato la
discussione e il suo cuore britannico si stava davvero spezzando
all'idea di prendere parte a un litigio tanto ridicolo nel bel mezzo
di un Tesco.
“Signore,”
disse il sospetto direttore, con un'aria da tristo mietitore.
“dobbiamo chiedervi di uscire, ma se prima vuole rispondere a
quest'uomo è liberissimo di farlo.”
John
si mordicchiò l'interno della guancia, prima di voltarsi per
puntare
il dito contro Sherlock. “Sentito? Un altro negozio in cui
non
posso fare la spesa.”
“Tutto
qui?” insistette Sherlock. “È questa la
tua risposta?”
John
distolse lo sguardo, imbarazzato – ora
era in imbarazzo, Gesù, c'era qualcosa che non andava in lui
– e
scoprì di non avere altro altro da aggiungere.
Quando
alzò lo sguardo Sherlock era sparito.
**
Sherlock
non si era allontanato molto, nonostante la velocità con la
quale
aveva abbandonato il luogo dell’l'incidente fosse stata
notevole.
No, come qualsiasi persona fuori di sé, Sherlock
andò a rintanarsi nel comodo e nel familiare.
Sfortunatamente
per l'ispettore Lestrade, ciò significava eseguire una serie
di
arresti di passanti per le strade per poi sparire dentro alla cella
che aveva proclamato come propria in uno dei settori meno utilizzati.
In origine aveva preso possesso del luogo quando Lestrade si era
rifiutato di dargli un ufficio, e nel tempo la cella era
stata adornata in qualche modo di una
poltrona, un tavolo e una abat-jour. Lestrade si stava preparando per
la giornata quando passò lì davanti e
trovò un grosso tappeto.
“Dov'è
John?” chiese Lestrade, quasi timoroso di sentire la risposta.
L'occhiata
che ricevette per la suddetta linea d'indagine avrebbe potuto dare
fuoco alla vernice sulle pareti, per quanto era oscura e malevola. Se
fossero stati in un cartone della Acme, Sherlock avrebbe avuto una
nuvoletta nera sopra la testa, completa di tuoni e lampi.
“John
dev'essere sempre a portata di mani?”
“Considerando
che voi due siete stati inseparabili da quando è inciampato
nella
tua vita vuoi davvero una risposta sincera?” chiese Lestrade,
appoggiandosi al muro con una spalla e incrociando le braccia.
“Bisticcio tra innamorati, vero?”
Gli
occhi di Sherlock si strinsero in due fessure minacciose. “Si
può
dire lo stesso per te – hai dormito un'altra notte in
ufficio,
vero?”
“Suscettibile.
Ora so che tu e John avete litigato seriamente.” Lestrade
sospirò.
“Ho chiamato tuo fratello.”
L'espressione
di puro tradimento che attraversò il volto di Sherlock
sarebbe stata
comica in
un'altra occasione. “Cos’hai
fatto? Hai chiamato mio fratello?”
“Ho
dovuto,” rispose Lestrade, costretto ad abbandonare la posa
rilassata. “I ragazzi dell'archivio avrebbero richiesto la
tua
testa, altrimenti – hai idea di quante persone hai trascinato
dentro per biglietti per il parcheggio e patenti scadute? In questo
preciso istante ci sono nonnine che piangono ogni lacrima che hanno,
brutto bastardo.”
“Il
crimine secondario è un problema multimilionario in Gran
Bretagna!”
urlò Sherlock alle spalle di Lestrade mentre se ne andava.
**
Il
sorriso sulla faccia di Mycroft quando un'ora dopo passò a
prendere
Sherlock poteva essere descritto al meglio come incantato.
“Salve,
fratello caro,” disse, praticamente estatico. Secondo
Sherlock era
del tutto inappropriato.
“Sta'
zitto,” sbottò Sherlock, e si infilò
nella limousine che Mycroft
insisteva per adoperare come normale mezzo di trasporto.
“Mi
spiegheresti cortesemente come mai sono stato chiamato dalla polizia
per venirti a prendere? Pensavo che col tuo nuovo badante ci fossimo
lasciati alle spalle da tempo simili circostanze.”
“Per
l'amor del cielo, John non è qui. Non so perché
pensiate tutti che
debba costantemente essere al mio fianco ovunque vada!”
Mycroft
sembrò tanto preso in contropiede che Sherlock
ripensò al proprio
ultimo commento e ricordò che suo fratello in
realtà non aveva
chiesto
dove fosse John. Un grosso passo falso, capì, mentre Mycroft
mormorava qualcosa e poi diceva, “Ora tutto ha più
senso.”
“Oh,
vaffanculo,” sbottò Sherlock. “Non
è divertente, Mycroft. Non hai idea –”
Si grattò la nuca. “Non
ce la faccio più. John mi ha condotto al limite della
sanità
mentale per essere intenzionalmente testardo su tutta questa
faccenda.”
“Non
che sia difficile condurti al limite, ma di quale affare si
tratta?”
“Non
è ovvio?” sbuffò Sherlock.
Mycroft
batté le palpebre, lo studiò, lo
studiò ancora, e poi l'ovvia
risposta gli fece blaterare: “No.”
“Sì.”
“Matrimonio?”
“Ovviamente
si tratta di matrimonio.”
L'espressione
completamente vuota che attraversò il volto di Mycroft
sarebbe stata
impagabile, se solo Mycroft non fosse scoppiato a ridere l'istante
successivo. Non era la raffinata, studiata risatina che si adattava
al suo country club, ma la risata sonora e spontanea di quando erano
ragazzi, e non fece che aumentare di volume quando il volto di
Sherlock si contorse prima in per la rabbia e poi per la furia, fino
a quando gli occhi non iniziarono a lacrimargli e sembrava
ringiovanito di almeno dieci anni.
“Farò
esplodere la limo,” ringhiò Sherlock, maneggiando
la maniglia
della portiera come se non stessero andando a ottanta chilometri
l'ora sull'autostrada. “Vi ucciderò
tutti.”
“Povero
babbeo inetto,” disse Mycroft, accomodandosi sullo schienale
con un
sorriso. “Ma davvero, voi due... Sarebbe divertente se non
facesse
così tanta pena.”
Per
un attimo la testa di Sherlock sembrò davvero in procinto di
esplodere, ma Mycroft sventolò una mano verso l'autista
– che
pareva allarmato dal pazzo che cercava di saltare fuori dalla sua
auto – e coprì i rantoli del fratello dicendo,
“Sei davvero
assurdamente romantico, Sherlock, ai limiti del patetico, ormai. John
ha chiesto la tua procura mesi fa, in caso tu restassi
ferito.”
“E
tu puoi prendere quell'ombrello e – come, scusa?”
Con
l'aria di un bambino nel paese dei balocchi, Mycroft
arricciò le
labbra in un sorrisetto. “Secoli fa, prima dell'arresto di
Moriarty. L'ho accompagnato a farlo.”
Invece
di pretendere che Mycroft gli rivelasse come fosse riuscito a
organizzare tutto ciò senza la sua presenza, Sherlock
berciò, “Solo
perché non vuole il mio decesso non significa che mi voglia
attorno
per sempre. Significa solo che il suo stupido senso di colpa eterno
è
di nuovo in azione.” Calciò il sedile di fronte al
suo. “Gli
darò un motivo vero per sentirsi in colpa.”
“Io
e mammina ce lo siamo sempre chiesti,” disse Mycroft, quasi
fra sé
e sé. “Siete fatti l'uno per l'altro, al massimo
livello a cui due
persone possano ambire. Sicuramente l'avrete capito.”
“Mi
ha rifiutato otto volte,” disse Sherlock, fissando fuori dal
finestrino. “È il genere di prova che non
sfigurerebbe in
tribunale.”
Non
aggiunsero altro, ma il giorno dopo al 221B si materializzò
una
raccomandata che conteneva la ricevuta di un Bed&Breakfast
prenotato per quel fine settimana, indicazioni stradali e duemila
sterline in contanti.
(Quando
Sherlock lo chiamò in ufficio, furioso, fu Anthea a
rispondere e lo
informò che Mycroft in quel momento era irreperibile, ma che
aveva
lasciato detto di dire loro di godersi la vacanza e che si sarebbero
rivisti mercoledì.)
**
Se
la gita alla località marittima fosse andata come previsto,
se
fossero riusciti a sedersi, parlare, baciarsi e fare l'amore, se si
fossero rilassati e avessero dimenticato Londra per un po', in tutta
probabilità al nono tentativo di Sherlock John avrebbe detto
sì.
Dopotutto,
John
non era solo un uomo, era un uomo all'antica
– aveva delle necessità, e una di queste era
essere corteggiato.
Invece
qualche idiota scelse proprio quel fine settimana per assassinare
qualche altro idiota, così invece della fuga romantica che
si erano
aspettati passarono il sabato immersi fino al collo nella pioggia
battente, mentre Sherlock rompeva il cazzo con la sua lente
d'ingrandimento nel fango e John faceva pratica delle sue espressioni
da militare, che garantivano di uccidere un uomo a venti passi di
distanza.
“Dev'essere
qui da qualche parte,” borbottò Sherlock a un
cumulo di fango,
presso una roccia che sembrava identica a tutte le altre che aveva
esaminato nelle ultime tre ore.
John
gli scoccò un'occhiata malevola.
“Senti, abbiamo stabilito l'esistenza della suddetta prova,
ora per
favore possiamo proseguire le ricerche al mattino? Quando non
pioverà
a catinelle?”
Al
tempo in cui cercava ancora di ottenere la mano di John Sherlock
avrebbe detto sì; sfortunatamente per entrambi Sherlock
l'aveva
presa per una causa persa, come l'esperimento col pesce rosso, che
era andato male, malissimo. No, come un vero adulto Sherlock aveva
deciso che dato che non poteva vincere non avrebbe giocato affatto
–
in tutta onestà se fosse stato uno di quei giochi che si
possono
scaraventare giù dal tavolo in una crisi di rabbia l'avrebbe
fatto.
Il matrimonio, aveva deciso Sherlock, era stupido, antiquato,
un'imbarazzante dimostrazione di eterosessualità che non
comportava
altro che sprechi di tempo, energia e denaro.
“No,”
sbottò, per poi arrancare verso il successivo cumulo di
fango del
suo elenco. Avrebbe preferito incatenarsi ad Anderson per
l'eternità,
pensò rabbioso. L'istituzione stessa del matrimonio era di
per sé
una vera tortura.
Pessimo
tempismo da parte sua.
Passarono
altre quattro ore sotto la pioggia – Sherlock
perché impegnato a
mettere in scena la favola della volpe e l'uva e John perché
sembrava vittima di una specie di obbligo biologico che lo
costringeva a seguire Sherlock ovunque come una dannatissima
paperella smarrita – e quando tornarono al
Bed&Breakfast erano
ormai le otto e mezzo. La proprietaria del Bed&Breakfast, una
signora anziana con uno stile di abbigliamento simile a quello della
signora Hudson, gli mise a riscaldare dell'arrosto, e si fecero la
doccia, alla svelta e svogliatamente, nel bagno di sotto per non
riempire di fango tutta la casa. La sala da pranzo era vuota quando
la raggiunsero, ma la proprietaria gli aveva lasciato su un piccolo
carrello due piatti fumanti e una bottiglia di vino. Non appena si
furono seduti Sherlock tirò fuori il proprio taccuino e una
matita,
inzuppati all'inverosimile, e scribacchiò qualcosa. Si prese
la
lingua fra i denti.
“Beh,
okay, allora,” disse John con una strana espressione.
“Ti amo, lo
sai,” aggiunse. “Anche quando fai il
coglione.”
Sherlock
lo degnò di una minima frazione della propria attenzione.
“Me lo
annoto.”
“Sei
ridicolo, e sei un vero stronzo, e su certe cose sei schifosamente
ingenuo.”
Quella
volta, Sherlock gli rivolse un'occhiataccia. “È un
tuo nuovo
passatempo, elencare i miei difetti?”
“A
volte mi fai impazzire così tanto che giuro che è
quasi impossibile
non afferrarti per il bavero e scuoterti fino a farti entrare un po'
di buonsenso in zucca,” continuò John.
“È come avere
costantemente a che fare con un bambino fuori taglia.”
E
poi John fece una cosa buffissima. Si inginocchiò accanto al
tavolo
e tirò fuori dalla tasca una scatolina, e la
aprì. Dentro c'era una
fede d'argento da uomo.
“Sei
disordinato, terribile a gestire i soldi e non hai il senso dello
spazio personale, e non ho mai... non ho mai amato qualcuno la
metà
di quanto amo te.”
“Che
diamine stai facendo?” sparò Sherlock.
“Ti
chiedo di sposarmi,” replicò John.
Seguirono
rabbia incoerente e quell'espressione sul volto di Sherlock.
“Devi
essere impazzito.”
“Così
si dice,” disse John, gli angoli delle labbra che iniziavano
a
piegarsi verso il basso. Sherlock si premette una mano sul cuore,
chiuse gli occhi e cercò di respirare. “Stai
bene?”
“Certo
che no,” sbottò Sherlock, per poi gemere e
premersi il pugno
contro il petto. “Questo è un infarto. Mi hai
fatto venire un
infarto.”
“Sherlock,”
disse John accigliato – non si stava nemmeno rialzando.
“Se questo è il tuo modo di
rifiutarmi–”
“Non
appena riuscirò di nuovo a respirare ti
ucciderò,” rispose con
sincerità, a occhi chiusi.
“Sherlock.”
“Ci
dev'essere in te una qualche deficienza mentale che in qualche modo
mi è sfuggita,” disse Sherlock, più
rivolto a se stesso che a
John, che era ancora a terra, anche se andava assomigliando
più a un
giocatore di rugby in procinto di placcare Sherlock alle ginocchia
invece di un uomo in atto di fare una proposta di matrimonio.
“Perché
nessuna persona sana di testa rifiuterebbe qualcuno otto
volte
solo per–”
Sherlock
si interruppe e si alzò di colpo, le mani che gesticolavano
furiosamente, rovesciando per l'agitazione il bicchiere di vino
più
vicino. “No. È ridicolo. Assolutamente ridicolo.
Non so ancora
cosa tu stia cercando di provare, ma – no.” Il
Pinot nero colò
giù dalla tovaglia bianca, e la sua mente si accorse con
orrore di
quante volte si era ripetuto.
“Non
sto cercando di provare niente,” sbottò John, ed
ebbe la gran
faccia tosta di sembrare ferito.
“Metà di quelle volte non sapevo neppure che mi
stessi chiedendo
di sposarti, e le altre volte–”
“Cosa?”
“Non
sapevo che facessi sul serio, Sherlock! Non l'ho capito
finché non
ci hanno sbattuto fuori da Tesco. Non avevo capito che lo volevi
davvero – che eri–” Si interruppe.
“Un semplice no sarebbe
bastato.”
“Oh,
taci,” disse Sherlock, e si inginocchiò davanti a
lui. “Certo
che ti sposo.”
“Allora
cosa–”
“E
accadrà quando lo deciderò io, nel modo in cui
deciderò io, nel
posto che deciderò io, perché ne ho avuto
abbastanza di te ed è
chiaro che le tue abilità relazionali sono anche peggiori
delle
mie.”
Le
labbra di John si incurvarono lentamente verso l'alto, gli occhi
rossi e umidi. “Mi sposerai?”
“Mi
sembra di aver messo bene in chiaro le mie idee a tal riguardo,
John,” disse con serietà, ma l'inesorabile
sensazione estatica che
gli si era annidata da qualche parte nel petto lo fece sorridere.
Si
sporse in avanti, e John lo imitò, ma prima che
raggiungessero la
destinazione il cellulare di Sherlock squillò.
“Dannazione,
Mycroft, più irritant–”
John
sorrise, afferrò Sherlock per il bavero e lo spinse in
avanti per
baciarlo.
Il
cellulare finì da qualche parte sul pavimento, la voce di
Mycroft
che gracchiava dal microfono, ma John era troppo impegnato a infilare
le dita fra i capelli di Sherlock e a baciarlo perché gliene
importasse qualcosa.
**
Trascorsero
tre settimane di beata vita domestica – per loro,
ciò si traduceva
in due omicidi, una rapina in banca fallita e un caso di falsa
identità che si rivelò interessante solo per la
scoperta di quanti
piccioni uno potesse tenere in casa – prima che la pace si
interrompesse bruscamente con una visita mattutina di Lestrade.
“Mi
serve il tuo aiuto per un caso,” disse, arrampicandosi su per
le
scale più stancamente del solito. “È
saltato fuori che uno di
quella moltitudine che hai arrestato non è solo colpevole di
non
aver pagato il biglietto per il parcheggio.”
Sherlock,
dalla sua incredibilmente bizzarra posa sul divano, ignorò
Lestrade.
Lasciò dunque a John il triste, noioso incarico di
comunicare con il
popolo o, in questo caso, col suo affidabile portavoce.
“Quale
'moltitudine'?”
Lestrade
li guardò confuso. “Qualche settimana fa
– sai, il giorno che è
andato a fare arresto libero di cittadini e ne ha sbattuto dentro una
sessantina? Per un attimo abbiamo temuto che raggiungesse il
centinaio.”
Lestrade,
che mai era stato esattamente un volpone, non capì come mai
Sherlock
stesse all'improvviso agitando frenetico le braccia dietro a John, o
perché John stesso avesse stretto le palpebre in modo poco
promettente. “Come, prego?”
“C'erano
ragazzi, nonne, giovani madri – francamente, è
stato orribile,”
continuò Lestrade, ignaro del crescendo di tensione nella
stanza.
John
girò sui tacchi. “Sherlock,” disse con
molta, molta attenzione.
“Cosa ti ho detto sui buoni spesa?”
Sherlock
lo fissò con supremo disinteresse prima di iniziare a
studiarsi le
unghie. “Avevo un pomeriggio libero.”
John
ebbe uno spasmo,
un movimento piuttosto importante per uno così piccolo, e
poi
esplose. “Giuro su Dio, Sherlock, non ho intenzione di vivere
il
nostro matrimonio mangiando fagioli.”
“Ancora
fagioli!” urlò di rimando Sherlock, gettando le
braccia per aria.
“Ti infilerò una lattina di fagioli giù
per la gola e morirai
così. Mi assicurerò che sia sulla tua lapide,
tanto perché tu lo
sappia: 'adorava i fagioli', ci sarà scritto.”
Si
lasciò cadere sul divano come se la crisi di nervi l'avesse
lasciato
esausto, e agitò imperioso una mano. “Non posso
continuare a
ripeterti all'infinito di non preoccuparti dei soldi, ma visto che
sta diventando un problema dirò a mammina di mandare
qualcuno a
spiegarti i particolari del mio fondo fiduciario.”
“Il
tuo cosa?”
strillò John – i bicchieri nel lavello tremarono.
“Continuiamo
a mangiare maledettissimi fagioli e tu hai un dannato fondo
fiduciario?!”
Sherlock
scrollò le spalle e guardò Lestrade mentre questi
sembrava
scegliere quel momento per svignarsela, il verme. “Beh,
quando
saremo sposati avrai accesso al fondo e potrai farci quello che
vuoi.”
“Vorrei
del tè che non sappia di suola di scarpa,” disse
John,
accasciandosi sulla propria poltrona. “Dio mio, sei un vero
coglione,” borbottò. “Un
fondo fiduciario.”
“Beh,
e un paio di proprietà,” disse Sherlock.
“E quell'isola ai
Caraibi.”
John
spalancò gli occhi all'inverosimile e Sherlock aggiunse con
nonchalance, “Potrei aver scordato di dirti che sono un
conte.”
Note
della traduttrice: Ho capito di voler tradurre questa storia
dopo
la quarta riga di lettura. Per svariati motivi: mi ha fatta morire
dal ridere, e ciò è immensamente buono.
Perché la scrittura
originale è molto, molto, molto inglese, e questa si
è rivelata la
traduzione più difficile che io abbia mai fatto, ma mi ha
anche dato
un sacco di soddisfazioni. A conti fatti, è stata una
splendida
esperienza e spero che la storia sia piaciuta a voi quanto a me e che
abbiate trovato la traduzione all'altezza. Ad ogni modo, ripeto: se
conoscete l'inglese e ve la sentite, non potete perdervi l'originale!
Infine: ringraziate SereILU, la mia meravigliosa Beta/partner in crime.
Non si ringraziano quasi mai le Beta. Ma lei va ringraziata,
davvero.
Grazie
per aver letto,
Zuz
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