tutto cio’ che volevo
sentirgli dire
L’Alba
Un
giorno così malinconico
Non dovrebbe esistere
E' un giorno di cui mai sentirò la mancanza
Un giorno così malinconico
Ed è mio
Il giorno in assoluto più malinconico della mia vita
E se te ne vai
Voglio andarmene con te
E se tu muori
Io voglio morire con te
Prendere la tua mano e andarmene via con te.
Il giorno in assoluto più malinconico della mia vita
Un giorno così malinconico
Ed è mio
E' un giorno a cui sono contento di essere sopravvissuto.
(Lonely Day- System Of A Down)
Silenzio.
Per
un attimo tutto fu
silenzio intorno a lui. Era ancora in piedi, nella sala grande, ma era
come se
si trovasse in una sorta di limbo e davanti
a lui non c’era più Voldemort con la
bacchetta puntata contro, non ci sarebbe stato mai
più.
Harry
abbassò lentamente la
mano che impugnava l’arma. Era riuscito a respingere la
maledizione senza
perdono per la seconda volta.
Per
tutta la sua giovane
vita, aveva aspettato con ansia e terrore quel momento e ora finalmente
era
libero.
Di
vivere la sua esistenza.
Di
girare per le strade
senza avere più paura, senza nascondersi.
Libero
di amare Ginny.
La
calma durò poco, quasi si
spaventò per le grida che lo investirono come un onda, ma capì presto che
quelle erano grida di
gioia. In breve si rese di nuovo conto di dove si
trovava. Intorno a lui c’erano
tutti coloro che erano sopravissuti a quella notte,
all’ultima terribile
guerra.
Rapidamente
il suo corpo fu
avvolto da tante braccia. Tutti volevano festeggiare con lui, tutti
volevano
toccare l’uomo che aveva sconfitto Voldemort.
Luna
ad un certo punto gli
aveva suggerito di andarsene di nascosto, per poter riposare lontano da tutti
e lui
non se lo era fatto ripetere due volte.
Quella
fu la notte, dove
Harry dormì veramente per la prima volta dopo tanto tempo.
Passarono
i giorni. La
ricostruzione di Hogwarts gli impegnò tutti e lui non si
fece da parte. Lavorò
fianco a fianco con i suoi professori, con i suoi amici,
afinchè quel luogo, che
lui aveva sempre considerato la sua Casa, tornasse come prima il più presto possibile.
Aveva
finalmente parlato con
lei, la sua meravigliosa rossa e senza tante parole si erano
dichiarati
nuovamente i loro sentimenti, resi più forti dalla forzata
lontananza.
Si sarebbe dovuto sentire
finalmente
soddisfatto, ma un
pensiero, nonostante
tutto, lo tormentava ancora.
Aveva
eliminato Lui, aveva
di nuovo il suo amore e aveva potuto chiarirsi con Dumbledore, in
quella misteriosa
sala somigliante a King’s Cross, ma c’era ancora
qualcosa che voleva fare.
Ci
pensò a lungo per
diversi giorni. Non sapeva se era una cosa giusta, ma se non
l’avesse fatto,
forse si sarebbe tormentato per sempre e alla fine prese la sua decisione.
L’alba.
Camminò da solo
verso il centro della foresta
proibita. Brividi gli corsero giù per la schiena a rivedere quella
radura, dove
aveva creduto di lasciare il mondo per sempre.
Si
strinse il mantello
addosso, costringendosi a non avere paura di quel luogo e
iniziò a guardarsi
intorno.
Il
sole era ancora debole e
pochi raggi filtravano dagli alberi intorno. Solo quello spiazzo era
maggiormente illuminato.
Scandagliò
con lo sguardo la
terra intorno ai suoi piedi, poi lo vide.
L’anello
di Salazar Slytherin
era ancora lì, dove lui lo aveva lasciato cadere.
Aveva
detto a Dumbledore che
nessuno lo avrebbe più toccato e che solo lui sapeva dove si
trovasse, ma ora
gli serviva, per l’ultima volta.
Dopo
lo avrebbe seppellito
sotto un albero, nessuno lo avrebbe più rivisto.
La mano gli
tremò, mentre la abbassava per
raccogliere i due pezzi della pietra.
Strinse
gli occhi e respirò
velocemente, continuandosi a ripetere che lo doveva fare, e che poi si
sarebbe
sentito meglio.
La
pietra girò per tre volte
nel palmo della sua mano.
Si
costrinse ad aprire gli
occhi infine, davanti a lui c'era la persona che aveva evocato dal
sonno eterno.
Occhi
verdi. tristi, grati,
imbarazzati, insicuri.
Occhi neri. Curiosi,
rassegnati, severi.
Nuovamente illuminati dal soffio della vita, anche se sarebbe stato per
poco
tempo.
“Professore,
io la volevo
ringraziare. Non potevo andare avanti senza averle parlato almeno un
ultima
volta. Senza di lei, probabilmente non sarei sopravissuto ai miei
undici anni.
Senza lei, non sarei riuscito a capire come sconfiggerlo, e
probabilmente,
senza lei non sarei diventato quello che sono ora.”
Snape
lo guardò come mai lo
aveva guardato in vita.
Provò orgoglio e
stima per quel giovane uomo.
Forse si pentì di non essersi mai dato la
possibilità di instaurare un rapporto
diverso da quello che avevano avuto, ma ormai era tardi e una volta
tornato nel
mondo degli spiriti, non avrebbe più sentito quel sentimento
umano.
In
quel momento però, si
sentiva vivo e decise di fare la cosa più
giusta che sentiva andava fatta.
Gli
occhi di Harry si
velarono di lacrime, mentre il professore gli poggiava una esile mano
sulla
spalla e lo guardava, sorridente.
“Sei
stato bravo, Harry.”
Non
ci sarebbe stato bisogno
di dire altro, quello era ciò che Harry aveva desiderato
tante volte, sentirsi
lodare da lui. Harry guardò Snape con gli occhi pieni di
lacrime, per attimi
che si sarebbe impresso a fuoco nella mente, per sempre.
“Ora
è meglio che
vada, Harry. Sono sicuro che un giorno ci incontreremo ancora.”
Harry
fece un cenno affermativo col
capo, senza riuscire a parlare.
Snape
lo guardò per un
momento ancora e poi volse
lo sguardo verso
il luogo che anche lui aveva considerato come la sua Casa, Hogwarts.
Harry
gli sorrise e lui gli
mostrò per un attimo il suo ghigno tanto familiare in cenno
di saluto, prima di
scomparire per sempre, nel momento in cui le pietre scivolavano a terra
dalla
mano di Harry.
Harry
si sedette per terra,
circondandosi le gambe con le braccia, ora solo.
Sul
viso rigato dai residui
di lacrime, un sorriso.
“Era tutto ciò che volevo
sentirgli dire.” Disse.
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