Live Again

di EllieHope
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Ciao a tutti, scusatemi per l’imperdonabile ritardo. In realtà avevo postato questo capitolo un paio di giorni fa, ma sono talmente scema che l’ho cancellato e ho cancellato perfino il terzo! *facepalm* … sono senza speranze!
Comunque, ora ho sistemato tutto, perciò riposto questo tanto agognato - da parte mia – capitolo.
Ringrazio tutti per le recensioni! Vi risponderò a breve! :)
Grazie grazie grazie a chi legge silenziosamente e a chi inserisce la storia tra le preferite e da ricordare!
Un grazie immenso,
Ele.

Suggerimento musicale: https://www.youtube.com/watch?v=NNbG1tlaLSA


Capitolo 4


                                                               And I felt alive

‘Lindsey … sul serio, forse farei meglio a tornare a casa.’ Dissi cercando una via di uscita.
‘Kristen, non ricominciare, per favore!’ disse voltandosi verso di me.
La guardai negli occhi sperando che capisse quanto mi sentissi a disagio in quel momento. Parve capirlo perché mi sorrise dolcemente e mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
‘Ehi! Sei uno schianto stasera, Kris! Non capisco proprio di cosa ti vergogni … li stenderai tutti!’ mi incoraggiò.
Sì, li stenderò tutti quando cadrò rovinosamente addosso a qualcuno perché non riuscirò a camminare su queste stupide scarpe! Pensai
‘Niente problemi, niente tristezza, niente paranoie stasera. Solo divertimento, ok?’ aggiunse notando la mia scarsa convinzione.
Solo divertimento? Sì, potevo provarci, almeno.
‘Affare fatto’ le dissi convinta e battendole il cinque.
Dopotutto ne avevo bisogno.
Mi sorrise euforica e ci incamminammo attraverso il campus per raggiungere l’aula magna dove si sarebbe svolta la festa.

La sala era stata sgombrata dalle sedie e dai banchi e riadattata a discoteca. Dal soffitto scendevano decorazioni argentate, che, illuminate dalle luci, davano vita ad una magnifica coreografia di riflessi scintillanti.
Il fondo dell’aula era stato adibito a bar ed era gremito di studenti che chiacchieravano allegramente tra loro. La musica riempiva la stanza e alcuni coraggiosi esibizionisti erano già in pista a ballare.
L’atmosfera era piacevole e fui contenta di non essere tornata all’appartamento.
Lasciammo i cappotti al guardaroba e ci avventurammo tra la folla che ora affluiva numerosa. Mi guardai un po’ in giro e riconobbi qualche compagno di corso, salutai con un cenno e un sorriso divertito Lara, la ragazza bionda con cui avevo svolto un saggio sulla Francia Seicentesca a lezione.
Mi diressi al bar, presi da bere e, sorseggiando il mio drink alla fragola, osservai Lindsey che rideva spensierata in compagnia di un ragazzo moro, alto e che molto probabilmente faceva parte della squadra di rugby dell’università, a pochi metri da me.
La invidiavo.
Invidiavo la sua sicurezza e la sua spensieratezza.
Invidiavo la sua positività e il suo ottimismo.
Io non volevo più permettermi di essere positiva e spensierata. Non potevo. Ogni volta che mi ero permessa un po’ di felicità, le persone a me più care se ne erano tragicamente andate, lasciando mi sola. E io … beh, io non ero più in grado di sopportare altro dolore. Sarebbe stato troppo.
La testa cominciò a girare e sentii un bisogno irrefrenabile di piangere.
Aria.
Avevo bisogno d’aria.
Appoggiai il bicchiere al bancone e lasciai la festa, dirigendomi verso l’esterno dell’edificio.
L’aria fredda mi investì, inspirai profondamente per qualche minuto cercando di far scemare quell’improvviso attacco di panico. Appoggiai la schiena al muro e guardai il cielo scuro, privo di stelle, concentrandomi su di esso.
Non ero pronta a rivivere tutto quel dolore. Non ancora.
Avevo bisogno di tempo.
‘Chissà quanto ancora?’ mi chiesi.

Meno male che si era detto ‘niente tristezza e solo divertimento’! pensai ironica ricordando le parole di Lindsey.
Passai distrattamente una mano tra i capelli e un brivido mi risalì lungo la schiena.
‘Sapevo che le londinesi fossero abituate a climi rigidi, ma non credevo fino a questo punto!’ disse una voce alla mia sinistra.
Mi voltai di scatto, spaventata: Robert se ne stava a pochi metri da me, con le mani in tasca e mi fissava sorridente.
‘Wow, sei davvero bellissima stasera …’ disse guardandomi dalla testa ai piedi; seguii il suo sguardo e solo in quell’istante mi ricordai che avevo indosso soltanto un abitino ondeggiante color blu notte – acquistato quello stesso pomeriggio –, calze blu e un paio di scarpe dal tacco scomodamente alto.
Arrossii violentemente.
‘… E quando arrossisci, sei davvero adorabile’ aggiunse.
Boccheggiai.
Davvero ha detto una cosa del genere o me lo sono immaginata?

‘Grazie Robert, anche tu non sei da meno..’ ribattei cercando di spostare l’attenzione su di lui. Indossava un paio di pantaloni blu, una camicia bianca semi-sbottonata e sopra di essa una giacca beige che portava slacciata.
Rabbrividii involontariamente e mi strinsi le braccia attorno alle spalle cercando di scaldarmi.
Robert si avvicinò, si tolse la giacca e la appoggiò sulle mie spalle. Il suo profumo mi avvolse. Il suo calore mi scaldò nel profondo.
Incontrai il suo sguardo e mormorai un flebile ‘grazie’.
Mi aveva colto alla sprovvista. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me. Questo genere di cose succedeva solo nei film.
Ci fissammo per minuti interi senza proferire parola, mi sentii protetta e mi persi nella profondità del suo sguardo.
Quegli istanti di estrema intimità furono interrotti da un gruppetto di studenti che lasciavano la festa in preda agli effetti dell’alcol e dell’euforia. Li osservai mentre si allontanavano urlando frasi sconnesse e del tutto prive di senso.
Mi sfuggì un sorriso.
‘Che ci facevi qui fuori al freddo tutta sola?’ chiese Robert quando il parco ritornò silenzioso.
‘Avevo bisogno di una boccata d’aria … ’ risposi abbassando lo sguardo. ‘ … e tu, invece? Cercavi donzelle in difficoltà, forse?’ lo schernii.
‘Cercavo te ’ Mi rispose, incatenando il suo sguardo al mio.

Passò qualche istante prima che registrassi il significato delle sua parole.
Cercava me.

Un momento: cercava me?!
‘Me?’ domandai con voce acuta. Mi prende in giro, giusto?

‘Sì, proprio te. Volevo invitarti a pranzo lunedì, visto che oggi mi hai dato buca. ’
Scoppiai a ridere, incredula.
Lui continuò a fissarmi, divertito, ma in attesa di una risposta.
‘Accetto l’invito, allora. ‘ risposi.
Mi afferrò la mano destra e la strinse nella sua. Arrossii. Lui mi regalò un sorriso e il mio cuore perse un battito.
‘Meno male! Un tuo secondo rifiuto mi avrebbe ucciso!’ disse melodrammatico.
Scoppiammo a ridere.
‘Ti va di rientrare? ‘ chiese.
Sospirai.
‘No, sono molto stanca, credo che tornerò a casa …’ gli risposi.
Lessi la delusione nei suoi occhi blu, ma subito si ricompose e si offrì di accompagnarmi.
‘Non potrei lasciare che una dolce fanciulla torni a casa da sola a quest’ora della notte. Ne andrebbe del mio onore di Englishman!’ aggiunse scherzoso, senza smettere di stringermi la mano.
‘Se ne va del tuo onore … non posso far altro che accettare!’ risi.
Ci incamminammo verso l’uscita del campus, la mia mano ancora stretta nella sua a darmi conforto, forza e calore – ogni ombra di imbarazzo, ormai, sparita -.
Arrivati, mi accompagnò fino alla porta dell’appartamento.
‘Io … abito qui.’ Dissi, indicando la porta alle mie spalle. ‘Allora … ehm … grazie per avermi accompagnata e grazie per la giacca’ dissi impacciata, sfilandomela.
Lui, però, mi fermò.
Inaspettatamente prese il mio viso tra le mano e mi regalò un bacio delicato a fior di labbra.
Rimasi impietrita.
Indietreggiai.
Sostenne il mio sguardo, analizzando la mia reazione.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi lasciai andare, sciogliendomi nei suoi baci e nelle sue romantiche, intime attenzioni.
E mi sentii libera.
E mi sentii viva.





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