Titolo: Falling
Fandom: Doctor
Who
Personaggi: Tenth
Doctor (The Duplicate), Rose Tyler
Rating: PG13
Genere: romantico,
comico
Parte: 1/2
Avvertimenti: post
Journey’s end, Pete’s World
Riassunto: Era
un Signore del Tempo, per amor del cielo. Lui si mangiava un Dalek a
colazione, faceva pranzo con un Cyberman e per il dopo cena mandava in
scena la tragicommedia dell’Angelo Piangente. Non poteva
farsi mettere al tappeto da un paio di pattini. Ne andava della sua
stessa reputazione.
Note: scritta
per la big damn table con prompt 19.
Bianco.
Disclaimer: La
storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti
alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è
scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.
Falling
“John!
Vieni?” lo esortò Rose facendogli cenno di
raggiungerla.
John
si guardò attorno: tutti sembravano divertirsi, non pareva
ci fossero pericoli imminenti. Si sistemò meglio il
cappellino sulla testa e tirò su la cerniera della giacca,
in modo che non uno spiffero potesse penetrare la cortina di tessuto.
Sollevò il volto al cielo, dove le nuvole iniziavano ad
addensarsi in un grigiore che preannunciava neve. Inspirò
l’aria a pieni polmoni: era fredda e frizzantina.
C’era proprio la condizione giusta per avere una bella
nevicata con i fiocchi.
Magari,
se avesse continuato a tentennare lì sul posto la neve
sarebbe venuta in suo soccorso. O il Torchwood. Si
disse, sfregandosi con foga le braccia già intirizzite dal
freddo. Il
Torchwood sarebbe stata la scusa perfetta. Non c’era niente
di meglio che una catastrofe imminente per salvarlo da quella
situazione.
“John?”
lo chiamò nuovamente Rose, sbuffando appena il suo nome in
una nuvoletta di fumo.
L’uomo
guardò la ragazza che lo attendeva con un sorriso
incoraggiante sul volto e le gote arrossate dal freddo.
John
si fece coraggio e tentò qualche passo traballante in
direzione della pista. Raggiunse, con uno sforzo ragguardevole la
balaustra e ci si aggrappò a peso morto.
“Come
va?” gli domandò Rose, dopo averlo raggiunto con
passo aggraziato.
L’uomo
sollevò un sopracciglio che a suo parere parve esaustivo a
rispondere alla domanda della ragazza e, difatti questa
ridacchiò sotto i baffi, zittendosi subito dopo per aver
ricevuto un’occhiata non troppo amichevole.
“Vuoi
una mano?” chiese sorniona, mentre John arrancava verso il
cancello che lo divideva dal mondo infernale del ghiaccio.
“No,
grazie, Rose. Me la cavo benissimo da solo.”
“Come
vuoi tu.” Ribatté la ragazza, prima di fare una
piroetta sul posto e buttarsi in mezzo alla mischia.
John
maledì la sua lingua da orgoglioso Signore del Tempo. Ex
Signore del Tempo.
Precisò la sua mente puntigliosa. Umano
con la mente da Signore del Tempo e, da quello che aveva potuto vedere,
sembrava che, quest’umano, non avesse affatto il senso
dell’equilibrio.
John
mise un pattino sul ghiaccio, rilasciando un sospiro di sollievo quando
la gamba non mostrò particolari segni di spostamento
improvviso. Tenendosi ben aggrappato alla balaustra e facendo leva su
quel piede già sul ghiaccio, che sembrava un punto
abbastanza stabile, si fece coraggio e portò anche
l’altra gamba sulla lastra liscia. Ondeggiò appena
ma, con un colpo di reni e facendo forza con le braccia
riuscì a mettersi dritto.
Fiero
del proprio operato sollevò il volto dai propri pattini che
sì, avevano un intreccio di stringhe a dir poco sublime, ma
non era nulla di particolare se confrontato al sorriso della sua Rose e
ricercò il volto della ragazza. Era bellissima con il
cappellino in testa che lasciava sfuggire solo qualche boccolo biondo.
Le sue gambe, fasciate da un paio di jeans, si muovevano sicure sui
pattini; le sue movenze erano aggraziate, come se la sua mente stesse
seguendo una musica tutta sua.
John
fece per andarle incontro, muovendo piano le lame sulla lastra
ghiacciata, ma precipitò a terra travolto da
un’orda di bimbi impazziti.
“John?
Tutto bene?” gli domandò Rose, raggiungendolo
velocemente.
L’uomo
mugugnò una risposta da sotto il corpo di un bambino
rotondetto che la ragazza si affrettò a spostare, ammonendo
poi lui e i suoi amici per quella corsa sconsiderata.
“Ah,
è inutile che ci provi, Rose.” Sospirò
John, mettendosi faticosamente seduto sul ghiaccio. “Si
stanno divertendo, non ti ascolteranno di certo.”
“Ma
dovrebbero imparare la buona educazione.” Si
impuntò la ragazza offrendogli una mano per rimetterlo in
piedi.
“Era
quello che facevi tu alla loro età?”
ribatté John, indicandole i ragazzini che sfrecciavano tra
gli altri pattinatori, facendo mirabolanti gare di slalom.
Rose
arrossì e borbottò qualcosa che si perse tra la
stoffa della sua sciarpa, facendo ridere John di gusto e rischiando di
mandarlo a terra. Di nuovo.
“Ehi,
stai attento!”
“La
fai facile te, sembra che tu abbia vissuto tutta la tua intera vita sui
pattini.”
“Tu
invece mi ricordi un orso.”
“Gentile.”
“È
sempre un piacere.”
John
le fece una linguaccia, trovando la stessa espressione sul volto della
ragazza. Scoppiarono a ridere entrambi, ma, questa volta, lui si
ancorò per bene al braccio della compagna, memore della
caduta precedente.
“Ecco,
aggrappati qui.” Disse Rose, trascinando il ragazzo fino al
bordo della pista. Lo scollò dal proprio braccio e gli fece
posare una mano sulla balaustra, mentre lei si chinava veloce ai suoi
piedi per sistemargli meglio i pattini.
“Prima
volta, eh?”
“Già.”
Confermò lui, grattandosi la nuca con la mano sbagliata,
rischiando di cadere di nuovo per terra.
Rose
si rialzò strabuzzando gli occhi, mentre il mezzo Signore
del Tempo recuperava il poco equilibrio che aveva e la guardava col
volto imbarazzato.
“Davvero?”
John
annuì con la testa, provocando una leggera oscillazione del
proprio corpo. Avrebbe
dovuto dare un’occhiata nel proprio orecchio: gli pareva che
il controllore del proprio equilibrio fosse leggermente difettoso .
“Ci
sei rimasta male?” domandò John con una vocina
piccina.
“Beh,
no. Solo che non me lo aspettavo.” Ammise la ragazza,
mostrandogli i movimenti giusti da fare. “Ho sempre pensato
che tu fossi un asso in tutto. Credevo che tu sapessi fare ogni
cosa.”
“Oh,
Rose. Non sono così infallibile. Anche i Signori del Tempo
hanno un limite.”
“Non
lo credevo possibile.” Rispose la ragazza, arrossendo per il
pensiero che le si era formato in testa. John la osservò
inclinando il volto di lato e arrossì anche lui, quando lo
stesso pensiero attraversò la sua mente.
“E
poi dici che sono io quello che pensa sempre al ses-”
“Shhh!”
lo apostrofò Rose, piazzandogli svelta una mano sulla bocca.
“Cosa?”
“Non
si parla di queste cose in pubblico.” Sbottò la
ragazza sentendo le proprie guance scottare.
“No?”
rispose lui a metà strada tra l’ingenuo e il
malizioso.
“No!
Siamo inglesi.” Spiegò Rose considerando il caso
chiuso.
John
alzò le spalle, stupendosi ancora una volta di quanto non
sapesse cogliere tutta la stranezza del genere umano nonostante i suoi
più di novecento anni di vita.
“Hai
capito?” disse Rose, strappandolo dai propri pensieri.
“Che
non si parla di sesso in pubblico. Sì, ho afferrato il
concetto finale, non ho capito il procedimento, ma ho compreso che
l’ipotesi di partenza dell’essere inglesi fa
passare tutto il resto in secondo piano. Quindi credo sia un assioma,
giusto?”
Rose
si batté una mano sulla faccia, divenuta di una
tonalità tendente al bordeaux allorché una
mandria di ragazzini li superò con risatine al loro
indirizzo.
“Ho
sbagliato qualcosa?” domandò l’uomo, non
riuscendo ad afferrare il motivo dell’improvviso imbarazzo
della compagna.
“No,
tesoro.” Sospirò la ragazza, prendendogli una mano
tra le sue. “Hai spiegato perfettamente il senso.”
John
annuì soddisfatto ed abbassò il volto per posare
le sue labbra screpolate dal freddo su quelle morbide della compagna.
Si gustò il dolce calore della bocca della ragazza che si
aprì subito ad accogliere la sua lingua e si godette la
morbidezza di quei fili dorati stretti tra le sue dita. Avrebbe
approfondito ancora il bacio, se non fosse stato per Rose che,
prudentemente, lo aveva allontanato da sé prima che
giungessero al punto di non ritorno. John si staccò di
malavoglia dalla sua bocca invitante ed accennò a un
movimento in avanti, finendo, inevitabilmente, al suolo.
“Non
una risata.” La ammonì, guardandola dal basso
mentre il cappellino con il pom-pon gli ostruiva la visuale completa
della ragazza che si mordeva le labbra pur di accontentarlo.
“E
non dirlo a nessuno.” Si fece promettere ancora,
allorché fu di nuovo in piedi ed al sicuro tra le braccia
della compagna.
“Nessuno,
tranquillo.” Promise Rose, mentre i suoi occhi divertiti
urlavano il contrario.
“E
adesso spiegami come si fa ad andare con questi cosi.”
sbottò John infastidito per l’assurdità
della situazione.
Era
un Signore del Tempo, per amor del cielo. Lui si mangiava un Dalek a
colazione, faceva pranzo con un Cyberman e per il dopo cena mandava in
scena la tragicommedia dell’Angelo Piangente. Non poteva
farsi mettere al tappeto da un paio di pattini. Ne andava della sua
stessa reputazione.
Si disse, tentando di farsi un discorso di incoraggiamento.
“John?”
lo richiamò Rose già a pochi metri da lui,
vedendo che il suo allievo non la stava minimamente ascoltando.
“Ancora il discorso di incoraggiamento con i Dalek che ti
portano il the?”
L’uomo
sorrise, scoprendo ancora una volta quanto Rose ormai lo conoscesse
bene.
“Li
mangio a colazione, non mi portano il the.”
Puntualizzò lui, mentre la ragazza liquidava la faccenda con
un movimento della mano.
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