Gwen
si aggirava per la foresta: sudava dalla fatica, il battito
accelerava mentre un velo di preoccupazione sempre più grave
si faceva strada
sul suo volto. Ne era certa, doveva trovarsi lì da qualche
parte. O almeno,
in quella
foresta.
«Fromum feohgiftum on
fæder
bearme» Gwen accese una sfera di luce davanti a
sé.
Gli alberi si ergevano minacciosi sulla sua testa, il cielo
era
ricoperto d’ un grigio opaco mentre le radici degli alberi la
facevano
continuamente inciampare.
«Trovatela, e portatela dal mago
supremo!» le voci
degli orchi
risuonarono come un rimbombo nelle sue orecchie, mentre cercava riparo
in una
qualche cavità.
Riuscì a nascondersi dietro un albero,
nell’attesa
che gli orchi
passassero oltre; davanti a lei, in fondo al bosco, si stagliava la
figura
possente di Gran Burrone. Là c’era la sua vita,
là c’era Artù.
Si ricordava ancora di quel ragazzo presuntuoso che
l’aveva
sempre
derisa perché era povera, e si ricordava di come lei si
fosse inventata ogni
volta un trucco diverso per renderlo ridicolo. Ora, invece, era tutto
diverso:
lo amava, e lui amava lei, quell’amore sincero che solo due
persone innocenti e
pure d’animo possono provare.
Le urla degli orchi la riportarono alla realtà.
Si
acquattò dietro a
quel grosso tronco, con il cuore in gola.
Quando non sentì più nulla, si sporse
leggermente
per accertarsi che
tutto fosse tranquillo. Improvvisamente, una mano le afferrò
il braccio: ma
prima che potesse lanciare un urlo, Merlino le tappò la
bocca.
«Merlino! Finalmente mi hai trovata!»
Gwen lo
abbracciò, la testa sul
suo petto e i capelli che sfioravano il mento di lui. Adorava suo
fratello
Merlino, riusciva sempre a tirarla fuori dai guai.
«Gwen, grazie al cielo! Sei impazzita?! Non
provare
più ad andartene
in giro da sola per questa foresta!» Merlino alzò
un po’ la voce, ma era chiaro
che non riuscisse a contenere la gioia di rivederla sana e salva.
«Non sono più una bambina! Ma
d’altronde
hai ragione, prometto che la
prossima volta ti avviserò..» disse la maga, con
un filo di voce.
«Allora, cos’hai perso stavolta, la
testa? Non mi
sorprenderebbe se
ormai perdessi anche quella»
«Forbærnan»
pronunciò
Gwen,
gli occhi le scintillarono come oro.
Merlino lasciò cadere il pugnale che aveva legato
ai
fianchi, il
manico scottava come ferro fuso.
«Aaaah! Gwen, giuro che questa me la
paghi!» il
mago iniziò a
rincorrerla, proprio come avevano sempre fatto da piccoli.
«E va bene, hai vinto!» Merlino si
fermò, esausto « adesso cerchiamo
l’anello»
«D’accordo» disse Gwen, e
insieme si
misero a perlustrare nuovamente
la zona.
Merlino aveva una lettera in tasca, Gwen se ne era accorta.
E dato che
portava il sigillo reale, poteva ben immaginare chi l’avesse
mandata. Non si
rese conto che era fissa nella stessa posizione di prima da cinque
minuti, gli
occhi che si lubrificavano per la polvere e le labbra aperte in una
smorfia
serena.
«Lo so che stai spasimando per la lettera che ho
qui..» le urlò il
fratello dall’altra parte della foresta, lo sguardo contorto
in un sorrisetto
malizioso.
«Ma che dici!» le gote della ragazza si
colorarono
di un rosso acceso,
mentre cominciava ad avere le palpitazioni.
«Il re Uther ci invita domani sera al ballo di
corte..
naturalmente
suo figlio Artù avrà bisogno di una
dama..»
«Ma ci sono bellissime fanciulle in questo regno,
come
potrà mai
scegliere una come me? E poi, lui non mi piace, è solo uno
sbruffone» urlò
Gwen, imbronciandosi.
Quell’urlo fu uno sbaglio, un terribile sbaglio.
Gli orchi
comparvero
da dietro delle rocce e attaccarono suo fratello. Lui cercò
di difendersi, ma
venne colpito alla testa e svenne.
«Lasciate stare mio fratello! Bene
læg gesweorc!» lanciò un
incantesimo, che in poco tempo fece crescere la
nebbia, molto fitta.
Sapeva che non sarebbe mai riuscita ad affrontare un
esercito di orchi
da sola, e con quell’incantesimo era riuscita a sottrargli
dalle grinfie
Merlino e a portarlo in salvo.
«E’ tutta colpa mia! Resisti, adesso ti
porto dal
nonno!» urlò
piangendo la dolce Gwen.
Arrivarono a casa di Gaius, il nonno, che era esperto di
cure mediche
e rimedi magici. Gwen trascinava ancora il fratello, ma era sfinita.
«Portiamolo dentro piccola mia» Gaius
prese Merlino
per le braccia e
lo stese sul suo letto.
Gwen sprofondò nella sedia, mentre il nonno
preparava una
pozione
curativa.
La casa del nonno non era molto grande, tuttavia alla
giovane maga era
sempre piaciuta: volumi da mille pagine sfioravano il soffitto,
appoggiati su
mensole in legno impolverate. I tavoli e i comodini erano ricoperti da
boccette
e ampolle contenenti liquidi azzurri, rossi, verdi, viola; alcuni erano
sonniferi, altri usati come collirio, altri ancora erano veleni. Gli
scaffali
erano pieni zeppi di manoscritti vecchi di oltre mille anni, mentre i
libri
illustrati nell’armadietto accanto al letto erano stati il
passatempo preferito
di Gwen quando era piccola. E lo erano ancora.
«Le sue condizioni sono stabili. Ha una ferita
alla testa e
alcune
costole rotte, ma in un paio di giorni dovrebbe rimettersi in
piedi» disse
Gaius, sedendosi accanto alla nipote.
«Come in un paio di giorni?! Ma domani sera
c’è il ballo reale! Oh no,
adesso con chi vado?» la maga si metteva le mani nei capelli
e sospirava.
«Che ne diresti se ti accompagnasse un povero
vecchietto
servitore
fedele del re Uther?»
«Davvero nonno? Verrai con me? Ooh, grazie mille
nonno!» Gwen lo
abbracciò e lo baciò sulla guancia, poi
baciò suo fratello e uscì.
Fuori si divertì a far germogliare tutte le
piantine del
giardino,
anche se era ancora inverno e il freddo le avrebbe soppresse prima che
vedessero un raggio di sole.
Davanti a lei comparve la persona che mai si sarebbe
aspettata di
vedere, soprattutto con una rosa rossa in mano.
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