Titolo
Capitolo Primo.
"In cui si
parla di un'illusione, di un vaneggiare e di un manoscritto."
“Il tempo assume una
posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e del suo ordine
imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei confronti dell'uomo. Le
profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo definito, in realtà si attuano
senza seguire una logica temporale comprensibile; non esiste una continuità tra
passato e presente, bensì al contrario, con il passare del tempo, svaniscono
tutte le certezze che ci sono in principio…” (Edipo Re, Sofocle)
La prima cosa che pensò dopo
essersi svegliato fu che era un purosangue, un Malfoy
e aveva ormai venticinque anni, e che non c'era modo per cui
dei mocciosetti di infimo grado potessero rovinargli
la giornata. Ancora prima di capire che cosa avrebbe indossato quel mattino,
prima del sacro rito della doccia, lui aveva pensato questo. Subito dopo, lo
sguardo gli era caduto sulla soffice luce che illuminava diffusamente la
stanza, e aveva cercato di ricordarsi la teoria dei colori di
cui suo padre era uso parlare. Riuscì a ricordare un' immagine
di due prismi affiancati che scomponevano e ricomponevano la luce, ma nulla sui
raggi che vi passavano attraverso. Considerò la debolezza della memoria se
paragonata all'immortalità del tempo: infine, stanco di tutto quel pensare,
scansò le coperte e si alzò.
Il libro stava ritto sulla
scrivania come un piccolo soldatino da guardia fedele al suo padrone,
ma riottoso per indole. Dunque la copertina rossa recava un mortificante
spazio vuoto là dove un titolo avrebbe dovuto essere
esibito con tipica baldanza. Il manoscritto era rimasto senza un titolo, lui
senza una motivazione, e l'uomo che gli stava davanti, con una mano sulla
maniglia della porta, senza le sue tipiche movenze giocose.
- Signor Malfoy,
credo che dovremmo parlare. -
- In merito al mio lavoro o a
qualcos'altro? -
- Ah! - Silente sobbalzò. - Così
non vale, signor Malfoy: mi costringe a scoprire le
carte per primo. -
- Come se non stessimo tutti
girando intorno alla stessa cosa. - considerò il biondo, gettandosi il pigiama
alle spalle senza alcun rimorso. Si stirò pigramente sul posto, evitando
deliberatamente gli sguardi che l'altro gli lanciava ogni tanto, rimanendo di
spalle. - Solo un attimo. -
- Certo, certo. -
- Dunque,
Silente? E' venuto qui per decidere se i miei
abbinamenti cromatici sono consoni al luogo di lavoro? -
- Il suo vizio, signor Malfoy, è sempre stato l'impertinenza.
Mai che sia riuscito a levarla per un istante dai suoi occhi,
o dalla piega della sua bocca. Niente: mi sorrideva nicchiando ben
nascosta dentro le sue parole, giocando con un vecchio impotente. -
- Un vecchio impotente. - Draco considerò per un istante quelle parole, ridacchiando.
- Lo stesso vecchio impotente che ha sconfitto Voldemort
tre anni fa, o che mi ha costretto ad insegnare pozioni in questa scuola?
Quello stesso vecchio impotente? -
- Se
fossi stato giovane e vigoroso, signor Malfoy, avrei
sconfitto Voldemort quando lei e il signor Potter eravate ancora al primo anno, evitando a tutti… - si
fermò un attimo. - … delle spiacevoli situazioni. -
- Certo, spiacevoli situazioni. -
ghignò l'altro scuotendo la testa, dondolando i capelli biondi prima a destra e
poi a sinistra.
- Oppure, avrei saputo sconfiggerlo quando ancora voi non eravate nati. Così che avrei avuto tante, troppe valide persone al mio fianco.
E allora sarebbe stato tutto diverso. -
- Peccato che alla fine niente di
tutto questo sia successo, e noi siamo ancora qui in
attesa di arrivare all'argomento che interessa entrambi. Lei è qui? -
- Certamente. Come miglior intenditore
di erbe, sia chiaro. -
La luce arrivò infine a ghermire
l'intera stanza, illuminando le lenzuola bianche di un alone opalescente. Draco socchiuse gli occhi, appena infastidito dal riverbero
mattutino. Si scrollò di dossi gli ultimi residui di sonno della notte
precedente, e dunque non ebbe nient'altro da fare che rimanere in piedi, perplesso, a guardare l'uomo davanti a lui.
- Si aspetta che io dica
qualcosa, professore? -
- Alla fine quel libro è rimasto
senza titolo. Un vero peccato. -
- Non sempre le cose vanno come
ci si aspetta, vero professore? - il doppio senso latente fece sollevare appena
gli angoli della bocca del vecchio, che canticchiando gli diede le spalle.
- Fra un'ora a colazione, signor Malofy. - annunciò.
- Come mancare. - non avrebbe mai
potuto vedere i suoi occhi sollevarsi al cielo, ma di certo il tono della voce
non si risparmiò. La risata sgorgò pura.
E poi fu
tutto silenzio.
***
Filosofi di ogni
tempo avevano cercato qualcosa d'immutabile. Un materiale, un
concetto, anche solo un'idea che non cambiasse col passare del tempo. Draco Malfoy sapeva poco di
filosofia. Non conosceva nulla di quella materia, e quel
poco che poteva affermare di conoscere gli veniva da letture solitarie.
Probabilmente non avrebbe saputo riconoscere l'immortalità nemmeno se se la fosse trovata di fronte, le labbra pallide e il
viso marmoreo fossilizzato in un'espressione spenta, quasi compassionevole -
forse l'avrebbe evitata pensando a quanto noioso potesse essere quel volto.
Eppure entrare a distanza di anni dentro la
Sala Grande di Hogwarts
fu come rivedersi a capo di un branco di adolescenti inselvatichiti dalla vita,
nonostante la seta nei loro letti e sulla loro pelle.
Non capiva come gli stendardi potessero essere ancora così colorati, così vivi, nonostante
l'attacco impietoso e costante sferrato dal tempo: eppure erano lì, spiegati
sopra le rispettive tavolate, a fare ombra agli alunni mattinieri già immersi
nel ripasso mattutino, rigidi come vecchie statue di marmo. Non ondeggiavano;
rimanevano fissi, apparentemente trattenuti a terra da fili invisibili, altri
soldatini a guardia del piccolo castello. Gli ricordarono il suo romanzo, in
piedi sulla scrivania, orgoglioso come solo un libro avrebbe mai potuto essere.
Rimase immobile a scrutare gli stendardi fino a qualche minuto prima delle
otto, interiormente colpito di fronte a quello sfoggio di immonda
e sovrumana resistenza. Ma in fondo, si disse, che
senso avrebbe avuto resistere così ottusamente fino alla fine di questa scuola,
se non per l'onore e la gloria? Non avrebbe dovuto spingersi oltre: quello era
il ragionamento che l'aveva condotto lì, di nuovo in Sala Grande dopo otto
lunghi anni, a rimirare pezzi della propria gioventù smarrita, e dunque
qualsiasi domanda successiva avrebbe potuto colpirlo a tradimento, chiedendogli
"Perché fai questo?", o "Perché sei di nuovo qui? Vieni a fare
lo stendardo, ad ammuffire nel bel mezzo di questo posto immutabile, che ormai sa di
vecchio quasi quanto il pane stantio?"
Lui a quelle domande non avrebbe
saputo trovare risposta. Si sentì vecchio: un attimo prima era uno stendardo
orgoglioso, una
Sala immortale, un granello di polvere, inutile eppure costante. E adesso, cos'era? Adesso era un Draco
Malfoy abbandonato a se stesso, senza risposta ma fin
troppe domande, e un'immagine dipinta sul viso che non riusciva ad abbandonare,
per quante strade facesse. La portava appiccicata al cuore come un piccolo
promemoria, che continuamente sussurrava "E' tutto vero".
Peraltro, come al
solito era tutto falso. La coscienza lo pensò, ma quella percezione non
raggiunse mai il cervello di Draco, ancora perso fra
il pulviscolo mattutino. Dietro a quell'immagine c'era una didascalia che sottolineava in maniera quasi imbarazzante l'ovvio: Pansy, settimo anno. Il tempo avrebbe dovuto prenderne i
tratti e manipolarli a proprio piacimento. Eppure entrambi erano gli stessi di otto anni prima, neppure una ruga a solcare i due visi.
Era tutto vero. Eppure, drammaticamente falso.
- Signor Malfoy.
Le piacciono gli stendardi? -
- Sì, professoressa Mcgranitt. Sono ancora così coloriti,
suppongo sia merito della magia. - magia che sosteneva
il loro mondo e che al contempo lo manipolava, perché era quello che la magia
faceva abitudinariamente. Trasformava il volere in successo materiale.
Faceva apparire tutto vero.
Così reale.
- Oh, ne abbiamo
ordinati di nuovi, quelli vecchi ormai erano sbiaditi. - una risata dal tavolo
degli insegnanti accompagnò quella frase, lui si voltò insieme ad un paio di occhi scuri che parevano assorbire ogni
traccia di colore dal viso.
Invece
era tutto fottutamente falso.
***
Lui del famoso "Cosa farai da grande?" non se ne era mai fatto niente,
anche perché l'intelletto brillante di cui era dotato gli aveva sempre
dischiuso numerose porte. Quella mattina invece rimase a contemplare quegli occhi, domandandosi che cosa avrebbe risposto lei, se
qualcuno, anni prima, le avesse chiesto "Che cosa sarai, da grande?".
Già, guardati. Che cosa sei, adesso?
L'indecisione si era dipinta nei
suoi occhi scuri, spalancati come pozzi profondi nel deserto: eppure lei era
stata lesta a ricacciarla indietro, seppellendola dietro a quel sorriso lezioso
che era la sua maschera migliore per proteggersi dal mondo. Distrattamente, una
voce ricordò a Draco che lui stesso,
tempo prima, aveva bevuto da quelle labbra. Che aveva
agognato, bramato addirittura per un suo cenno di simpatia. Che aveva atteso, solo, nella notte, perché il sonno finalmente lo
accogliesse tra le sue schiere, una sola immagine fissa nella sua mente, sempre
viva ed accesa. Un sorriso tenero, coperto immediatamente da un ghigno.
Quella era stata lei. E adesso? Cosa sei, adesso?
Mentre lei si alzava per andargli
incontro, lui colse ogni singolo aspetto della sua figura: a
partire dai capelli mori, scurissimi, tagliati corti appena sopra le
orecchie. La fronte leggermente spaziosa, le sopracciglia
arcuate, brune, prepotenti sulla sua pelle lattea. Gli
occhi senza trucco, vagamente imitato dalle ciglia folte, la piega delle labbra
incerta, come pronta ad esibirsi in una smorfia, oppure in un sorriso. Andava bene, si disse. Era giusto che il tempo avesse
preteso qualcosa anche da lei. Giusto che ne avesse
modificato le fattezze, pur lasciando l'ombra di quell'animale stupendo,
scattante e nervoso che era stata durante gli anni di scuola.
Scivolò oltre il collo, appena
sorpreso dall'assenza della sua catenina d'argento con un cuore sbalzato appeso
a mo' di ciondolo. Rapido il suo sguardo si perse verso il basso, certo di
trovare nell'avvallamento del seno un appiglio su cui fermarsi. Invece la
camicia a righe scivolava tranquilla sul suo petto, come se veramente non intuisse il peccato
commesso, insito in quell'essere così tranquillamente posata sul niente. Incapace di fermarsi, il mago fu
costretto ad osservare il desolato spettacolo che si offriva involontariamente
ai suoi occhi: pantaloni stretti in vita - una vita
che ricordava sottile, delicata - da una cintura qualsiasi. Scarpe da uomo a coprire
i piedi. Piedi che quando lo sfioravano, sotto il letto, riuscivano sempre a
farlo sussultare, perché costantemente gelati. Piedi di cui
aveva sentito la mancanza, suo malgrado, perché sapevano identificare quella
che per lui era sempre stata "casa".
Cosa era
successo, in quegli otto anni? Perché il tempo era sfuggito alle strade
abitudinarie che era solito prendere, e si era
distorto proprio ai piedi di lei, che non aveva saputo sfuggirgli?
Per un attimo si
illuse di essere abbastanza bravo per mentire anche a se stesso. Sarebbe
bastato poco, si disse: evitarla accuratamente durante gli spostamenti per il
castello, mangiare nella sua stanza, proibire ai suoi studenti di parlare in
aula, così da rimanere all'oscuro di voci che - ne era
sicuro - sarebbero prima o poi giunte.
In fondo, Hogwarts
era così: un miscuglio di menti e personalità diverse, spesso dedite al
pettegolezzo. In quello, di sicuro, non era cambiato niente. Non seppe se dirsi
contento o frustrato della cosa.
Con la coda dell'occhio la vide
avvicinarsi, lentamente, camminando senza quel particolare ancheggiare che da
sempre l'aveva contraddistinta. Con una breve imprecazione, si preparò ad
andarle in contro. E mano a mano che si avvicinava,
già sentiva dei sussurri contorcersi rabbiosi alle sue spalle. Sarebbe sempre andata
così. Qualunque spazio lui avesse deciso di lasciare vuoto alle sue spalle, sarebbe stato immediatamente riempito di chiacchere.
A tredici anni, era stato deriso
per il suo interesse verso di lei. A sedici, il loro fidanzamento aveva
provocato una tale marea di origami
volanti che il povero Gazza non era mai riuscito a far sparire - non tutti, per
lo meno. A venticinque, il loro incontro aveva calamitato l'attenzione di tutta
la Sala Grande.
Lui sarebbe rimasto per sempre il
famoso Slytherin la cui vita si era distrutta per un errore. La
domanda era, di nuovo: cosa farai adesso? Cambierai
ritornando ai tuoi splendori, o sarai per sempre un insulso professore?
Maledicendo il tempo un'ultima
volta, digrignò i denti: cambiava troppo, o non cambiava
affatto.
***
Lei si schiarì la voce con un
colpo di tosse. Lui fece altrettanto. A dire il vero, per un istante gli parve
come se fossero rimasti fossilizzati in quella posizione per otto lunghi anni,
sorpresi da un incantesimo durante la colazione, e infine liberatisi dalla
morsa del tempo solo adesso.
- Ciao, Draco.
- esordì lei con un tono di voce che lo fece immediatamente rabbrividire. Si
ritrovò a desiderarla ancora con un'impellenza che non gli
apparteneva affatto. La domanda che si pose fu semplice: cambiare oppure no?
Lui era un Purosangue, uno dei
più perfetti che si potessero ancora trovare nel mondo magico. Aveva sempre
avuto le sue idee, la sua rosa di concetti ben
impartiti durante la gioventù, secondo cui diverso era fondamentalmente uguale
a sbagliato. Non aveva mai tentato un approccio diverso ma, d'altra parte, che
cosa gliene sarebbe venuto in mano? Quelle erano le
sue idee, quello il suo futuro, e poco male.
- Ciao… -
- Paul.
-
Sobbalzò, colto alla sprovvista. Ma perché doveva essere così dannatamente difficile
lasciarsi prendere da qualcosa? - Come, scusa? -
- Il nome con cui mi presento adesso. È Paul. -
- Capisco. -
Lei, rise. Lasciò andare il capo
all'indietro, flettendo leggermente la schiena e mantenendo rigide le ginocchia
per non perdere l'equilibrio. Non era la più solita risata e di questo parve
accorgersi anche lei, che improvvisamente smise di contorcersi nell'aria,
ritornando a fronteggiarlo. - No, questa volta non puoi capire. -
- Forse no. - concesse Draco, mentre stringeva con accurata dedizione le mani a
mo' di pugno.
- La solita mania di stringere le
mani quando sei nervoso. Sei rimasto uguale a quando eravamo ad
Hogwarts, Draco, nemmeno
una virgola diversa sul tuo sopracciglio. Beh, ti ammiro. -
- Ti ammiro? Questo sì che fa
ridere, Paul.
- sputò quel nome come fosse stata spazzatura sulla
sua bocca profumata dal dentifricio alla menta. - Si vede, che mi hai preso
come modello. - ironizzò con la lingua tagliente.
- Non rendermi le cose più difficili
di quanto già non siano, ti prego. Non è facile stare nel bel
mezzo di questa sala, tu lo sai benissimo. Fortunatamente il preside
Silente… -
- Il preside Silente ha sempre
avuto la mania delle buffe bestioline, se ben
ricordo. Prima un idiota, poi un lupo mannaro, un centauro. A
quanto pare quest'anno va di moda lo scherzo
di natura, a Londra. -
Lei si irrigidì,
corrugando le sopracciglia. Draco osservò la labbra tendersi in una smorfia, e per un attimo fu certo
di ritrovarsi davanti la ragazza per cui aveva atteso insonne molte delle sue
notti da adolescente. Quella smorfia sarebbe stata riconoscibile anche fra
mille, cento, espressioni. L'altra parve accorgersene perché improvvisamente la
sua mimica facciale si appiattì di colpo. - Stammi lontano, - sibilò - mi fai
ricordare cose a cui non dovrei pensare. Tu rischi di farmi ritornare indietro,
Draco. -
Sussurrò quel nome come si sussurra il nome dell'amante perso fra le lenzuola e
ritrovato solo dopo decenni: come quando si è ubriachi del suo fascino anche
dopo vent'anni di lontananza forzata. - Adesso torno
alla colazione. -
Perfetto, borbottò lui. L'aveva
lasciata a metà del settimo anno perché aveva trovato in lei qualcosa di
orrendamente monco, come un pezzo di personalità perso nel niente, mancante.
Adesso se la ritrovava davanti, dopo otto anni passati a scrivere un romanzo
assolutamente inutile e ad un punto morto, mentre cercava di recuperare il
rispetto perduto per le frequentazioni con quella.
Diverso uguale a sbagliato. Eppure c'era qualcosa di inquietantemente perverso che lo
spingeva a parlarle di nuovo, nonostante il ribrezzo istantaneo che lei gli
provocava.
Avrebbe dovuto mandare un
biglietto a Paul, o a come diamine avesse
deciso di farsi chiamare adesso. Mentre si
avvicinava al tavolo degli insegnanti, la canzoncina "diverso uguale a sbagliato" continuò a martellargli dentro la
testa senza sostare nemmeno per un istante. Il problema sussisteva. Cosa fare adesso?
Diverso uguale a sbagliato, ma vaffanculo, mica le comandava lui, le sue pulsioni
sessuali.
Maledisse
il giorno in cui Pansy Parkinson,
dopo otto anni di completo silenzio e lontananza dalla sua vita, gli si era
presentata davanti con quel solito sorriso osceno sul viso, asserendo di
chiamarsi Paul.
Note: questa fanfiction nasce come
progetto da presentare per il concorso di Betagemy,
che è tutt'ora in corso: causa tempi dilatati, ho comunque ottenuto il
permesso di pubblicare.
Ho passato da un po' di tempo il
periodo del "non conosco perciò non scrivo". Ho deciso di trattare di
un argomento difficile. Mi sono documentata e ho svolto parecchie ricerche, ma
più di così non ho potuto fare. Se ho offeso qualcuno,
non era mia intenzione.
Il concorso in sé era molto
difficile: qui di seguito incollo tutte le condizioni da seguire X°D
- Il fandom
sarà a scelta, ma obbligatoriamente etero.
- Obbligatori tre capitoli da 5/6 pagine cadauno.
- Obbligatori i seguenti tre generi: 1) drammatico, 2)
introspettivo, 3) romantico/sentimentale. (a scelta
del fanwriter quali utilizzare. Es.: si possono scegliere i primi due, oppure solo il terzo; o
viceversa.)
- Obbligatorio l’unhappy-ending.
- Obbligatorio l’ultilizzo del font Times New Roman, carattere 12.
- Vietate storie eccessivamente smielate e/o banali.
- Vietato la scrittura sms.
- Vietata la tecnica copione. Le battute dovranno essere accompagnate da periodi
non stroncati e/o asettici.
- Vietato lo stile comico/demenziale.
- Vietate PWP, e V.M.18. Accettate le R
I tre capitoli che, ripetiamo, dovranno
essere di 5/6 pagine ciascuno (ergo, dalle 15 alle 18 pagine di Word) dovranno seguire una traccia:
- Primo capitolo: “…”
“Il tempo assume una posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e
del suo ordine imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei
confronti dell'uomo. Le profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo
definito, in realtà si attuano senza seguire una logica temporale
comprensibile; non esiste una continuità tra passato e presente, bensì al
contrario, con il passare del tempo, svaniscono tutte le certezze che ci sono
in principio…” (Edipo Re, Sofocle)
N.d.A.: Ovvero i
personaggi che sceglierete dovranno sentirsi combattuti dentro, vorrebbero
cambiare le cose ma il destino imperscrutabile non lo si può cambiare, e alla
fine attuerà nel terzo capitolo il suo disegno (spiegata la necessità di un unhappy-ending)
- Secondo capitolo: “….”
“E' proprio il tempo, unitamente all'attuarsi della realtà, che sconfigge
l'eroe e che fa in modo che, oltre a perdere il potere e a scoprire il suo
tremendo destino, egli perda anche la fiducia nelle capacità della sua
ragione.” (Edipo Re, Sofocle)
N.d.A.: I personaggi, in balia del tempo e
degli avvenimenti, perdono le proprie certezze e cominciano a pensare al
proprio futuro, a ciò che inevitabilmente deve accadere.
- Terzo capitolo: “……”
“L’uomo si sforza di conoscere, e, quando finalmente possiede la conoscenza, il
suo coraggio sta nell'accettare e saper sopportare la sua tristezza,
dimostrando così la sua saggezza. L'uomo passa perciò
dall'inconsapevole felicità alla triste verità.” (Edipo Re, Sofocle)
N.d.A.: I personaggi non possono far altro
che abbassare il capo davanti l’ineluttabilità del Destino, non arrendersi, ma,
al contrario, cercare di ricominciare accettando la realtà della vita.
TRAMA: PUNTI SALIENTI
Capitolo 1
- La scena si apre in una camera
Capitolo 2
- I due personaggi principali in questo secondo capitolo si dovranno lasciare.
Il luogo è a vostra scelta, ma più sarà originale più il punteggio salirà.
Capitolo 3
- Obbligatoria la descrizione di un luogo all’aperto
INDICAZIONI GENERALI
- La storia passata dei personaggi si deve intuire nel corso della lettura,
quindi sono proibiti i flash back che, in questo caso, occuperebbero solamente
spazio: vi ricordiamo, infatti, che devono essere massimo 5/6 pagine di Word
per capitolo^^
- Sono vietate le incongruenze. Ad esempio non sono accettate frasi come: “ ***
prese sottobraccio *** e si smaterializzarono, per trovarsi subito dopo nella
sala comune del ragazzo”, perché ad Hogwarts non ci si può smaterializzare; oppure evitate di
far comparire speciali cellulari immuni alla magia e quant’altro,
perché nella storia cose di questo tipo non vengono menzionate e, anzi, i maghi
sono sempre molto stupiti alla vista dei vari oggetti tecnologici babbani; un’ultima cosa: niente sigarette! Sappiamo che
l’idea di un bel ragazzo con una sigaretta penzolante dalle labbra fa sbavare
chiunque, ma non crediamo sia una cosa molto credibile.
PAROLE VIETATE
- Ci saranno 5 parole da evitare, e cioè:
. Bacio
. Dolce (inteso caratterialmente, non come gusto)
. Addio
. Amore
. Lacrime (è concessa LACRIMA, ma niente plurale) / Pianto
/ Piangere
Harry
Potter non m'appartiene. Tutti i diritti riservati. E
ovviamente io da tutto ciò non guadagno proprio nulla.