Prima che il tramonto si dissolva dietro alla collina…
Prologo
Il giovane Kevin Turner si rimboccò le maniche della
spiegazzata camicia a bozzetti che indossava e volse lo sguardo alla gente
intorno a lui che andava e veniva stringendosi nei cappotti e sgusciando ogni
tanto sul ghiaccio non ancora sciolto dai mucchi di sale sparsi qua e là sulla
strada stretta e gremita.
“Al diavolo!” imprecò contro la
radio che da ore continuava a ripetere le stesse cose: incidenti a destra,
incidenti a sinistra, pericolose lastre di ghiaccio, si prega gli automobilisti
di fare attenzione. Presto avrebbe dovuto fermarsi a comprare delle gomme da
neve, altrimenti non sarebbe riuscito ad effettuare quella consegna in tempo.
Fortunatamente altri veicoli avevano già percorso quella strada prima di lui
consentendo alle enormi pneumatiche del suo tir di sfruttare le tracce già
esistenti, facendo perfettamente presa sul manto stradale. Se continuava a
quella velocità non ci sarebbero stati problemi, e forse non avrebbe avuto
bisogno di quelle stramaledette catene. Incrociò uno spazzaneve e, sebbene
ormai non ne avesse più bisogno, ne fu talmente contento che lo salutò con un
cenno del capo; si soffermò a guardare un’incantevole signorina dai capelli
color sole, che avanzava sul ghiaccio sicurissima pur avendo i tacchi alti. Per
lui che era nato e vissuto in Svizzera, vedere una testa bionda in mezzo ai
giapponesi era una vera e propria consolazione. Le suonò il clacson, che
rimbombò prepotente lungo la stradina silenziosa, ma la ragazza, probabilmente
disgustata da quella faccia grassottella e ghignante, non rispose e passò
oltre.
Turner sbuffò
“Sgualdrina!” berciò tornando a
guardare la strada davanti a sé ed improvvisamente vide la scena. Pochi metri
più avanti di lui una bambina di circa 7 anni era scivolata su una lastra di
ghiaccio mentre tentava di attraversare la strada in bicicletta. L’uomo vide
che non si rialzava, quasi certamente il peso della bici più tutto il carico
aveva schiacciato le costole di quel
corpicino eccessivamente esile ed infantile
e le teneva le gambe imprigionate. Sperò che non si fosse storta una
caviglia, o addirittura spezzata un femore: sapeva che su quella lastra di ghiaccio non avrebbe
potuto frenare in tempo, o comunque non abbastanza da fermare l’autocarro prima
di arrivare in prossimità della bambina, allora suonò il clacson più forte che
potè, ma nessuno, una volta vista la situazione si azzardò a lanciarsi in
strada.
“Dannazione!” gridò premendo il
freno con delicatezza, poiché sapeva che in caso contrario le ruote si sarebbero bloccate, e mise in funzione
anche i freni del rimorchio, ma non avvertì alcun rallentamento. Davanti a lui
la ragazzina non accennava a rialzarsi, i passanti si erano fermati a guardare
quel bestione di metallo sfrecciare sul ghiaccio fino ad arrivare in prossimità
di quel corpo inerme, ma non poterono fare nulla. Ormai Turner, non aveva altra
possibilità se non usare il freno della motrice, vi pigiò il piede, ma ci mise
troppa decisione. Riuscì solo a pensare a quanto sarebbe stato meglio se avesse
avuto le catene, ma prima che potesse imprecare le ruote si bloccarono e sentì
le venti tonnellate di metallo che sfuggivano al suo controllo.
L’ultima cosa che vide fu una
figura dai lunghi capelli ondulati sollevare la bicicletta dal corpo della
bambina, e stringere quest’ultima al petto
“Morirai anche tu!” bisbigliò e le
fece cenno di andarsene, ma improvvisamente il rimorchio prese a scivolare sul
lato destro urtando le automobili parcheggiate sul ciglio della strada ed
investendo le due. Sbatté violentemente la testa, e delle schegge di vetro gli
si conficcarono nelle braccia paffute, vide degli schizzi di sangue sul cofano
e comprese che almeno una delle due non ce l’avrebbe fatta.
“RUKAWA!”
Il ragazzo dai profondi occhi blu
si girò verso la giovane manager Ayako.
“Che c’è?” le chiese burbero come
al solito, la bella ragazza dai capelli neri gli si avvicinò e lo guardò
seriamente
“Ascoltami con calma…”
“Che diavolo succede?” insistette
Kaede ansioso di tornare al suo allenamento. Ayako non s’infuriò come avrebbe
fatto di solito, ma continuò a guardarlo negli occhi con quella strana
espressione compassionevole
“C’è tua madre al telefono” disse
semplicemente. Kaede si asciugò il sudore con l’asciugamano che gli porgeva la
ragazza
“Ok”.
Rukawa sollevò la cornetta
“Mamma?”
“Kaede…” eccepì dall’altro capo del telefono con voce
sommessa, forse aveva pianto,
“Che succede?” le chiese
decisamente seccato il ragazzo: non aveva mai amato troppo i propri genitori,
erano pesanti, sempre in pena, impiccioni ecc. Peggio ancora, pretendevano
d’instaurare con lui il solito rapporto “I miei genitori sono i miei migliori amici”! A lui certe idiozie
non interessavano per niente, non avrebbe mai sopportato di farsi vedere in
giro per i pub a braccetto con suo padre, e suo padre l’aveva capito. Quelle
poche volte che era a casa o lo ignorava completamente, o lo trattava con
freddezza manco fosse un automa. Non si sentiva a suo agio a casa, non si sentiva a suo agio in camera, non si
sentiva a suo agio la sera mentre cenavano assieme, c’era solo una persona in
mezzo a quel caos che lo comprendesse, ed era solo la sua piccola Mi…
“La tua sorellina, Miyu ha fatto
un incidente”…appunto, l’unica persona che contasse davvero per lui era solo la
sua sorellina, se le fosse successo qualcosa sarebbe morto. Aveva solo 7 anni,
ma nonostante questo…nonostante questo…
“C- cosa?”
“Ho detto che Miyu ha fatto un
incidente!”
Sbiancò. Non aveva uno specchio
sotto agli occhi, ma era certo di esser diventato esangue come un cadavere.
“Miyu…Miyu ha fatto un incidente?”
“Sono all’ospedale. Per favore
raggiungimi subito”. Si passò una mano sul volto
“Come sta lei?” le chiese
sforzandosi di nascondere il fremito che gli usciva dalla gola
“Kaede…”
“COME STA LEI?” sua madre
dall’altra capo del telefono ammutolì: non aveva mai sentito suo figlio urlare
prima d’ora…qualcuno avrebbe potuto dire “ma che razza di madre sei?” ma Kaede
non era certo il figlio che tutti sognavano. Certo, lei lo amava ed era
orgogliosa di lui, ma lui…perché si rinchiudeva in sé stesso a qual modo?
Provare ad aprirlo era stato inutile, e anche tentare di diventargli amica.
Spesso pensava che suo figlio la odiava…
“N- non lo so. La stanno ancora
visitando. Ma è molto importante che tu venga qui subito!”
“Vengo” rispose il ragazzo e
tagliò subito la conversazione. Appoggiò i gomiti sulla mensola che reggeva
l’apparecchio telefonico e nascose il viso tra le mani.
“Va tutto bene? Stai tremando…” la
voce di Mitsui lo fece sussultare, si girò
“Dì ad Akagi che sono andato via.”
Mitsui gli poggiò una mano sulla spalla
“E’ successo qualcosa?”
“Niente!”.
Si scrollò di dosso la mano
dell’amico e corse negli spogliatoi.