Anche gli incubi lasciano profonde cicatrici.

di Midori Haruka
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『1941 — Occupazione dei tedeschi a Minsk. 』

Fumo e macerie ovunque. Il cielo plumbeo, come non si era mai visto. 
Devastazione, ecco l'unica cosa che il bielorusso vedeva attorno a sé; la distruzione della propria città, di se stesso.
Occhi color fuoco lo guardavano, sghignazzando, sondavano le sue ferite, vogliosi d'infliggerne ulteriori.
Misha si ritrovò con la schiena premuta contro i ruderi che i tedeschi si erano lasciati alle spalle ed una mano stretta attorno al collo.
I due rubini ridevano, guardando come era stato facile piegare quella capitale.
Il moro si morse le labbra a sangue, pur di non esternare il proprio dolore: era in lui, l'aveva violato fino a quel punto, deturpandogli anche l'ultimo residuo d'orgoglio che gli era rimasto.
Non avrebbe pianto, non avrebbe urlato, non avrebbe implorato. Doveva essere forte contro il nemico.
Qualcuno urlò al posto suo, una voce che conosceva fin troppo bene.
Mikael, lui, il minore, il più debole, quello con le responsabilità, la sua controparte, suo ... gemello.
Misha voltò il capo, tremando, rifiutando l'idea che anche lui fosse costretto a subire quell'orrore. La conferma arrivò dalla risata dell'albino in divisa nera che lo sovrastava, ancora prima che i suoi occhi grigi vedessero l'orrore che l'altro nazista stava compiendo.
La chiamavano conquista, ma per quei due ragazzi, per quella città violata non era altro che dolore; dolore nel vedersi privare di tutto, persino la dignità di se stessi.


Gli scempi di ciò che il passaggio nazista procurò a Minsk sono ancora ben impressi nel corpo e nella memoria dei due rappresentanti, lasciando in loro un radicato odio verso i tedeschi e un velato timore per ciò che furono costretti a subire.

Nelle orecchie del maggiore non rimbombava altro che l'urlo sordo di dolore di Mikael, sottoposto anche lui a quella folle violenza; Misha colto da disperazione allungò un braccio verso di lui, annaspando tra polvere e sassi, fino a stringere la sua mano.
Gli occhi color argento bruciavano d'odio, mentre affondavano in quelli di sangue ridenti del suo aguzzino, uno sputo di sangue dipinse la guancia del nazista che rideva, a veder come le lacrime sul viso della città lasciavano scie umide dopo il loro passaggio.
Nonostante tutto Misha non lo udiva più, sentiva solo le unghie del minore conficcate nella carne della propria mano e gli sguardi impotenti che la propria nazione gli rivolgeva.
Avrebbe voluto morire, perché no?
Ma non se lo sarebbe concesso, non per mano di quegli esseri.




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