A Lovely Cat

di Lou_
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A Lovely Cat.

 

Louis Tomlinson ha sempre odiato i gatti.
Gatti a strisce, gatti arancioni, grigi, a pelo corto, lungo; senza particolari distinzioni.
Sarà perché sua sorella Lottie aveva il letto colmo di pupazzi stucchevoli e morbidosi a forma di gatto, che, ovviamente, finivano ovunque per la casa, soprattutto in camera sua.
Sarà perché una volta all’asilo, mentre giocava coi Power Ranger insieme al suo amico Stan, un gatto era entrato per il cortiletto, saltandogli poi addosso con uno scatto e graffiandogli la faccia.
Sarà perché sua madre ne era terribilmente allergica, e starnutiva per ore anche solo con una di quelle bestie a cento metri di distanza.
Louis Tomlinson sa bene come sono di natura i gatti.
Meschini, vanitosi, ipocriti, permalosi.
Non potevano essere davvero animali da compagnia, non potevano veramente esserci squilibrati al mondo che ne compravano anche due o tre da tenere liberi per casa.
Non erano nemmeno fedeli verso il loro padrone; non potevi istruirli ad attaccare la gente che ti stava antipatica, il massimo che potevano permettersi era un lungo miagolare che importunava anche il padrone.
I cani: senza dubbio Louis Tomlinson amava i cani, di tute le razze.
Loro si che erano animali da compagnia, affettuosi e protettivi.
I gatti se ne sbattono le palle di chiunque li circonda, un cane no, è territoriale.
Ai gatti se tiri un pallone da calcio addosso ti si rivoltano contro, i cani lo rincorrono e te lo riportano.
 
 
Louis Tomlinson senza dubbio aveva sempre evitato un qualsiasi contatto con un gatto, da quel trauma all’asilo fino ad ora.
Già, fino ad ora.
Louis infatti ora amava i gatti, anche quelli più schivi e aggressivi.
Se ne vedeva adesso uno che gironzolava per strada, frenava l’impulso irrefrenabile di tirargli un calcio.
Contava fino a dieci, analizzava la situazione e poi pensava a lui.
Il suo primo vero e proprio gatto domestico.
A lui di certo non avrebbe fatto piacere vederlo odiare i gatti.
 
 
Louis Tomlinson era perdutamente innamorato di un gatto.
Anche se per lui definirlo ‘gatto’ era piuttosto riduttivo, non trovava altro nome da dargli.
Quando apriva la sua porta di casa, dopo una lunga giornata di lavoro, lui era lì, accoccolato sul divano, che lo guardava con quelle iridi glaciali e profonde, di un verde acceso, che lo mettevano sempre in soggezione.
E Louis nel vederlo sorrideva, provava anche a salutarlo, iniziando una conversazione con lui, ben sapendo che il suo gatto era ben troppo pigro per intraprendere una conversazione.
Era già un premio vederlo saltare giù dai cuscini del divano per seguirlo in cucina.
Ma a Louis andava bene così, perché sapeva che il suo gatto, quando avrebbe avuto voglia, lo avrebbe salutato come si deve.
Magari a stomaco pieno, dopo interminabili silenzi, che sarebbero apparsi senza senso solo a spettatori esterni della scena.
Lo sapeva, lo aveva capito, che per il suo gatto quei silenzi non erano silenzi.
Erano semplici pause di riflessione, dove l’uno osservava l’altro, invertendo anche il ruolo di padrone e animale domestico.
 
 
Poi arrivava la sera, il sole cedeva il posto alla luna e alle stelle del firmamento, creando quel pallore misterioso e pacato, che, Louis aveva capito anche questo, al suo gatto piaceva molto.
Era illoro momento quello.
Da lì, dopo aver sistemato la cucina e sparecchiato la tavola, si sarebbero accoccolati sul divano, con la televisione accesa su un canale qualsiasi, a coccolarsi.
Perché anche Louis veniva coccolato dal suo gatto, in cambio delle carezze che riceveva sul capo, in quei folti peli riccioluti che cadevano sulla fronte dell’animale, dove Louis amava tastare con le dita, per l’infinita morbidezza che trovava sempre.
A Louis veniva sempre da sorridere se ci pensava, e lo faceva molto spesso.
E’ che non riusciva ad evitare che gli si dipingesse quel sorriso ebete sul volto, alla vista del suo, e solo suo, gatto, accoccolato sulle sue gambe, a pancia in su, con lo sguardo perso nel vuoto a pensare a chissà cosa.
Ogni tanto emetteva anche dei mugolii sommessi, quando Louis gli passava con dolcezza una mano sulla schiena.
E rideva, rideva perché sapeva che le coccole piacevano anche al suo animale.
Sorrideva ancora, rimanendo ad osservarlo, intenerito, mentre anche lui sorrideva, mostrando quelle leggere pieghette che aveva al posto delle comuni vibrisse dei gatti, che avevano fatto innamorare perdutamente Louis.
 
 
E Harry arrossiva a quei momenti tutti loro, sentendo di appartenere solo al suo Lou.
 
 
Louis Tomlinson si soffermava spesso a riflettere sulla sua vita, a come fosse cambiata in positivo da quando aveva incontrato il suo gatto, che ora era il suo animale domestico, solo suo, e di nessun altro.
Fino a quel momento aveva odiato i gatti: gli avevano anche insegnato nella sua adolescenza che i gatti li comprava la gente sola, bisognosa di una presenza vigile per casa.
Per questo aveva adottato un gatto.
Per questo aveva scelto Harry.
Fino ad allora si era sempre sentito solo, spaesato, mai al posto giusto al momento giusto, in un mondo che non sentiva suo.
Ora aveva un gatto, un po’ pigro, a tratti nevrotico e possessivo, ma così fottutamente bello da vivere, che a volte faceva sentire Louis insignificante.
Era perfetto, era la sua metà.
 
 
Poi Harry aveva degli scatti di felicità, giocherellava con il ciuffo di Louis, gli mordeva le spalle giocosamente, lo baciava sul collo, per poi scendere lungo il busto, provocandogli leggeri brividi.
Harry era leggero, aveva la grazia e la delicatezza di un gatto.
 
 
Harry era anche strafottente come un gatto, Louis lo aveva capito, lo aveva visto.
Quando il riccio si metteva a cavalcioni su di lui, con una lentezza estenuante, sfiorandogli le labbra, facendogli sentire il suo respiro lungo la pelle, graffiandolo con le unghie, mordendolo, Louis reagiva al piacere, e qui Harry si staccava da lui con uno spietato scatto, sorridendogli maliziosamente e andando in camera da letto a passo svelto.
 
 
E lì Louis sbuffava, arrossendo per le attenzioni appena ricevute e, spegnendo la televisione e sistemando il divano, correva anche lui in camera da letto, sopportando momenti senza fine che lo separavano dal suo Harry.
 
 
Quella sera era successo lo stesso, fantastico, eccitante, abitudinale rito, e Louis, a torso nudo, con Harry sopra di lui, che soppesava il suo corpo sulle braccia attorno il collo di Louis, con la fronte imperlata dal sudore, i ricci scomposti, lo sguardo gioioso, Louis fece combaciare la fronte con quella di Harry e, sorridendo, aveva chiuso gli occhi, assaporando tutti i gesti d’amore appena provati.
 
- ‘’Ti amo” sputò Harry quella sera, tra ansimi, stendendosi accanto a Louis.
 
Il maggiore lo sentì sorridere nel buio, come del resto non aveva smesso di fare lui.
Era la prima volta che il riccio pronunciava quelle parole, così melodiose, così vere.
 
Passarono i secondi.
 
- ‘’Lou cristo dammi un segno” sbraitò per il nervosismo Harry, calmo fino a poco prima.
 
Louis rise, non potendo evitare il paragone tra il carattere di Harry e quello lunatico dei gatti.
 
Un movimenti di coperte sul letto.
 
- ‘’Cosa ci trovi da ridere” sospirò rumorosamente Harry, capendo che dietro alla risata c’era uno dei soliti ragionamenti contorti del moro.
 
- ‘’Sai Haz, io ho sempre odiato i gatti fin’ora, con tutto me stesso, non so se te ne ho mai parlato”
 
Il riccio corrugò la fronte, perplesso.
 
- ‘’Beh, sta di fatto che ora ne sono perdutamente innamorato”





Salve salvino!
Ahahah
Dunque, partendo dal presupposto che avevo voglia di scrivere, cosa ne pensate?
Lo so, può sembrare senza senso (e lo è)
Però boh, a me Larry ispira cose dolci e questa era un'idea che avevo da tempo....
Beh, se vi è piaciuta, ne avrei molte altre, gradirei mi comunicaste impressioni e pareri (anche negativi così mi miglioro)
So che non avrete voglia, però a me importa molto.
Che dire,
Ah se non gradite le larry, astenetevi dal commentare ovviamente!
Ultima cosa: per un po' non si capiva se si riferiva a Harry, vero?
Ahahah sono un fottuto genio (?)
Hola y besos,
I love you,
Baci,
Lou_ <3





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