Notte alasiana.
Il termometro esterno segnava i duecento punti della scala Corellianus.
Era un buon quarto al di sotto della temperatura di congelamento
dell'acqua, più che sufficiente a uccidere un uomo di ipotermia,
ma il sistema di riscaldamento interno dell'armatura impediva a Publio
di rendersene pienamente conto. Sigillato ermeticamente da capo a
piedi, la corazza integrale lo proteggeva perfettamente da tutte le
intemperie, oltre che da eventuali attacchi nemici. L'unica percezione
che aveva del gelo che regnava a poca distanza dal suo corpo, del
resto, era la neve e il ghiaccio che stringevano in una morsa micidiale le montagne
circostanti.
Sembrava impossibile
che in un territorio come quello potessero trovarsi insediamenti umani.
Eppure anche quel frammento inospitale di Alasia aveva la sua parte di
giacimenti di petrolio, e ovviamente i romani non avevano rinunciato
alla possibilità di metterci le mani sopra. Stando alle mappe,
si trovavano in quel momento ad appena due miglia di distanza da un
modesto insediamento coloniale, costruito intorno al piccolo ma
efficiente impianto di estrazione. La loro prossima meta.
Publio abbassò il binocolo con il quale aveva scrutato le cime e
gli avvallamenti che lo circondavano. La
visibilità, quella notte, era ottima. Il cielo era completamente
sgombro di nubi e la luce della luna, riflettendosi sulla nave e sul
ghiaccio, illuminava il paesaggio di una tenue luce azzurra. Non c'era quasi bisogno
degli occhia da visione notturna e qualsiasi movimento, in mezzo al candore della neve, sarebbe stato facilmente individuabile.
-Parla Scipione- disse Publio, attivando la trasmittente incorporata all'elmo- Da quassù non rilevo nulla.
-Tutto tranquillo anche qui sotto. Silenzio totale- rispose una voce-
Direi che possiamo proseguire sugli itinerari prestabiliti.
-Ricevuto. Prossima meta l'impianto di estrazione. Ci vediamo lì, Furio.
La comunicazione s'interruppe. Publio si rivolse a Gundahar e gli fece
cenno di rimettersi in marcia lungo lo stretto e
impervio sentiero naturale che s'inerpicava lungo i costoni rocciosi e
innevati. Poco più sotto, lungo gli avvallamenti fra un'altura e
l'altra, gli altri legionari del centurione Curzio, comandati dal
tribuno Furio Olennio, fecero la stessa cosa. Il loro percorso,
sprosfondando nelle insenature fra una montagna e l'altra, era meno
esposto, ma allo stesso tempo impediva loro un campo visivo esteso. Il
rischio era di imbattersi nel nemico a distanza eccessivamente
ravvicinata. Per questo motivo, di comune accordo, Publio e Olennio
avevano deciso di dividersi, e Publio era risalito insieme a Gundahar
lungo la parete rocciosa verso una posizione più elevata, da cui
fosse possibile intercettare eventuali minacce da una distanza di
sicurezza. Olennio, invece, era rimasto di sotto con gli altri.
Publio aveva incontrato nuovamente Gaio Furio Olennio al suo arrivo a
Castra
Glaudilla. Era lì, infatti, che il suo ex compagno di camerata
al Vallo di Alasia era finito dopo il trasferimento ordinato da
Valerio Massimo. Publio l'aveva trovato esattamente come lo aveva
lasciato: testardo, aggressivo e antipatico come lo era stato al Vallo
di Alasia, seppur notevolmente provato e spossato dalla battaglia
contro i ronin, alla quale aveva preso parte. Ovviamente, non aveva
perso tempo a farsene un vanto, ben sapendo che all'epico scontro
contro le orde mercenarie nioniche che avevano varcato il confine,
Publio aveva da esibire appena qualche scaramuccia contro piccole e
insignificanti avanguardie nemiche che tutto sommato non avevano
costituito un grosso problema. Certo, erano stati Publio e i suoi a
dare l'allarme in tempo, ma il merito di aver stroncato definitivamente
l'invasione era stato di altri.
Per il resto, Olennio non era stato affatto felice di sapere che Publio era
stato aggregato alla guarnigione di Castra Glaudilla. La considerava
un'invasione di territorio altrui al pari dello sconfinamento dei
ronin, un pericoloso rivale nella sua personale ricerca di gloria
militare. Così, quando Publio e i suoi freschi legionari
esploratori erano stati assegnati ad una ricognizione notturna sulle
montagne adiacenti al confine, da dove si presumeva fosse partito
l'attacco contro Castra Glaudilla, non aveva esitato ad offrirsi
volontario, insieme ai suoi uomini, per accompagnarlo, adducendo la
presunta acquisita esperienza dei territori e affermando, piuttosto
arbitrariamente, che nè lui nè i suoi erano poi
così provati dalla battaglia, e che una passeggiata notturna in
montagna non
poteva che far loro del bene.
Publio aveva accuratamente evitato di controbattere, ben sapendo che
l'esito sarebbe stato solo quello di indispettire ulteriormente
Olennio. Fortunatamente, il comandante della guarnigione la pensava
diversamente. Non poteva impedire a Olennio di partire volontario per
la ricognizione, se proprio ci teneva tanto, ma con la scusa di
aver bisogno di quanti più uomini possibile per difendere Castra
Glaudilla, era riuscito ad evitare che anche gli altri legionari
fossero costretti a partire. Così, alla fine, Publio era stato
costretto a dividere il comando della sua pattuglia con Olennio. Non ne
era affatto felice, e Curzio e gli altri, che in quel momento erano con
lui, ancora meno. Il tribuno Scipione, pensavano, aveva ampiamente
dimostrato di essere un comandante abile, assennato e degno di fiducia.
Ma quest'altro giovanotto, nervoso e attaccabrighe, non li convinceva.
Prima di separarsi da loro, portando con se solo Gundahar, Publio aveva
cercato di rassicurarli, affermando, in parte contro la sua stessa
opinione, che Olennio era anch'egli un buon comandante, ad onta delle
apparenze. Non era certo di essere riuscito a convincerli, ma adesso
era parecchio tempo che si erano separati e che erano in marcia, e fino
a quel momento era andato tutto bene. Anche troppo, considerando che
non si erano imbattuti neanche in una pattuglia nemica, a dispetto
delle previsioni che volevano quelle montagne brulicanti di ronin sbandati e isolati.
Publio e Gundahar si misero in cammino. Non era facile muoversi lungo
il sentiero. Era stretto e tortuoso, reso scivoloso dalla neve; bisognava fare attenzione ad ogni
passo. Un piede in fallo e sarebbero precipitati a valle, finendo
magari addosso ai commilitoni che, più in basso, per lo meno,
non dovevano tenere un occhio sul terreno e uno davanti a loro.
Procedettero lentamente, fermandosi di tanto in tanto per segnalare
all'altro gruppo che la via era libera e che tutto era tranquillo.
Apparentemente tranquillo, si
disse Publio, fermandosi un momento per guardarsi intorno con
circospezione. I suoi occhi scrutarono tutto intorno, esaminando con
estrema perizia ogni anfratto, ogni roccia, ogni macchia sulla neve che
potesse a prima vista essere sospetta. Tese le orecchie, ma gli unici
rumori che riuscì a percepire furono quelli tipici dell'ambiente
circostante. Possibile che ci fossero solamente loro su quelle
montagne? Publio stentava a crederlo. Le esperienze vissute di recente
gli avevano insegnato a non dare mai nulla per scontato, anche a costo
di apparire paranoico. Del resto, i ronin sopravvissuti alla battaglia
di Castra Glaudilla si erano ritirati in quella regione, e da
qualche parte dovevano pur trovarsi. Le difese del Vallo erano state
rafforzate nel momento stesso in cui era partito l'allarme da Visernia,
quindi era improbabile che fossero riusciti ad attraversare nuovamente
il confine. Se non altro, le guarnigioni locali avrebbero dovuto quanto
meno individuarli mentre si ritiravano.
Da diverse ore, invece, lungo tutto il confine la situazione sembrava
essersi calmata. Dalle guarnigioni del Vallo di Alasia non erano
più giunti allarmi o segnalazioni di infiltrazioni. Le falle
precedentemente scoperte erano state tappate definitivamente. Poteva
dirsi scongiurato qualsiasi tentativo di invasione, e i ronin
eventualmente rimasti nel territorio romano erano adesso in
trappola. Prima o poi, si disse Publio, li avrebbero stanati e
annientati. Una parte di lui, doveva ammetterlo, era delusa. Come tutti
i romani, era stato educato a rincorrere la gloria militare ad ogni
occasione. Non poteva negare che gli dispiacesse di non aver
partecipato alla battaglia di Castra Glaudilla, di cui aveva percepito
solamente gli echi. Un'altra parte di lui, però, era felice del
fatto che l'invasione fosse stata stroncata. E inoltre, era stato lui a
dare l'allarme in tempo e a consetire alle legioni di reagire
prontamente. Di questo poteva andare orgoglioso, alla faccia di quanto
Valerio Massimo potesse sminuire il loro contributo.
Valerio Massimo...
paradossalmente adesso era lui il problema che assillava maggiormente
Publio. Dopo il loro ultimo incontro a Visernia, non riusciva a
scacciare la sensazione che il comandante delle legioni alasiane stesse
nascondendo qualcosa. A Visernia era sembrato preoccupato almeno quanto
lo era lui delle stranezze che circondavano il tentativo di invasione
da parte dei ronin. Anche lui sarebbe stato non troppo felice se avesse
scoperto che il nemico aveva preso di mira un avamposto di
intercettazione segreto con tutti i suoi archivi. Se a questo si
accompagnava un assalto in grande stile contro un aeroporto situato
appena oltre il confine... no, stando così le cose, non poteva
certo biasimare Valerio Massimo, anche per la sua scortesia. Eppure,
per tutta la durata del colloquio che aveva avuto con lui a Visernia,
non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione che il generale
stesse in realtà recitando una parte. Una parte di Publio non
poteva fare a meno di sospettare che il motivo di disappunto di
Valerio Massimo fosse in realtà ben altro. La fretta con cui
aveva preteso la restituzione del palmare di Marco Severo e la
preoccupazione mostrata quando aveva scoperto che ad attaccare
l'avamposto erano stati dei ronin al comando di un samurai, i sospetti
e le insinuazioni avanzate senza alcun apparente motivo nei loro
confronti... potevano essere un tentativo di copertura?
Ad ogni modo, adesso erano in due a sapere dell'esistenza di un
tradimento ai danni della Repubblica, ed entrambi ne avevano le prove
documentate. Publio aveva tutta l'intenzione di consegnarle al
governatore dell'Alasia, perchè fosse avviata un'inchiesta, ma
sinceramente non se la sentiva di dare per scontato che Valerio Massimo
avesse la stessa intenzione. E c'era la possibilità che il
palmare di Marco Severo contenesse prove ben più importanti del
rinvenimento di un anonimo cadavere. Del resto, Valerio Massimo si
trovava nella posizione ideale per essere il principale sospettato di
un tradimento. Era il comandante militare dell'intera provincia, aveva
il controllo sui confini e sui sistemi di comunicazione militari e
sembrava proprio che i ronin stessero agendo sulla base di precise
informazioni di carattere militare.
Mentre con l'aiuto di Gundahar si apprestava a superare un tratto
particolarmente difficoltoso del percorso, Publio si impose di non
pensare più a quella faccenda. Aveva altre e più
immediate preoccupazioni per le mani adesso, come scovare gli ultimi
ronin e procedere al loro annientamento definitivo.
Improvvisamente, Gundahar lo afferrò e lo tirò giù.
-Tribuno, guarda!- esclamò in un soffio, indicandogli un punto in alto.
Publio alzò lo sguardo e vide volteggiare sopra di se, a poca
distanza, un elicottero da combattimento che non apparteneva
all'esercito romano. L'elicottero si muoveva lentamente e a bassa
quota, con i fari inferiori accesi per scrutare il terreno; era in
ricognizione.
-Numi!- mormorò Publio- Ne hanno ancora qualcuno!
A Castra Glaudilla aveva potuto rendersi pienamente conto del ricco e
potente arsenale di cui i ronin avevano potuto disporre durante la battaglia.
L'aeroporto, infatti, era disseminato di carcasse di veicoli da
ricognizione e da assalto veloci, di pezzi di artiglieria mobile non
più funzionanti e persino di alcuni velivoli che i ronin avevano
utilizzato per il trasporto in massa di truppe sul campo di battaglia.
Gli elicotteri erano stati per la maggior parte abbattuti e dati alle
fiamme, ma da un'esame delle carcasse era risultato che si trattava di
mezzi piuttosto avanzati, in grado all'occorrenza di volare in alto e
sottrarsi alla vista e alle intercettazioni. Il che spiegava una volta
di più come avevano fatto a sorvolare il Vallo di Alasia.
Avevano sfruttato una serie di circostanze favorevoli: le pessime
condizioni atmosferiche, il sabotaggio condotto contro la stazione di
Visernia e, non ultimo ma ancora sconosciuto ai più, un appoggio
dall'interno. Non era stato possibile, invece, risalire alla
provenienza degli armamenti; i materiali utilizzati erano i più
svariati e mancava qualsivoglia indicazione o indizio che consentisse
di risalire all'industria di produzione. Era probabile che si trattasse
di una produzione mista e clandestina.
-Pensi che quell'elicottero possa arrivare da oltre il confine,
tribuno?- chiese Gundahar, mentre osservavano il velivolo, pregando
perchè si allontanasse al più presto.
-Non credo- rispose Publio- Con le difese di confine in stato di
massima allerta non gli sarebbe stato più così semplice
oltrepassare il Vallo. Deve essere uno dei supersiti alla battaglia.
Forse cercano altri sopravvissuti.
-Sarà pure dovuto atterrare da qualche parte, non credi?
-Indubbiamente. Il che mi da da pensare che il nemico non possa essersi stabilito tanto lontano.
L'elicottero aveva cominciato ad allontanarsi. Publio si rialzò e riattivò la trasmittente.
-Furio, lo avete visto?- chiese senza preamboli.
-Sì- rispose Furio Olennio con voce tesa- C'è anche
mancato poco che ci vedesse anche lui! Brutta storia, scommetto che
è partito dall'impianto di estrazione verso cui siamo diretti.
Anche Publio aveva avuto lo stesso presentimento. Avrebbero dovuto tenere gli occhi ben aperti.
-Se hanno occupato l'insediamento, devono avere ancora abbastanza forze
a disposizione- disse- Probabilmente lo hanno usato per stabilirvi una
retroguardia. Noi siamo troppo in pochi.
-Che cosa proponi?
-Di interrompere il silenzio con gli altri avamposti e di chiedere
rinforzi dalle guarnigioni di confine. Possono mandarci una centuria in
più della metà del tempo che impiegherebbe ad arrivare da
Castra Glaudilla.
Olennio tacque per un momento, ponderando la proposta di Publio. Per
una volta decise di ingoiare il suo orgoglio e dargli ragione.
-Va bene, provvedo immediatamente.
-Noi intanto proseguiamo e andiamo a dare un'occhiata- disse Publio- Onestamente spero di sbagliarmi.
-Anch'io spero che ti sbagli!- lo rimbeccò Olennio, tagliente.
Publio scosse la testa, quindi lui e Gundahar si rimisero in marcia.
L'elicottero era scomparso completamente, ma dopo un po' i due
cominciarono a sentire qualcos'altro di assai più preoccupante.
In lontananza, in direzione dell'impianto di estrazione e
dell'insediamento verso il quale si stavano dirigendo, si sentiva un
rombo cupo e ovattato, ma continuo, che decisamente non poteva essere
scambiato per una tempesta in arrivo. Da qualche parte si stava
combattendo!
-Scipione, mi ricevi?- la voce di Olennio risuonò allarmata
attraverso la ricetrasmittente- Fermatevi un momento, abbiamo un
problema.
-Lo sentiamo anche noi- rispose Publio- Sembra ci siano combattimenti in corso.
-Non è solo questo!- lo interruppe Olennio in tono di crescente preoccupazione- Nessuna risposta dal Vallo di Alasia!
-Non ci mandano rinforzi?
-No, non hai capito! Nessuna risposta, non rispondono!
-Come sarebbe a dire?!
-Non so che dirti. Le trasmissioni funzionano regolarmente, solo che...
nessuno risponde. È come se ci stessero ignorando.
Publio rimase in silenzio per un lungo e interminabile momento,
cercando di reprimere quella inquietante e ormai ben nota sesazione che
gli suggeriva che qualcosa non andava e che presto le cose si sarebbero
messe molto male per tutti loro.
-Che cosa facciamo?- chiese Olennio, che doveva essere veramente preoccupato per abbassarsi a chiedere consiglio a qualcuno.
-Rimettetevi in marcia come avevamo stabilito- rispose Publio- Io e
Gundahar siamo più avanti di voi, ma da quassù possiamo
raggiungere una posizione che ci permetta di osservare il villaggio da
una distanza di sicurezza. Andremo a dare un'occhiata.
-Ricevuto.
Publio e Gundahar si rimisero in marcia e affrettarono il passo, senza
più curarsi di fare attenzione. Ormai avevano per la testa solo
di raggiungere l'obbiettivo che si erano prefissati, presso il quale
speravano di ottenere risposta agli inquietanti interrogativi che si
stavano ponendo. Man manco che avanzavano, il rombo dei combattimenti
in corso si andava facendo sempre più forte e più
distinto, e ben presto i due furono in grado di distinguere alcune
delle armi in uso sul luogo dello scontro. Armi romane!
-Ci sono dei nostri al villaggio!- esclamò Gundahar sollevato.
Publio annuì, ma evitò accuratamente di lasciarsi
prendere dall'entusiasmo. Il fatto che ci fosse una battaglia in corso
a poca distanza dal Vallo di Alasia non spiegava perchè dal
confine nessuno rispondesse alle loro chiamate.
Finalmente giunsero in vista del villaggio, annesso ad un impianto di
estrazione del petrolio. Distava appena un miglio, ma dal costone di
roccia sul quale Publio e Gundahar si erano arrampicati, potevano
vederlo con chiarezza anche ad occhio nudo e da una posizione
sopraelevata. Il combattimento stava avendo luogo proprio lì,
come dimostrava il groviglio di traccianti che s'intersecava fra gli
edifici e i macchinari industriali. Il rumore, poi, era adesso
assordante, si sentivano anche urla confuse.
Publio si stese sul bordo della sporgenza e tirò fuori il
binocolo. Voleva rendersi conto con precisione di chi ci fosse
laggiù, e quello che vide lo lasciò alquanto perplesso.
Ovviamente, una delle due fazioni impegnate nel combattimento era
costituita dai ronin; l'elicottero in cui si erano imbattuti poco prima
li stava adesso appoggiando, illuminando il campo di battaglia a giorno
con i suoi fari, e sparando con le armi di bordo. Quello
che sorprese di più Publio, però, fu scoprire che ad
opporsi ai ronin non erano legionari romani, ma coloni armati e
agguerriti. Nulla di male di per se, non fosse stato per il fatto che
ai civili in Alasia non era consentito tenere armi in casa. Quegli
uomini facevano certamente parte delle frange ribelli che si erano in
un primo momento ritenute responsabili di aver sostenuto l'invasione
nemica. A quanto pareva, le cose stavano diversamente.
-Diamo loro una mano?- chiese Gundahar.
-Indubbiamente- rispose Publio- Cominciamo col togliere di mezzo quel maledetto elicottero!
Gundahar sorrise e imbracciò il grosso e ingombrante sclopetum
di precisione che fino a quel momento aveva portato in spalla. Con
enorme sorpresa da parte di Publio, prima di partire da Castra
Glaudilla, il centurione Curzio gli aveva rivelato che Gundahar, pur
essendo il più giovane della centuria e pur non avendo alcuna
esperienza pregressa, era risultato all'addestramento un tiratore
eccellente. L'unico problema era che gli unici bersagli contro i quali
aveva potuto tirare erano le sagome di legno del campo di
addestramento. Fino a quel momento...
Il giovane legionario preparò con cura la propria postazione di
tiro, posizionando lo sclopetum sul cavalletto, in maniera tale da
renderlo stabile. Poi tirò fuori delle munizioni speciali.
-Perforanti ad alta velocità- spiegò a Publio, che
seguiva le sue mosse con attenzione- Con queste potrei accendere la
canna da fumo di un ronin anche a dieci miglia di distanza!- aggiunse
eccitato.
Con gesti sicuri, caricò l'arma, si posizionò carponi
dietro di essa, avvicinò l'occhio al mirino e iniziò a
cercare il bersaglio. Dopo qualche tentativo, reso difficile dal fatto
che l'elicottero si muoveva continuamente sopra il villaggio,
riuscì ad inquadrarlo. Il rumore dello sparo echeggiò
sopra il frastuono della battaglia e Publio si sentì quasi
scoppiare i timpani.
Il proiettile centrò il bersaglio dritto sul rotore dell'elica,
staccandola quasi di netto. L'ecliottero smise di sparare e
sbandò violentemente, mentre il pilota lottava per tenerlo
stabile e abbandonava il combattimento. Deciso a non dargli tregua,
Gundahar caricò un secondo colpo, inquadrò nuovamente il
bersaglio e sparò una seconda volta, colpendo stavolta
l'elicottero sulla carlinga. Un denso fumo nero cominciò ad
uscire dal velivolo, che in una manciata di secondi prese fuoco e
iniziò a perdere quota sempre più velocemente. In un
attimo precipitò al suolo con un grande fragore.
Publio era rimasto senza fiato. I ronin altrettanto e, a dispetto della
loro rinomata freddezza in battaglia, la perdita del loro sostegno
dall'alto, li mandò per un momento nel panico. Anche i coloni
ribelli per un momento erano rimasti sgomenti e stupiti, ma non avevano
tardato a rendersi conto che chiunque avesse abbattuto l'elicottero era
lì per aiutarli e subito passarono al contrattacco. Dalla loro
posizione distante e coperta, Publio e Gundahar li aiutarono, sparando
senza che i ronin potessero individuarli.
L'intensità del combattimento prese a scemare,
finché, con l'eco degli ultimi spari, cessò del tutto.
Dal villaggio si levarono grida di trionfo. I coloni si rallegravano
per la vittoria. Publio si alzò da terra e tirò fuori la
pistola di segnalazione, con la quale sparò un illuminante
rosso, che convenzionalmente indicava la presenza di truppe amiche.
Dall'insediamento arrivò in breve la risposta; la sirena di
segnalazione dell'impianto di estrazione suonò un paio di volte.
-Direi che possiamo prenderlo come un segnale di amicizia- rispose Publio- In caso contrario ci avrebbero sparato addosso.
Prima di scendere, attivò la trasmittente.
-Furio, a che punto siete?- chiese.
-Stiamo per arrivare in vista del villaggio- rispose Olennio- Ma che succede? Non sentiamo più il combattimento.
-I ronin sono stati annientati. Ti spiego quando arriviamo. Sbrigatevi!
Olennio borbottò qualcosa, probabilmente lamentandosi per il
fatto di essere tenuto all'oscuro di quanto stava accadendo, ma si
rimise in movimento con i suoi.
Publio e Gundahar cercarono una via per scendere nuovamente a valle e,
con molte difficoltà, riuscirono a discendere la parete rocciosa
senza precipitare. Una volta giù, arrivare al villaggio fu
questione di pochi minuti. I coloni stavano riprendendo possesso
dell'abitato e delle stutture industriali. Alcuni di loro erano intenti
a spostare morti e feriti; come c'era d'aspettarsi, nessun ronin si era
lasciato prendere vivo; al suo arrivo, Publio notò un paio di
spade corte insanguinate nelle mani dei coloni. L'altra cosa che
notò, con disappunto e preoccupazione allo stesso tempo, fu che
fra quella gente non c'era un solo soldato, ma tutti erano lo stesso
armati fino ai denti; le armi erano tutte di fabbricazione romana,
sicuramente di contrabbando. Era sempre meglio che acquistare armi dal
nemico, ma la faccenda era comunque spinosa. In teoria, Publio avrebbe
dovuto sequestrare tutte le armi e incriminare i coloni di possesso
illegale di armi, contrabbando e persino di complotto contro la
Repubblica. Ma come poteva accusare di tradimento e di ribellione degli
uomini che stavano semplicemente difendendo le loro case?
-Grazie dell'aiuto, tribuno!- disse uno dei coloni, porgendogli il
braccio- Quel maledetto elicottero ci stava creando un mucchio di
problemi! Io sono Cotta.
Publio strinse distrattamente il braccio dell'uomo.
-Scipione- si presentò semplicemente- Quando vi hanno attaccati?
Cotta sorrise, grattandosi la testa.
-Beh... stanotte ci hanno attaccati meno di mezz'ora fa, ma sono alcuni
giorni ormai che cercano di occupare il villaggio- spiegò- Hanno
trovato pane per i loro denti, però!- aggiunse orgogliosamente.
-Direi- rispose Publio con un piccolo sorriso- Se anche durante gli altri attacchi hanno utilizzato elicotteri...
-Elicotteri no, ma mezzi da assalto veloci. In effetti la cosa mi ha
sorpreso, tribuno. Negli anni passati si era sempre sentito di attacchi
contro il Vallo di Alasia, ma di ronin da queste parti non se n'erano
mai visti.
Publio fece un profondo sospiro e si sfilò l'elmo dalla testa.
L'aria fredda della notte gli investì il viso; fu piacevole per
un momento, ma subito dopo Publio dovette tirarsi su il bavero della
tunica che sporgeva dalla corazza. Cotta rimase non poco stupito di
vederlo in faccia; probabilmente si aspettava un uomo più
anziano.
-Sono stati attacchi molto pesanti?- si informò Publio.
-I primi sì, ma poco a poco sono andati diminuendo di
intensità- rispose Cotta- Quello di oggi è stato niente,
a parte l'elicottero, che non ci aspettavamo. Credevo che il Vallo di
Alasia fosse munito di artiglieria antiaerea.
Publio sgranò gli occhi.
-Voi non sapete niente!- esclamò, intuendolo immediatamente- Non avete ricevuto notizie negli ultimi giorni!
-Il primo attacco ci ha colti di sorpresa, i ronin sono riusciti a
distruggere la nostra centralina telefonica e le apparecchiature
radiofoniche- rispose Cotta- Perchè? Cosa avremmo dovuto sapere?
-I ronin sono riusciti a invadere l'Alasia in questa regione in forze e
con un armamento di prim'ordine. Gli attacchi contro il vostro
insediamento sono diminuiti perchè le loro forze si sono
cocentrate in un attacco massiccio contro Castra Glaudilla.
Stavolta fu Cotta a rimanere paralizzato dallo sgomento, e così
alcuni altri coloni che li avevano ascoltati a poca distanza.
-L'attacco è stato stroncato e anche la falla nelle difese di
confine è stata riparata- si affrettò a rassicurarli
Publio-Noi siamo stati mandati in ricognizione per scovare gli ultimi
fuggiaschi, in vista di una successiva azione di rastrellamento.
-Noi possiamo esservi utili in qualche modo?
-Beh... ci saranno sicuramente altri ronin in giro, e...
Publio fu interrotto dall'allarme lanciato da uno dei coloni posti di
sentinella ai limiti dell'insediamento. Qualcuno si stava avvicinando
al villaggio.
-Lasciateli passare!- rispose Publio- Sono dei legionari esploratori con un mio parigrado.
Poco dopo, infatti, Curzio, Catulo, Emilio e Gario fecero il loro
ingresso nel villaggio, insieme a Furio Olennio. Olennio sembrava di
pessimo umore e avanzò dritto verso Publio con aria contrita e
minacciosa.
-Bella idea quella di attaccare in due un elicottero senza sapere se
c'erano altri nemici nelle vicinanze! Avreste dovuto aspettarci!
-Non c'era tempo- ribatté Publio a tono- L'elicottero stava attaccando il villagio. I coloni erano in pericolo.
Olennio lanciò un'occhiata sprezzante ai coloni.
-Mi sembra difficile da crederlo- disse- Anzi, considerando gli
armamenti che portano, dubito anche che si possa considerarli coloni.
È più probabile che si tratti di ribelli locali... magari
alleati dei ronin!
-Come ti permetti, tribuno!- esclamò Cotta, livido di rabbia-
Sono giorni che combattiamo contro di loro! Noi abbiamo difeso il
territorio di Roma! Non siamo ribelli!
Fece per avventarsi contro Olennio, ma due suoi compagni lo afferrarono e lo trattennero in tempo. Publio si mise in mezzo.
-Basta così!- disse- Furio, le tue insinuazioni sono fuori
luogo. Questa gente stava difendendo il villaggio e l'impianto di
estrazione dall'invasione del nemico, proprio come tu e gli altri avete
difeso Castra Glaudilla.
-Può darsi- concesse Olennio- Ma resta comunque il fatto che questa gente contrabbanda e detiene armi illegalmente.
-Siamo cittadini romani! Abbiamo diritto di difenderci personalmente
quando non possono farlo le legioni!- protestò Cotta.
-Gli abitanti degli insediamenti coloniali in Nova Terra non possono possedere armi!
-Mentre gli indigeni locali che vivono a pochi passi dalle nostre case possono tenersi le loro e addirittura fabbricarsele!
-Archi e arpioni, che usano solamente per andare a caccia e a pesca e
procurarsi di che vivere alla loro maniera. Non possono nemmeno
considerarsi armi!
-Stronzate! Se volessero, potrebbero attaccarci e ucciderci tutti!
Olennio scrollò le spalle con aria strafottente.
-Può darsi. Mi dispiace, ma la legge di Roma parla chiaro!
-Possa annegare la legge di Roma!
A quella'ultima feroce affermazione di Cotta seguì un lungo e
sgomento silenzio, durante il quale anche gli altri coloni fissarono
Cotta come se fosse impazzito, se non altro perchè con
simili affermazioni rischiava di passare grossi guai.
-Sta attento a come parli, Cotta- disse Publio con calma- Per questa volta faremo finta di non aver sentito.
-Tu non capisci, tribuno- rispose Cotta, scuotendo la testa- Sei
giovane e sei romano di Roma, non puoi capire. Ma guarda il legionario
che è venuto insieme a te. È un libero e un germano, di
romano non ha neanche il nome. È l'anonimo figlio di uno
schiavo.
Gundahar aprì la bocca per protestare, ma Cotta gli fece un cenno perché tacesse.
-Non voglio offenderti, soldato- si affrettò a dire- Sto solo
dicendo, che quando tu finirai il tuo servizio nelle legioni, sarai un
cittadino romano a tutti gli effetti. Avrai diritto alla tessera
annonaria, potrai votare nei comizi, forse ti assegneranno persino un
gentilizio! Sicuramente meriti tutto questo, ma non è giusto nei
miei confronti! Io sono cittadino romano per nascita, mio padre era
cittadino romano e lo era anche mio nonno. La mia unica colpa è
quella di essere venuto qui a cercare un avvenire migliore per me,
perché nel vecchio continente non avevo nulla di che vivere. Ti
sembra giusto che solo per questo abbia dovuto rinunciare ai miei
diritti di cittadino?! Per quale motivo il Senato ha deciso che chi
emigra nelle colonie d'oltreoceano rinuncia ai diritti di
cittadinanza?! Per consentire a gente come loro, senatori, equites,
nobili, di impadronirsi dei venti litri di petrolio che ogni singolo
colono estrae ogni giorni da questa terra?!
Cotta fece una pausa per riprendere fiato. Aveva parlato così in
fretta e si era tanto infervorato che aveva cominciato a sudare,
nonostante il freddo.
-Io sono un cittadino romano come te e e i tuoi legionari, tribuno-
disse più a bassa voce, quasi come volesse giustificarsi- Svolgo
un lavoro pesante e importante per Roma. Ho diritto a godere anch'io di
una parte dei frutti di questo lavoro. E ho diritto di difendermi da
solo se necessario.
Publio aveva ascoltato in silenzio il violento sfogo del colono, nel
quale probabilmente anche gli altri si identificavano, e, non
poté fare a meno di dargli ragione, anche se non poteva
immedesimarsi nella sua situazione. Aveva avuto la fortuna, lui, di
nascere in una famiglia nobile e incredibilmente facoltosa. L'unico
motivo che avrebbe potuto spingere suo padre a trasferirsi in Nova
Terra sarebbe stata l'accettazione di una carica pubblica, e questo
ovviamente non gli avrebbe mai portato via la sua cittadinanza,
nè il seggio senatoriale. Insomma, solo la commissione di un grave reato
avrebbe potuto privare Publio o un suo parente della cittadinanza
romana. Invece, per molti romani, la cui unica colpa era quella di
essere meno abbienti, di non appartenere al ceto senatoriale o
equestre, bastava cercare fortuna altrove nell'Impero per perdere la
cittadinanza. Cittadinanza che per un romano si identificava
praticamente nella propria anima. Perderla era come perdere la propria
identità e la propria dignità. E in tutta onestà,
a Publio Cotta e gli altri coloni nel villaggio non sembravano affatto
persone che meritassero una simile punizione.
In quel momento, però, Publio era un tribuno delle legioni di
Roma. Rappresentava la Repubblica e le sue leggi, giuste o sbagliate
che fossero, e aveva il dovere di applicarle e di farle applicare,
anche con la forza se necessario. La sua coscienza, tuttavia, si
opponeva fermamente.
-Tutto questo dovresti dirlo al vostro rappresentante in Senato, Cotta-
mormorò confuso- Io sono un tribuno, non posso fare
granché.
Cotta sputò a terra.
-Il nostro rappresentante in Senato! Come se la sua parola contasse
alcunché!- commentò disgustato- Ma hai ragione. Tu sei
solo un tribuno e hai i tuoi doveri da rispettare. Ti consegneremo le
nostre armi... se non altro dimostreremo che non siamo dei banditi
venduti al nemico.
Così dicendo, Cotta gli porse il suo sclopetum. A Publio si
strinse il cuore nel vederlo così avvilito, ma
improvvisamente ebbe un'idea che avrebbe potuto consentirgli di salvare
l'onore dei coloni, che di evitare a suo carico un'accusa di
insubordinazione.
-Tieni la tua arma, Cotta- disse, rimettendogli lo sclopetum nelle mani- Tutti voi, tenete le vostre armi e state all'erta!
Sia i coloni che i legionari lo guardarono confusi.
-Non sequestriamo le loro armi, tribuno?- chiese Curzio, incredulo.
-No, centurione- rispose Publio- Altri ronin potrebbero trovarsi nelle
vicinanze e decidere di attaccare. Se ciò dovesse accadere,
dubito che saremmo in grado di difendere questo posto in così
pochi. Quindi, a meno che non vogliate chiedere l'aiuto degli indigeni,
questa gente ci darà una mano a difendere questo pezzetto di
territorio romano, almeno finché da Castra Glaudilla o dal Vallo
di Alasia non ci arriveranno rinforzi adeguati. Mi sembra una decisione
più che adeguata, date le circostanze.
Il centurione Curzio inarcò le sopracciglia, quindi annuì, convinto.
-Mi sembra plausibile, tribuno- rispose.
-Stai dicendo, Scipione- intervenne Olennio, per nulla felice di quella
presa di posizione- Che non intendi sequestrare le loro armi e neanche
incriminarli?
-Proprio così- rispose Publio- Per come stanno le cose adesso,
sarebbe una gran perdita di tempo. Inoltre, come sicuramente potrai
renderti conto tu stesso, non ci sono prove del contrabbando di armi da
parte dei coloni. Potrebbero benissimo aver preso le armi ai ronin con
l'inganno e l'uso che ne hanno fatto era del tutto legittimo, visto che
sono rimasti isolati per giorni, in balia del nemico. Sono certo che,
passato il pericolo, non avranno problemi a consegnarle, dico bene?
Publio si voltò verso Cotta, guardandolo interrogativamente.
Questi si sforzò di non lasciar trasparire la gratitudine che
provava nei suoi confronti, non solo per non averlo incriminato, ma
anche per avergli dimostrato a suo modo il proprio rispetto.
Guardò i suoi compagni per assicurarsi che il sentimento fosse
comune, quindi annuì deciso.
-Assolutamente, tribuno. Siamo trivellatori, noi, non soldati- rispose.
-Magnifico- disse Publio- Nessun problema, allora.
-Io non credo che...
-Furio, mi assumo io la piena responsabilità di questa
decisione- Publio tagliò corto, spazientito- Passiamo a cose
più importanti, piuttosto. Catulo, sei riuscito poi a metterti
in contatto con il Vallo di Alasia?
-No, tribuno. Ancora nessuna risposta- rispose l'optio.
-Forse anche loro hanno subito danni alle apparecchiature di
trasmissione- rispose Publio, non volendo saltare immediatamente a
conclusioni affrettate.
-Non siamo molto lontani dal confine- disse Olennio- Visto che i coloni
qui sono in grado di difendere le loro case, direi che la cosa migliore
è andare a vedere di persona.
-Sono d'accordo, ma non possiamo andare tutti. C'è bisogno di un
comandante militare che organizzi adeguatamente la difesa del
villaggio. Ci penserà il centurione Curzio insieme ai suoi,
mentre tu ed io, Furio, andremo al confine a renderci conto della
situazione.
Olennio non ebbe nulla da obiettare. Lasciati i legionari esploratori a difesa del
villaggio insieme ai coloni, i due tribuni recuperarono un autocinetum
ancora funzionante, che i coloni erano riusciti a mettere al riparo, e
partirono alla volta del confine.
La strada carrabile era più ampia dei sentieri di montagna, ma
altrettanto tortuosa e accidentata, per di più priva di asfalto.
Publio, al volante, non poteva andare molto veloce e doveva di continuo
cambiare marcia e passare dal freno all'acceleratore e viceversa. Sia
lui che Olennio stringevano i denti ogni volta che l'autocinetum
sobbalzava con violenza, sballottandoli di qua e di là.
-Che sospensioni del cavolo!- commentò Olennio, massaggiandosi
la testa dopo che l'aveva sbattuta contro il tettuccio del veicolo.
-Già, niente a che vedere con gli autocinetum delle legioni-
rispose Publio, sudando per mantenere il controllo del mezzo- Del resto
i coloni non si muovono molto dal villaggio, non avrebbe senso comprare
un nuovo autocinetum.
Olennio emise un borbottio di assenso e per un momento rimase in silenzio, come cercando di pensare.
-Non è che io abbia qualcosa contro i coloni- disse poi- Sono
d'accordo che anche loro debbano essere considerati cittadini romani a
tutti gli effetti. Ma infrangere la legge non è una soluzione,
anzi...! In questo modo rischiano solo di subire altre restrizioni. Il
Senato potrebbe decidere di stabilire una guarnigione permanente nel
villaggio, per tenerli sotto controllo.
-Sarebbe una pessima e controproducente decisione- rispose Publio senza
esitazione- Capisco il tuo punto di vista. Prima o poi, però,
qualcuno dovrà cedere, e dubito che i coloni siano disposti a
farlo ancora una volta. Hanno già rinunciato a troppo.
Purtroppo, pensò Publio, era altrettanto difficile che a cedere
fosse il Senato. Difficilmente Roma scendeva a patti con qualcuno che
percepiva come un nemico o un traditore. A maggior ragione, non avrebbe
mai fatto delle concessioni se queste venivano estorte tramite la
minaccia di una rivolta. L'orgoglio avrebbe piuttosto spinto la classe
dirigente romana a soffocare nel sangue ogni pretesa.
Ad ogni modo, adesso avevano altro di cui occuparsi. Publio
fermò l'autocinetum dietro un'altura rocciosa, girando intorno
alla quale avrebbero dovuto ritrovarsi in vista del Vallo di Alasia, a
poca distanza. La prudenza, tuttavia, consigliava ad entrambi di
procedere con cautela. Il fatto che dal confine non rispondesse nessuno
alle loro chiamate era estremamente preoccupante. Prima di avvicinarsi
troppo, sia Publio che Olennio volevano avere la certezza di andare
incontro ad amici.
Si arrampicarono così sulla collina e arrivarono dall'altra
parte, fermandosi solo quando ebbero raggiunto un pianoro dal quale
poter osservare la zona circostante. Da lassù potevano godere di
un'ottima vista, interrotta bruscamente solo dalle fortificazioni del
Vallo di Alasia, che si ergeva imponente di fronte a loro. Dietro le
fortificazioni c'erano numerose strutture militari e l'intera zona
lì intorno era illuminata a giorno. Edifici militari, veicoli,
postazioni di artiglieria con le quali era possibile sparare fin oltre il
muro; anche quest'ultimo era ben illuminato, tanto che ad occhio nudo
era possibile riconoscere le postazioni dell'artiglieria antiaerea
sulla sommità.
-Beh, a guardare da qui sembra tutto in ordine- disse Olennio, mentre
con il binocolo scrutava l'immenso accampamento- A giudicare
dall'assembramento di forze che c'è dalla nostra parte, si
direbbe che i nostri abbiano rispreso il controllo del confine. Hanno
persino le testuggini, hai visto?
Profondamente risollevato, Olennio si voltò verso Publio, che
aveva anch'egli sfoderato il suo binocolo. Publio, però, stava
scrutando la parte alta del Vallo, e la sua espressione era tutt'altro
che allegra.
-Qualcosa non va, invece- disse- Guarda in alto. Le postazioni antiaeree sono vuote. In alcune mancano i cannoni.
Olennio si portò di nuovo il binocolo agli occhi e lo
puntò in alto. Publio aveva ragione, in cima alle fortificazioni
non c'era nessuno, quando, date le circostanze, proprio le postazioni
antiaeree avrebbero dovuto essere in piena attività e con i fari
accesi.
-Accidenti alle Parche! Che cosa può significare?
Publio non rispose e, mentre abbassava nuovamente il binocolo,
puntandolo verso l'accampamento dietro il Vallo, pregò gli dei
di non dare ragione ai suoi timori. Quello che vide, invece, gli fece
saltare il cuore in gola. Nell'accampamento, sotto le tettoie
protettive, erano parcheggiati ordinatamente veicoli militari e
testuggini corazzate dello stesso tipo in dotazione alle legioni romane. Gli uomini
che vi si aggiravano, tuttavia, erano tutto fuorché romani.
Publio deglutì, mentre abbassava lentamente il binocolo. Non
c'era altro da vedere. La situazione era drammaticamente chiara.
-Ho idea- mormorò con voce tremante- Che dell'invasione non abbiamo ancora visto nulla!
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Bene! Chiudiamola qui, altrimenti diventa esageratamente lungo.
Alla prossima!