Disclaimer: Yuri
Ivanov, Boris Kuznestov, Boris Balkov © Takao Aoki
Fanfiction e il personaggio di Avksentiy © Myriam Kuznestova -
La storia non ha fini di lucro.
___
Yuri Ivanov si è rifatto una vita, dopo esserne stato
privato già una volta.
Infondo forse è stato forte.
Forse.
//
Yuri Ivanov fissò il suo riflesso nudo nello specchio e lo
vide pallido, smunto; i capelli del loro rosso intenso naturale
– la tinta era andata a benedirsi tempo prima – gli
sfioravano i fianchi, ed erano quindi troppo lunghi perfino per i suoi
standard. Andato a benedirsi anche il fondotinta, qualche sparuta
efelide spiccava nel biancore della pelle alla base del naso e sotto
gli occhi cerulei iniettati di sangue e cerchiati da profonde occhiaie;
tutti i suoi lineamenti erano tirati e la barba incolta completava il
suo aspetto trasandato e dolorante.
Si passò una mano sugli occhi e sulle guance pungenti,
chiuse l’anta del piccolo armadio in legno scuro,
l’armadio che aveva comprato con Bor… Chiuse
l’anta del piccolo armadio in legno scuro e già
che c’era gli tirò un calcio perché gli
ricordava troppe cose.
Infine si decise ad entrare in bagno, perché, dannazione,
gli ci voleva assolutamente una doccia con una buona dose di
docciaschiuma al cioccolato fondente, poi doveva radersi, tagliarsi i
capelli, farsi la tinta, mangiare, e riprendere in mano le redini della
sua vita.
Valutò velocemente di avere le capacità per i
primi cinque punti, ma che per il sesto gli ci sarebbe voluto ancora
del tempo. Troppo per i suoi gusti.
Girandosi verso la destra e facendo un paio di passi, si
ritrovò davanti alla porta del bagno: aprendola, si immerse
nel familiare (ma non per questo sempre amato) rosso-nero-bianco: le
piastrelle della pavimentazione e quelle che coprivano il muro fino
all’altezza della sua testa erano rosso sangue come gli
asciugamani, l’accappatoio e il tendone che copriva la
finestra in fondo al bagno; la porta era nera come i sanitari uno a
fianco all’altro ed il mobiletto con lo specchio sopra al
lavandino disposti sulla parete alla sua destra; il portasciugamani a
lato del lavandino bianco come le parti di muro non piastrellate, il
box doccia (che si trovava alla sua sinistra, in fondo al bagno, con la
lavatrice dalla parte della finestra e l’accappatoio
dall’altra) e il tappetino fuori da esso.
Maledisse mentalmente il maledetto colore delle maledette piastrelle,
dei maledetti asciugamani, della maledetta tenda, e della maledetta
poca luce che da essa filtrava, chiedendosi se fosse stato poi
così tanto necessario usare proprio quella tinta ovunque,
perfino nei capelli – che, in ogni caso, erano quasi di quel
colore persino naturalmente; magari avrebbe potuto rimediare tingendoli
di nero. Una bella tenda corvina in testa da usare come sipario sarebbe
stata perfetta, avrebbe unito l’utile al dilettevole: uscire
di casa e rimanere nascosto. Fortunatamente dopo la doccia non
trovò tinta nera in casa, altrimenti se ne sarebbe pentito
presto: una volta passato il momento, tornare al suo colore preferito
sarebbe stato pressoché impossibile senza decolorare o
tagliare – e quindi rovinare – i suoi splendidi
capelli.
Prese il docciaschiuma dall’anta a sinistra del grande
specchio e si diresse, deciso, fino alla doccia, aprendo
l’acqua gelata per ridestarsi un po’.
Stava facendo di tutto – di tutto! – per cercare di
evitare i ricordi, sebbene fosse passato più di un mese. Un
mese era fin troppo per lui, che non si affezionava a nessuno.
Formulando quel pensiero, piantò un pugno contro il muro:
chi voleva prendere in giro? La verità era che era sempre
stato un debole, un debole e un fallito, senza fegato abbastanza per
affrontare la vita da solo come avrebbe sempre voluto, che si chiudeva
dietro una scorza di freddezza e cinismo per paura di venir scottato
dagli altri. Nonostante lo sapesse e lo avesse sempre saputo,
però, aveva sempre voluto fingersi forte. E lo voleva
ancora! Altrimenti perché rinchiudersi in casa con
l’unica compagnia del proprio dolore piuttosto che farsi
vedere in quelle condizioni da una qualsiasi anima viva al di fuori del
Grande Gigante Gentile Sergej che tentava di farlo mangiare per almeno
un’ora al giorno, ogni giorno?
Era perché al dolore era abituato, al fatto che la gente lo
vedesse sotto la scorza no, o almeno così gli sembrava,
sebbene avesse già largamente dimostrato a chiunque che lui
di qualcuno vicino aveva bisogno, un bisogno profondo di una persona
della quale fidarsi e con la quale condividere le proprie gioie e i
propri dolori. Di qualcuno che c’è.
Boris c’era, senza dubbio – e la sua presenza prima
come la sua assenza in quel momento erano quasi palpabili, tanto erano
l’una importante e l’altra pesante.
Era difficile, per Yuri, riuscire ad accettare la portata dei
sentimenti che le due situazioni avevano portato con sé, e
capire troppo tardi – perché anche se lo sapeva da
sempre non ne era mai stato completamente consapevole –
quanto il primo non sarebbe mai potuto essere eterno, quanto non fosse
mai stato possibile che tutto sarebbe filato liscio, anche se spesso
grazie a (o per colpa di?) Boris e ai suoi rari sorrisi pieni di vita
lo aveva creduto, ed aveva così sognato, a volte era stato
perfino felice.
Sospirò pesantemente.
Chiuse l’acqua e si lasciò cadere mollemente sul
piatto della doccia a gambe incrociate, lo shampoo in mano, ed i tanto
temuti ricordi arrivarono; e non ebbe la forza di cacciarli ancora
fuori.
Sentì una
chiave girare nella toppa, poi la voce di Boris gli giunse, trafelata.
Non che normalmente parlasse con una voce normale, considerato che
aspirava tutte le vocali e quando tentava di urlare sembrava che
stesse... Quando tentava di urlare semplicemente non ce la poteva fare:
« Yuuri? Sono
Boris… Esci da quella doccia! »
« Ma veramente
sei tu? Credevo fosse l’uomo nero! »
Lo sentì
sbuffare sonoramente « Sempre il solito scontroso, eh?
»
Di tutta risposta Yuri
sospirò « Un attimo e arrivo, mi sto lavando i
capelli »
« Oh
be’, allora mi metto l’anima in pace. Dovresti
prenderti una Playstation, almeno, quando ti aspetto, ho qualcosa da
fare… Anzi, sai cosa ti dico? La prossima volta mi porto la
mia, le farò fare avanti e indietro da una casa
all’altra. »
« Ah per me,
fai un po’ come ti pare. »
- - -
« Ehy Yuri! Ma
questo è l’odore del MIO bagnoschiuma, stradannato
maledetto! » Nel pronunciare quella frase aveva avuto bisogno
di riprendere fiato tre volte, ad ogni pausa, e prima di arrivare a
quella successiva sembrava che l’aria gli dovesse
completamente mancare.
«
Sì, problemi? »
« Che costa
tanto e io non ho soldi! »
« Se te lo
finisco te lo ricompro »
« No! Me lo
ricompri. Punto. »
«
Sì, sì, d’accordo »
« E
poi… Perché hai fregato il mio? »
«
Perché il mio è finito »
« E ma, non va
bene… Il mio bagnoschiuma ha un odore troppo da
uomo… Su te non sta bene… » Yuri poteva
sentire ben distinte le risate di Boris provenire da camera sua: ci
avrebbe scommesso la testa che sarebbe caduto dal letto da un momento
all’altro anche da solo, ma decise di aiutarlo lui
stesso – in accappatoio, ovviamente rosso scuro – a
volare per terra con un pugno nemmeno troppo forte sotto
l’occhio.
« Oh, cazzo.
» « Questa me la paghi. »
« Dannato
maledetto così mi spogli! » « E
vabbe’, tanto non è che ci sia molto da vedere,
anoressichino » « Omamma che paroloni, Boris!
L’hai sentito alla TV, bravo bimbo? » «
Ma vaffanculo, va! »
« No,
dai… così mi fai male… No, Yuri! Il
solletico no… No… Yuuu! Dai, smettila! No,
no… Sotto i piedi no… Non ci provare nemmeno!
»
« Non ce la
farai mai a colpirmi, vecchietto! » « Ehy
vecchietto a chi? » « A te! Hai i capelli grigi!
» « Ma… Sono tinti! E poi non
è GRIGIO, è ARGENTO! » « Una
tinta da vecchietto… E non piagnucolare. »
- - -
Questa volta era Yuri a
parlare con il suo russo dalle vocali chiusissime, a casa di Boris: un
appartamento grande circa quanto il suo, a pochi isolati di distanza
dallo stesso, solo molto più disordinato e arredato
decisamente peggio, per i canoni Ivanov.
« Boris,
cazzo! Esci da quel bagno! È un quarto d’ora che
ti spruzzi addosso quel dannato Krizia, basta! Se continui
così diventi il migliore amico del dirigente
dell’azienda che lo produce per averlo fatto arricchire!
»
« Veramente lo
sono già! Hanno iniziato a produrre il bagnoschiuma Istinto
sotto mio consiglio, e me lo danno gratis, gne gne gne »
« Mi sembrava
che ultimamente puzzassi di più di quel dannato robo
»
« Non ti
piace? »
« Ma
sì che mi piace, bambino piccolo… Però
ora MUOVITI! »
Si lavò i capelli con una cura fin inutile, e perse un sacco
di tempo a pettinarli, finché il freddo non
diventò troppo per poterlo sopportare – un passo
avanti per lui: fino a due settimane prima, se non una, del freddo non
si accorgeva nemmeno – e dovette rialzarsi per accendere
l’acqua.
« Yuri siamo
al dodici di Dicembre, alza un po’ quei dannati termos prima
che mi iberni! »
« Io non sento
freddo. »
«
Eh… Io sì invece, quindi alza. »
« No, prendi
questa. »
« E ma cazzo,
Yuri… Anche le coperte le compri rosse? »
«
Sì, sì, anche le coperte. »
« Ossessionato
narcisi… Narci... Com’è che si dice?
»
« Narcisista,
Boris, narcisista. »
« Ecco,
sì, quello. »
Non poté fare a meno di ridere di quel ricordo, anche se
amaramente. « Boris, Boris… Sempre il solito
imbecille… » Ma la sua risata si
trasformò in un singhiozzo a mala pena trattenuto, e dovette
tirare un altro pugno alle piastrelle per non mettersi a piangere come
un bambino.
//
Borsi Kuznestov, ad un certo punto della sua vita, aveva subito una
trasformazione: da teppista cinico e bastardo era diventato…
Oddio, Boris rimase sempre un teppista ed un cinico, quindi ad un certo
punto della sua vita aveva trasformato ciò che di bastardo
esisteva in lui in qualcosa di più… Vitale, forse
addirittura di buffo, qualcosa che Yuri non aveva mai saputo definire.
E anche se continuava a fare battute stronze a chi non poteva
sopportare, non era la stessa cosa di prima: sembrava fosse il modo in
cui lo faceva, forse il sentimento che ci metteva ad essere diverso;
come se la rabbia fosse stata cancellata dal suo essere. Per non
parlare di quando rimaneva da solo con Yuri: si trasformava in una
specie di papone protettivo ed un po’ stupido.
Boris e Yuri si erano conosciuti in un orfanotrofio, un orfanotrofio
povero e gestito da un mostro senza cuore. Ognuno era quindi venuto su
da solo, alla meno peggio, cercando appoggio dove lo poteva trovare
(ovvero nei coetanei più forti, o che così
facevano finta di essere), comportandosi sempre come un soldatino.
Il piccolo Yuri Ivanov
era magro, femmineo, e sembrava la vittima perfetta per subire le
angherie dei più grandi; così, aveva dovuto
sviluppare un carattere forte, un modo di porsi da leader, aveva
imparato a battersi e a farsi rispettare; aveva imparato a nascondere
le emozioni. Col tempo, si era abituato all’idea che nel
mondo vi fosse solo marcio, e che per vivere avrebbe dovuto per sempre
nascondere il vero se stesso. Pensava – e pensa ancora
– che per poter tirare avanti l’unico modo fosse
nascondersi dietro una parete di ghiaccio.
Il piccolo Boris
Kuznestov aveva imparato a difendersi passando dalla parte di chi
attaccava; aveva imparato che il mondo non era bello, che le favole non
esistevano, che delle persone non ci si poteva fidare, nemmeno degli
altri bambini. L’attacco è la miglior difesa.
Attaccava tutti prima che qualcuno potesse attaccare lui, non si fidava
di nessuno, se ne stava solo a fare il prepotente, cercava di portarsi
al centro dell’attenzione di tutti essendo stronzo.
Fino a che, con Yuri,
non trovò del filo da torcere. Era più piccolo di
lui di un anno (e si sa, i più piccoli son sempre stati i
migliori da attaccare), ma sembrava che nulla lo toccasse.
Boris aveva provato ogni
modo per offenderlo, per farlo piangere, per fargli avere una reazione
che fosse una. Per un intero lungo anno Yuri fu per lui una sfida;
arrivò al punto in cui il suo unico pensiero, un pensiero
fisso, era quello di riuscire a vedere il brutto muso di Yuri cambiare
espressione.
Le voci gli giungevano dal fondo del corridoio di pietra quasi deserto.
«
‘Is’ka!* »
Cazzo.
‘Is’ka significava Kuznestov, e per Yuri quello era
il momento meno adatto a vederlo.
« Che
è tutta ‘sta confidenza, Avksentiy? »
« Scusa,
Boris, scusa. Piuttosto, che ci fai qui, invece di andare a lezione?
Cerchi ancora pel di carota? »
Risata. Rispostaccia.
«
Avksé**, modera i toni e vedi di farti i cazzi tuoi.
»
Yuri imprecò
mentalmente: la risposta nervosa significava
“Sì”.
« A te
qualcuno dovrebbe farti abbassare la cresta, Boris, io sono pur sempre
più grande di te. »
«
Sì, sì, Avksé, certo, ma scommetto che
non sarai tu quel qualcuno. Ora sparisci, prima che mi innervosisca
seriamente. »
« Comandi,
comandi! »
Porta laterale che
sbatte. Yuri comprese che da Boris lo separavano pochi metri e due
porte chiuse che sperò rimanere tali. Quando,
però, sentì la prima delle due aprirsi perse
quasi ogni speranza.
Abbassò la
tavoletta del WC e ci salì in piedi sopra per potersi
arrampicare sull’alto davanzale di pietra e lì
sedette, immobile, le gambe penzoloni e le mani appoggiate sulla pietra
fredda, sforzandosi di mantenere intatta la propria espressione, ma,
soprattutto, di non fare rumore.
Sentì
l’acqua del lavandino scorrere ed uno
“sciaf”: probabilmente Boris si stava sciacquando
la faccia; poi un imprecazione a bassa voce, che suonò
simile a: “Sono sicuro di averlo visto entrare, tsk! Stavolta
non mi scappa, gliela faccio vedere io chi è il
più forte al nanetto anoressico…”
Yuri a quel punto
sarebbe voluto scendere, lasciarsi andare ed urlargli contro che lui
non era mai stato forte, che era tutta una maschera, tutta una
finzione; di smetterla di tediarlo! Che aveva avuto la sua vittoria e
ora poteva andare in pace a rovinare l’esistenza di qualcun
altro! Che il naneto anoressico orfano androgino non era una lastra di
ghiaccio come sembrava, cazzo!
Ma alla fine il suo
orgoglio vinse e non si mosse, e non disse nulla: si morse solo un
po’ l’interno della guancia, per non farsi sentire.
Boris, intanto, stava
aprendo a calci, ad una ad una, le porte dei servizi, alla ricerca di
Yuri, che si era nascosto nell’ultima in fondo; quindi ne
dovette spalancare una decina prima di trovarlo, impeccabile nella
postura e dallo sguardo duro e fisso seduto su di quel davanzale,
fissandolo così dall’alto in basso. Eppure
qualcosa stonava nella sua freddezza.
Yuri Ivanov stava
piangendo.
Piangeva in silenzio,
forse mordendosi appena le guance per trattenere dei possibili
singhiozzi, e piangeva tenendo lo sguardo fisso. Piangeva molto e forse
anche da molto tempo, a giudicare dal gonfiore e dal rossore degli
occhi, ma non per questo aveva perso la sua austerità.
Boris si
bloccò, vedendolo così, e rimase a fissarlo per
lunghi secondi con la bocca aperta a formare una piccola
‘o’; poi rise, e tese una mano verso Yuri.
« Immagino di
dover rinunciare al mio intento, dopo questo: non potrò mai
essere tanto forte da esserlo anche piangendo. »
Yuri, sentendo quelle
parole, smise di piangere e sbatté le palpebre qualche
volta, un po’ perché sorpreso, un po’
perché doveva pulire la visuale dalle lacrime. Sul momento
non seppe se accettare quella mano tesa o meno: era la mano tesa di
colui che aveva messo a dura prova la sua maschera, la mano tesa di
colui che lo aveva visto piangere, ma rimaneva comunque la mano tesa di
colui che lo vedeva ancora forte, sebbene forte lui non fosse
– e Yuri non sapeva se era perché lui fosse un
bravo attore o perché Boris fosse un tontolone. Alle fine,
comunque, non gli parve un’idea tanto cattiva afferrare
quella mano: e così fece.
Da quel momento in poi
Boris e Yuri divennero inseparabili, sebbene per i primi tempi Yuri non
ne fosse entusiasta. E così, dopo due lunghi anni, Boris
aveva conosciuto il vero Yuri, lo Yuri che si nascondeva sotto la
scorza, lo Yuri emotivo, lo Yuri che aveva una sua maniera di essere
dolce, lo Yuri che tutti avrebbero dovuto conoscere. In quanto a
questi… Bhe, lui non ebbe molto da scoprire su Boris in
quanto persona abbastanza semplice, ma fu proprio in questo periodo che
Boris subì il cambiamento di cui sopra divenendo una persona
diversa pur rimanendo sempre la stessa, grazie a quel qualcosa che Yuri
non sapeva – e non sa – definire di…
Solare, forse.
Dopo due lunghi anni si
fidarono l’uno dell’altro, fecero progetti insieme,
divisero tutto, divennero insomma tutto ciò che di
più bello due migliori amici possano essere.
Forse si chiusero un
po’ troppo nel loro mondo, (le uniche persone che si potevano
quasi definire loro amiche divennero, dopo un altro anno, i vecchi
tirapiedi di Boris nonché coloro che avevano sempre ammirato
Yuri: i fratelli Sergej e Ivan), escludendo tutti gli altri e vivendo
alla loro maniera, ma non ci fecero caso fintanto che così
facendo la vita divenne decisamente migliore - e lo si vedeva, nei rari
sorrisi di Boris, e lo si vedeva, nelle rare risate di Yuri.
Mentre si insaponava Yuri maledisse mentalmente se stesso,
pesantemente, per aver abbassato la guardia e aver permesso a qualcosa
di bello di accadere. Quando Boris c’era ancora poteva sempre
scusarsi dicendo che era semplicemente impossibile resistere ad un
tornado di determinazione quale era Boris, che dopo essersi messo in
testa di farlo piangere ci era riuscito, che dopo esserci messo in
testa di diventare il suo unico e migliore amico ci era riuscito, ma da
quando lui non c’era più non poteva far altro che
accusare se stesso di essere stato un debole e di aver fallito
nell’intento che si era prefissato: vivere contando solo su
se stesso, e così facendo essersi rovinato la vita da solo.
Era fin troppo ovvio che la felicità si sarebbe interrotta
prima o poi! Come aveva potuto essere così stolto da credere
il contrario?
Come poteva aver creduto che una volta usciti
dall’orfanotrofio, una volta trovato un lavoro, una volta
creatisi una vita sarebbero rimasti uniti per sempre?
Eppure spesse volte quando si ritrovava insieme a Boris dopo una
giornata di merda e non c’era bisogno di dire nulla
perché entrambi già sapevano cosa era successo,
come comportarsi e quando era il momento giusto di dire cosa non poteva
concepire nemmeno il solo pensiero di una possibile fine.
Ma questa era, ahimé, arrivata, e nella maniera
più inaspettata possibile.
//
La macchina di Yuri
giaceva con un fianco completamente sfasciato in mezzo alla strada.
Tutto intorno ambulanze, forze dell’ordine e curiosi. Ed
immobile, tra il caos, Yuri, a fissare un lenzuolo bianco senza
riuscire veramente a capire cosa era successo. E dietro di lui un uomo
ubriaco che vomitava. E sopra di lui il bellissimo cielo di Mosca di
notte.
Stavano passando un
incrocio quando una macchina che correva a tutta velocità
non rispettò un semaforo e li travolse; Boris
morì sul colpo, in quanto la macchina andò a
colpire proprio il lato del passeggero, mente Yuri non si fece quasi
niente, o almeno non fisicamente.
Appena prima che tutto
accadesse Boris stava per finire quella che non sapeva sarebbe stata la
sua ultima frase: « Non vedo l’ora di andare a
farmi una dormita! Senti, Yuri, posso fermarmi da te? Non ho voglia di
rimettermi in macchina e guidare fino a ca… »
“Non ti ci sei più fermato a dormire da me,
eh?”
Yuri inspirò profondamente e lentamente, poi
espirò in modo tremolante; si passò le mani sugli
occhi e stette fermo qualche secondo a cercare di ricomporsi. Non aveva
intenzione di rincominciare a piangere, lo aveva già fatto
fin troppo per i suoi gusti. Decise quindi di fare appello a
tutto il suo autocontrollo per finire di farsi la doccia, tingersi i
capelli, nascondere le lentiggini, vestirsi ed uscire di casa.
Un lungo cappotto nero lo ammantava, guanti di pelle coprivano le sue
mani, gli anfibi con le placche in metallo rendevano incidente il suo
passo, i jeans neri gli fasciavano strette le gambe e la maglia di
Burzum tentava di dare al suo aspetto un qualcosa di "duro" mentre si
dirigeva verso il cimitero.
Era la prima volta che vi si recava dal giorno
dell’incidente, forse per mancanza di coraggio, forse
perché non lo aveva ancora veramente accettato,
non sapeva nemmeno se avevano scritto ciò che lui aveva
chiesto sulla lapide di Boris. Decise di non portare fiori, gli pareva
e gli pare tutt'ora una cosa inutile, e prese con se solo una foto che
li ritreaeva entrambi, abbracciati e sorridenti.
Boris era stato seppellito a terra e la
lapide citava “Boris Kuznestov, il migliore amico che
chiunque possa mai desiderare”, così come Yuri
aveva voluto.
La fissò, in piedi, per delle lunghe ore, nascosto dai
capelli, forse piangendo silenziosamente, forse maledicendosi ancora o
forse soffrendo semplicemente in silenzio, incapace di qualsivoglia
reazione.
Infine si inginocchiò e posò la loro foto di
fianco a quella lapide dove era anche ritratto un Boris che faceva la
linguaccia alla macchia fotografica mostrando felice il suo piercing
alla lingua - Se la ricordava bene, Yuri, quella foto; l'aveva scattata
lui stesso, un anno prima, mentre Boris esibiva il piercing in mezzo
alla strada, scandalizzando più di un'anziana signora
(« Non le piace, signora? Guardi che è un vero
tocco di stile! Non vede come mi sta bene? » ).
A quel ricordo abbassò gli occhi sulla terra, mesto, e la
toccò.
« Boris, io ora che dovrei fare? Ti offendi se
cercherò di rifarmi una vita partendo da zero, tagliando
tutti i contatti con quello che è stato il nostro mondo e
tenendoti solo dentro di me? Ti offendi se riprenderò a fare
quello che tu odiavi tanto, ovvero il duro senza sentimenti? So che
fingerò, Boris, ma che altro posso fare? Non
permetterò più a nessuno di entrare in me come
hai fatto tu… Ti lascio qui la nostra foto migliore, a casa
tengo ancora il negativo… Addio, Boris. »
Accarezzò la terra, si alzò in piedi e se ne
andò più velocemente di quanto non fosse venuto,
deciso a ripartire da zero se non il giorno seguente quantomeno il
più presto possibile.
Sapeva che non sarebbe stato affare facile, ma come già una
volta era riuscito ad erigere delle forti barriere intorno a se ce
l'avrebbe fatta anche una seconda volta.
__
* ‘Is’ka:
Diminuzione del nomignolo del nome Boris, Boris’ka. Sono
certa riguardo l’utilizzo del nomignolo Boris’ka,
ma in quanto al diminutivo ‘Is’ka non ne ho la
più pallida idea; a me, comunque, piace, e poi mi serviva ai
fini del discorso. (W le licenze)
** Avksé:
Diminutivo di Avksentiy. Non attestato, mia licenza. | Inizialmente, in
questo scambio di battute, Boris avrebbe dovuto dire qualcosa come:
« E tu che ci fai in giro? Vai a visitare ancora una volta il
tuo ragazzo? Scusa, ho sbagliato, volevo dire che vai a farti visitare.
» Ma poi Avksentiy mi è risultato troppo
antipatico per inserire altri particolari su di lui (ma soprattutto non
credo di voler tanto male a qualcuno da accoppiarlo con
Avksé). Ci basti sapere che rompe, che ha la tendenza a fare
il superiore per poi ritirare la mano e che ha il novantanove virgola
nove per cento di probabilità di non comparire mai
più.
Bonus (parte
scartata dal flashback, dopo che Yuri afferra la mano di Boris):
La afferrò e scese: fu così davanti a
Boris, e si guardarono dritto negli occhi.
« Ho deciso: da oggi noi due diventeremo inseparabili.
Possiamo, vero? »
Yuri, con il volto ancora umido di lacrime, alzò un
sopracciglio: « Bha, come ti pare. » Boris rise, e
lasciò la mano di Yuri per schernirsi « Se non
infastidisco, eh. » « Ho detto come ti pare, Boris.
»
E così affermando passò oltre, si diresse verso
il lavandino e si sciacquò la faccia con acqua fredda prima
di asciugarsi. Boris si grattò la testa; ancora una volta
Yuri aveva fatto il principino e lo aveva sorpreso: lui si sarebbe
asciugato direttamente le lacrime, probabilmente con la manica della
felpa. Invece Yuri no, lui era tutto composto, e si era asciugato con
un asciugamano dopo essersi rinfrescato.
Note dell'autrice:
Ci sono molte cose riguardo alle quali vorrei dilungarmi riguardanti
questa fanfic T_T. Se un giorno mi gira la traformo in una raccolta e
scrivo altre one-shot, presumibilmente più brevi di questa,
riguardanti:
- Le infanzie di Yuri e di Boris prima di conoscersi (uh, come mi
ispira questa *-*)
- Le angherie del piccolo Boris nei confronti del piccolo Yuri
- Il "percorso" della loro amicizia (ok, questa non mi suona breve ._.
*fissa appunti al riguardo* No, per nulla '_')
- Il rapporto con Ivan e Sergej (la meno probabile...)
- La notte dell'incidente.
Se ne vorreste leggere una o avete altre particolari
richieste/curiosità sentitevi liberi di sottopormi tutto:
sono a vostra completa disposizione!
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