Capitoli 15
“We are part of the
scene
This never-ending story
Where will it lead to?
The earth is our mother
She gives and she takes
But she is also a part
A part of the tale “
[...]
“We're part of a
story, part of a tale
We're all on this journey
No one is to stay
Where ever it's going
What is the way?
We're part of a story, part of
a tale
Sometimes beautiful and
sometimes insane
No one remembers how it
began.”
( Never-Ending Story
– Within Temptation )
I flash dei
fotografi,
seguiti dai ‘click delle loro macchine fotografiche
accompagnarono la camminata lenta e dinoccolata con la quale un
elegante e sorridente Tony Stark si diresse al pulpito, smorzando il
chiacchiericcio dei giornalisti con un colpo di tosse che fece
sorridere brevemente le due donne sedute in prima fila.
- Vi ringrazio per
essere venuti
all'inaugurazione della mia campagna benefica – li accolse lo
scienziato con garbo, lisciando la coccarda dorata appuntata sul petto
– sono orgoglioso di annunciare la mia candidatura come
presidente della “Astrid Corporation”, una
società
che ha come compito, quello di aiutare i bambini di tutto il
mondo.
Un brusio concitato si
elevò
dalla platea, un brusio sorpreso ma non meno deliziato dello sguardo
amorevole che Pepper lanciava a suo marito dal proprio angolino.
- Sono sicura che
sarebbe stata
orgogliosa di lui – si insinuò una voce sottile
alla
destra della donna, la confessione debole di una ragazza dalla treccia
bruna e dalla carnagione cioccolato che Pepper osservò con
sguardo gentile prima di guardare il vuoto con un sospiro nostalgico.
- Lo è
sempre stata.
- Signor Stark! Signor
Stark!
Potrebbe darci qualche notizia in più! –
sgomitò
esaltato un giornalista occhialuto, scavalcato da
un’ambiziosa
collega dalla capigliatura dorata che civettò un
po’ con
l’uomo per farsi cedere il posto a sedere.
- Signor Stark,
potrebbe dirci il
perché del nome Astrid? È un nome di donna, non
è
così ? – si insinuò la donna con voce
suadente,
sfarfallando gli occhi castani per attirare su di sé
l’attenzione del miliardario.
Ma Tony Stark le
concesse il suo
interesse solo perché mostrarsi cordiale era stato uno degli
impegni che lo scienziato aveva preso con sua moglie prima di chiamare
la stampa.
- Si signorina,
è un nome di
donna – le concesse allora, lui, sempre sorridente, anche se
alle
sue spalle Bruce Barner potè cogliere il tic nervoso
dell’occhio destro, il primo sintomo della paresi facciale
che
avrebbe colto l’uomo di lì a poco se
avesse sorriso
ancora a quel modo.
- E potrebbe dirci chi
è
questa Astrid ? È per caso una sua amante ? –
azzardò la giornalista con un pizzico di malizia, scatenando
nella donna in prima fila un sussulto oltraggiato che Pepper fece
seguire da uno sguardo di fuoco che la pettegola incassò con
un
sorriso affettato.
Eppure la reazione
dello scienziato
sembrò dare adito alle sue ipotesi, perché,
quando lo
videro tendere un sorriso delicato, quasi nostalgico, la sorpresa di
vedere una reazione naturale
nello scanzonato miliardario fece trillare di emozione la giornalista.
- È
così, vero ?
– riprese la donna, estatica, lusingata dagli sguardi
ammirati
dei colleghi, ma fu la voce stessa dell’uomo a distruggere il
suo
momento di gloria.
Perché
quello che Tony Stark
soffiò con un groppo in gola non fu l’appellativo
che si
riserverebbe ad un’amante, ad una cotta infantile, ma a
qualcuno
che lo aveva sì fatto innamorare, ma di un amore
più
delicato e quasi innocente.
- Mia figlia.
Pepper
sentì gli occhi
inumidirsi quando notò la presa ferrea delle dita
dell’uomo attorno al pulpito, la presa rigida di chi fatica
ancora ad accettare la realtà, l’irrequietezza di
chi
ancora non accetta di aver perduto un affetto.
- Come scusi?
- Astrid era il nome
di mia figlia
– ripetè asciutto, inghiottendo il
groppo in gola,
con scarsi risultati quando, per ritrovare la voce, fu costretto a
tossire per scacciare il velo di lacrime che aveva cominciato a pungere
contro le palpebre socchiuse.
Perchè Tony
Stark non si
sarebbe mai abituato, non a quella domanda, non alla risposta che
sarebbe sempre uscita fioca, debole, difficile come ogni volta, dalle
sue labbra.
La giornalista cadde a
sedere con
un sorriso fiacco, senza più una parola, stringendo al petto
il
proprio taccuino nel ricordare quell’era
che aveva stroncato anche la sua ambizione, il suo bisogno di emergere,
perchè quello che avevano davanti era solo un uomo
che
avrebbe preferito trovarsi da un’altra parte, in solitudine,
magari con accanto a sé un bicchiere di whiskey.
Ma quello che
trovò di
fianco non fu un bicchiere, tanto meno un deterrente per
l’angoscia nata dai ricordi, ma un uomo, uno scienziato che
si
era alzato dal suo angolino per raggiungerlo sul pulpito, forse
per stringergli la spalla, in un gesto di
solidarietà.
Solidarietà
che Tony Stark
non trovò quando il dottore lo scostò con poco
garbo,
tossicchiando un po’ prima di avvicinare il microfono e
sibilare
un’unica e familiare sentenza che aveva ripetuto
per anni.
- È mia
figlia- ci tenne a
precisare Bruce Barner, stizzito, tornando ritto e impettito prima di
raggiungere la sedia e sedersi senza un fiato mentre la platea
osservava prima lui, poi il viso del miliardario congestionarsi
dall’incredulità mista a rabbia.
- Sapevo che
sarebbe successo
– si lasciò sfuggire Pepper nel vedere il marito
avventarsi come una iena sul dottore, dando il via
ad una
diatriba che aveva segnato le loro giornate per anni, dopo la
morte di Astrid e Loki.
Persino Estela non
potè che
sorridere di quella scena così familiare, così da
‘loro e dei bei vecchi tempi andati, quando lei era ancora
lì sulla terra, quando la sua scoperta riusciva ancora a
sorriderle e calmare i loro cuori con quella sua voce gentile e i suoi
continui ‘perché.
Un ricordo che le
strappò un
sorriso triste al pensiero che se Astrid fosse stata lì,
avrebbe
di certo riso di quella intimità, del calore di quello che
erano
stati gli uni per gli altri, anche se per breve tempo, una famiglia,
forse un po’ strana, ma unita, pronta a difendersi
l’un
l’altro e a non dimenticare chi un tempo li aveva fatti
sorridere
con quella voce morbida che per un attimo Estela parve risentire
attorno a lei.
- Tutto bene?
Pepper
sembrò cogliere il
battito flemmatico delle palpebre che la ragazzina schiuse
più e
più volte, come a tentare di capire dove si trovasse, ma
più provava a mettere in risalto quella risata,
più
Estela diveniva consapevole di non stare immaginando nulla, non la voce
così vicina, così viva, non la sensazione di
essere
osservata da lontano.
E quando
azzardò uno sguardo
da sopra la spalla sentì il cuore schiantarsi in fondo allo
stomaco, tirando giù assieme al colore ogni traccia di
malinconia, di dubbio in fondo al suo sguardo, perché la
vide,
una figura accostata alla parete con indosso un cappellino
familiare, un po’ rovinato che copriva la testa arcobaleno,
familiare, e amata, troppo per non scatenare in lei un singhiozzo
strozzato.
Lo stridio della sedia
e
l’urlo di Estela attirò l’attenzione dei
due uomini
che da sopra il palco se le stavano dando di santa ragione, e Tony,
quello un po’ più malconcio visto
l’alone verdognolo
che stava colorando il viso dello scienziato sotto di lui si
trovò ad inghiottire a vuoto quando, seguendo la corsa
trafelata
della ragazzina, lo vide anche lei, ciò che per anni aveva
solo
potuto immaginare, sognare.
Ricordi di quando era
stato felice,
di quando era stato amato da chi più grande di lui,
dell’intera umanità, si era concessa fiduciosa ad
un uomo
che aveva imparato ad essere padre e mentore, protettore e amico,
personalità che nella sua vita Tony Stark aveva soffocato
per
difendere la fragilità del suo animo.
Una debolezza che lo
costrinse a
mettersi seduto non appena vide Astrid, il suo fantasma, o una semplice
apparizione dettata dall’agonia correre via dalla stanza,
lasciando alle proprie spalle una ragazzina urlante e il cuore muto di
uomo che accanto a sé sentì tremare.
Quando Bruce Barner
riconobbe la sua
risata, quel tintinnio delicato, timido non ci furono
più
fotografi, o pareti eleganti, flash accecanti, solo lui e la chioma che
vedeva scorrere a rallentatore nel corridoio, lontano, sempre
più lontano, da lui, e da quel povero cuore che lo
guidò
verso l’uscita della Stark Tower assieme al miliardario.
Lo strombazzare della
strada li
accolse come una secchiata d’acqua gelata, perché
lì la risata cominciava ad affievolirsi, a risultare debole
come
il richiamo stanco di una bambina in cerca dei suoi genitori, di un
padre che si caricò dello strazio di essersi immaginato
tutto,
ancora una volta, prima di puntare verso un vicolo con sguardo fermo.
Perché non
era la prima
volta che Bruce la immaginava accanto a lui, sorridente, una figura che
col tempo aveva avuto paura di veder sbiadire a causa del dolore di
rivedere il mondo tremolare attorno a lui e spingerlo via, indietro,
come era successo nella Fucina.
Un distacco che lo
aveva lasciato
smarrito, gettato in una depressione che per anni lo aveva portato a
nascondersi dietro il dolore di sapersi solo, senza amore, senza una
voce alla quale aveva insegnato cosa dire, cosa ripetere per scaldargli
il cuore, per farlo sentire umano.
Lei che più
di tutti lo era
stata con il suo sguardo gentile, i suoi occhi curiosi, e la voce che
ghiacciò entrambi alla fine del vicolo che riscoprirono
senza
uscita, immobili, pietrificati dalla consapevolezza che forse, se si
fossero voltati, avrebbero capito di stare sognando, di stare
immaginando tutto.
- Astrid? –
chiamò
Bruce con voce soffocata, angosciata dal presentimento di sapere che
lei non avrebbe risposto, che avrebbe stretto fumo e polvere,
ma
una risposta l’uomo la ebbe, e fu timida, emotiva come il
più tenero dei richiami.
Astrid
azzardò allora un
sorriso debole quando vide le schiene dei due uomini tendersi,
irrigidirsi come se li avesse appena colpiti, feriti, perché
lo
furono le loro voci quando provarono a chiamarla ancora, come una
preghiera, una supplica a non diventare aria e spirito, a promettergli
di restare e di lasciarsi toccare.
- Papà?
La corsa gli tolse il
fiato, ma le
braccia che la alzarono da terra erano come Astrid ricordava, morbide e
gentili, frementi per l’amore che sentiva filtrare sotto
pelle,
nella carne tenera del collo bagnato dalle lacrime che papà
Bruce liberò assieme ad un lungo gemito di dolore,
abbracciandola con tanta forza da toglierle il respiro.
E vide anche lui,
l’uomo che
più di tutti le aveva insegnato per cosa lottare, per chi
immolarsi, anche se per un volta, era stato qualcun altro a
sacrificarsi per lei, a decidere che la sua esistenza fosse
abbastanza importante, giusta, da poter essere difesa,
protetta e
preservata.
Perchè quando aveva riaperto gli occhi su una distesa di
ghiaccio e polvere, abbracciata a Loki, Astrid lo aveva fatto
con
la consapevolezza di aver perduto qualcosa, qualcuno,
la madre che le aveva concesso una vita, a lei e a chi sapeva, era
nascosto nell’angolo buio del vicolo, in silenzio, per darle
la
possibilità di ritornare da loro, dalla sua famiglia e
colmare
quel vuoto che aveva lasciato.
Una voragine che Tony
richiuse
assieme alle braccia allacciate attorno al corpo fragile che il dottor
Barner non sembrava aver intenzione di lasciare, e sebbene
l’idea
di stare indirettamente abbracciando anche lui gli facesse storcere il
naso, fu la testa contro la quale abbandonò la guancia a
lavare
via il patimento di un uomo che non credeva più di poter
ritrovare la speranza.
Ma era lì,
era sempre stata
lì, con loro, tra quelle braccia che Astrid sentì
ammorbidirsi attorno a lei, farsi sempre più fragili,
spaventate
di vederla scomparire, lei che avevano visto spirare tra le braccia
della Creatrice e poi morire assieme al cuore
dell’universo, assieme a Loki.
Fu su quel nome, fu
l’assenza
del dio crudele a convincere Tony a lanciare un’occhiata
circospetta attorno mentre Bruce, scostata Astrid dal proprio
petto, le incorniciava il viso tra le mani in cerca
di
riconoscimento, di amore, lo stesso amore che il Tesseract
riversò nei suoi occhi di stelle, e in quel sorriso che il
dottore riscoprì ugualmente tenero, ugualmente gentile,
ugualmente suo.
- Cosa è
successo? Dove sei stata? Cosa…
- Mia madre
– lo interruppe
Astrid con un filo di voce, adombrandosi leggermente al pensiero del
sacrificio di Semjace, al suo desiderio di saperla viva e felice.
Sua madre, la vera, la sola e la più amata,
perchè li
aveva protetti a discapito della sua, di salvezza, con quel
corpo
che lei ricordava di aver visto svanire tra le sue mani in granelli di
sabbia, una volta sentito il suo abbraccio smorzarsi attorno a lei,
polvere che aveva stretto al petto con un urlo, disperata di aver
perduto ciò che aveva appena trovato, la madre che
l’aveva
difesa fino all’ultimo istante, lei e la prima persona che
aveva
imparato ad amare.
- Mi dispiace.
-
Dov’è Udinì?
– li interruppe scontroso Tony, accigliato come un
vecchio
signore col bastone ritto da poter schiantare sulla testa di qualche
bambino pestifero, la palla al piede che il miliardario sapeva, non
avrebbe di certo lasciato andare la loro bambina, perché non
era
morto, di questo ne era sicuro.
Solo che
l’idea di saperlo
ancora accanto ad Astrid che era tornata, che stava bene, continuava a
tormentarlo, a rendere quel momento meno magico di quanto sarebbe stato.
- Allora? So che
è qui? Lo
sento
– continuò imperterrito, assottigliando le
palpebre quando
captò un rumore di passi alle spalle, ma furono due donne,
quelle che i suoi occhi fulminarono all’istante, la ragazzina
dalla treccia bruna che Astrid fissò incredula prima di
venirne
investita.
E quando Estela la
ebbe tra le
braccia scoppiò in lacrime, quelle che aveva sempre provato
a
trattenere per essere forte come la sua scoperta era sempre stata, come
le aveva insegnato ad essere, ma la commozione di saperla
lì,
viva, investì entrambe di un’emozione dirompente
che
Pepper seppellì tra le braccia, stringendosele al petto come
una
madre avrebbe fatto, come la donna si era sempre sentita nei confronti
di Astrid, quella piccola bambina dallo sguardo dolce e innocente che
era riuscita a far innamorare tutti loro di lei.
Lei che ora era viva,
ed era con
loro, lì, dove sarebbe sempre dovuta stare, sotto lo sguardo
sereno del dottor Bruce, un sorriso fiacco e stanco sul viso tirato e
smagrito dalla depressione passata e quello di Iron Man, un
po’
più duro, insondabile, ma non meno emotivo, non meno
commosso.
Poi lo videro tutti,
il mostro che
popolava i sogni degli infanti, il terrore dell’universo,
l’orrore del mondo, un uomo mangiato vivo
dall’ombra del
suo nascondiglio, tetro e cupo come ricordavano, ma in qualche modo
risanato, un po’ meno frammentato in quel suo occhio pungente
e
fisso al quale Astrid rivolse un sorriso gentile prima di scivolare via
dalle braccia delle donne per corrergli in contro.
Ma Tony non ebbe cuore
di lasciarla
correre da lui, lui che lo aveva sempre messo a disagio con
quell’anima nera e malata, il viso pallido e sfregiato a
renderlo
ancora più inquietante, ancora più pericoloso.
- Dove stai andando?
C’era ansia
nella voce
dell’eroe, qualcosa di molto simile al panico, quello che mai
nella vita Tony Stark aveva lasciato trapelare, udire, percepire,
perché era un uomo che amava
analizzare, non
essere analizzato.
- Loki – fu
la semplice
risposta di Astrid, la risposta che avrebbe sempre dato ad ogni
domanda, naturale come lo era il suo sorriso, e lo sguardo di stelle
proiettato dietro la schiena di papà Bruce,
sull’uomo nero
che le aveva dato una casa, un legame, e un amore.
Il suo primo e unico
amore.
Quello che aveva letto
nei libri
degli umani, quello che lei sapeva di aver trovato inconsapevolmente,
ma suo, come mai aveva sentito qualcosa.
Lui che era stata la
sua prima parola, il suo primo contatto, l’inizio,
semplicemente.
L’occhiata
obliqua che Tony
gli lanciò non sembrò frammentare
l’aria granitica
di quel viso avvolto per metà nell’ombra, la parte
più abusata, quella dove l’uomo sapeva, non
avrebbe avuto
modo di vedere un occhio, perché glielo avevano cavato
assieme
alla sanità, assieme alla pietà.
E lo fissò
come mai aveva
fatto, in un tentativo di non mostrarsi così
prevenuto con
lui, con quel dio che aveva ucciso i loro Creatori, squartati come
miseri insetti e che avrebbe potuto annientare tutti loro, divorarli
per semplice noia per poi sputare le loro ossa.
Lo avrebbe fatto,
perché era
Loki, perché era un essere incapace di provare compassione,
di
divenire comprensivo o amico, avrebbe potuto, se solo lei non li avesse
amati, loro e il pianeta.
Perché era
Astrid a tenerlo
in piedi, a invogliarlo a risparmiare la vita altrui, a non
abbandonarsi alla follia della sua mente, alla perversione, alla
crudeltà.
Perché la
amava.
Come avrebbe amato un
dio
vendicativo, senza sorrisi gentili e abbracci caldi ma con silenzi di
pietra e sguardi di ghiaccio, una gelida presa che non era
né
morbida, né rassicurante, solo opprimente, e
soffocante,
ma una presa nella quale Astrid si rifugiò fiduciosa,
stringendosi ad un corpo che non sapeva far altro che uccidere,
squartare, distruggere.
Nato distruttore e
morto per amore,
aveva tentato, ma era stato risparmiato, graziato dalla
divinità
maggiore per dargli la possibilità di essere felice, di
avere
anche lui una casa, qualcosa da proteggere, da amare, da tenere per
sé.
Ciò che nei
secoli il dio
aveva desiderato possedere al pari dei suoi fratelli, qualcuno al quale
mostrarsi senza barriere, sorrisi affettati, spalle ritte nel tentativo
di essere coraggiosi, leali, buoni, lui che buono non lo era, e non lo
sarebbe mai stato, neanche per lei.
Perché non
era nella sua natura, semplicemente.
- Credo di aver
bisogno di un
bicchiere di tequila –lamentò Tony Stark, oramai
incapace
di non mostrarsi irritato da quella vicinanza, preferendo dirottare la
sua stizza sullo scienziato che gli rifilò un sibilo basso
nel
sentire il peso del gomito sulla spalla destra.
- E tu, mamma
chioccia? Vuoi farmi compagnia?
- Non davanti alla
bambina
– sbraitò irritato lo scienziato,
l’occhio vigile e
apprensivo calamitato da sua figlia che sorrideva tra braccia che
avevano solo stretto cadaveri, e polvere, e vuoto, braccia
che
però parevano così naturali attorno al suo busto
esile,
una catena pesante e stretta, ossidata dal tempo, ma incapace di
lasciarla andare.
Poi Bruce Barner lo
vide.
Un luccichio.
Debole e metallico, ma
un bagliore
perlaceo che attirò il suo sguardo fosco
sull’anello
argentato che lambiva l’orecchio destro di Astrid, un
orecchino
che non ricordava, perché non le avrebbe permesso di
farselo,
ovviamente, e neanche quello scellerato di un miliardario, o almeno,
non ne serbava ricordo.
Ma poi capì
e sbiancò per l’orrore della scoperta.
Perché ve
ne era uno gemello
sul lobo sinistro del dio, un po’ più scintillante
e di un
bagliore tagliente, ma identico a quello che tra i capelli
d’arcobaleno di Astrid sembrava seguirne il luccichio.
E per una volta, Bruce
Barner
odiò la sua intelligenza, il suo acume, la sua memoria, lui
che
conosceva il simbolismo delle divinità nordiche e
che, in
quella coincidenza non vide altro che la fatalità di un
destino
che Astrid sembrava aver accettato a giudicare dal sorriso
morbido che rivolgeva al dio.
Ma avrebbe potuto
strapparla da
quelle braccia e scappare via, così lontano da poterla
nascondere da quell’occhio che avrebbe continuato a cercarla,
che
non avrebbe mai smesso.
Avrebbe potuto, se lui
non
l’avesse legata a sé, come dio e come uomo, e non
c’era nulla che lui, padre di un alieno, potesse fare contro
tutto ciò.
Chinò
allora il capo, e fu
con indecisione che si soffermò a guardare il miliardario
che
continuava a sostare sulla sua spalla, meditando la
possibilità
di confessargli tutto, di ricercare il suo sostegno, la sua
comprensione.
Ma anche se ve ne
fosse stata, lei
comunque non li avrebbe seguiti, non il suo desiderio di saperla al
sicuro dove Astrid sapeva già di
esserlo, lì
dover era amata, in modo sbagliato, ma amata.
E tanto gli
bastò a decidere per tutti loro.
Per Tony.
Per Estela, Pepper e
se stesso.
Perché Loki
aveva reso
Astrid sua umanamente e divinamente, l’aveva
reclamata come
sua possessione, sua metà, come mostravano gli orecchini sui
loro lobi, e neanche lui, dall’alto della sua scienza, poteva
nulla contro un rito tanto antico e solenne.
Infrangibile.
Lo sapeva lui, non lo
avrebbe saputo nessuno.
Perché
Astrid era viva, e tanto gli bastava, gli sarebbe sempre bastato.
- Facciamo una
bottiglia a testa.
The End
E fine.
Un pò triste lo sono, come ogni volta d'altronde,
perchè
concludere una storia porta via con sè qualche lacrimuccia,
ma
sono contenta di averla conclusa, sperando di aver reso il tutto
delicato e sognante come avrei voluto.
Perchè si sono ritrovati, e non poteva essere altrimenti.
Ringrazio tutti per l'attenzione, la lettura, la pazienza dimostrata
nel continuare ad attendere l'aggiornamento, spero di avervi lasciato
con un soriso alla fine della storia, perchè è
sempre
bello salutare così i personaggi e le loro avventure.
(- Piccolo appunto: Dopo
aver pensato un pò, ho deciso di continuare la storia con un
sequel che si intitolerà "Stand My Ground" e che
riprenderà il filo temporale di questa storia, proiettandosi
su una trama un pò più matura e articolata della
precedente, dove ovviamente ci sarà la nostra Astrid e Loki
come protagonisti, ho già cominciato la stesura, e la nuova
storia conterà al massimo 11 capitoli, giù di
lì, perciò non sorprendetevi se d'improvviso vi
troverete con un nuovo sclero da parte della sottoscritta.)
Ancora grazie.
Un saluto,
Gold Eyes
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