kendra hale 2
Come richiesto da quelle anime buone che hanno recensito, ecco a voi il secondo e ultimo capitolo! :D
Grazie tante per l’accoglienza, davvero :)
Buona lettura
“Si, Stiles, ho capito, alle otto, non sono un’idiota”
“Se fossi intelligente andremmo con la mia macchina” bofonchiai e la sentii ringhiare nella cornetta.
“Se continui così ci vai da solo, intesi?”
“Scherzavo scherzavo! Alla fine il vestito?”
“Ti ho già detto, sul rame- terra bruciata e non provare a
comprare quei dannatissimi affari da polso e se vuoi prendere un fiore
per il tuo bavero vai sul panna”
Dodici dollari non sprecati. Avevo fatto bene a seguire il consiglio di Lydia e non prendere l’orchidea da polso.
“Panna, capito. Allora ci vediamo dopo”
“Va benissimo” e mi attaccò il telefono in faccia.
Noi proprio non rischiavamo quelle menate alla “Attacca tu, No tu”. No, proprio non era il nostro caso.
Kendra Hale, ah, croce e delizia.
Era bellissima, forte, una vera leader. Certo, se perde le staffe si
salvi chi può, e nel vero senso della parola, ma mi ero trovato
ad avere a che fare con un lato di lei decisamente diverso rispetto a
quello da stronza acida con cui avevo avuto inizialmente dovuto fare i
conti.
Strano a dirsi, ma Kendra aveva un cuore. O meglio, i residui di quello che era una volta.
Stare con lei era una scommessa e alla fine non ci si poteva nemmeno
definire una coppia a tutti gli effetti, ma di certo non eravamo due
amici.
Noi in effetti non siamo mai stati amici. Insomma, il nostro era una
sorta di rapporto di convenienza: Tu salvi me, io aiuto/salvo te.
Ok, forse non siamo partiti con delle grandi basi come ad esempio
Allison e Scott…. ma almeno Kendra non mi ha mai infilzato con
una freccia o colpito con un taser.
Mi ha minacciato fino allo sfinimento e quasi vomitato addosso, questo è vero, ma ehi, stava morendo!
E poi, mio Dio, ma vi siete resi conto degli occhi di quella donna?
Sono il paradiso in un inferno di dolore. Guardandola negli occhi
è come avere uno spiraglio di tutto quello che l’ha resa
quella che è.
Io non posso immaginare cosa Dee abbia passato, l’unica cosa che
mi riesce e fare un confronto con quello che ho dovuto sopportare
io…. e perdere mia madre non fu per niente piacevole, figurarsi
moltiplicarlo per undici e aggiungere anche una sorella uccisa dal
proprio zio.
In effetti non c’era da sorprendersi se l’alpha bruna non era propriamente uno zucchero.
Delle volte però mi sarebbe davvero piaciuto sapere com’era prima dell’incidente.
Ero riuscito a fare un paio di ricerche sui suoi tempi del liceo. Avevo
trovato diversi annuari e qualche dossier e il cambiamento fra il prima
e il dopo, era spaventoso.
Si, ok, quello che ho fatto è un reato, ma visto che Kendra non
spifferava niente nemmeno sotto tortura…… sono curioso,
non guardatemi così!
Durante i primi due anni, Kendra Hale si era distinta nel liceo di
Beacon Hills per tutti i meriti che una sola persona potesse
raggiungere.
Spiccava nello sport, nella didattica e negli impegni di tipo sociale.
Viene sempre descritta come una persona alquanto irascibile e a tratti
scontrosa ma ciò non toglie che fosse una delle ragazze
più popolari della scuola. Già dal secondo anno aveva
ricevuto diverse borse di studio per alcuni dei college più
prestigiosi del paese.
Anche le foto dell’annuario…. bisogna dire che le sue
erano le più scure. Evidentemente i suoi occhi rendevano
impossibile farle una foto col flash.
Un folto e perfetto frangettone che calava sulle sopracciglia, lo
sguardo sveglio e luminoso e un sorriso appena accennato sulle labbra
piene e un aria di sfida che sembrava essere sparita dal suo viso,
sostituita da quello da pericolo ambulante. I lineamenti più
pieni e acerbi di come la conoscevo io, l’aria con una punta
d’innocenza che era sparita del tutto.
Questa era la sua descrizione fino al secondo trimestre del terzo anno. Dopo di ché, l’oblio.
Basti pensare che nell’annuario del terzo anno non compare
affatto. Il curriculum scolastico pieno di sospensioni, i voti che
vanno giù in picchiata e una bocciatura evitata per 29 e 30.
Per quanto riguarda il suo comportamento la descrivono come una persona
con frequenti scatti d’ira e crisi di nervi, completamente
isolata nei rapporti sociali, che ha abbandonato sport, studio e
qualsiasi altra cosa. Le borse di studio annullate, cacciata dalla
squadra di nuoto e atletica.
L’unica persona che sembrava riuscire a gestirla era la sorella,
Laura che sembrava aver metabolizzato meglio l’accaduto.
Trovare i documenti relativi al quarto anno era stato un po’
più impegnativo, visto che lei e la sorella si erano trasferite,
ma grazie a un paio di amici di papà che sapevano tenere la
bocca chiusa col mio genitore, ero riuscito lo stesso nel mio intento.
Kendra a New York ha ripetuto due volte l’ultimo anno.
Non ero riuscito a trovare l’annuario, ma al suo fascicolo erano allegate un paio di foto ugualmente.
Sempre senza flash, ma non c’era paragone con quelle degli anni precedenti.
La pelle una volta sulle tonalità ambrate era diventata lattea,
quasi perlacea, gli occhi verdi e grandi mostravano un abisso di
disperazione mentre guardava l’obbiettivo con odio e con la
mascella serrata. I capelli avevano un bell’aspetto probabilmente
solo perché era un mutaforma, ma non sembrava più
curarsene in alcun modo, lunghi fino a dove la foto mostrava, senza
più ciuffi o frange.
Dal suo visto si leggeva solo odio, disperazione e il vuoto più totale.
Era come svuotata, rispetto alla ragazza delle foto precedenti.
Viene descritta come nel curriculum precedente, con l’aggiunta di
un paio di denunce e di un arresto. Infatti c’era anche la sua
foto segnaletica, sempre senza flash.
Aveva picchiato un professore e mandato all’ospedale il
quaterback della squadra di football che veniva descritto come un
elemento “di due metri e due dal peso che superava il
quintale”.
A differenza dell’ultimo periodo al liceo di Beacon Hills
però, Kendra dimostrava una spiccata intelligenza matematica e
una considerevole quantità d’incontri con lo psicologo
scolastico che su di lei scriveva che si rifiutava di parlare in alcun
modo.
Quando Dee aveva scoperto le mie ricerche, era ovviamente andata su tutte le furie.
In effetti glielo dissi io. Si, volevo proprio vedere come morire. Non
mi parlò per una settimana, ma una mattina mi svegliai con lei
nel letto che dormiva placidamente.
Quando me ne ero accorto, lei senza un solo movimento aveva dischiuso le labbra e detto.
“Riprova a fare una cosa del genere e tuo padre dovrà raccoglierti con la pala”
Da allora non avevo più riprovato, però i fascicoli ce li avevo ancora.
Era terribile come una persona brillante come lei fosse stata completamente distrutta dalla cattiveria di Kyle Argent.
La Kendra che conoscevamo noi era quello che lei stessa era riuscita a
rimettere insieme da sola. Si era portata una colpa così pesante
che continuava a trascinarsi dietro e che non l’avrebbe mai
abbandonata.
Tutta la sua famiglia (o quasi) era morta per causa sua. Quante persone avrebbero potuto sopravvivere a un peso del genere?
Infatti lei ne portava cicatrici profonde e terribili.
Poteva anche essere in grado di rigenerarsi e avere la pelle libera da
qualsiasi segno, ma lo stesso non valeva per la sua anima, per la sua
mente.
Mi ero trovato in un paio di situazioni che davvero avevano cambiato il
mio modo di vederla. Kendra soffriva di terribili attacchi di terrore
notturno e di un sonnambulismo non indifferente e quando avevo avuto a
che fare con lei in quelle situazioni ero stato davvero pietrificato
dalla paura.
Eravamo sotto attacco degli alpha e a quanto pareva il punto dove più preferivano colpire, ero io.
Per questo i ragazzi avevano preso a fare a turni a tenermi d’occhio.
Non ero per niente felice di questa situazione, ma o questo o la morte, quindi non mi dovevo lamentare.
Era la prima volta che Kendra mi teneva d’occhio e visto che mio
padre lavorava di notte e fuori diluviava, l’avevo quanto meno
fatta entrare in camera.
In effetti le avevo anche offerto il mio letto, ma lei mi aveva
scoccato un’occhiata in tralice, aveva mollato la giacca di pelle
sulla scrivania e si era buttata sulla poltrona, poggiando le gambe su
una sedia e incrociato le mani dietro la testa.
La situazione era davvero imbarazzante.
Insomma, io dovevo dormire e quella che avrebbe fatto? Mi avrebbe guardato tutta la notte?
Fra l’altro da qualche tempo avevo preso a fare… strani
sogni su di lei, ecco, e l’ultima cosa che volevo era che lei
venisse a saperlo da qualche bofonchio di troppo.
Per convincermi a dormire ce ne era voluto parecchio, ma alla fine ero crollato e verso le tre si era appisolata anche lei.
Poco dopo però fui svegliato dalle sue urla. Era rotolata sul
pavimento e gridava come preda di una tortura terribile. Si dimenava
preda degli spasmi che le inarcavano la schiena e dagli occhi
continuavano a scendere lacrime senza che lei nemmeno se ne rendesse
conto, impegnata com’era ad artigliarsi le braccia.
Rimasi due minuti buoni a guardarla mentre gridava strana roba in francese e a quel punto mi avvicinai a lei.
Le mani con i lunghi artigli erano piene di residui della sua stessa
pelle e del sangue raggrumato, le maniche della maglietta anonima che
indossava ridotte a brandelli e il suo sangue macchiava anche in parte
il pavimento.
Per prima cosa provai a prenderle i polsi provando ad allontanarli
dalle braccia e poi spinsi la sua schiena contro il mio petto, in
modo da stare fuori dalla portata di calci, artigli e zanne.
Rimase ancora parecchio a muoversi i gridare, ma sempre di meno e a
volume sempre più basso. Dopo più o meno in quarto
d’ora che mi era sembrato una vita e mezza, si rilassò del
tutto e riprese a dormire, tranquilla.
Preso dallo sconforto e anche dal terrore che quella scena avrebbe
potuto ripetersi, ero rimasto lì senza avere il coraggio di
riaddormentami, fino alle sei e mezzo di mattino, fino a quando lei si
era svegliata e mi aveva guardato con la faccia più confusa che
avessi mai visto su una persona.
“Prima che tu arrivi a una qualsiasi conclusione affrettata che
già ti frulla per il cervello, sappi che hai avuto una strana
crisi in cui hai preso ad urlare in francese e dimenarti sul pavimento
mentre ti spellavi viva le braccia e ti sei calmata solo così.
Quindi, ti prego, non uccidermi se non ho voluto il tuo sangue sul mio
pavimento”
Lei mi aveva guardato con la sua solita faccia torva, ma senza un
particolare odio. Si era alzata, aveva guardato distrattamente le
maniche fatte a pezzi, poi si era infilata la giacca di pelle ed era
uscita dalla finestra senza dire una sola parola.
E mi era toccato ripulire le tracce di sangue dal pavimento, alle prime luci dell’alba, prima che mio padre tornasse.
Non l’avevo rivista per tre giorni, poi me l’ero ritrovata in camera quando ero entrato per andare a letto.
Se ne stava con le mani in tasca e gocciolava sul pavimento.
Pioveva di nuovo.
“Che ci fai qui?” chiesi stranito.
“Copro il turno di Erica”
“Perché?”
“Non t’interessa”
“Invece m’interessa se mi aspetta un’altra nottata in
bianco” La sua mascella si era indurita maggiormente, ma non
sembrava essersi incazzata…. più del solito, intendo.
“Non preoccuparti, starò fuori” mi disse secca.
“Ma piove…”
“Non voglio macchiarti il pavimento… e poi c’è tuo padre” ed era uscita dalla finestra.
Mi sarei fatto un’altra nottata in bianco, al pensiero che lei fosse sul tetto, sotto l’acqua.
Verso le due si era affacciata.
“Dormi, idiota” mi aveva ordinato con gli occhi rossi,
mentre dietro di lei infuriava il temporale e un fulmine squarciava il
cielo.
“Non ci riesco”
“Senti, già mi tocca stare qui tutta la notte per salvarti il culo, almeno dormi”
“E tu almeno entra dentro, per favore” Si voltò a
guardare di nuovo il cielo e poi entrò, andando a sedersi mentre
si districava i capelli.
Mi alzai, recuperai gli abiti più piccoli che avevo e le aprii la porta del mio bagno.
“Vuoi davvero chiudermi lì?” chiese stranita mentre
si sfilava la giacca che le si era completamente incollata addosso.
“No, è un invito ad asciugarti. Nel mobiletto ci sono
tutti gli asciugamani che possono servirti, se vuoi puoi farti anche
una doccia. O quanto meno metterti qualcosa di asciutto”
Si alzò e mi guardò circospetta, ma prese gli abiti che avevo in mano, annuì ed entrò nel bagno.
Asciugai le macchie d’acqua che aveva lasciato nella stanza e poi mi rimisi a letto, mentre lei si faceva una doccia.
Quando ne uscì aveva la maglietta arancione e blu che usavo alle
medie per andare alle partite dei Mets (o più frequentemente
quando c’era qualche partita in tv) e che le andava comunque
grande e un paio di pantaloni di tuta neri, decisamente larghi. Si
arrotolò i capelli neri e ancora umidi in una mano e
recuperò una penna dalla mia scrivania per usarla come
bastoncino per fermarli in una crocchia non esattamente perfetta
“Vedi di non ridere, perchè altrimenti ti sgozzo”
“Il blu e l’arancio non sono i tuoi colori” dissi e lei si tirò sopra l’elastico dei pantaloni.
“I Mets non avranno di certo da ridire se li indosso per una
nottata” e andò a sedersi a gambe incrociate sulla
poltrona, scalza.
“Tifi per i Mets?”
“No, ma mio padre si. Adesso dormi” Qualche tempo dopo, con
le mie ricerche, venni a sapere che suo padre era stato allenatore dei
Mets per qualche anno, ma non ebbi mai il coraggio di chiederle
delucidazioni.
Tornando a quella nottata, la passammo a parlare.
“Ma davvero, non hai sonno? Dannazione perché non dormi?” chiese esasperata ad un certo punto.
“Non ci riesco”
“Per colpa mia?” scrollai le spalle e mi grattai la testa.
“Capita che soffra d’insonnia, me ne stanno succedendo troppe per passare le nottate a fare sogni tranquilli”
“Tu non fai mai sonni tranquilli”
“E tu che ne sai?”
“Cosa non ti è chiaro del fatto che il branco ti tiene
d’occhio e che gli altri mi riferiscono tutto quello che ti
succede durante la notte? Ti agiti, bofonchi, rotoli per terra, mandi
all’aria le coperte, sbavi, piagnucoli…”
“Piagnucolo?” chiesi stranito e lei annuì con un leggero sorriso.
“Tu non sei tanto meglio di me” Per un secondo s’irrigidì, ma poi falsò scrollando le spalle.
“Adesso dormi” Rimasi parecchio in silenzio, scrutando il soffitto.
“Ti capitano spesso?” chiesi dopo un po’ e lei inizialmente non rispose.
Sospirai e mi sistemai meglio sotto le coperte. Forse pensava che stessi dormendo, quando rispose.
“Praticamente ogni volta che dormo per più di due ore” disse più a se stessa che a me.
Rimasi ancora in silenzio, prima di bofonchiare un “Sono così brutte come sembrano?”
Rimase ancora parecchio a soppesare se rispondermi o no.
“Non so, ma da dentro sono orribili”
“E perché quando sono intervenuto ti sei calmata?”
“Non lo so, ma adesso dormi”
“Tanto lo sai che non ci riesco”
“Secondo me se resti in silenzio e la pianti di fare domande, ti
riesce. Poi se preferisci ti do una mano” disse mostrandomi il
pugno.
“Ho la strana sensazione di non voler provare…”
“Allora dormi” sbuffai pesantemente e mi rilassai quanto più possibile.
Non so se fu un eco dei miei pensieri, ma mi sembrò di sentire un sospiro che somigliava a una frase.
“Davvero non lo so, Stiles, ma questo mi spaventa”
Tornando a noi…. stavo combattendo con una cravatta e a essere sinceri era una lotta dannatamente impari.
Cosa si fa nelle situazioni in cui qualcuno prevarica su di te?
Semplice, si chiamano le forse dell’odine.
“Papààààà!”
“Che c’è?” arrivò di corsa su per le scale.
“Come si fa questo dannatissimo nodo?” Mio padre mi guardò e le sue spalle si afflosciarono.
“Saresti capace di risolvere i casi al posto mio, ma non sai fare un nodo decente alla cravatta”
“E combatto con la morte ogni volta che provo a farmi la barba, adesso aiutami”
Mi
sfilò le cravatta grigia e fece il nodo, poi me lo
sistemò per bene sotto al colletto della camicia e lo strinse.
“Perfetto e non toccarlo più, intesi?”
“Intesi” dissi mentre infilavo la giacca e sistemavo il fiore sul bavero.
Mi passai una mano fra i capelli, un po’ più lunghi rispetto a com’ero abituato a portarli e sospirai.
Si, ero pronto.
“Non mi hai più detto con chi vai al ballo….” Chiese distrattamente mio padre.
Aia.
“Uhm, non si tratta di una vera andata al ballo… è più un appuntamento amichevole, diciamo”
“La conosco?” chiese sempre meno distratto. Meglio non mentire, Stiles.
“Si”
“E
chi è?” suonarono alla porta e, sul serio, mi sorpresi.
Probabilmente era la prima volta che Kendra faceva una cosa così
umana come suonare alla porta per entrare.
Davvero, non credevo ne fosse capace.
“E’ arrivata” dissi scendendo di corsa dalle scale e mio padre mi seguì, allibito.
“Vuoi dire che viene a prenderti lei?”
“Uhm,
la sua macchina è meglio della mia, quindi…..”
prima che potesse fare altre domande, mi precipitai ad aprire la porta
e mi raggelai, come un coglione.
Me ne
stavo lì impalato e Kendra, guardando la mia espressione si
aprì in un sorriso divertito e alquanto imbarazzato.
“Non fare quella faccia, non sono tanto strabiliante”
Dalle mie labbra scaturì solo un brutto verso inumano e mi scansai per farla entrare.
I capelli
neri di solito liscissimi avevano delle morbide curve che in alcuni
casi diventavano boccoli, il fisico sottile ma muscoloso era fasciato
da un abito corto con delle stampe di lupi.
Si, lupi. Lupi rossicci e grigi su tutta la stoffa del vestito.
Ovviamente
aveva una giacca di pelle ma invece del solito chiodo che la faceva
sembrare una metallara indossava una strana giacca corta con alcune
trasparenze e nastri neri e con la zip dorata.
Le gambe
perfette erano fasciate da calze sottili e ai piedi un paio di tacchi
neri e borchiati. In mano aveva addirittura una pochette con la
bandiera dell’Inghilterra nera e un teschio dorato come chiusura.
Al collo
aveva uno strano ciondolo a cammeo in cui si vedeva uno scheletro di
profilo su uno sfondo grigio e ai lati c’erano due ali. Aveva
anche una seconda collana, più lunga con due teschi…
siamesi.
Mentre io ero ancora in piena contemplazione, arrivò mio padre.
Quando la vide anche lui si raggelò, ma per ben altri motivi.
“Signorina Hale”
“Sceriffo” Mi ripresi e guardai mio padre.
“Beh, pà….”
“Quindi andate insieme?”
“Si, Sceriffo, per lei è un problema?” chiese la bruna, quasi con aria di sfida.
“Farò
finta che tu non mi abbia posto questa domanda….. solo una cosa,
Kendra, devo ricordarti io quanti anni hai?”
“No, signore”
“E immagino che non serva nemmeno ricordarti che io conosco bene la legge”
“La conosco abbastanza anche io”
“Questo è l’importante. Adesso in posa”
Mi
avvicinai a Kendra e lei mi guardò male, ma alla fine non fece
troppe storie quando le misi una mano in vita e mio padre scattò
la foto. Col flash.
Ne fece una seconda, senza flash e allora uscimmo di casa.
Stavo per aprire la portiera del passeggero, quando Kendra mi chiamò.
“Stiles?” alzai la testa giusto in tempo per vedere le chiavi che volavano nella mia direzione.
Sorrisi estasiato guardando le chiavi nella mia mano e le aprii la portiera del passeggero per farla sedere.
Mio padre ci guardava dall’uscio della porta, senza fiatare.
Uscii dal vialetto e Kendra rideva divertita.
Davvero, rideva ed era bellissima.
“Beh, non è andata poi tanto male” decreto e sorrisi.
“Infatti,
ti ha solo fatto capire che potrebbe denunciarti da un momento
all’altro” si limitò a scrollare le spalle.
“Potrebbero farlo in molti, eppure nessuno si è ancora azzardato”
“Forse perché una parte di queste persone dipende da te, visto che è il tuo branco?”
“Forse si. Non tirare il collo alla mia auto, se vuoi andare più veloce cambia marcia”
“Scusa, la forza dell’abitudine”
“Se la tua va a spinta, lo stesso non vale per la mia povera Camaro” sbuffai esasperato e lei sorrise.
Era di buon umore, strano, visto che stavamo andando a un ballo di fine anno.
“Comunque….. sei bellissima” le dissi voltandomi a guardarla negli occhi. Lei sorrise genuinamente.
“Grazie… ma adesso guarda la strada, non voglio che mi distruggi la auto per farmi complimenti”
“Sul,
serio, hai mai pensato di fare una flebo di caramello o cioccolata al
latte?! Perché non credo che i tuoi livelli di acidità
siano normali. Probabilmente hai troppi pochi zuccheri nel sangue,
sempre se ci sono”
“Ma se per colpa tua rischio di diventare diabetica”
“Cosa?!
Diabetica tu? Forse potrebbe succedere quando spediranno la Statua
della Libertà sulla luna con una mia dedica per te scritta a
lettere cubitali”
Kendra si ravvivò i capelli e alzò gli occhi al cielo.
“Stiles,
sto andando a un ballo di fine anno, per te. Ho rischiato che tuo padre
mi sparasse addosso o che mi arrestasse, mi sono ficcata in un abito e
ho un paio di tacchi molto appuntiti. Io non romperei troppo
l’anima, ok?”
“Ok, la pianto, ma dove hai preso quella giacca? E quel vestito? Insomma, non ti facevo tipa da…”
“Da
cose carine? Il fatto che di solito vada in giro con jeans, canotte e
giacche di pelle non pregiudica che io sappia indossare anche qualcosa
di meglio. E comunque sono entrambi di Alexander McQueen”
“Economica”
Non ne so granché di moda, ma so che se una ragazza specifica il
nome di un qualche capo, vuol dire che costa più di uno
stipendio medio.
“Li ho rubati”
“Tu cosa?!” lei mi guardò sorpresa.
“Andiamo Stiles, con tutto quello che posso aver fatto, ti stupisci di questo?”
Rimasi un po’ in silenzio, poi continuai.
“E…. che altro avresti fatto?” Kendra mi guardò e sorrise mentre scuoteva la testa.
“Non credo ti piacerebbe saperlo, sai?”
“Andiamo,
che mai avrai potuto…” Poi la guardai. E ingoiai a vuoto.
“Magari me lo racconti un’altra volta”
“Magari è meglio”
Poco dopo
arrivammo a scuola e parcheggiai. Lei uscì dalla Camaro con
tutta la noncuranza di questo mondo e le toccò aspettarmi visto
che non riuscivo a chiudere l’auto col telecomando.
“Buon dio Stiles, il tasto del lucchetto! Credevo fossi intelligente”
“Se riuscissi a vederlo questo dannato lucchetto…. Ok, fatto”
Mi avvicinai a lei e camminavamo spalla a spalla, quando mi prese la mano.
Qualche secondo dopo, nel parcheggio arrivò anche la Porche grigia dalla quale scesero Jackson e Lydia.
La rossa guardò stupita l’alpha, studiando tutto quello che aveva a dosso e poi andando avanti con Jackson.
Kendra rise e affrettò leggermente il passo.
“Ok
Stiles, patti chiari: io vedrò di non essere acida e tu non
pretendere di ballare tutte le canzoni che faranno, intesi?”
“Capito,
però almeno un paio di balli me li concedi?”
sospirò afflitta e continuò verso l’entrata.
Devo
essere onesto? Fu una bella serata. Ci divertimmo tutti, anche Kendra,
o quanto meno ne dava abbastanza bene l’impressione.
Guardandola
sorridere in quel modo però, mi resi conto che se avessi voluto
una ragazza comune, non i sarei mai messo con lei. Quello non sembrava
proprio essere il suo posto, anche se ci si muoveva tranquillamente.
E ballammo
anche! Lei guardava schifata o divertita ogni mia singola mossa, ma
almeno ballammo. Il lento fu decisamente più tranquillo anche se
più che ballare dondolavamo sui talloni.
Ogni tanto
spariva e la trovavo a parlare con qualcuno dei branco o a bere
qualcosa di “annacquato e ridicolmente analcolico”, ma non
sembrava annoiarsi.
Facemmo
anche diverse foto tutti insieme. Sempre senza flash perché
altrimenti non si sarebbe visto niente con tutti quegli occhi gialli.
Erano quasi le due, quando tornammo alla Camaro.
Sprofondò nel seggiolino e sospirò, guardandomi mentre giocava con la collana più lunga.
“Che succede?” chiesi con un sorriso e lei scrollò le spalle.
Sembrava rilassata, tranquilla.
“Era parecchio che non avevo una serata così….”
“Umana?”
“Esatto…. Non ero mai stata a un ballo di fine anno” ammise e rimasi seriamente sconvolto.
“Come?! Davvero? E perché non me lo hai detto?”
“Perché saresti andato in fermento inutilmente e ti saresti messo a fare mille progetti assurdi”
“Hai ragione! Non puoi andare al tuo primo ballo di fine anno a ventitre anni!”
“Stiles, se non la pianti ti mollo nel parcheggio e me ne torno a casa, intesi?”
“E
se la pianto quali sono i progetti?” chiesi maliziosamente e
Kendra mi mostrò un sorriso tutto fuorché raccomandabile.
“Potrebbero virare su pratiche molto più interessanti in cui magari riuscirei anche a zittirti”
“Ok, allora la pianto”
“Bene,
ti toccherà fare una tappa a casa mia, evidentemente”
Sorrisi e misi in moto la Camaro, mentre la bruna al mio fianco
decideva di darsi alla tortura del mio povero lobo.
“Di questo passo, ci arriverò morto a casa tua”
“Allora
ti conviene darti una mossa” soffiò direttamente nel mio
orecchio e non potei essere che d’accordo.
Si, tutto sommato era stata davvero una gran bella serata, conclusa in bellezza.
Ed eccoci qua con la seconda ed ultima parte v.v
Come una quasi consuetudine aggiorno ad orari indecenti e ho ancora addosso un rossetto che dovrebbe essere dichiarato illegale.
Non
l’ho nemmeno riletto, ho giusto aggiunto il finale e adesso
pubblico. Quindi, vi preog, perdonatemi incongruente e tutti gli schifi
vari che avrete di certo trovato.
Ringrazio
davvero tanto le donzelle che hanno recensito: _diable_ che mi
accompagna dagli albori, Ceinwein19 e incasinata per aver recensito lo
scorso capitolo e avermi chiesto di continuarla.
Giusto perchè sono fissata, ecco cosa indossava Kendra QUA
Adesso è finita davvero v.v
Ma non credete che la mia avventura in questo fandom si concluda qui *muhauhauhauah*
Baci
The Cactus Incident
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