pescatore
ALL'OMBRA
DELL'ULTIMO SOLE
All'ombra dell'ultimo Sole
S'era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso.
Era il tramonto a Tolone.
Il vecchio era stanco. Aveva trascorso un'esistenza tranquilla, lontano
dai pericoli. I suoi giorni erano stati dipinti di cieli tersi ed
accecanti, dell'odore penetrante del legno e di quello amaro della
salsedine. Del caldo e della pelle bruciata, del vento e dell'acqua
sparata in faccia senza pietà. Il sapore del mare. La rete
gettata, la speranza. La baracca dimenticata da Dio a cui faceva
ritorno ogni sera, le grida dei bambini nel vederlo arrivare con la
cena appena pescata, il sorriso della moglie e i suoi occhi tanto
simili al mare. Le sue guance soffici, sì. La loro piccola
felicità.
Tutto era passato. Il vecchio ritornava al passato con un sorriso - o
forse erano le rughe a disegnargli un sorriso sul volto. Ricordava e
osservava il mare, scrutava l'immensità sua compagna
pensando
alla vita e alla morte. Il Sole stava per nascondersi nel luogo in cui
era andata sua moglie, e in cui forse l'avevano raggiunta i suoi figli
quando anni prima, dopo aver annunciato la propria partenza in barca,
non erano più tornati.
Solo il mare era rimasto con lui. Il suo amico di sempre, la belva che
gli aveva portato via i suoi figli.
Era andato a pesca la mattina stessa. Non aveva ottenuto grandi frutti,
ma meglio di niente. Aveva finalmente trovato i soldi per comprarsi un
tozzo di pane e una meritata bottiglia di vino. E ora era
lì,
sulla spiaggia, deserta come tutte le sere. Senza una casa, dormiva
vicino alla sua barchetta, la sabbia come materasso. Alle volte,
qualche granchio veniva a fargli compagnia, guardandolo con quegli
occhietti che sembravano costantemente sull'attenti.
Gli occhi dei granchi furono la prima cosa a cui il vecchio
pensò quando venne svegliato. Due occhi sbarrati, color
nocciola, lo fissavano imploranti, e gli ricordarono quelli dei granchi.
"Ti prego, dammi da mangiare, dammi del pane". La voce travolse il
vecchio prima che fosse del tutto sveglio. "Non ho tempo, non ho tempo.
Ti prego. E dammi del vino. Sto morendo di fame e di sete".
ll vecchio mise a fuoco il proprietario di quegli occhi da granchio,
occhi quasi da bambino. Era un uomo sulla trentina, ma sembrava portare
su di sé il peso di tanti, tanti altri anni. Tracce di tale
peso
erano i graffi che gli storpiavano il volto, e i vestiti. Sulla casacca
malridotta era stampato un numero: 24601. Il
vecchio ricordava di avere già visto, qualche
volta, abiti
simili. Così vestivano i prigionieri del carcere della
città.
"Ti prego, vecchio, ho sete". L'uomo lo fissò negli occhi
ancora
una volta. La disperazione in quella profondità color
nocciola
si leggeva chiara e trasparente. Quegli occhi riflettevano mille
storie. "Sì, sono un criminale. Chiamami ladro, chiamami
assassino, chiamami come vuoi. Ma ti prego, ho poco tempo, e troppa
fame".
Il vecchio era capace di leggere dentro a quegli specchi. Si
sfilò di tasca il pane che era riuscito a guadagnarsi e
porse
all'uomo la bottiglia di vino che aveva comprato la mattina stessa.
Nessun rimorso. Osservò l'uomo mentre si avventava su quel
poco
che aveva potuto offrirgli, e lesse le sue avventure. Il pane. Proprio
il pane che stava mangiando l'aveva portato alla rovina, alla
reclusione. Aveva rubato un pezzo di pane, e la sua vita era andata in
frantumi. E ora, ora stava cercando di scappare dall'Inferno.
Leggeva in lui vecchie stradine di vecchi paesi, dominati dai cieli
azzurri e dai fiori colorati alle finestre. Un vecchio cortile ombroso
di una vecchia casa, un vecchio aprile. Una vecchia infanzia. Poi, la
povertà, il dolore crescente, il senso d'impotenza. La
paura,
l'arditezza, il baratro. Leggeva il pianto che si ferma in gola,
soffocante, come una morsa di pietra. Leggeva un uomo dagli occhi
azzurri e la voce tagliente come una lama, una maledizione incombente.
L'uomo sollevò lo sguardo verso il vecchio. Aveva finito di
mangiare. Fu un attimo: bevve in un sorso il vino che era rimasto nella
bottiglia e riprese a correre, veloce come il vento, verso il vento,
verso il Sole, piangendo al ricordo di quel vecchio aprile.
Il vecchio raccolse la bottiglia da terra e osservò
incantato i
suoi riflessi verdi fusi con l'arancio rosato del tramonto. Dio era nei
colori, o forse nel vetro. Vetro come acqua, acqua di mare. Un rumore
di zoccoli si avvicinava, da qualche parte, in lontananza. Poco
importava. Dio era nella carità, la carità era
nel vino.
Il pane e il vino, come l'Ultima Cena. Sorrise. I colori
dell'immensità, del mare. Il colore degli occhi di sua
moglie,
il colore nocciola degli occhi del granchio fuggitivo.
L'Assistente di guardia Javert stringeva forte le redini del cavallo
mentre la spiaggia scorreva sotto di lui a tutta velocità.
Aveva
ancora una vita intera davanti, ma sapeva perfettamente a che
cosa l'avrebbe dedicata. L'aria gli sferzava il viso, prepotente.
Sentiva il cuore battergli forte mentre spronava il cavallo a tutta
velocità all'inseguimento di quel fuggitivo: quella era la
vita.
Quella!
Lanciò un'occhiata distratta all'altro Assistente che lo
accompagnava. Il suo cavallo galoppava leggermente più piano
del
proprio. Non c'era affatto bisogno di due persone per inseguire un
inetto come quel ladruncolo che era evaso, avrebbe potuto farcela da
solo. Invece gli era stato affibbiato come compagno un altro Assistente
di guardia, lento per di più. Totalmente inutile. Come si
chiamava, pure?...
Improvvisamente intravide una figura sdraiata sulla sabbia a qualche
centinaio di metri di distanza. Tirò le redini con forza,
sembrava un vecchio. Avrebbe potuto fornire loro informazioni utili sul
fuggitivo.
"Signore!", chiamò avvicinandosi al trotto. Il vecchio non
reagì. "Signore, stiamo cercando un fuggitivo, un criminale.
E'
passato di qui, per caso? E' il numero...". Prese fuori dalla
tasca il foglio che gli avevano al carcere dato prima di mandarlo
all'inseguimento. "E' il numero 24601".
Il vecchio, ancora una volta, non reagì. Gli si avvicinarono
al passo, si fermarono.
"Forse è morto", azzardò il suo compagno di
missione.
Javert osservò meglio l'uomo sdraiato davanti a lui. Aveva
la
pelle ramata di chi ha passato la sua vita in mare. Fra le mani
stringeva una bottiglia di vino color verde scuro, e il suo volto dagli
occhi chiusi era illuminato da un sorriso. O forse erano soltanto le
rughe che disegnavano un sorriso sul suo viso, rischiarato dalla luce
arancione del tramonto.
"Forza, andiamo. Non c'è tempo da perdere",
borbottò. La
vista di quel vecchio, immobile e sorridente, l'aveva turbato.
Si lanciò nuovamente al galoppo, seguito dal
compagno.
Correvano col vento, correvano verso il vento, correvano verso il Sole.
Dietro le spalle, un pescatore.
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