Mezza tazza di nero bollente
MEZZA TAZZA DI NERO BOLLENTE
Si rigirò nel letto, ad occhi chiusi. Espirò
profondamente. Si voltò un’altra volta. Accartocciò
il collo per avvicinare il viso alle mani, si sfregò gli zigomi
con i polpastrelli ruvidi. Aprì un occhio, scartò di lato
con il corpo, mandò a ‘fanculo mentalmente la luce,
sprimacciò svogliatamente il piumino intorno al busto.
Sbuffò.
Sbuffò di nuovo. Allungò una mano verso il comodino, il
libro che c’era appoggiato ruzzolò a terra, scansò
una rivista, afferrò l’iPhone per guardarci l’ora.
Mezzogiorno. Avrebbe fatto bene ad alzarsi. Rotolò supino. Si
prese il tempo necessario per mettersi seduto, abituare gli occhi
all’ambiente luminoso, buttarsi addosso una felpa perché
dormire a marzo in maniche corte era fra le abitudini più
stupide che avesse.
Direzionò passi svogliati verso la cucina, accese la macchinetta
del caffè grattandosi il mento con la barba da fare,
afferrò il barattolo del caffè e ne versò una
generosa quantità nel cilindro metallico, lo fissò
all’apparecchio e aspettò. Recuperò il Times
dallo zerbino e il telefono dal groviglio di coperte sfatte,
tornò in cucina, si versò una mezza tazza di caffè
nero bollente. Si sedette al solito posto. Zuccherò la bevanda e
ci soffiò sopra mentre distratto afferrava il proprio telefono.
Era arrivato un messaggio di Helena.
. Ricordati che arriviamo all’una. A dopo.
Sorrise. Helena conosceva diversi - troppi - modi di incutergli un timore reverenziale, uno dei quali consisteva nel velare con un bonario ricordati le minacce che gli inviava tramite SMS. Ricordati che Cody arriva alle tre. Ricordati che questo weekend sono via. La versione interrogativa ti ricordi…, vero? era la più infida, e quella che meglio mostrava quanta poca fiducia, a ragione, riponesse nella sua memoria. In ricordati che arriviamo all’una bisognava leggere qualcosa come ricordati di fare da mangiare, di rendere presentabili la casa e te stesso entro l’una, altrimenti ti prendo a pugni. Sortiva quasi sempre l’effetto desiderato, era una delle tante magie di quella donna.
Fortunatamente di lì a pochi minuti sarebbe arrivata Hannette a
riordinargli l’appartamento e ultimare i manicaretti che aveva
iniziato a stipargli nel frigorifero il giorno precedente. Aveva cenato
con le sue tartine, erano migliori di quelle che gli preparava
abitualmente. Si ripropose di dirglielo.
Ricordò il motivo per cui aveva afferrato il cellulare. 31
marzo. Il compleanno di Stef. Aveva perso il conto di quanti ne avevano
festeggiati insieme. I primi ubriachi e strafatti, poi feste più
o meno intime con invitati più o meno di merda, qualcuno in
tour, qualcuno in studio, qualcuno a bersi qualcosa con la voglia di
riderci sopra, e qualcuno così, passato inosservato, un giorno
fra tanti in cui ci si scambiava una telefonata o anche solo poche
righe di testo con una qualche sincerità. Ciao, stronzo, auguri. Eh, stai invecchiando. Buon compleanno, regina di Svezia! Sai che odio le feste, non provare a invitarmi.
Gli piaceva pensare di odiare i compleanni. Per la verità, non
li teneva in nessun conto. Non gli importavano. Erano uguali al giorno
precedente e a quello seguente. Lui era uguale al giorno precedente e a
quello seguente. Erano poco interessanti.
Però Stefan era una di quelle persone a cui sentiva sempre il bisogno di fare degli auguri.
Sbloccò lo schermo, aprì la pagina bianca,
selezionò il destinatario, si posizionò più
comodamente sullo sgabello per scrivere meglio. Cercò il tasto
da premere, si bloccò. Fissò il cursore lampeggiante. Era
interrogativo.
‘Fanculo.
Sbatacchiò l’apparecchio sul tavolo, lo riprese in mano.
. Tanti auguri.
Cancellò.
. Buon compleanno, Stef!
Cancellò. Tentò delle varianti.
. Stef, lo sai che mi fanno schifo i compleanni ma volevo-
. Non so neanche perché ti scrivo visto che domani ci vediamo, però auguri.
. Che cazzo, auguri!
. Lo sai che sono dieci minuti che
provo a scrivere qualcosa di intelligente ma non riesco a farti un
decente augurio di compleanno?
Cestinò tutto irritandosi. Scrisse AUGURI
marcato da un bel punto fermo. Non lo inviò pensando che
l’amico l’avrebbe richiamato in trenta secondi chiedendogli
se andava tutto bene, o se fosse incazzato.
Odiava fare gli auguri. No, non era vero. Odiava le frasi fatte a cui
vengono affidati gli auguri. Ma odiava anche essere sincero quando non
fosse strettamente necessario, cosa che lo portava a fissare quei dieci
centimetri di pixel con aria di sfida e nessuna idea di tradurre in
parole.
Potrei scriverti la verità.
Potrei scriverti, che so, ‘grazie’. ‘Grazie’ e
basta, perché con te non ho mai capito come continuare il
concetto. Potrei dirti che sono felice che ci sei, che ti voglio bene.
Potrei comporre una sbrodolata di complimenti, pure sinceri, ma finirei
sempre con il chiedermi perché cazzo lo sto facendo proprio oggi
perché tu, Stef, queste cose le sai già. Le sai sempre.
Non hai bisogno di quattro parole che te lo confermino in canonizzati
giorni dell’anno. Non ci siamo scambiati un regalo in venti anni
e non ci è mai passato per la testa.
… Che si fottano tutti, Stef.
Non ne abbiamo ancora le palle piene dopo tutto questo tempo e non mi
interessa sapere perché. Funziona finché non cerchi di
capire perché funziona. Noi continuiamo a funzionare, nel nostro
modo disfunzionale.
Sospirò. Tamburellò sulla superficie liscia sotto le sue
dita. Fece vagare lo sguardo per la stanza come ci fosse appena
entrato. Doveva svuotare la pattumiera. Aveva riordinato bene le
presine. Il piano cottura era un disastro. Guardò il muro bianco
ricoperto dai conigli colorati che aveva appeso per Cody. Saltavano a
destra e a sinistra raccogliendo le uova in grossi cestini. Ridevano.
Erano orrendi.
Ghignò. Recuperò il telefono, digitò rapido.
. Buona Pasqua, Stefan!
Finì il caffè appena tiepido, aprì ad Hannette che
iniziò a vagare per la casa come una furia, si lavò e
vestì senza degnare lo specchio di uno sguardo, si buttò
sul divano cantando i Black Keys. Era di buon umore.
Il cellulare trillò.
. FOTTITI, MI AMOR!
Rise, lanciò l’apparecchio sul divano di fronte, si scompose ulteriormente in mezzo a tutti quei cuscini.
Uguale al giorno prima, uguale al giorno dopo. Non era così male.
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… Abbiamo tutti colto il significato recondito, profondissimo,
dell’intera faccenda, vero? Ottimo, posso quindi passare oltre.
*coffcoffa di qua e di là*
Le ragioni per cui ho scritto questa cosa sono essenzialmente la mia
discreta insofferenza verso le festività (i compleanni sono
ancora fra le più carine) e la leggerezza che mi mette addosso
Tim Burton, quello buono. Aggiungete un repentino attacco
d’insonnia e il piatto è servito.
Buona Pasqua e buon compleanno di Stefan a tutti, se avete abbozzato un sorriso sono soddisfatta :*
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