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ATTENZIONE! SPOILER DEI PRIMI CAPITOLI di Harry Potter & The Deathly Hallows.
Disclaimer: I
personaggi della storia non mi appartengono. Sono di proprietà di J.K.Rowling, per
tanto completamente frutto di fantasia, e vengono da me utilizzati non a scopo
di lucro, ma semplicemente per divertimento.
Note:
Per Bittersugar.
Mi ha chiesto di scriverla e l’ho fatto; non sono una bravissima ragazza? :D
Ambientata all’inizio del settimo libro, a luglio, entro il terzo capitolo.
La frase
finale è liberamente tradotta dal capitolo terzo del libro e il titolo proviene
da un verso di Sleeping With Ghosts dei Placebo leggermente
modificato ('But we can't read between the line').
Potete
vederla come pre-slash, se non vi disturba.
Read Between The Lines
La prima
settimana di luglio, Dudley vede Harry solo quando i Dursley vanno a prenderlo a
King’s Cross.
Giunti a
casa, infatti, il cugino passa gran parte del tempo chiuso nella propria camera;
eviterebbe anche di mangiare, sembrerebbe, se Vernon non bussasse periodicamente
alla porta per trascinarlo a cena. Nonostante tutto, non vuole rischiare di
ritrovarsi un nipote quasi diciassettenne morto di fame. E poi, anche se
quell’avanzo di galera del padrino di Potter è morto, non è detto che qualche
altro delinquente della sua specie non sia disposto comunque a fargliela pagare.
Dudley,
così, lo vede raramente, in quella prima settimana.
A cena,
per giunta, Harry sembra più silenzioso e meno ribelle del solito – obbedisce
senza recriminare agli ordini di Petunia, non risponde alle battutacce di
Vernon.
Dudley
lo osserva senza dire nulla, nemmeno osa spintonarlo quando salgono le scale per
dirigersi ognuno nella propria camera. Camminano fianco a fianco e non parlano;
è come se una cappa scura circondasse il cugino e persino lui è abbastanza
intelligente da capire quando si rischia di esagerare. E poi, Potter, ha sempre
la cosa con la M dalla sua parte.
Dudley
ancora non si fida tantissimo.
*
La
seconda settimana di luglio, le cose non migliorano poi molto. Harry scende a
cena di propria spontanea volontà, è vero, ma vederlo in giro per casa sembra un
evento eccezionale.
«Finalmente ha capito che non lo vogliamo fra i piedi,» borbotta Vernon,
accomodandosi sulla poltrona del salotto.
Dudley
mugugna qualcosa che dovrebbe sembrare un assenso, ma poi si defila
immediatamente scartando Petunia e le sue dimostrazioni di affetto.
Quando
giunge sul pianerottolo del primo piano, osserva per un attimo la porta chiusa
della stanza di Harry e viene colto dallo strano impulso di bussare. Non sa per
quale motivo, non sa nemmeno cosa potrebbe dirgli, una volta trovatosi faccia a
faccia con lui. Eppure l’impulso c’è.
Ma non
ci mette nulla a scacciarlo, sbattendosi la porta della propria stanza alle
spalle.
*
«Arriveranno delle persone, tra poco,» dice Harry, all’inizio della terza
settimana di luglio.
«Persone
come te?» replica Vernon, con il solito tono disgustato.
Dudley
stringe le dita intorno al gioco elettronico che ha tra le mani e tende le
orecchie. Ha le sue buone ragioni per temere la gente come Potter.
«Sì. Vi
spiegheranno delle cose, perché… perché dovrò andar via, tra poco,» continua il
ragazzo, aggiungendo, prima che l’uomo possa parlare, «Ma dovrete ascoltarli
attentamente, chiaro?»
Il viso
di Vernon diventa paonazzo. «Ascolterò quella gente solo se si comporterà in
modo civile, in casa mia!»
Harry
alza brevemente le spalle in cenno di assenso e si dirige verso le scale,
uscendo dal salotto.
Dudley
guarda suo padre tremare leggermente e borbottare l’ennesima sfilza di
improperi. Mette da parte il videogioco. «Ha detto che tra poco se ne andrà…»
mormora, assorto.
Vernon
si volta spalancando gli occhi. «E sarebbe ora che se ne andasse!» sbraita.
Dudley
deglutisce e riprende in mano la consolle.
Ha paura
della gente come Potter, ma, tutto sommato, non ha paura di Potter.
E, a
conti fatti, l’idea di non averlo più tra i piedi un po’ lo sconvolge.
*
Vernon e
Petunia non hanno voluto che Dudley ascoltasse quello che quei due signori--
quella gente come Potter aveva da dire. Sua madre gli ha accarezzato la
testa e gli ha detto di andare in camera che, entro breve, lo avrebbe chiamato
per la merenda.
Lo
tratta ancora come un bambino, sua madre, ma Dudley non lo è più. Non è più un
bambino da quando quel-- quel Dissennatore ha tentato di succhiargli via
l’anima. Perché, quando si è bambini, si crede di poter essere sempre innocenti,
sempre felici e che la vita sarà sempre facile, con la mamma accanto ad esaudire
tutti i più futili desideri. Ma Dudley ha creduto di non poter essere mai più
felice, in quel vicolo, e si è sentito succhiare le più belle sensazioni dal
petto come se non avesse dovuto riaverle mai più.
Ed è
stato quando ha perso quell’innocenza, seppur per pochi minuti, che Dudley ha
smesso di essere Diddino-piccino. E, se lo ricorda bene, avrebbe perso
molto di più se non fosse stato per Harry.
*
Vernon
ha annunciato alla famiglia – e ad Harry – che nel pomeriggio partiranno con
quella gente strana. Dudley non ci sta capendo molto, ma ha ascoltato stralci di
conversazione – mettersi al sicuro, avrete salva la vita,
tornerete a casa appena sarà possibile – e queste poche cose gli bastano per
fidarsi. È gente strana, certo, magari sono dei pazzi, ma magari sono più strani
e pazzi quelli contro cui stanno lottando.
Vernon,
però, non sembra ancora convinto. Cammina avanti e indietro per il salotto e
parla fitto con Petunia.
«Se li
seguiamo, staremo al sicuro,» Dudley sente dire a sua madre, passando nel
corridoio per raggiungere le scale con una tazza piena di tè fumante fra le
mani.
E,
quando giunge sul pianerottolo, sente di nuovo l’impulso di bussare alla porta
del cugino, ancora una volta senza sapere esattamente cosa dirgli.
Gli
risulta difficile, adesso, trattare Harry con la medesima freddezza di un tempo,
schernirlo, ferirlo. Li sta aiutando, in fondo, si sta preoccupando per loro.
Dudley
stringe assorto le dita grassocce attorno al piattino e la tazza traballa,
rischiando di versare il liquido. Mentre la riassesta scottandosi le dita sulla
ceramica calda, un’idea sciocca gli si affaccia alla mente; la scaccia subito –
perché bussare a quella dannata porta porgendo a Harry una tazza di tè fa
davvero troppo ragazzina e Dudley non si è certo rammollito fino a questo
punto.
Però una
sorta di tregua ci vuole. Un ringraziamento, in fondo, glielo deve.
Così,
semplicemente, appoggia il piattino con la tazza sul pavimento, esattamente
davanti alla porta, con un sorriso rassegnato sul volto. Perché, per Dudley, è
sempre stato più facile agire che parlare. E spera vivamente che
quel gesto venga interpretato come il grazie che non riesce a
pronunciare.
Io non penso che tu sia uno
spreco di spazio, Harry.
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