Cute Without The 'E' migliore
È
strano come la gente dia le cose più piccole per scontate,
come questo
gigantesco cielo appannato dalla nebbia e queste enormi strade deserte,
perfette per chi vuole sentirsi in un film; voglio dire, ci sono
persone che per queste due particolarità sono disposte a
pagare decine
di migliaia di euro ad un'agenzia viaggi e altre che ci si svegliano
ogni mattina e arrivano a detestarle come nessun'altra cosa sul
pianeta. Eppure quando qualcosa è bello bisognerebbe
apprezzarlo
sempre, perché nessuno si rende mai conto di quanto qualcosa
sia
speciale finché non è tutto perso e nessuno
riconosce mai il vero
valore delle cose finché non gli vengono strappate via, e
bla bla bla.
Conoscete la solfa.
Tutto questo per dire che oggi è una giornata
più che decente che prospetta di diventare una giornata
magnifica,
visto che la passerò assieme al mio migliore amico Alex, e
che sono
più che felice di essere qui. Abbiamo suonato ieri sera,
l'ultimo
concerto per qualcosa come una, due settimane, e da questo momento in
poi siamo liberi come l'aria per un tempo che per chi è
abituato ai
ritmi pressanti dei tour è interminabile. Mi piace camminare
con lui,
andiamo sempre a finire nei posti più impensabili e quando
torniamo a
casa abbiamo sempre almeno una nuova cazzata, acquistata in qualche
nicchia mai vista dal resto della città che probabilmente in
poco tempo
sarà rasa al suolo per far spazio a un parcheggio o a un
più redditizio
centro commerciale. Quando camminiamo ci fermiamo in qualunque posto
c'ispiri, senza farci domande sul perché della nostra pausa,
e
parliamo. Parliamo finché non ci si seccano le lingue,
parliamo finché
non si esauriscono le parole. Equivale a una specie di terapia, io sono
lo psicologo di Alex e lui è il mio, e funziona da dio,
perché io non
ho paura di dirgli ciò che mi passa per la testa e lui non
ha paura di
essere sincero con me, quindi la nostra amicizia non può che
prosperarne e diventare ogni giorno più solida.
Più gli parlo e più mi
rendo conto di quanto sia speciale, di quanto sia diverso da tutti gli
altri ragazzi che abbia mai incontrato, di quanto le sue opinioni
contino per me, di quanto ogni suo respiro sia essenziale per far
funzionare al meglio il mio organismo, di quanto semplicemente io abbia
bisogno di lui. La mia terapia è ascoltarlo per ore,
ascoltarlo fino a
non sentire più nulla, perché non c'è
nulla al mondo che sia capace di
farmi sentire come lui, anche se questo non ho mai avuto il coraggio di
dirglielo. Non che io sia un fifone, anzi, ma ho come l'impressione che
l'occasione giusta non mi si sia ancora presentata, che questo non sia
il momento adatto, quindi aspetto e ascolto, anche se da come si
comporta penso che potrei anche mandare al diavolo il momento giusto e
dirglielo ora, tanto non cambierebbe nulla. Non penso sia la paura a
fermarmi, come non penso che sia il buonsenso, forse è solo
un timore
infondato basato sul fatto che è troppo importante per me
perché possa
anche solo rischiare di perderlo; non so; ma non penso che il nostro
legame potrebbe mai incrinarsi per una cosa così...
mutevole? Voglio
dire, puoi interpretare la frase come vuoi, come la classica 'I love
you', che può significare tutto o niente; quindi non penso
che possa
bastare questo a dividerci. Non penso proprio che niente sia in grado
di dividerci, ad essere sinceri, ma d'altronde chi sono io per
giudicare?
Qualche volta quando comincia a parlare lo fa dal nulla,
dopo che abbiamo preso a camminare da un quarto d'ora o giù
di lì,
quando io sono talmente perso nei miei pensieri da non accorgermi
neanche degli sguardi che gli altri ci lanciano, chi riconoscendoci,
chi ridendo dei nostri capelli, così sobbalzo.
–
Sai Jack, mi fa strano pensare ai nostri fan –
mormora, alzando lo sguardo al cielo per concedersi un sorriso placido.
–
Come mai? Direi che ce li meritiamo, siamo grandiosi –
ribatto, facendolo scuotere la testa con una risata trattenuta.
–
No, scemo, non intendo quello –
sottolinea.
–
Cosa intendi allora? –
domando, fermandomi davanti a una libreria a cielo aperto.
–
Voglio dire che è strano che ci amino così tanto,
se fossimo persone
qualunque probabilmente non ci cagherebbero di striscio o penserebbero
che siamo dei maniaci depravati
– comincia, girandosi a guardarmi nel pronunciare 'maniaci'.
–
Sbaglio o avevamo un discreto successo con il gentil sesso anche quando
eravamo persone comuni? –
gli ricordo.
–
Tu di sicuro, sei sempre stato una calamita per donne –
scherza punzecchiandomi con un dito.
Oddio che fossette carine che ha.
–
Anche tu eri un bel latin lover, eh –
controbatto, cercando di sminuirmi.
–
Hai detto bene, ero. Adesso non piaccio più a nessuno –
ride, scorrendo le dita su una copertina a caso. Prendo in mano un
libro senza pensarci e glielo mostro, lui si gira soprappensiero e
sussulta nel leggerlo. 'A me molto'. Non credo che i suoi occhi
sbarrati si riferiscano al titolo assurdo del volume e mi sento morire.
Non gli piaccio. Il suo sguardo sgomento si fa insostenibile e abbasso
gli occhi, fissando il marciapiede così intensamente che se
avessi avuto dei superpoteri qualsiasi ora sarebbe sciolto e la gente
si sarebbe fermata a guardare, sbalordita e spaesata dal risultato. Per
la prima volta da anni, ho paura. Una paura arcana, pesante, che vorrei
non aver mai provato.
Rimane in silenzio, ma sento il suo sguardo bruciare contro la mia
pelle. Rimetto a posto il libro e riprendo a camminare, senza voler
affrontare la sua reazione. Ho come l'impressione che non
risponderà presto, e la cosa mi fa sentire come se tutte le
mie budella fossero state sostituite con dell'acido abbastanza potente
da corrodermi lo stomaco ma troppo lento perché qualcuno non
se ne accorga prima e mi salvi dalla morte, e fa schifo. Fa
così schifo che non ho neanche la forza di fermarmi e
piangere, così continuo a camminare, avvertendo la sua
presenza dietro di me, confusa e spezzata dalla sorpresa, e tengo lo
sguardo fisso, troppo stordito per osare un qualsiasi altro movimento.
Alex dal canto suo tace, tace come non ha mai fatto prima, e il suo
silenzio è un silenzio accusatorio, che mi rimprovera di
averlo privato del suo unico sostegno reale, di essere stato egoista e
di aver scelto un momento così poco adatto per rivelarmi a
lui. Tra tutti, non penso potesse immaginare che io potessi essere non
dico gay, ma anche solo bi. Che poi non sono neanche bisessuale o in
crisi sulla mia identità, penso che lui sia un gruppo a
parte, una di quelle persone che non importa di che sesso siano, non
puoi evitare di innamorarti di loro e perderti nei loro occhi scuri,
qualunque sia il tuo legame con loro; ma non credo che Alex lo capisca.
Per questo il suo silenzio è così duro. Non penso
che abbia mai detto tanto come con questo silenzio, e la cosa mi
terrorizza. Ho paura di aver appena perso il mio migliore amico, e fa
male. Fa terribilmente male.
Arriviamo all'hotel che non ho ancora mai staccato lo sguardo da terra,
ho la lingua incollata al palato e la bocca secca, del tipo che anche
volendo non riuscirei a spiccicare parola; ma a lui non sembra
dispiacere così tanto, e se lo fa non lo da comunque a
vedere, come fa quando è turbato ma non vuole che gli altri
lo compatiscano o cerchino di capire cosa gli giri per la testa. Mi
siedo su un pilastro di marmo che si trova davanti all'entrata e cerco
di farmi il più piccolo possibile, mentre lui si sistema
sulle scalette e guarda davanti a sé, assente, vedendo cose
a me ignote che mi fanno sentire ancora più impotente di
prima. Non mi ricordo di aver infilato la mano in tasca, ma quando la
tiro fuori noto che c'è un paio di forbici tra le mie dita,
e senza neanche pensarci mi graffio sul palmo, prima in modo lieve poi
con più decisione, finché la mano non comincia ad
arrossarmisi e a bruciare. Almeno sento qualcosa, mi viene da pensare,
ma osservando la mia mano non la riconosco e il bruciore finisce, dando
spazio all'apatia. Non voglio l'apatia, l'apatia mi fa paura.
È uno stadio che non voglio raggiungere; voglio ancora
sorridere pensando a lui, voglio ancora sentire le farfalle nello
stomaco guardandolo in faccia, voglio ancora svegliarmi con la nausea
nel sapere che la sagoma nel letto accanto a me è l'ennesimo
sostituto della sua figura e non lui. Infilo la lama nella pelle e
comincio a sanguinare, prima delicatamente, lentamente, come se il
cielo stesse piangendo rosso per sbaglio, poi il flusso aumenta e
comincia a rotolarmi lungo il polso, accarezzandomi l'avambraccio e
lanciandosi nel vuoto una volta raggiunto il gomito, e nel nulla
comincia a farsi spazio la consapevolezza che quello che ho appena
fatto non ha rimedio. Ho mandato a puttane tutto e ci vorranno anni per
ristabilire un rapporto di qualunque tipo con lui, a meno che... Alzo
lo sguardo e incontro il suo. Vedo che mi guarda in volto, che osserva
il sangue, che si sofferma sulle forbici; lo vedo alzarsi, togliersi la
polvere dai jeans e andarsene, impassibile, lasciandomi lì
da solo.
Rimango immobile per non so quanto tempo. So però che le
forbici le ho rimesse in tasca e che in qualche modo il sangue si
è fermato da solo, anche se non si è ancora
seccato del tutto, e che Alex non è qui con me ad
abbracciarmi e dirmi che andrà tutto bene. Fa male da far
schifo, mi sento come se una bomba fosse sul punto di esplodere nel bel
mezzo del mio cervello e nessuno fosse lì per cercare di
disinnescarla e salvarmi la vita, come se a nessuno importasse un bel
niente di sapermi sano e salvo nel mio letto dopo una catastrofe
naturale. Vorrei piangere ma i miei occhi sono aridi, l'unica cosa che
riesco a sentire è questo dannato peso che mi opprime il
petto e m'impedisce di muovermi in qualsiasi modo. Ho paura e non ho
nessuno a cui dirlo. Vedo Rian tornare all'hotel e capisco che mi ha
notato; si avvicina e sopprime per qualche secondo il sorriso che ha
sulle labbra, sporgendosi verso di me. 'Ehi, campione, tutto a posto?'.
–
Uh-huh –
mormoro, lui annuisce e se ne va, lasciandomi da solo e tornando a
chiacchierare al telefono con qualche sua amica di lunga data. Il mondo
mi cade addosso una seconda volta.
Non so come siano passati questi dieci giorni, so solo che i tecnici mi
hanno guardato con delle facce oltre il preoccupato quando mi hanno
visto arrancare nel backstage con le mani fasciate e un colorito che
definire bianco non è abbastanza. Mi hanno chiesto come
stessi e ho liquidato la domanda, ho afferrato una chitarra, me la sono
messa al collo e mi sono chiuso nel camerino finché non
è stata ora di uscire e andare a suonare con gli altri.
Quando sono salito sul palco mi sono sentito meglio, nel vedere il
pubblico ho pensato che ehi, magari le cose non erano poi
così terribili, magari Alex aveva assorbito il colpo ed era
pronto a guardarmi in faccia senza sembrare la persona più
negativamente sorpresa del mondo, magari si era trattato solo di un
brutto sogno; ma quando l'ho visto le mie illusioni si sono frantumate
istantaneamente. Mi ha guardato attraverso, come se fossi davvero fatto
di cellophane, e non ha cercato il mio sguardo prima di attaccare con
la prima canzone, lanciandosi nella performance come tutte le altre
volte, come se non fosse successo niente. Solo che per quanto mi
sforzassi di comportarmi come se niente fosse, per quanto corressi e
saltassi come un ossesso, per quanto dessi il meglio di me per sembrare
a mio agio sul palcoscenico e in mezzo ai ragazzi, lui non voleva
saperne di avere contatti di alcun tipo con me. Non mi guardava, non mi
cercava, non mi calcolava in nessun modo; era come se non esistessi,
come se fossi solo un brutto scherzo o un intoppo nella sua strada per
il successo. Non mi sono mai sentito tanto male in vita mia.
Più mi sforzavo, più mettevo l'anima in
ciò che facevo, più lui si ritraeva da me e
più faceva male realizzare che non voleva più
avere a che fare con me in assoluto, non solo per quel concerto. Non
volevo e non voglio crederci, non credo sarò mai capace di
afferrare pienamente questo concetto. Lui è Alex, il mio
migliore amico, quello che è sempre rimasto quando tutti gli
altri se ne andavano, quello che veniva picchiato con me quando ci
provavo con una senza sapere che il fidanzato era nei paraggi e che
quando inevitabilmente quello compariva si rifiutava di lasciarmi
andare da solo incontro al mio destino, quello che non importa quanto
mi ficcassi nella merda, mi tirava sempre fuori dai guai con un
sorriso; quello il cui solo sorriso mi ha permesso di andare avanti per
tutti questi anni. Alex è questo e tanto altro, e ora non
vuole più saperne di me. Mi sembra di morire, come se mi si
fosse aperta una voragine sotto ai piedi e io non riuscissi a
scomparire se non particella per particella, con un ritmo che richiede
milioni di anni solo per smaltire un pezzo d'unghia, e mi domando se ci
sia davvero una via d'uscita a questo processo di autodistruzione.
Finora la via d'uscita è sempre stata Alex, ma non credo si
sia mai reso conto di quanto abbia sempre avuto bisogno della sua
presenza, altrimenti non se ne sarebbe andato così,
altrimenti... Altrimenti cosa? Ho fatto un'uscita di merda,
è normale che non voglia più guardarmi in faccia,
non posso biasimarlo. È colpa mia, avrei potuto scegliere un
altro momento, avrei potuto trovare un modo più carino,
avrei potuto aspettare che si sentisse a proprio agio o qualcosa del
genere. Avrei potuto usare delle parole più adatte, avrei
potuto cogliere un frangente più felice, avrei potuto essere
migliore; ma ora come ora non so come potrei dirglielo. Ogni volta che
provo ad avvicinarmi sguscia via verso l'altra metà del
palco, e anche se provassi a seguirlo dubito che otterrei
il risultato che desidero, anzi. Ho paura che se lo guardo in faccia mi
sputerà addosso, penso che non alzerò
più lo sguardo da terra. Almeno così, posso
continuare a illudermi che le cose possano migliorare.
Il concerto è finito da poco, siamo rientrati nel backstage
e Alex non mi ha cagato di striscio neanche quando mi è
passato davanti; è andato dritto verso le docce
chiacchierando fitto con Rian e penso che ora si stiano cambiando, come
farei anch'io se fossi sicuro di non essere costretto a incrociarli e
alzare lo sguardo verso di loro. Noti un sacco di cose che non
crederesti mai possibili quando chiudi la bocca per più di
cinque minuti e tendi le orecchie per captare i discorsi degli altri, e
una di queste è che per Alex tutti i 'if the kids don't
believe, make them believe', i 'I just fell in love with you again,
Jack', i 'I think Jack is just so pretty' sono una cazzata, un modo per
ottenere più seguito di quanto avremmo altrimenti, una
maniera per renderci le cose più facili. Mi sento svuotato,
come se tutto ciò in cui avessi sempre creduto si rivelasse
una grande, immane bugia buttata lì solo per marketing, e in
effetti è così, e l'ho scoperto nel peggiore dei
modi, perché il mio migliore amico non ha neanche avuto il
coraggio di dirmi in faccia che per lui questo non è mai
stato più di un gioco e che in realtà per lui non
sono niente più che un amico, per quanto buono e disponibile
io sia. Non penso alzerò più gli occhi da terra.
Pensavo che il bagno fosse un posto costantemente frequentato durante i
tour, ma ultimamente mi sto rendendo conto che non è
così, che posso entrarci e rimanerci chiuso dentro per ore
senza che a nessuno passi per la testa di entrare a darsi una
sistemata al trucco, che in qualunque momento io spalanchi la porta
c'è solo un piccolo margine di possibilità che ci
sia qualcuno al suo interno e che questo qualcuno non se ne vada entro
i primi due minuti dal mio arrivo. Questo mi lascia parecchio tempo per
pensare, se solo riuscissi a pensare in modo coerente a qualcosa che
non sia il viso sgomento di Alex di quando mi sono dichiarato. Diciamo
che se ne fossi in grado, potrei farmi delle gran belle pensate chiuso
qui.
Ho perso il conto dei giorni in cui non ho aperto bocca in sua presenza
e in cui i miei occhi non hanno incontrato i suoi neanche per sbaglio,
comincio a temere che non coglierò mai più il
loro guizzo sulla mia pelle e che non vorrà mai
più far sì che le nostre mani si sfiorino sul
palco dopo esserci lanciati quelle occhiate che fanno tanto impazzire i
fan. Ho paura che tra noi non ci sarà più niente,
neanche amicizia. È tanto che non parlo neanche coi ragazzi,
ma non credo che loro abbiano notato la cosa; in fondo non ci siamo mai
parlati davvero, la mia attenzione è sempre stata rivolta ad
Alex e la sua a me, anche se ultimamente ho avuto tempo per
rifletterci. Mi vengono in mente sempre più incongruenze nel
suo comportamento ma le spingo via, nei meandri più remoti
della mia testa; non voglio credere che per tutto questo tempo mi abbia
mentito, fa meno male pensare che sottovalutasse la cosa e che non
credesse che potessi sentirmi in questo modo dopo tutti questi anni di
amicizia e fratellanza. No, lui mi vuole bene, è solo che
non sa come comportarsi e pensa che il modo migliore per ferirmi di
meno sia non parlarmi ed evitare gaffe o fraintendimenti illusori, solo
questo. Però non posso permettermi di guardarlo comunque,
non credo riuscirei a non piangere. Dio, quanto fa male.
È lacerante sapere che sta dormendo qui, a due passi da me,
e non potermi girare per vederlo, sfiorargli i capelli, sorridere del
ritmo rilassato del suo petto; eppure è ancora
più devastante sapere che non c'è più,
che si è fatto cambiare cuccetta per non dover stare vicino
a me, che pur di non essere costretto a parlarmi si è
trovato disposto a prendersi il posto letto più scomodo di
tutto il tourbus. Se me l'avesse chiesto mi sarei spostato io, almeno
avrei avuto la sicurezza di saperlo fisicamente a posto, ma non mi
rivolge la parola da qualcosa come una, due settimane ormai, quindi
anche volendo non avrei potuto. Ho perso il conto dei giorni di
silenzio, tra noi, anche se non credo di essere mai stato in grado di
tenerlo in maniera decente, e di questo in parte sono felice,
così non posso buttarmi giù contando le ore. Come
se potesse bastare questo a farmi star meglio; non riesco a non
desiderare di essere investito da un'auto in corsa e di morire sul
colpo, magari tra le braccia di un Alex piangente che si scusa e mi
dice quanto mi vuole bene, pregandomi di non lasciarlo così
presto perché ha bisogno di me, del mio sorriso, della mia
risata per andare avanti e continuare a essere la persona che
è. Mi è venuta la pelle d'oca nel pensarci, mi
sento così patetico e solo che mi viene da piangere. E
invece non ci riesco, le mie guance sono più secche di una
città in piena estate e l'unica cosa che riesco a fare
è tremare e stringere sempre più forte queste
cavolo di forbici, in un vano tentativo di far svanire tutto
ciò che mi circonda. Mi chiedo se siano maledette, non
riesco più a farne a meno e ovunque guardi loro sono
lì, pronte ad aspettarmi. Questa cosa mi distrugge. Dio,
Alex, come fai ad essere così vicino e così
lontano allo stesso tempo? Mi sento sempre più perso.
Oggi ho scorto il suo riflesso in una pozzanghera. Si è
fatto più magro, ho notato un accenno di zigomi dove prima
c'erano delle guance morbide e allegre e gli skinny jeans che ha sempre
indossato ora sono più larghi di quanto ricordassi. Spero
che non sia colpa mia, che non si sia guastato l'appetito pensando e
ripensando alla mia dannata uscita, che la sua vita abbia continuato a
girare per il verso giusto anche dopo che ho fatto quel che ho fatto;
non riuscirei a perdonarmi di avergli rotto le uova nel paniere. Un
conto è rovinare la mia, di vita; un conto è
mettere in ginocchio l'unica persona che ha davvero importanza per me
in quest'universo bigotto ed egoista, soprattutto calcolando che tutti
i miei gesti sono sempre stati calcolati per farlo star bene in ogni
istante. Dio, mi sento la merda più merda del pianeta; spero
solo che un giorno riesca a perdonarmi e guardarmi in faccia senza
sentirsi deluso, arrabbiato o sgomento. Spero che passi. Ho paura di
tutto, perfino della mia ombra –
non avrei mai pensato che quella presenza scura che si diverte tanto ad
accompagnarmi in tutto potesse assumere un aspetto così
negativo per me; mi sembra di essere perseguitato da un fantasma tristo
e scheletrico che non aspetta altro di vedermi finire come lui –
e quando devo uscire a fare le commissioni più comuni mi
sento assalire dall'ansia più pura, al punto che ho preso
l'abitudine di non guardare neanche il commesso quando pago. Mi sto
ritirando dal mondo sempre di più e ho perso ogni stimolo
base, mi sto riducendo a esistere docilmente e a fare tutto quello che
mi dicono gli altri, senza mai ridere o parlare a voce più
alta di un mormorio, come tutti hanno sempre detto non avrei mai fatto.
Anche loro non consideravano il jalex reale evidentemente, oppure ci
avrebbero pensato due volte prima di dire cose del genere. Se qualcuno
avesse amato Alex come lo amo io allora potrebbe capire, ma ho paura di
essere ancora una volta solo, abbandonato a me stesso e alle mie paure,
e la cosa mi lacera nel profondo. Non voglio che il mio unico sostegno
sia questo paio di forbici e una decina di colpi ben assestati sulle
mie mani troppo scarne, non voglio che l'unica cosa in grado
di farmi svuotare la testa sia questa pioggia rossa di dolore e sensi
di colpa, non voglio che la mia esistenza si riduca a una vita piatta,
priva di gioia, stimoli e amore, non voglio che l'apatia mi spinga a
dimenticare lui e il suo splendore, non voglio smettere di amarlo e
amare la sua esistenza, non voglio che nulla cambi. Lo amo e amo
amarlo, anche se farlo mi sta uccidendo, e non cambierei le cose per
nulla al mondo, per quanto questo potesse essere in grado di farmi
risorgere. Se amarlo vuol dire soccombere, soccomberò; a
costo di portarmi queste forbici nella tomba.
Una voce metallica preregistrata ci annuncia che questa è la
fermata del nostro hotel, i ragazzi scendono e io seguo docilmente il
loro esempio, senza alzare lo sguardo per controllare che non ci sia
gente attorno a me: tanto lo so che sono sempre l'ultimo a uscire
quando siamo in un posto affollato e che quando le persone mi vedono in
genere si fanno da parte perché le mie occhiaie fanno paura,
non c'è bisogno che abbassi la guardia e li guardi in faccia
per ottenerne un'ulteriore conferma. Quando mi avvicino le persone
smettono di parlare e l'atmosfera si raffredda istantaneamente,
qualcosa vorrà pur significare, no? Ormai non ci faccio
neanche più tanto caso, è una cosa che mi tocca
unicamente quando sono solo per davvero e la mia testa mi costringe a
rifletterci su seriamente; altrimenti proseguirei a testa bassa e mi
lascerei
scorrere
tranquillamente la cosa addosso, come se riguardasse qualcun altro. E
se non fosse per quest'alone di tristezza che mi segue ovunque vada
potrei anche fingere che sia così, che io non sia mai stato
rifiutato, che il gruppo stia andando alla grande, che la mia vita
proceda a gonfie vele e che tutto sia assolutamente perfetto in ogni
minimo dettaglio; perché in fondo ingannando me stesso non
ferisco nessun altro. Comunque quando provo a scendere non ci riesco. I
ragazzi mi si parano davanti e m'impediscono di mettere piede a terra,
così rimango lì un po' stranito in cerca di
un'idea sul da farsi. Cerco di scendere un'altra volta e un'altra volta
mi spingono indietro, con Rian che dice 'no, tu no', così
aggrotto le sopracciglia, scrollo le spalle quasi impercettibilmente e
torno sui miei passi, lasciandogli questa piccola vittoria.
Strascicando in piedi però incontro un altro paio di scarpe,
che mi allarmano e mi costringono ad alzare lo sguardo, la prima volta
dopo quasi tre settimane. Alex. Mi sta guardando con un'aria a
metà tra la preoccupazione, il distacco e la decisione, e si
vede da lontano un miglio che preferirebbe essere altrove piuttosto che
qui, in questo momento, in preda alla confusione e a una manciata di
sentimenti in feroce contrasto tra loro, faccia a faccia col suo - ex?
- migliore amico. Aggancia il mio sguardo per una decina di secondi e
sento le mie budella accartocciarsi e allungarsi come non facevano da
tempo, sotto la presa dei suoi occhi magnetici, e non riesco a far
altro se non cercare di respirare, disperatamente, mentre perdo il
controllo dei miei muscoli. Pochi istanti dopo lui è davanti
a me in tutta la sua certosina perfezione, confronta le nostre due
altezze e scruta amaramente i miei zigomi improvvisamente sporgenti,
scuote mestamente la testa e sospira. M'irrigidisco, serro le labbra e
lo osservo con la coda tra le gambe, mentre chiude gli occhi, stringe i
denti e deglutisce, per poi tornare a guardarmi con un muto rimprovero
nascosto dietro le iridi. Si muove per la prima volta da quelli che mi
paiono secoli, mi mette una mano sulla spalla e punta le sue pupille
scure sulle mie, fregandosene altamente del fatto che tremo come una
foglia e assumendo un'aria distorta, lontana e vicina allo stesso
tempo, che sembra terrorizzare solo me.
–
Non hai niente da dirmi? –
domanda, le sue labbra rosee lontane solo una ventina di centimetri
dalle mie. Non riesco a sopportare il suo sguardo e abbasso gli occhi,
cercando conforto nelle mie scarpe, ma continuo a sentire la sua
decisione premermi sulle guance, bollente e dolorosa come non mai. Nel
silenzio più completo, scuoto la testa e mi seppellisco con
il pensiero, desiderando di morire all'istante. Lui rimane
lì, la mano posata sulla mia spalla, e continua ad
osservarmi senza muovere un muscolo, imperscrutabile e misterioso come
suo solito. Sento che si aspetta un mio cambiamento d'idee, ma non sono
abbastanza forte per anche solo pensare di aprire la bocca e dirgli che
lo amo ancora con tutto me stesso, così taccio, svuotato,
sperando che i miei sentimenti gli sfiorino il cuore grazie alla forza
del pensiero e non a quella delle parole. Cosa che però non
succede. Respira, tira indietro la mano, mi lancia un ultimo sguardo e
se ne va. Rimango in piedi a fissarmi le scarpe per non so quanto
tempo, poi trovo la forza di spingermi in avanti e arranco verso un
sedile sulla destra dell'autobus. Mi ci lascio cader sopra e mi stringo
le ginocchia al petto, cominciando a piangere improvvisamente, dopo
aver passato settimane pensando di non saperlo fare più; ma
la cosa non mi conforta affatto. Mi stringo le mani e mi rendo conto
che le forbici si sono di nuovo materializzate lì, senza che
me ne rendessi conto. Annaspo per un po' d'aria trattenendo un gemito
ma non si sente più niente intorno a me, né il
traffico, né Alex, né i ragazzi, e mi rendo conto
di essere solo un'altra volta, quando avrei tanto bisogno di un
abbraccio. Normalmente questo sarebbe il momento in cui Alex salta
fuori da chissà dove con in mano un frullato per stringermi
a sé e dirmi che va tutto bene, c'è lui con me e
non ho nulla da temere, ma ora Alex è lontano, e non credo
si riavvicinerà mai più. Mi pianto le forbici
nella carne e lascio che siano loro ad abbracciarmi, permettendo ai
miei sensi di assopirsi e chiudersi a riccio, e tutto diventa nero, di
nuovo; come ogni notte da tre settimane a questa parte, come ogni
minuto da tre settimane a questa parte, come in ogni incubo da tre
settimane a questa parte.
Walked upon the edge of no
escape and laughed, 'I've lost control'
He's lost
control, again.
Angolo dell'autrice:
Finale di merda improvviso e senza una vera fine? Sì. Ma
essendo un sogno, ed essendomi alla fine suicidata, penso che sia
meglio lasciarlo in sospeso così, con la speranza che Alex
cambi idea su Jack e torni ad essere il suo amicone come ai vecchi
tempi e senza tirare troppo la corda. Terribilmente deprimente e
ridondante, senza una lezione da imparare o una promessa di un futuro
migliore? Assolutamente sì, ma la scusa del sogno mi para il
culo un'altra volta. Non lo so, viverla in prima persona mi ha messo
addosso una devastazione immensa e sono quattro notti che non riesco a
non sognare le fini più terrificanti per questa storia, con
conseguenti stordimenti per tutta la durata delle relative giornate, ma
mi rendo conto che leggerla o non leggerla, a voi non cambia molto. Se
devo essere sincera, ne sono felice. Sentire sulla propria pelle
l'intensità dell'amore di Jack e il dolore del successivo
abbandono è stata una cosa orribile che non riesco a
togliermi dalla testa, spero che non la sentiate mai e che vi
dimentichiate presto di questa storia. Fine di merda, lo so, ma mi
sentivo troppo uno schifo a farlo morire e farli mettere assieme
è troppo assurdo anche solo da pensare, quindi boh,
sì, insomma, avete buttato una parte delle vostre vite a
farvi inquietare senza trovare neanche una fine adeguata, condivido il
vostro infinito amore nei miei confronti. Tra l'altro 'She's lost
control' non mi piace neanche così tanto, ma mi è
venuto d'impulso d'inserirla, quindi vi appoggio se pensate che
un'altra canzone ci sarebbe stata meglio e che c'ho pensato poco su.
Verissimo, è stata questione di pochi secondi. Che dire,
grazie di essere passati e niente, alla prossima. Ciao (:
'Ho
fatto un sogno orribile
Io ero Jack ed ero innamorato perso di Alex
E dopo tutto quello che succedeva sul palco pensavo che un po' mi
ricambiasse
E dovevamo tipo passare da una libreria per tornare a casa
E lui diceva qualcosa scherzando, del tipo 'non piaccio a nessuno' o
giù di lì
E io gli passavo un libro che sulla copertina diceva 'a me molto'
E lui mi guardava con occhi sgranati e io capivo che non provava la
stessa cosa e abbassavo lo sguardo
Poi procedevamo in silenzio e io guardavo sempre in basso
Arrivavamo all'hotel e mi sedevo su un pilastro di marmo che si trovava
davanti all'entrata
Lui
si sedeva sulle scalette e io tiravo fuori delle forbici e cominciavo a
farmi dei graffi sui palmi delle mani, senza mai alzare lo sguardo
E dopo un po' cominciavo a sanguinare di brutto, però lui
non diceva niente e neanche io
Alla fine lui entrava e io rimanevo lì e nascondevo le mani
Arrivava Filippo e mi faceva 'oi tutto a posto?'
E io 'uh-huh'
Lui annuiva e se ne andava
E poi c'erano tutti spezzoni di scene in cui c'era Alex e io non avevo
il coraggio di alzare lo sguardo
Però avevo queste forbicette sempre con me e qualche volta
le tiravo fuori, ma nessuno a parte me le notava
E mi graffiavo
Non volevo tagliarmi, volevo graffiarmi e sentire qualcosa
Ma non ci riuscivo
E Alex non mi cagava di striscio, e io stavo male
Poi un giorno stavamo in pullman tutti insieme e i nostri amici
scendevano
Io facevo per scendere ma mi rispingevano dentro e dicevano
'No, tu no'
E io non capivo però non facevo nulla e tornavo dentro
E dentro c'era Alex
Io lo guardavo per qualche secondo e abbassavo lo sguardo e lui si
avvicinava
Mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva 'non hai niente da dirmi?'
Io non alzavo gli occhi e scuotevo la testa
Lui
però non se ne andava e io mi sentivo sempre peggio,
però non volevo
togliergli la mano perché era tanto che non mi stava
così vicino
Allora rimanevamo lì per un po'
Poi lui smetteva di guardarmi e scendeva dall'autobus
E io rimanevo in piedi
Mi sedevo e tiravo fuori le forbici
Mi portavo i ginocchi all'altezza del petto e cominciavo a graffiarmi
Poi è cominciato a uscire il sangue ma io non sentivo nulla
Credevo che Alex mi detestasse perché mi piaceva e mi
detestavo per aver pensato di essere ricambiato
Allora continuavo e continuavo
L'autobus non ripartiva ma da fuori non si sentiva nulla
E io continuavo
Ed ero...
Non lo so
Sollevato
Continuavo e continuavo
E l'autobus non ripartiva
E vedevo Alex dappertutto
E tutto era nero
E tutto era perso.'
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