Si erano incontrati ad
una festa, Marta e Damiano.
Lei era seduta in
veranda, stretta nel suo golf grigio perla, i lunghi capelli biondi
sciolti sulle spalle.
Aveva sentito la porta
aprirsi e sussultando si era voltata.
«La festa
non è di tuo gradimento?» le aveva chiesto un
ragazzo alto, moro, con un bicchiere di birra in mano.
«Ci
conosciamo?» Marta era rimasta sulla difensiva, non le
piaceva troppo parlare con gli estranei.
«Mi chiamo
Damiano, e tu sei… »
Aveva un sorriso
davvero bello e contagioso, quel Damiano.
«Marta, mi
chiamo Marta» si era trovata a rispondere, abbandonando
quella sensazione di diffidenza che aveva provato all’inizio.
«Non sono un
amante delle feste nemmeno io, se può
interessarti» le aveva detto, sedendosi accanto a lei.
«Preferirei
starmene in tranquillità a leggermi, che ne so, un libro di
Fitzgerald, come ogni anormale ragazzo asociale reietto della
società come me dovrebbe fare» aveva continuato.
Era stato in quel
preciso momento che Marta aveva capito che Damiano l’avrebbe
totalmente, incondizionatamente, irrimediabilmente fregata.
Era successo poi, che dopo quella sera Marta e Damiano si fossero
rivisti, guarda caso, proprio ad un’altra noiosissima festa.
Marta si chiedeva ancora perché continuava a frequentare
luoghi e persone che sopportava a malapena.
Stavolta era stata lei ad intercettare il suo sguardo, mentre Damiano
stava parlando con alcuni amici dall’altra parte della
stanza. Si era sentita arrossire e si era messa insistentemente a
fissare il pavimento, un sorrisetto forzato ben dipinto sul volto.
Damiano si era alzato e l’aveva raggiunta proprio nel momento
in cui le due ragazze che stavano parlando con Marta si erano
allontanate per andare in bagno.
«A quanto pare continuiamo a venire a feste delle quali non
ci importa nulla» aveva esordito.
«Sai com’è, non ho più nulla
da leggere a casa e le librerie erano giù chiuse quando sono
uscita dal lavoro» gli aveva risposto sorridendo, senza
guardarlo apertamente, o avrebbe di sicuro preso fuoco, dannata
timidezza.
«Ne conosco una che è di sicuro ancora
aperta» le aveva proposto lui.
«Aperta? Ma è quasi l’una del
mattino!»
«Vuoi scommettere?»
«E scommettiamo, tanto vinco io.»
Con totale disappunto del suo ego, Marta aveva perso la scommessa che
era tanto sicura di avere in pugno.
Damiano l’aveva condotta in una stradina laterale nel cuore
pulsante di Torino dove Marta non era mai stata.
Proprio in quel vicolo, tra un negozio di fiori e un piccolo Hotel
dall’insegna corrosa dal tempo, c’era un grande
portone in legno, con un elegante intarsio traslucido.
«Come un romanzo… A me sembra
tutto chiuso. Che posto è?» aveva domandato Marta,
vinta dalla curiosità.
«È la libreria di cui ti parlavo…
è di mio padre, ma io ho le chiavi» le aveva
risposto Damiano, strizzandole l’occhio.
Avevano passato gran parte della nottata e della mattinata seguente a
vagare nei meandri dei secoli di letteratura contenuta in quel posto.
Marta lo aveva trovato magnifico, ricco di scaffali colmi di libri
ormai quasi introvabili.
Volumi di ogni specie e di ogni autore immaginabile sembravano
osservarla mentre camminava in quel dedalo di carta e inchiostro,
scorrendo con l’indice ogni tomo, dal più nuovo al
più polveroso.
Improvvisamente l’aveva visto, tra una vecchia copia di
Pinocchio e un saggio di un filosofo che le era sconosciuto.
Orgoglio e Pregiudizio, il suo libro preferito, in
un’edizione pressoché estinta, completamente
rilegato in pelle. Un’edizione che aveva cercato per anni,
senza mai riuscire a trovarla.
«Non posso crederci, non posso davvero crederci»
aveva detto in un soffio, prendendolo in mano.
«Prendilo, è tuo se vuoi» le aveva detto
Damiano, apparso improvvisamente proprio accanto a lei.
Fino a quel momento, la serata che aveva preferito in assoluto era
stata quella in cui aveva conosciuto Damiano, ma quando si era voltata,
Marta aveva capito che quella che stava vivendo si stava rivelando la
nottata più bella della sua vita.
Era seguita poi una sana colazione al bar, con tanto di cappuccino e
croissant al cioccolato per Marta e due brioche alla crema per Damiano.
Seduti a quel piccolo tavolino rotondo, i clienti più
mattinieri che il locale ricordasse da anni, i due ragazzi non avevano
smesso di parlare nemmeno per un minuto, trovando sempre un nuovo
argomento su cui esprimere le loro opinioni.
Damiano era solare e allegro, e Marta si era ritrovata a ridere in un
modo così naturale e spontaneo che lei stessa stentava a
credere fosse possibile. E non riusciva a smettere di pensare che
sì, tutto quello stava succedendo proprio a lei.
Damiano, dal canto suo, non aveva smesso un secondo di guardarla,
rapito da quella singolare luce che Marta aveva negli occhi. Una luce
che non aveva mai visto, di una persona che in passato aveva sofferto
tanto ma che viveva proiettata nel futuro, e che dalla vita si meritava
davvero di più di quattro stupide amiche e ore solitarie
passate rintanata in casa.
I capelli di Marta, pensava Damiano, avrebbero dovuto catturare la luce
del sole ogni volta che fosse stato possibile.
Marta meritava di correre a perdifiato in un prato dall’erba
alta senza voltarsi mai indietro, di vedere nuove città,
andare a milioni di concerti, godersi la vita girando in bicicletta e
sentendo il vento fresco accarezzarle il viso.
E proprio quella mattina al bar, Damiano decise di farsi un promessa.
Si sarebbe preso lui cura di Marta, ora e sempre.
~un anno dopo
Nel tempo che è
trascorso da quel giorno, Damiano non ha mai tradito la promessa che si
era fatto al bar, quella mattina.
Non
c’è nulla al mondo che ami quanto stare accanto a
Marta, e sa che per lei è la stessa cosa.
Damiano le
è stato vicino sempre, anche quando lei rifiutava con
testardaggine il suo aiuto.
C’era quando
Marta non sapeva ancora cosa volesse dalla vita, c’era ogni
volta in cui lei lo chiamava in lacrime perché aveva bisogno
di un amico con cui parlare, perché niente stava girando nel
verso giusto.
Erano stati mesi
difficili, intervallati da giornate speciali.
Come quella volta in
cui Damiano le aveva proposto di lavorare nella libreria del padre, e
Marta aveva accettato felice, perché per un volta aveva
sentito di appartenere a qualcosa, a qualcuno.
Damiano
l’aveva sopportata e sostenuta quando nessun altro al mondo
l’avrebbe fatto. Si era preso i suoi insulti e i suoi
silenzi, ma non in modo passivo e remissivo. Aveva lottato e combattuto
per tirare fuori la vera Marta, quella che era nascosta a tutti ma che
lui aveva intravisto da subito, quella sera in veranda.
Era stata dura, era
stato difficile.
Marta non aveva voluto
ammettere per troppo tempo che quello che provava per Damiano era
qualcosa di più di una semplice amicizia. Aveva negato,
aveva protestato e infine si era arresa, perché aveva capito
che amare Damiano sì, le faceva paura, ma era anche la cosa
più bella che le fosse mai capitata.
C’erano
stati litigi e incomprensioni, momenti bui e altri splendenti come il
sole.
Damiano
l’aveva trascinata a concerti a cui Marta non avrebbe mai
pensato nemmeno di andare, l’aveva portata a vedere Firenze
per la prima volta. Avevano noleggiato delle biciclette e avevano
trascorso uno dei week-end più belli che entrambi
ricordassero.
Infine Damiano non
aveva più retto, ed era crollato. Le aveva detto che
l’amava e che non c’era cosa che desiderasse di
più al mondo che stare con lei. Marta era rimasta di sasso,
senza parole, spaventata dalla piega che gli eventi stavano prendendo.
Damiano non le aveva
chiesto di essere amato come lui amava lei, le aveva semplicemente
detto che tenersi dentro ancora per molto quello che provava lo stava
uccidendo, e aveva deciso di liberarsene.
Le aveva chiesto se le
cose tra loro avrebbero potuto continuare nella solita, vecchia
maniera, e Marta aveva annuito impercettibilmente, persa in pensieri
che Damiano non aveva faticato a immaginare.
E alla fine, quando
Damiano le aveva fatto la sorpresa più grande di tutte,
Marta era riuscita a dirgli che lo amava anche lei, e da morire.
Damiano si era
presentato una mattina sotto casa di Marta, chiedendole di mettere in
un borsone lo stretto necessario per un week-end, l’avrebbe
portata di nuovo a Firenze, a vedere gli Uffizi.
Lei non se
l’era fatto ripetere due volte, e con lo spirito da
avventuriera che lui le aveva insegnato ad amare, aveva preparato tutto
in fretta e furia, così da essere pronta a partire subito.
Ma Damiano non
l’aveva portata in stazione.
La sua auto rossa si
era fermata nel parcheggio dell’aeroporto, con grande
sorpresa di Marta, che, ormai in totale balia di Damiano, si era
lasciata trasportare assieme al suo borsone esattamente davanti allo
sportello del check-in.
«Andiamo a
Parigi, pronta a partire?» le aveva chiesto lui,
semplicemente, guardandola negli occhi.
Era stato esattamente
in quel momento che le difese di Marta erano crollate, mandando in
frantumi le mura che aveva eretto attorno al cuore per non farsi
più ferire. Ma ormai sapeva bene che Damiano non
l’avrebbe mai fatto.
Aveva annuito, gli
occhi pieni di lacrime e il cuore gonfio d’amore.
«Con te
ovunque, ti amo tanto.»
«Anche io, Marta, anche io.»
Cat's
notes:
Il titolo della storia è preso da una frase del testo di
"Paradise" dei meravigliosi Coldplay.
Il nome della libreria del padre di Damiano, "Come un romanzo"
è il titolo di un libro scritto da quel genio di Daniel
Pennac.
Un ringraziamento speciale alla mia stupenderrima sorella Frida,
lei sa perchè.
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