Note:
Un'altra raccolta? Sì, un'altra raccolta.
Premetto
che sarà un po' diversa dalla precedente, vorrei provare
qualcosa di
diverso. Qui ho voluto fare un esperimento di scrittura in prima
persona tramite l'uso di un netbook (devo ammettere che ancora non mi
convince appieno, ma a voi l'ultima parola). L'idea per questa storia
mi è venuta proprio mentre cercavo di scrivere qualcosa
durante un
viaggio in treno, trovo che l'atmosfera a bordo sia molto stimolante!
#1:
Il Treno
I
limiti della mediazione interculturale nella
Ore
18.17
Sono
sul treno.
Il
vagone è quasi vuoto. Nessuno prende mai questo treno a
quest'ora.
L'aria
condizionata è rotta e si muore di caldo. Dai finestrini
entra
un'aria che sa di fieno ed escrementi di cavallo.
Ed
io, sfortunatamente, devo scendere all'ultima fermata. Ne
avrò
ancora per un po'.
Dovrei
iniziare a scrivere la tesi ma non ne ho assolutamente voglia.
La
verità è che mi piace cazzeggiare prendendo nota
delle cose che mi
succedono intorno.
Se
dovessi morire in uno dei tragitti dall'università a casa
lascerei
ai posteri un resoconto dettagliato della pallosissima vita di una
studentessa universitaria. Diciamo che gli ultimi cinque anni della
mia vita si potrebbero tranquillamente riassumere in poco
più di un
gigabyte di spazio.
Due
file di posti più in là, alla mia sinistra,
c'è una bambina che
canta a squarciagola una canzoncina dalle parole incomprensibili, e
la madre sembra divertita. Vorrei ucciderle entrambe.
Plin
plon
Il
treno si ferma. Un altro paesino di cui l'annunciatore automatico non
fa nemmeno il nome. Probabilmente non esiste nemmeno sulle cartine
geografiche.
“Non
possiamo permetterci l'affitto di un appartamento vicino
all'università.” Mi tornano in mente le
ultime parole di mia
madre.
Certo,
se tu non spendessi tutto lo stipendio di papà in scarpe
costose
mentre lui spende l'altra metà in sigarette ce lo potremmo
permettere eccome.
Ma
non siete mica voi che dovete farvi quattro ore di treno cinque volte
a settimana per stare a sentire dei vecchi decrepiti che non sanno
nemmeno di trovarsi al mondo.
Scrivere
mi fa venire sonno.
E'
salito un uomo all'ultima stazione. Sulla cinquantina, giacca color
cacarella, un borsalino in testa da cui sgorgano discese di
goccioline di sudore lungo le tempie.
Mi
chiedo perché non se lo levi. Probabilmente gli si
sarà incollato
in testa, con questo caldo.
Si
avvicina nella mia direzione.
Prego
silenziosamente che non occupi uno dei sedili accanto a me.
“Mi
scusi, signorina, è libero?” Mi chiede.
Ecco.
E' finita.
La
mia buona educazione mi obbliga ad assecondare la sua richiesta.
Faccio
cenno di sì col capo.
E
lui sprofonda nel sedile di fronte a me, abbandonando su quello
affianco una ventiquattr'ore dello stesso colore del completo.
Mi
chiedo cosa potrebbe contenere. Probabilmente qualche scartoffia.
La
mia posizione mi consente di continuare a scrivere senza essere
osservata.
“Come
ti chiami?”
Charlotte.
Mi
chiamo Charlotte. Per gli amici Charlie, ma non vedo a lui come possa
interessare.
“Un
bel nome. Scommetto che gli amici ti chiamano Charlie.”
Mi
prende un groppo alla gola. E' come se mi avesse letto nel pensiero.
“Mi
sai dire che ora è, Charlotte?” Mi chiede,
accortosi del mio
evidente disagio.
Guardo
l'angolo in basso a destra dello schermo.
“Le
18.35.”
Fissa
una ciocca rossa che mi scivola lungo la spalla come se me la volesse
tagliare per annusarla.
Dio,
che ansia.
Quest'uomo
mi fa venire la pelle d'oca.
“Cosa
scrivi con tanto fervore?”
Cosa
dovrei rispondere? Sto scrivendo di quanto tu sia inquietante?
“Un
racconto.”
Non
so come mi sia uscito. Avrei dovuto dirgli che sto scrivendo un
articolo sui molestatori nei mezzi di trasporto pubblici,
così
magari mi avrebbe lasciata in pace.
“Oh,
davvero molto interessante. Di che parla?”
Che
cazzo te ne frega?
“Non
lo posso dire. Vorrei pubblicarlo.”
Accenna
una risata.
“Oh,
d'accordo, d'accordo! Ammiro i giovani che sanno quello che
vogliono.”
Io
vorrei solo che la smettessi di mettermi ansia.
Sembro
essermela cavata con quest'ultima risposta.
Ha
smesso di fissarmi come Jack lo Squartatore ed ora sta leggendo una
copia dell'Economist presa dalla tasca esterna della valigetta.
Posso
finalmente rilassarmi un po'.
Il
ciondolìo del treno è così
soporifero...
19.22
Credo
di essermi addormentata.
Il
sedile di fronte a me è vuoto.
Ma
eccola ancora lì, una valigetta che sembra essersi fatta un
bagno
nel fango adagiata affianco al finestrino.
Che
sia andato in bagno?
Ho
la gola secca. Prendo una bottiglietta d'aranciata dalla borsa e me
la bevo quasi tutta d'un fiato.
Il
treno ha un sobbalzo, ed io per poco non mi tingo la maglia
d'arancione.
Solo
ora mi accorgo che il vagone si sta lentamente svuotando.
Non
vorrei mai trovarmi da sola con quel mix tra Al Capone e Psycho.
Sento
un bisogno fisiologico impellente.
Penso
che andrò in bagno.
Rieccomi.
Sono
rimaste solo due persone nella mia carrozza.
Un
ragazzo biondo e lentigginoso con una borsa con su stampato il logo
Cyclones a caratteri cubitali –probabilmente la squadra di
football di una qualche università-, seduto accanto
all'ingresso, e
una signora di mezz'età con un vestito a quadri poco dietro
di me.
Faccia
da piscopatico ancora non si vede.
La
valigetta sembra essere stata aperta di recente.
19.51
Ancora
poche fermate e sarò arrivata.
Mi
alzo facendo finta di dover sistemare la valigia nel portabagagli, e
mi accorgo che anche il ragazzo non c'è più.
Sarà arrivata la sua
fermata.
Il
pensiero di quella valigetta socchiusa sul sedile di fronte mi
tormenta da quando mi sono svegliata.
Dopotutto
cosa sarà mai una sbirciatina?
-
“Cercavi
qualcosa?”
La
sua voce pungente mi spara un colpo dritto allo stomaco cogliendomi
con le mani sul freddo cuoio della ventiquattr'ore.
“Io..
mi sono sporta troppo per mettere una cosa in valigia, poi il treno
ha curvato e ho perso l'equilibrio.”
Plin
plon
La
curiosità uccise il gatto, dicono.
L'uomo
mi sorride, prende la sua valigetta e se ne va.
Tiro
un sospiro di sollievo e sprofondo sul sedile, mentre con il cuore
che batte ancora al doppio del normale lo guardo allontanarsi.
Il
treno si ferma, le porte si aprono.
Poi
riparte, e mi affaccio istintivamente al finestrino.
Il
ragazzo non c'è.
La
stazione è vuota, immersa nell'ombra.
20.05
Sembra
tutto tranquillo dopo lo spiacevole inconveniente di poco fa.
Forse
troppo tranquillo.
Sono
rimasta sola nel vagone.
Ho
fatto due passi per controllare la carrozza anteriore e posteriore
alla mia. Nessuno.
Tiro
fuori il cellulare dalla tasca... Scarico.
Non
mi resta che aspettare.
Che
sete assurda.
Mi
scolo la seconda bottiglia d’aranciata. In questi viaggi ne
porto
sempre con me un paio.
Lo
ammetto, sono una maniaca dell’aranciata.
Devo
andare di nuovo alla toilette.
Non
avrei dovuto bere tutta quell'aranciata.
Stavolta
porto il netbook con me.
Mi
sono chiusa dentro.
C'è
una scia di sangue sotto la porta che non avevo notato quando sono
entrata.
Un
tremendo odore di rancido mi penetra le narici come una vite
arrugginita.
Qualcuno
non avrà scaricato bene, lo scarico è leggermente
aperto.
Premo
il pulsante dello sciacquone.
E-
C’è
una cazzo di mano incastrata là dentro.
Due dita sporgono dal
buco come se si stessero aggrappando per non cadere giù,
sulle
rotaie.
Tossisco
nel fazzoletto che ho in mano. Mi viene da vomitare.
Senza
pensarci su apro il cassetto dell'immondizia per buttarcelo dentro,
quando vedo un ciuffo di capelli aggrovigliati in del sangue rappreso
sporgere attraverso le salviettine di carta.
Dio.
Credo
abbia fatto a pezzi gli altri passeggeri.
In
quella valigetta c'erano dei fottuti attrezzi da macellaio, ne sono
più che certa.
Ma
che sto dicendo?
Beh,
il fatto che qualcuno si sia tagliato una mano mentre era al cesso e
l’abbia gettata di proposito giù per il water per
sbarazzarsene è
oggettivamente poco plausibile.
Sto
iniziando a farmi prendere dal panico.
Respira,
Charlotte, respira.
Ok.
Sono
chiusa nel bagno di un treno e non ho niente con cui difendermi.
Mi
viene da chiedermi se mischiando un’aspirina e un
po’ d’aranciata
non avessi potuto creare un potente esplosivo, un po’ come
con coca
cola e mentos.
Potrei
beneficiare dell’effetto sorpresa.
Già
mi immagino i titoli dei giornali: “Ventunenne scassa il
cranio di
un macellaio psicopatico con il suo netbook nella toilette di un
treno”.
Ti
prego, fammi scendere, la prossima fermata è la mia.
Solo
qualche altro minuto e poi potrò scapparmene da qui a gambe
levate e
raccontare tutto alla polizia.
Potrei
anche prenderlo come spunto per la tesi.
Solo
qualche altro minuto..
Sento
dei passi.
Merda.
Merda,
merda, merda.
Il
lucchetto gira su verde.
Pregate
per m
Delete
all text-
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