Ecco una nuova storia a capitoli,
di genere ancora una
volta guerresco! (lo so, sta diventando una fissazione, ma non dipende
da me,
leggere testi sulla storia della Cina ha effetti deleteri sulla mia
psiche!)
Non ci sono particolari premesse, a parte il fatto che è
ambientata una decina
di anni dopo l’inizio delle vicende di Slayers, e quindi Lina
ha circa
venticinque anni (mi sono sempre interrogata
sull’età di Gourry, quindi non mi
esprimo a riguardo…) Lina e Gourry sono sposati da circa
quattro anni. Gli
avvenimenti salienti antecedenti alla
vicenda sono contenuti nella mia altra fic,
“Gourry”, ma non è strettamente
necessario leggerla per comprendere la storia. Come sempre,
sarò felice di
ricevere commenti o critiche di qualsiasi tipo. Buona lettura! ^^
Il cielo invernale incombeva cupo su
Sailarg. Nuvole basse e
grigie, foriere di tempesta, coloravano di una tonalità
cenere le colline
spoglie e le rovine della metropoli, un tempo fiorente crocevia dei
traffici
che attraversavano le desolate steppe di Elmekia. La città,
ora, sembrava poco
più di un villaggio di contadini. I viaggiatori si
accalcavano in locande
ricavate da edifici malmessi e trattavano spasmodicamente i costi di
finiture
per cavalli, cibo e vino con mercanti resi avidi dal ricordo
dell’antica
ricchezza. La tappa in quello scenario spettrale era necessaria, per
chi si
accingeva ad affrontare miglia e miglia di terra spoglia e desertica, e
forse
solo questo aveva accelerato la ricostruzione di un luogo il cui nome a
molti
suonava ormai maledetto. Le mura erano di nuovo in piedi ed offrivano
un
inutile baluardo a case povere e provvisorie, a palazzi signorili
sventrati
dalle fiamme, ad un tempio che ben poco aveva dell’antico
splendore. Un’ampia
distesa di terra umida e nuda si apriva là dove un tempo si
era trovato
l’albero sacro, ricordandomi come quella città
fosse stata protagonista per ben
due volte di eventi che avevano segnato tanto essa quanto la mia
esistenza.
Distolsi lo sguardo dalla finestra,
con un sospiro. Se quel
paesaggio era deprimente, non si poteva dire che l’interno
della stanza
risollevasse l’animo. Un letto che somigliava più
ad un pagliericcio, un tavolo
spoglio con una sedia, un camino annerito e ricoperto di polvere. Dando
fondo
ad ogni nostra risorsa, non eravamo riusciti a trovare di meglio. Avevo
vissuto
anche in condizioni peggiori, ma mai ad un prezzo così caro,
e da due giorni a
quella parte il mio spirito da mercante fremeva. Questo, quando non
consideravo
le condizioni dei bagni. Perché allora era il mio istinto di
maga distruttrice
che rischiava di prendere il sopravvento…
Abbassai lo sguardo, ed emisi un
grugnito stizzito. C’era qualcuno
che non appariva minimamente turbato dalle condizioni misere della
stanza.
Qualcuno che in quel momento russava felice, difeso da una semplice
coperta dal
freddo pavimento di pietra. Con una espressione talmente appagata che
mentre lo
osservavo la mia stessa irritazione diveniva irritante.
E non ditemi che non è
legittimo, ogni tanto, trovare
fastidiosa la serenità altrui.
Mi avvicinai e con la punta dello
stivale gli pungolai il
fianco.
“Mmph…
Lina…” Lo sventurato mugugnò qualche
parola
sconnessa, e non ebbe bisogno di aprire gli occhi per riconoscere chi
lo
tormentasse.
“Hai intenzione di poltrire
sul pavimento per tutto il
giorno?” Incrociai le braccia al petto, incombendo su di lui.
Gourry aprì un
occhio e mi fissò dal basso in alto, infastidito dalla luce
che penetrava dalla
finestra.
“Ma
Lina…” Mugugnò. “Non posso
dormire su quel letto. E’
infestato da quelle bestie disgustose.”
Mi piegai sulle ginocchia,
squadrandolo storto. “Non è
questo che intendevo. Tu e la tua fisima per gli insetti.”
Gourry levò un
sopracciglio, al di sopra dello sguardo
assonnato. “Non credo che la signora
‘c’è una lumaca nella vasca’
possa
permettersi di protestare per la mia avversione alle
cimici…”
Il ricordo della terrificante
esperienza che avevo vissuto
in bagno non migliorò il mio umore. “Vuoi che ti
riservi lo stesso trattamento
che ha ricevuto il locandiere per avermi presa in giro,
Gourry?”
Lo spadaccino, a dispetto di tutto,
sorrise. Si levò a
sedere, e cercò la mia mano con le dita. “Direi di
no.” Mi baciò la punta del
naso. “Mi illudevo che come tuo marito avrei ricevuto un
trattamento
preferenziale, una volta tanto.”
Non mi piegai alle lusinghe, e lo
guardai storto. “Il
trattamento preferenziale bisogna guadagnarselo.”
Gourry si limitò a
ridacchiare, e ad abbracciarmi. Io
sospirai, vinta, e gli accarezzai i capelli con la mano. “Ci
manca solo che la
temperatura si abbassi ancora, e cominci a nevicare.”
Mormorai, dopo qualche
istante di silenzio, tornando a scrutare all’esterno.
“Vorrei sapere che fine
ha fatto Sylphiel. Ammetto che quella ragazza è un
po’ strana, a volte, ma non
è da lei farci arrivare fin qui per poi non presentarsi
affatto. C’è mancato
poco che ci facessimo arrestare, per colpa sua.”
“Veramente è
stata colpa di qualcuno che si è messo a
minacciare le guardie…” Obiettò Gourry,
ridacchiando. “E il fatto che tu dica
che Sylphiel è quella strana è un tantino
paradossale…”
“Ci aveva detto di cercarla
al tempio!” Sbottai,
allontanandolo bruscamente. “Per quanto sapevamo avrebbero
anche potuto tenerla
in ostaggio!”
Gourry scosse la testa, divertito.
“Tenerla in ostaggio? I
sacerdoti di Sailarg?”
“Non fingerti
improvvisamente una persona ragionevole…”
Intimai, in tono minaccioso.
Gourry rise, e si fece schermo con le
mani. “Ok, ok. Quindi,
cosa proponi di fare…?”
Mi strinsi nelle spalle.
“Possiamo aspettare, per qualche
giorno. Non abbiamo molto da fare, in fondo. Forse Sylphiel si trovava
a
Sailune dai suoi parenti e deve ancora raggiungere la
città.” Gourry tornò a
sdraiarsi, trascinandomi con sé nel movimento, e
accarezzandomi senza preciso
scopo la schiena. “Chi lo sa. La sua lettera era strana, di
sicuro. E poi erano
mesi che non ci giungevano sue notizie…”
Gourry san, Lina san,
spero che questo messaggio possa arrivarvi, ovunque
vi troviate. Ho bisogno di parlarvi di
una questione urgente. Vi chiedo di incontrarci al termine del decimo
mese, a
Sailarg. Chiedete di me al tempio.
Queste poche righe ci erano state
recapitate misteriosamente
un mese prima, in una locanda di uno sperduto paesino nel nord del
continente.
Gourry ed io ci stavamo muovendo per conto della Gilda di Zephilia, una
storia
di testi trafugati da una celebre biblioteca di un regno del nord, su
cui più o
meno legittimamente i maghi di Zephilia avevano messo gli occhi. La
questione
era inevitabilmente passata in secondo piano, però, di
fronte a quella lettera
sbrigativa, senza una firma, senza una espressione di affetto. Gourry
sama era
già da tempo diventato Gourry san, per Sylphiel…
almeno da quando le avevamo
annunciato il nostro matrimonio. Ma, da quando avevamo cominciato a
tornare a
Zephilia più di frequente, la sacerdotessa ci aveva spesso
scritto, lettere
lunghe e cordiali, in cui ci raccontava della sua vita nella nuova
Sailarg e
del suo impegno per rimettere in piedi una città ridotta ad
un’ombra spettrale
del passato. Quella era la prima volta che una lettera ci giungeva
mentre eravamo
lontani da casa, ed era la prima volta che le parole della nostra
giovane amica
suonavano tanto sbrigative. La grafia era nota, con quelle sue lettere
morbide
e allungate, ma nient’altro di familiare colorava quelle
righe. All’inizio
avevo esitato di fronte ad una richiesta così improvvisa, ma
sapevo di dovere
molto a Sylphiel. La sua amicizia nei miei confronti non era scontata,
per più
di una ragione. In più, Gourry non aveva avuto dubbi sulla
necessità di andare,
ed io non avevo intenzione di lasciarlo partire da solo. Se
c’era una persona
che non avrei mai abbandonato al suo destino, quello era lo spadaccino.
E
quella stessa visione di desolazione che era Sailarg non faceva che
rammentarmene il motivo.
“Ciò che mi
convince meno in questa faccenda è che al tempio
non sapessero nulla del nostro arrivo.” Mi levai nuovamente a
sedere,
scostandomi gentilmente dall’abbraccio di mio marito.
“Se Sylphiel aveva
intenzione di incontrarci laggiù, è strano che
non abbia fatto recapitare anche
ai sacerdoti un messaggio, nel caso avesse tardato.” Scrutai
fuori dalla
finestra, in cerca di una risposta nascosta fra le basse nuvole.
Anche Gourry si sollevò.
“Stai dicendo che qualcosa potrebbe
averglielo impedito…?”
“Sto dicendo che non mi
piace.” Mi alzai, e tornai alla
finestra, le dita appoggiate ai vetri. Quasi simultaneamente, grosse
gocce di
pioggia presero a picchettare sulla sottile lamina. In lontananza, una
saetta
illuminò il cielo plumbeo, accompagnata dal cupo rombo di un
tuono.
Gourry si avvicinò alle
mie spalle, e mi cinse con le
braccia. “Odio le tue premonizioni.”
Sussurrò, in tono leggero. “Il più
delle
volte sono azzeccate.”
Sorrisi, a dispetto della sottile
ansia che quei discorsi
avevano risvegliato in me. La mia mano raggiunse il suo braccio, e lo
strinse
lievemente. “E questo non ci rassicura granché
sulla attuale situazione, eh?”
Mio marito non rispose. Ma da anni,
per noi, il silenzio era
eloquente quanto le parole.
Sospirai, rassegnata.
Cominciavo ad odiare la
città di Sailarg.
***
Dolore. Luce accecante. Vestiti
gelidi, appiccicati alla
pelle. Le dita strette su una poltiglia fredda e dall’odore
nauseante. In bocca
il sapore del sangue.
Dolore.
Dolore.
Dolore.
“Gourry!”
“Correte, è
ancora vivo!”
“Sir Gabriev, vostro figlio
è…”
“Un sacerdote! Mandate a
chiamare un sacerdote!”
“Gourry, apri gli
occhi!”
“Gourry!”
“GOURRY!”
Spalancai gli occhi, sussultando a
quella voce nota. Dovetti
battere le palpebre più volte, prima di acquisire nuovamente
cognizione del
mondo che mi circondava. La luce piena del mattino inoltrato filtrava
fra le
foglie ancora umide di pioggia, ed un freddo vento sferzava le fronde,
facendole gocciolare sul mio viso. Io non sedevo più sulla roccia su cui mi ero
poggiato inizialmente, ma ero
scivolato all’indietro, verso il tronco dell’albero
che mi riparava
parzialmente dall’aria pungente, la testa reclinata in avanti
e le dita
affondate nella fanghiglia.
Lina, di fronte a me,
sospirò. “Vorrei sapere cos’hai in
questi giorni. Addormentarti in un posto del
genere…”
Battei nuovamente le palpebre, e
lanciai uno sguardo al sole
pallido. Quasi di riflesso, il mio stomaco gorgogliò.
“E’ già mezzogiorno?”
Domandai, incredulo. Mi ero seduto su quella roccia quando il sole era
sorto da
poco meno di due ore…
Mia moglie assunse
l’espressione colpevole che vestiva
quando mi trascinava in qualcuna delle nostre consuete odissee.
“Bé, immagino
di essermi lasciata un po’ prendere la mano dalla
trattativa.” Si grattò la
guancia, con una delle sue dita sottili. “Ad ogni modo, il
carovaniere ha
accettato di darci un passaggio in cambio di una delle gemme che ho
recuperato
da quei banditi. Partiamo nel primo pomeriggio, quindi sbrigati, se
vuoi
mangiare qualcosa nel frattempo.”
La fissai per un momento, cercando di
fare mente locale su
ciò di cui stava parlando. Quindi, rinunciandovi, mi levai
in piedi
barcollando, le gambe indolenzite per la lunga immobilità e
per il freddo di
quell’inverno gelido. Lina mi squadrò con fare
perplesso. “Tutto ok? Mi sembri
un po’ frastornato…”
“Ho fatto un lungo
sogno.” Replicai, in sincerità. “Ma non
ricordo bene che cosa accadesse. Ricordo solo…” Mi
fissai le mani. “… fango…”
Lina batté le palpebre e
fissò a sua volta le mie dita,
ancora coperte di melma grigia. Fece un sospiro. “Ci credo.
Guarda che hai
combinato.” Estrasse un fazzoletto da una delle tasche del
mantello, e vi
avvolse gentilmente le mie mani. Io sorrisi fra me e me. Anche un gesto
semplice come quello anni prima le sarebbe costato imbarazzo.
Godetti per qualche istante in
silenzio del movimento
leggero delle sue dita sulle mie. Quindi levai lo sguardo sul gruppo
dei
mercanti, sul ciglio della strada alle spalle di mia moglie, intenti a
caricare
pacchi sulle carovane. “Ehi, Lina… ma
dov’è che stiamo andando, esattamente?”
Mia moglie fece un sospiro, e mi
guardò con l’aria di chi
non ha nemmeno la forza di arrabbiarsi. “Non hai ascoltato
una parola di quello
che ti ho detto stamattina, vero?”
“Ehm…”
Era il momento di stare attento a ciò che
rispondevo…
Lina sospirò nuovamente,
rassegnata. “La Perla. Ricordi?”
“La…
Perla…?”
Gli occhi di Lina si strinsero.
“Risulta difficile credere
che tu abbia premuto tanto per aiutare Sylphiel, quando ora fingi in
modo così
convincente che la cosa non ti riguardi…”
Oh. Giusto. Sylphiel.
“Intendi la
città del sovrano ribelle. Potevi dirlo subito.”
Il volto di Lina assunse un
interessante colorito violaceo.
“Quindi quei carovanieri
devono portarci laggiù?”
Il violaceo mutò in rosso
acceso.
“Gourry!” Il
palmo della sua mano mi colpì direttamente fra
gli occhi. Cominciavo a chiedermi se non ci fosse un qualche segno
sulla mia
fronte che le indicasse dove mirare, per centrare sempre lo stesso
punto… “E
dove DIAVOLO dovrebbero portarci??? Ti pare che mi addentrerei nel
NULLA delle
steppe di Elmekia per il gusto di complicarci la vita???”
“Bé…”
Esitai.
Non era la risposta che mia moglie si
aspettava.
Eravamo rimasti a Sailarg per oltre
una settimana, in
paziente attesa. Le locande agibili non erano molte, e ci auguravamo
che
Sylphiel ci avrebbe in qualche modo rintracciati, appena le fosse stato
possibile raggiungere la città.
Eravamo ottimisti.
Tuttavia, quando alla nostra porta si
erano presentate le
guardie del tempio, armate fino ai denti, era sorta in me qualche
ragionevole
preoccupazione.
Non è che non abbia
fiducia in mia moglie. Solo che quando
Lina è costretta senza far nulla per giorni la sua energia
repressa tende a
sfogarsi in modi non necessariamente legali. Nel momento in cui avevo
iniziato
a chiedermi di quanto fosse, stavolta, la taglia sulla nostra testa, i
Paladini
mi avevano però stupito, limitandosi ad invitarci
formalmente al tempio. Il
Gran Sacerdote voleva scusarsi con noi per la pessima accoglienza che
ci aveva
riservato qualche giorno prima, ci era stato detto. Era ovvio che la
motivazione
non si limitava a questo, ed era altrettanto ovvio che i Paladini non
avrebbero
approfondito la questione in una locanda dalle pareti di carta velina.
Volenti
o nolenti, li avevamo seguiti. E la sorpresa era stata ancora maggiore
nello
scoprire che, nella sala del Gran Sacerdote, riflesso in una cangiante
sfera di
luce bluastra, ci attendeva il volto teso di Sylphiel.
“Lina san, Gourry
san, vi chiedo perdono per i fastidi
che vi ho causato.”
La voce della sacerdotessa era
frettolosa, priva delle
consuete note calde e riverenti. Al di là della luce
innaturale
dell’incantesimo che ci permetteva di comunicare, il suo
volto mi appariva
stranamente pallido.
“Credevo davvero di
riuscire a partire in tempo, ma una
serie di problemi mi ha bloccata a Sailune. Solo ora riesco ad
avvisarvi.
Scusatemi, scusatemi infinitamente.”
Lina ed io ci eravamo scambiati
un’occhiata perplessa.
Sylphiel aveva proseguito con fare
stanco. “Si tratta
dell’erede al trono di Elmekia e di suo fratello. Da diversi
mesi sono entrati
in conflitto.”
Ne avevo sentito parlare. Il sovrano
di Elmekia era morto
all’improvviso, qualche mese prima. E il figlio che il padre
favoriva per la
successione, il minore, aveva rivendicato, con l’appoggio
dell’entourage del
padre, un trono che le tradizioni del regno assegnavano per diritto al
fratello. Una storia comune. Ma ne era scaturita una contesa che,
nonostante il
trono da mesi vacante, non si era ancora sedata, e che con tutta
probabilità
sarebbe presto sfociata nel sangue. Del resto, è storia
vecchia. I capricci fra
fratelli litigiosi generano scompiglio in casa, ma i capricci fra reali
danno
vita alle guerre.
“E noi cosa
c’entriamo, in questo?” Lina appariva perplessa.
Io ero inquieto. Le questioni di successione al trono di Elmekia
risvegliavano
in me ricordi spiacevoli.
Lo sguardo di Sylphiel si era fissato
per un momento sul
mio, come se avesse colto i miei pensieri. La sacerdotessa, tuttavia,
aveva
proseguito in tono neutro. “Direttamente, nulla.
Purtroppo, però la corte ha
cessato da mesi di inviare a Sailarg i fondi per la ricostruzione. Il
tempio
non ha risorse, e i lavoratori sono inquieti. Gli abitanti di Sailarg
che sono
ancora in città danno una mano, ma per lo più
abbiamo dovuto assoldare dei
mercenari, che minacciano di abbandonarci. Non possiamo permettercelo,
capite?
Con una guerra civile incombente, ed una città che ha tutte
le probabilità di
non rifiorire mai, la gente prenderebbe di nuovo ad andarsene,
valicherebbe il
confine verso Sailune. Sailarg tornerebbe ad essere una
città fantasma.” Il
tono di Sylphiel ora si era fatto stanco. Potevo comprenderlo. La
ricostruzione
di Sailarg significava per lei più di quanto avrebbe mai
potuto esprimere a
parole. D’altra parte, il suo sguardo era determinato. Mi ero
reso conto già da
tempo di come gli anni la avessero fortificata, di come fosse diversa
dalla
ragazza ingenua e fragile che avevo incontrato in quella stessa
città, tanti
anni prima. E la sua fermezza, ora, non faceva che confermarmelo. “Ho
inviato vari messaggeri alla corte ma Samon, il figlio maggiore del re,
non mi
ha mai dato ascolto. Il fratello Eriol ha dalla sua la famiglia della
madre,
che ha il controllo su Talit, la città nota come la Perla di
Elmekia.
Possederla significa avere in pugno tutta la parte meridionale del
regno. Con
avversari così potenti e ricchi, l’erede legittimo
al trono è intenzionato a
concentrare ogni sua risorsa nella guerra imminente, per questo non ho
altra
scelta se non rivolgermi ad Eriol. Non ho molte speranze, ma DEVO
almeno
cercare di convincerlo prima che scoppi la guerra e la sua attenzione
si
concentri su altre priorità. Tuttavia, non posso inviare
un’ambasceria
ufficiale. Farlo significherebbe riconoscere la sua autorità
e non quella della
corte, significherebbe schierarsi, e non posso permetterlo. Sailarg non
ha
bisogno di altro sangue.”
Lina si era accigliata. “E
quindi… vuoi che ci rechiamo noi,
laggiù, e cerchiamo di convincerlo?” Sapevo
perfettamente cosa pensava mia
moglie in quel momento, e lo condividevo. Quella faccenda era fuori
dalla
nostra sfera d’azione. Un conto era lottare con i demoni, un
conto era
occuparsi di questioni diplomatiche in un regno estraneo.
Avevo ricacciato nel fondo della mia
mente la voce
strisciante che mi suggeriva che quel regno in fondo era anche casa
mia.
Sylphiel aveva scosso la testa,
l’aria contrita. “Lo so
che cosa state pensando. Che vi sto chiedendo qualcosa che non vi
compete. Ma
questa non era la mia intenzione iniziale, ve lo assicuro.” Il
suo tono di
voce si era fatto supplichevole. “Avrei voluto
essere io a partire, e ciò
che desideravo era solo la vostra protezione fino a destinazione. Il
viaggio
fino a Talit è troppo lungo e pericoloso, in tempi come
questi, e non sapevo di
chi altri fidarmi… Ma ora non posso davvero muovermi da qui,
mio zio…” Si
era bloccata. “E’ una questione troppo
lunga da spiegare ora. Lina san,
Gourry san, vi prego. Dovrete solo recapitare la mia missiva. Inviando
due
persone esterne a tutta la faccenda, in segreto, Sailarg non
risulterà
compromessa. E’ troppo vicina alla capitale, è un
bersaglio troppo facile. Vi
assicuro che sarete compensati adeguatamente. Il tempio non
può fornirvi di
grandi risorse, ora come ora, ma ero venuta a Sailune proprio per
chiedere un
aiuto ai miei parenti per il viaggio, quindi quando tornerete vi
rimborserò di
ogni cosa e vi pagherò tutto quello che vi è
dovuto. Vi PREGO.”
Lina ed io ci eravamo scambiati
un’occhiata. Lo sguardo di
mia moglie era ancora poco convinto, ma il tono disperato di Sylphiel
era già
riuscito ad ammorbidire me. Sapevo che la sacerdotessa non ci avrebbe
contattati se non in caso di assoluta necessità, e sapevo
anche che se io mi
fossi trovato nei guai lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi.
Era
accaduto, in passato.
E in fondo, si trattava solo di
recapitare un messaggio.
Avevo lanciato un’altra
occhiata a Lina, e lei aveva
sospirato. Io le avevo sorriso. Sapevo che avrebbe capito.
Molto meno propensa a comprendere,
però, mi pareva mia
moglie in quel momento, mentre mi fissava con l’aria di una
lince pronta ad
avventarsi sulla preda. La fronte mi doleva, là dove mi
aveva appena colpito
per la seconda volta.
“E dai, Lina.”
Cercai di sdrammatizzare. “Scherzavo.”
“Mi spiace che questo non
sia un ingaggio come buffone di
corte, avresti avuto un grande successo…”
Sibilò la maga, gli occhi stretti per
l’irritazione. “Ora vogliamo concentrarci sulla
nostra attuale situazione,
invece di perdere tempo? Dobbiamo andare a recuperare le nostre cose da
quel
tugurio di locanda.” Il suo sguardo si accese per un momento.
“Non riesco a
credere che sarà l’ultima volta che
mangerò la loro brodaglia insipida per
pranzo.”
Scossi la testa, sospirando.
“Prega che il carovaniere non
abbia intenzione di servirti zuppa al veleno, appena saremo usciti
dalla città.
Non ha un’aria particolarmente raccomandabile, e le nostre
armi e le tue gemme
farebbero gola anche all’ultimo degli onesti, se circondato
da una steppa priva
di occhi per testimoniare.”
Lina mi rivolse un sorriso furbo, lo
stesso che sempre
vestiva quando elaborava uno dei suoi malefici piani. “Oh, lo
ho messo in
conto.” Replicò, con fare allegro, agitando il
dito nell’aria. “Ma non è giusto
giudicare dalle apparenze, no? E poi…”
“E
poi…?” Chiesi, temendo la risposta.
Lina esibì un ghigno degno
di un cattivo delle fiabe. “E poi
una trappola potrebbe rendere il viaggio… più
interessante. Ci fornirebbe una
giustificazione inattaccabile per reclamare il
carro ed il suo contenuto
come nostri, tanto per cominciare.”
Scossi la testa, con fare rassegnato.
Davvero avevo pensato
che avesse agito ingenuamente? ‘Se non la conoscessi,
forse.’ Mi risposi
immediatamente. E mi volsi, pregando che mia moglie non si accorgesse
che
sorridevo stupidamente.
Ma, presto, la sua voce mi raggiunse
nuovamente. “Il reale
problema sarà all’arrivo.” Tornai a
fissarla, mentre scrutava il grigio striato
di azzurro del cielo, l’aria assorta. “Sylphiel
pensa che recapitare una
missiva per noi sarà semplice, ma io non la vedo allo stesso
modo. Dal momento
che non gli portiamo nuovi alleati, perché Eriol dovrebbe
ascoltarci?”
Piegai il capo, studiando la sua
espressione. “Abbiamo il
sigillo del tempio di Sailarg…” Azzardai.
Lina si accigliò.
“Appunto.” Si volse verso di me. “Il
sigillo di Sailarg, portato da due emeriti sconosciuti. Eriol
penserà che i
sacerdoti vogliano prendersi gioco di lui.”
Incrociò le braccia al petto. “Ci
concederà udienza, ma non accetterà di aiutare
una città che non acconsenta a
sostenerlo in cambio. Non conta, ora, il fatto che essa faccia parte
del regno
su cui vuole acquisire il controllo.” Tacque, per un istante.
“Partirò
comunque, ma sinceramente sono convinta che questo sarà un
viaggio a vuoto. La
ricostruzione di Sailarg dovrà attendere la fine della
guerra, come qualsiasi
altro problema che non riguardi direttamente la contesa fra i due
principi.”
Aggiunse, dopo qualche secondo di silenziosa immersione nei suoi
pensieri.
Mi avvicinai, e le strinsi la spalla
con la mano. “Magari
Eriol vorrà compiere un atto di
generosità.” Replicai. “Per
impressionare
eventuali nuovi sostenitori, ed evitare di vincere solo con le
armi.”
Lina mi rivolse un’occhiata
scettica. “Il tuo problema è che
hai troppa fiducia nella gente.”
“Devo compensare qualcuno
che ne ha troppo poca.”
Ci scambiammo un breve sorriso.
Da Nord il vento freddo parve
temporaneamente placarsi.
Troppo tardi. Le nuvole che fino a qualche ora prima si addensavano
all’orizzonte avevano già raggiunto la
città, ricoprendola di un manto scuro e
minaccioso. L’aria era pregna di umidità, e
l’azzurro era un pallido ricordo,
scolpito nei pochi brandelli di cielo scoperto che ancora lottavano con
il
temporale incombente.
“Ancora pioggia.”
Commentai, involontariamente, in tono
pensoso.
“Ti mancherà,
fra qualche giorno.” Sorrise Lina.
Lo sapevo. Nelle terre in cui ero
nato non pioveva mai. La
vita scivolava su di esse, senza mai porvi radici. Solo sterpaglie e
cielo, e
le testarde costruzioni degli uomini. E quegli alberi isolati, quegli
alberi
alti e rigogliosi, che ancor più crudelmente della
desolazione ricordavano il
destino con cui ogni essere vivente è costretto a
misurarsi…
“Gourry?” Lina,
ora, mi fissava perplessa. Io ricambiai lo
sguardo, assorto. Quelli che mi aspettavano erano luoghi che da anni
ripercorrevo solo nei miei sogni, e l’idea di solcarli al suo
fianco risvegliava
in me quella sensazione di torpore che al ricordo dei sogni si
accompagna. “Che
c’è?” Incalzò mia moglie.
“Pensavo che è
meglio sbrigarsi a rientrare.” Replicai,
semplicemente, non dando voce a quelle che anche per me erano solo
sensazioni
confuse. “Prima di trovarci zuppi di pioggia.”
Lina inarcò un
sopracciglio. “Quell’aria assente è il
segno
che stavi elaborando questa perla di saggezza?”
Dovetti sorridere, alla mal celata
ironia della sua voce.
“No.” Dichiarai, con leggerezza, mentre
un’idea maligna catturava la mia mente.
“In effetti stavo pensando che mi devi ancora la
rivincita.”
Lina levò le sopracciglia,
perplessa. Ma quando realizzò
cosa intendessi era troppo tardi. Ero già scattato in
avanti, ed in vantaggio.
“Ricorda, chi arriva ultimo paga il pranzo!”
“Ehi!” Sentii
gridare alle mie spalle. “Questo è
SLEALE!!!”
Il tono di voce di Lina mi precludeva
già in partenza quel
pranzo, ed era foriero di inquietanti promesse di vendetta…
ma in fondo ciò che
mi importava era solo il gusto della sfida. Perciò corsi a
perdifiato, il viso
sferzato dall’aria fredda e dalle prime gocce di pioggia.
Era strano. A causa del tempo,
trascorso inesorabile, i
paesaggi e le vie note che mi attendevano risvegliavano in me lo stesso
senso
di ignoto che avevo avvertito percorrendole per la prima volta,
innumerevoli
anni prima. Allora avevo avvertito quella sensazione come opprimente.
Ma ora
che potevo godere di piccole, stupide consuetudini come i litigi con
Lina la
paura dell’ignoto si colorava di familiarità, e il
senso di attesa diveniva
piacevole.
In fondo, era solo l’inizio
di un nuovo viaggio.
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