Una cosa scritta
così, a caso. Doveva essere un'altro tipo di fiction, totalmente u.u
doveva avere come protagonista Hanamichi ed alla fine è venuta fuori
sta cosa XD è stato divertente però XD mi sono basata sui racconti di
mie amiche che sono state in Erasmus e anche di una mia conoscente che
è andata in Giappone a studiare XD quindi prendetela con leggerezza,
senza troppe pretese e divertitevi mentre le leggete^w^ Buona lettura
<3
Erasmus
Da un po' di tempo la nostra università ospitava dei corsi per
stranieri che venivano fin in Giappone per imparare la Lingua. Se ne
trovavano di tutti i gusti, dagli americani, ai norvegesi e persino
indiani. La mensa, era diventata uno strano assemblaggio di gente da
tutto il mondo, con lingue che non avevo mai sentito in vita mia. Erano
pochi quelli che parlavano tra di loro in giapponese, mentre cercavano
di capire cosa diavolo succedesse attorno a loro.
Da un paio di giorni avevo notato una ragazza, non troppo vistosa, se
non fosse stato per la lunga chioma rossa da irlandese. Era palesemente
tinta, si notava la ricrescita di almeno un paio di settimane. E
proprio quel giorno era lì, seduta con altre quattro persone. Fissava i
suoi compagni con occhi sgranati, quasi fosse in alto mare, lo sguardo
che vagava da uno all'altro, così velocemente che, ne ero certo, le
sarebbe venuto il mal di testa. Erano tutti Giapponesi quindi era
comprensibile il disagio che stava dimostrando, aprendo la bocca un
paio di volte, senza dire nulla.
"Ma porcaccia!" la sentii esclamare d'un tratto in mezzo a tutto quel
trambusto, attirando l'attenzione di non poche persone "parlate più
piano, per la miseria! Voi siete in quattro, ed io ho solo due
orecchie! Non riesco a seguire i vostri discorsi, andate troppo
veloce!" finì lì, facendo ridere non poche persone. Non se ne curò,
prestando solo attenzione a quello che diceva un'altra ragazza - tra
l'altro molto carina - la quale si stava scusando con un grande
sorriso. La finta rossa fece un mezzo sorriso, dando una pacca sulla
spalla della compagna, continuando a seguire concentratissima ogni
minima parola. Tornai a mangiare il mio pranzo, per i fatti miei.
Per un po' non vidi più quel tipetto che mi ricordava davvero tanto
Hanamichi, anche se soltanto per il colore dei capelli. La re-incontrai
un mese dopo, giorno più, giorno meno. Era venuta al mini market in cui
lavoravo di notte, i capelli legati alla meno peggio e due occhiaie da
far spavento. Doveva essere sotto esame, in quel periodo. Subito manco
mi guardò in faccia, troppo rincitrullita dal sonno e dalla mancanza di
caffè. Poi, quando alzò lo sguardo, cominciò a fissarmi come se stesse
facendo una ricerca approfondita nella memoria, come un calcolatore che
fa fatica anche a fare due più due. Alzò un dito, si spostò una ciocca
da davanti al naso e poi fece uno strano sorriso.
"Io ti conosco." biascicò "ti ho visto nella mensa della mia
università. Sei un frequentante serio?"
Probabilmente non aveva trovato le parole giuste da pormi perché si
grattò la testa, alzò un indice, aprì la bocca e la richiuse.
"Forse mi sono espressa male. Se mi dai un minuto ingrano meglio."
Mi limitai a ridere, osservandola mentre cercava nella sua povera mente
annebbiata dalla stanchezza le parole da dire senza sembrare troppo
stupida.
"Tranquilla. Anche io quando sono troppo stanco connetto poco."
Mi sorrise con gratitudine, limitandosi alla fine a passarmi le cose
che aveva comprato, gli occhi che le si chiudevano, il corpo che
traballava perché rischiava di addormentarsi da un momento all'altro.
Mi passò i soldi che mi doveva e sorrise ancora.
"Grazie. Comunque mi chiamo Irene. Magari ci si becca ancora."
"Prego. Chissà, frequentiamo lo stesso istituto, non sarà difficile. Io
mi chiamo Akira. Buona notte e torna a trovarci."
Queste furono le mie ultime parole osservandola uscire dal negozio
traballando come un budino di gelatina mentre rischiava di andare a
sbattere contro un muro.
La rividi dopo qualche giorno, intenta a leggere un libro, il naso
incollato alle pagine bianche e tutte scritte in piccolo. Nemmeno si
accorse della mia presenza, fino a quando non mi sedetti vicino a lei.
A quel punto alzò piano la testa, cominciando da prima a fissarmi con
la coda dell'occhio per poi girarsi di scatto, gli occhi verdi che mi
guardavano sicuri. La sua espressione si fece poi più rilassata quando
capì chi ero.
"Tu sei l ragazzo del mini market." disse, puntando il dito indice e
continuando a muoverlo come se fosse una bacchetta. "Akira, giusto?"
Mi limitai ad annuire.
"E tu sei… Ilene, ho detto giusto?"
"Ma voi giapponesi riuscirete a dirlo giusto il mio nome, prima o poi?"
esclamò, ridendo, per poi ripetermi la giusta pronuncia un paio di
volte.
Cominciammo a parlare un po', del più e del meno. Era simpatica ed
aveva un bel caratterino focoso. Non era il mio tipo, però era
interessante parlarci. Le chiesi un paio di cose, sul perché fosse
venuta in Giappone e cose del genere. Mi raccontò che studiava lingue e
giapponese solo da un anno. Che in Italia l'aspettava il suo fidanzato
- questo l'aveva subito messo in chiaro, a quanto pareva conosceva la
mia fama - e che faticava ancora ad adattarsi al fuso orario.
"Senti" le chiesi "Ma perché ti tingi?" quella domanda la lasciò un po'
interdetta. Reclinò la testa e fece spallucce.
"Perché sono stufa che mi si dia della stupida a causa del colore dei
capelli."
Subito non capii il nesso. Poi mi racconto che in realtà era bionda
naturale. Un biondo non tanto chiaro, ma comunque biondo. Che in Italia
in tanti facevano il collegamento: ragazza bionda uguale a stupida.
Così, per essere presa sul serio si era tinta. I capelli neri non se li
sognava proprio. Con la carnagione cadaverica che aveva sarebbe
sembrata Mortisia degli Adams - dovette spiegarmi chi fossero, non
erano mai stati molto famosi in Giappone - ed il castano non le piaceva
molto. Troppo comune aveva detto. Così si era fatta rossa. Aveva
scoperto di non starci così male qualche tempo prima, quando l'avevano
costretta a mettersi una parrucca con un colore simile e poi al suo
ragazzo piaceva, dopotutto. Doveva solo aspettare che le arrivasse
l'henné dall'Italia - non ci pensava nemmeno di cuocersi la testa con
tinte chimiche - assieme ad un'altra serie di cose che aveva lasciato
là e la ricrescita non si sarebbe più vista. Poi con le efelidi sul
naso e gli occhi verde scuro poteva benissimo passare per rossa
naturale.
Continuammo quella chiacchierata senza troppe pretese, parlando del più
e del meno. Io più che altro le domandavo come fosse l'Italia, visto
che non c'ero mai stato, e lei faticava a descrivermela a causa
della poca conoscenza della lingua. Ogni tanto ci infilava dentro
qualche parola in inglese ed io le davo il corrispettivo in giapponese.
"Comunque sei piuttosto brava, nonostante studi solo da un anno."
"Beh, diciamo che io ho barato."
"Barato?" le chiesi, alzando le sopracciglia fin quasi a toccarmi
l'attaccatura dei capelli.
"Ho un amico giapponese con cui mi sento fin dai primi anni del liceo.
Ho sempre avuto la fissa per le lingue, così cominciai a girare un po'
su internet e lo incontrai un po' per caso. Prima si parlava solo in
inglese. Poi gli ho chiesto di insegnarmi il giapponese. Così io ho
cominciato a studiarla così, un po' a… in italiano si dice - fece il
segno delle virgolette con le dita - a fuffa, che vuol dire a caso. E
lui ha imparato un po' di italiano. E' stato divertente. E soprattutto
utile, sono molto più avanti rispetto ai miei compagni di corso.
Infatti sono l'unica del primo anno che è partita per il Giappone.
Diciamo che sono venuta in avanscoperta. Altri ragazzi della mia
università che posso trovare in giro sono tutti più grandi di me."
"E dimmi, questo ragazzo è di qui? Di Kanagawa?"
Fece di sì con la testa, ridacchiando.
"Sì, ed è anche davvero un bel tipo. Mi racconta sempre le sue
disavventure e poi è appassionatissimo di basket, come il mio ragazzo.
Anche se a dirla tutta quella fissa gliel'ho passata io. A Daniele, sia
chiaro. E poi è da lui, il mio amico, che ho preso l'idea dei capelli."
A quell'esclamazione cominciai a sbattere le palpebre un paio di volte.
Presa da lui?
Forse capì cosa mi passava per la testa perché si mise a ridere,
scuotendo il capo, spostando da davanti agli occhi qualche ciuffo
ribelle.
"Anche il mio amico ha i capelli rossi. E forse lo conosci pure tu. Si
chiama Hanamichi, ha dovuto smettere di giocare a basket per un po' a
causa di un'infortunio. Qualche volta mi ha parlato di te."
Credo che l'espressione che feci fu decisamente esilarante. Perché
cominciò a ridere e non smise più per tanto, tanto tempo.
"Sei in ritardo."
Irene detestava i ritardi. L'avevo capito a mie spese qualche domenica
prima, quando l'avevo portata a fare un giro per i dintorni. "Hanamichi
deve studiare, è indietro con gli esami. Gli ho detto che fino a quando
non li passa mi vedrà solo in sogno. Oppure in fotografia, come
preferisce." così era toccato a me farle da chaperon. E si era
infuriata come un gatto nevrotico per soli quaranta minuti di ritardo.
"Dai, lo sono solo di dieci minuti." le risposi, facendole uno dei miei
solito sorrisi sornioni, che purtroppo su di lei non sortivano alcun
effetto.
"Se mi facevi aspettare altri trenta minuti come l'altra volta, vedevi
cosa ti facevo. Io non so arrivarci, al bar dove ho concordato con
Hanamichi di vederci. Faccio ancora fatica ad orientarmi senza un
cavolo di nome ai bordi della strada, non è come in Italia. Non ci sono
abituata."
Risi. Lei ed il senso dell'orientamento erano due cose a sé stanti. Le
feci un lieve cenno con la testa, per indicarle dove andare. Si limitò
a sbuffare, scrollando la testa e cominciando ad incamminarsi. Non
vedeva l'ora di incontrare il rosso dal vivo, si conoscevano da almeno
cinque anni ed ancora non avevano avuto la possibilità di vedersi. Era
comprensibile quella sua agitazione e la voglia di arrivar presto. Però
aveva un passo così svelto che facevo fatica a starle dietro,
nonostante avessi le gambe decisamente più lunghe delle sue.
"Sbrigati!" mi aveva detto un paio di volte, saltellando sul posto per
non perdere il ritmo. Era buffa, sembrava una bambina che voleva andare
al parco giochi. "E non mi guardare con quell'espressione se no giuro
che ti tiro una scarpa in testa!"
Continuai a ridere per tutto il tragitto, facendola innervosire ad ogni
mio ghigno. Era divertente stuzzicarla ma appena notò in lontananza la
testa altrettanto rossa di Sakuragi fu come se fossi sparito dalla
circolazione. Non capivo un tubo di quello che diceva - probabilmente
parlava in italiano ed Hanamichi le rispondeva, biascicando e
strascicando le parole, certo, ma le rispondeva. Sembravano due
ragazzini delle elementari che non si vedevano da prima delle vacanze
estive.
Quando il rosso mi vide fece la sua solita faccia da "puoi dire o fare
quello che vuoi, sono meglio di te" per poi tornare a fare lo scemo
dopo neanche due nano secondi. Devo ammettere che era una buona
compagnia, dopotutto. Si era trascinato dietro un paio di amici - sia
vecchi che nuovi - alcuni più tranquilli, altri della sua stessa pasta.
Passammo una serata incasinata, una di quelle che non mi capitavano
ormai da tempo purtroppo. Irene sorrideva soddisfatta, rigenerata da
quell'incontro che programmava da mesi e che purtroppo non erano
riusciti ad organizzare a causa di motivi logistici.
"Sai" esordì di punto in bianco, alzando leggermente la testa verso
l'altro, le braccia tenute dietro la schiena "Sono felice che sia
venuto anche tu. Mi ricordi un po' mio fratello. Però tu sei più
simpatico. Mi mancava quest'aria che sa di… casa ecco. Comunque sappi
che questa sarà la prima di molte serate del genere. E potrai dirmi di
no solo quando avrai da lavorare. O dovrai studiare per un esame."
Feci un'espressione davvero stupita in quel momento. Non mi aspettavo
un commento del genere che, dopotutto, mi faceva piacere. Mi grattai la
testa, i capelli ingellatissimi che vincevano la gravità dopo due
secondi che ci avevo passato sopra la mano.
"Non so se prenderlo come un complimento, quello del fratello."
"E' un complimento."
Non disse più niente, continuando a camminare verso il dormitorio.
I mesi successivi trascorsero terribilmente in fretta. Secondo Irene
troppo in fretta. Tra lei e Sakuragi ne passai di tutti i colori,
soprattutto quando cercavamo - invano - di insegnarle qualcosa di
pratico sul basket. Eppure, tutto quel frastuono che fino a poco tempo
prima non faceva parte del mio quotidiano, era piacevole. E quando
tutto finì, beh, non fu certo un festa. Irene era una studentessa
Erasmus, dopotutto. Faceva di tutto per non farsi vedere in faccia
quando succedeva ma man mano che il giorno della partenza si
avvicinava, lei si faceva tremendamente scura in volto, gli occhi
lucidi al pensiero di non poterci vedere più. Certo, era entusiasta
all'idea di riabbracciare tutte le persone che aveva lasciato a casa -
soprattutto il suo ragazzo - ma comunque, ce lo diceva spesso, le
saremmo mancati terribilmente.
Ora ci sentiamo spesso via mail e grazie a facebook so più o meno cosa
le succede anche se non capisco un tubo di quando scrive in italiano.
Ha ottenuto la laurea breve ed ha già cominciato la specialistica. In
questo è molto più brava di me. Sono troppo pigro, per certe cose, ma
nonostante tutto me la cavo. Le ho promesso che io e Hanamichi andremo
trovarla quest'estate. Dovreste vedere il rosso come s'impegna nel
basket e nello studio per cercare di mantenere la sua borsa di studio -
se la sua media scende troppo ciao ciao e tanti saluti, il viaggio in
Italia non si fa per mancanza di soldi.
Ogni tanto penso alla sera in cui ci siamo presentati. A lei distrutta
per un esame, dentro quel mini market, traballante come un budino di
gelatina, e sorrido.
A volte, la vita, ti riserva sorprese ed amicizie che non ti saresti
minimamente sognato di avere.
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