Attenzione: sono presenti spoiler di Deathly
Hallows
Figli della libertà
by Trick
A Piero, con tanto affetto e tanti
auguri.
“Sono figlio della libertà,
e a lei devo tutto ciò che sono”.
«Pensi che durerà ancora a
lungo?»
Alzo lo sguardo verso
il volto di Tonks; continua a fissare intensamente la tazza di cioccolata calda
che stringe fra le mani, come se cercasse in quel dolce liquido scuro le
risposte ai miliardi di dubbi che la stanno tormentando. Abbasso i modesti
appunti che sono riuscito a stilare dal mio ritorno dal clan di Fenrir Greyback
e mi strofino il viso con un gesto stanco della mano. Morgana, sono quattro
giorni che non riesco a riposare. Devo avere un aspetto ancora più terribile del
solito.
*
«Quanto credete
continuerà?» chiese Alice, fissando intensamente il nulla oltre la finestra
appannata della cucina. «Tutto questo, intendo» aggiunse, voltando il viso
rotondo verso di noi. Nessuno le rispose.
«Non può certo durare
in eterno» decretò Lily dopo qualche minuto di silenzio, gli occhi intenti a
studiare le venature del legno scuro del tavolo. «Non possiamo mollare ora,
Alice». Pose particolare enfasi sul nome dell’altra strega, quasi volesse
sottolineare il loro ruolo in quel tormentato susseguirsi di
giorni.
Sapevamo tutti a cosa
stava riferendosi.
Non potevamo mollare.
Nessuno di noi poteva permetterselo.
Non allora, che
aspettavamo la vita.
Quella vera.
Decisi di prendere
parola anch’io, ma il mio stato d’animo mi portò involontariamente a remare
contro le parole di Lily.
«Cerchiamo di
guardare in faccia alla realtà» dissi, «quanto credete potremmo ancora resistere
in queste condizioni?»
Trovai nello sguardo
scoraggiato di Alice la conferma che stavo cercando: nulla di ciò che ci
avrebbero potuto dire quella sera, sarebbe stato in grado di alleviare le nostre
angoscie. Entrambi ci eravamo lasciati avvolgere dal senso d’impotenza e
dall’incombente terrore con cui ci svegliavamo ogni giorno da anni.
La guerra ci aveva
fatto suoi schiavi.
«Non dire assurdità,
Remus».
«Credi davvero che
abbiamo qualche speranza, James?» domandai in un tono a cavallo fra la sfida e
il sarcasmo. Guardai uno ad uno tutti coloro che mi circondavano.
Sirius sembrava perso
in un altro universo, intento com’era a giocherellare con noncuranza con la
bacchetta, lanciando silenziosi incantesimi di Levitazione alla polvere che da
secoli riposava su quel vecchio tavolo.
Peter continuava a
fissarsi nervosamente le mani, rigirandosi il calice come se scottasse. Mi
guardò agitato e si asciugò il sudore dalla fronte, senza aggiungere nulla.
I Prewett avevano le
sopracciglie inarcate e mi fissavano indignati. Mi chiedo ancora come sia stato
possibile che non mi siano saltati addosso allora, loro che credevano nell’onore
sopra ogni altra cosa.
«Siamo numericamente
inferiori» continuai imperterrito, con la gola secca e gli occhi che bruciavano,
«ci vengono a cercare uno ad uno».
Attesi qualche
istante prima di lasciarmi sfuggire una risatina. Stavo letteralmente
impazzendo, minuto dopo minuto.
E l’imminente luna
piena, questa volta, non aveva alcuna colpa.
«Chi sarà il prossimo a cadere per una guerra
che non possiamo vincere?»
«Non è questione di
potere o non potere, Remus».
Lily aveva alzato lo
sguardo su di me; una scarica elettrica mi aveva attraversato la colonna
vertebrale. Merlino, non ho ancora saputo dimenticare il potere del suo sguardo.
Non che voglia farlo, per inciso. In tutta la mia vita futura non ho mai
incontrato un’altra donna che fosse anche solo lontanamente paragonabile a Lily
Evans Potter.
«È questione di
capire per cosa lo stiamo facendo».
«Per cosa lo stiamo
facendo?»
Dovetti attendere
qualche attimo di irrespirabile silenzio, prima che qualcuno lo infrangesse
nuovamente. Fu Frank Paciock a parlare.
«La libertà resta uno
dei migliori motivi per cui un uomo può voler cercare la morte in
battaglia».
Silenzio.
«Dove te la sei
letta, questa?» ridacchiò Sirius, rivolgendogli un’occhiata di palese
perplessità.
«Sulle parole
crociate» rispose con naturalezza Frank.
«Perché non vogliamo
che distruggano il nostro mondo, Remus» intervenne aspramente Fabian, nel
momento stesso in cui mi chiesi quando si sarebbe deciso a farlo. «È così
difficile da capire?»
«Placa i tuoi
bollenti spiriti, Fabian» lo rimproverò con un sorriso storto Frank, nonostante
fosse completamente d’accordo con lui. Per lui, come per James, in ballo c’era
una posta troppo alta per arrendersi. «Se iniziamo a creare dispute anche fra di
noi, è la fine», concluse.
«Ma sta dicendo che
siamo condannati a morire come degli idioti!» incalzò Gideon, stringendo il
bicchiere di Whisky Incendiario con tanta foga che le nocche sbiancarono.
«Perché è questo, quello ci stai dicendo, non è così, Remus?» mi domandò in un
sussurro che a stento riusciva a contenere la sua rabbia.
«No, Gideon» risposi
con rassegnazione. Sapevo che non mi avrebbero capito. «Sto solo cercando di
dire che non possiamo vincerla. Indipendentemente dai motivi che ci spingono a
combattere, e indipendentemente da quanto aneliamo alla sua fine, questa
guerra finirà con il soffocarci tutti».
Sirius scoppiò a
ridere, gettando la testa all’indietro. La sua risata – così simile a un latrato
da far sorridere chiunque – aveva un effetto scarica: te la sentivi attraversare
la colonna vertebrale finché non ti irrompeva con un brivido nel cervello. Aveva
un che di demoniaco, a dirla tutta.
«Scommettete che l’ha
letta anche lui sulle parole crociate?»
James iniziò a
ridere, contagiando tutti quanti in pochi attimi.
Frank si piegò
letteralmente in due, picchiando con forza il legno del
tavolo.
Lily gli rivolse
un’occhiata sconcertata, tradendosi però in un ghigno quasi impercettibile.
Gideon e Fabian,
nonostante l’acredine che li agitava, si lasciarono trasportare da quella
disarmante dimostrazione di allegria, il primo chinando la testa in avanti, e il
secondo coprendosi il viso con un mano.
Peter, che fino a
quel momento non aveva detto nulla, ridacchiò sommessamente nel suo
angolo.
Anche Alice, sebbene
fosse la più agitata fra tutti noi, si aprì in un sorriso pacato.
Io rimasi a fissare
il liquido ambrato del mio Whisky, interrogandomi silenziosamente sul momento
preciso in cui avevamo perso la capacità di ridere sul serio, sempre che ciò sia
possibile. Mi ricollegai all’istante nel quale capimmo di dover contrastare
l’insorgere di un conflitto più grande di noi, e avevamo deciso di imboccare la
strada verso l’apatia, al fine di renderci immuni allo strazio di quella vita
trascorsa appesa a un filo, come se non fossimo nient’altro che semplici
esperimenti della selezione naturale, e non dei giovani uomini abituati, fino a
pochi mesi prima, a vivere.
«Coraggio,
Lunastorta» tentò di spronarmi Sirius, alzando verso di me il proprio bicchiere
e rivolgendomi uno dei sorrisi accattivanti con cui ammaliava la popolazione
femminile di Hogwarts, «cerca di rilassarti: non c’è mica solo rogna, al
mondo».
Sospirai, sconfitto.
Strinsi le dita attorno al mio bicchiere e lo alzai debolmente in direzione di
Sirius.
«Hai un qualsiasi
motivo per il quale potrei fingere di essere spensierato?» domandai
mesto.
James mi diede un
pacca amichevole sulla spalla e mi guardò divertito al di sopra degli occhiali
rotondi, levando a sua volta il braccio. «Ad Harry...»
«E ad Ormerod»
aggiunse con un sorriso raggiante Frank, sollevando il calice.
«Neville!» contestò
Alice con una risoluzione decisamente lontana dai suoi soliti modi dolci e
affabili. «Non ti permetterò di chiamare il nostro primogenito Ormerod»!»
continuò, ponendo sull’ultima parola un accento di palese disgusto.
Diverse risatine
aleggiarono intorno a noi, quasi ci stessimo lentamente spogliando delle pesanti
e fredde armature che la guerra ci aveva costretto ad
indossare.
Continuando a
ghignare divertiti, anche i fratelli Prewett li imitarono, seguiti dal timido e
schivo gesto di Peter. Le labbra di Lily s’incurvarono con dolcezza, e con gesto
calmo ed elegante della mano, aggiunse il suo bicchiere ai
nostri.
Mi scoprii
inconsapevolmente a sorridere anch’io. Sirius mi fece
l’occhiolino.
«È abbastanza valido
come motivo, Remus?» domandò.
«Assolutamente»
risposi.
«Dunque è deciso»
esclamò James, trionfante, «ad Harry Potter e Neville
Paciock!»
«Ehi!» protestò
Frank, «tu da che parte stai?»
«Taci, ti prego» lo
implorò l’altro, scuotendo la testa afflitto, «io, mio figlio, volevo chiamarlo
Nimbus. Donne...»
Lily e Alice
cozzarono i propri bicchieri l’uno contro l’altro, lanciandosi sguardi
eloquenti. «Ad Harry e Neville» mormorò la prima.
«Ad Harry e Neville!»
risuonò nell’aria, mentre il tintinnio del vetro ci perforava piacevolmente le
orecchie.
Seppur con
diffidenza, mi lasciai inebriare da quella sensazione speranzosa e ingannevole,
convincendomi che forse, avevamo ancora un speranza.
*
«Pensi che la guerra
sarà finita quando nascerà il bambino?»
La voce di Tonks mi
riporta bruscamente alla realtà, strappandomi – non sono in grado di capire se
fortunatamente o no – a ricordi della mia giovinezza che credevo aver perduto
con gli anni. Alzo lo sguardo sul volto di mia moglie, e ringraziando il cielo
di averla messa sul mio cammino, le bacio la fronte.
«Non importa quando,
Dora» le sussurro in un orecchio, stringendola a me e accarezzandole la schiena
minuta, «ciò che conta è che nascerà. Il nostro bambino nascerà. Tutto il
resto è irrilevante».
Affonda il viso nel
bavero della mia giacca, serrando la presa attorno al tessuto. Quando rialza lo
sguardo su di me, la vedo -per un attimo fugace – sorridere come l’avevo vista
fare mesi prima, a Grimmauld Place. Nonostante scintillino di lacrime che si
costringe a non versare, i suoi occhi mi scrutano ridenti, velati di una
sicurezza che ha quasi dell’infantile.
Merlino, quanto la
amo.
«Nascerà» mi ripete
con risolutezza, annuendo. «E la guerra finirà».
L’ultima volta che mi
sono lasciato convincere dalla speranza di qualcuno, mi sono trovato a fissare
le iscrizioni sulle lapidi di coloro che l’avevano fatto; dall’ultima volta in
cui ho sentito affermare con tanta fiducia che la guerra sarebbe presto finita,
sono trascorsi più di quindici anni; e di quel lontano brindisi del 1980, non
sono rimasti che i miei frammentati ricordi. Davanti a me, sfrecciano repentini
i volti dei miei compagni.
Sfiorò il pancione di
Ninfadora, e mentre un brusco movimento la fa sussultare, io avverto una scarica
elettrica attraversarmi le viscere.
«È abbastanza
valido come motivo, Remus?»
Assolutamente sì.
*
Avvolgendosi attorno
al piumino colorato del proprio letto, il bambino voltò la testa sul cuscino,
storcendo il naso e strizzando gli occhi quando la luce invadente della luna,
filtrando dalla finestra, gli illuminò il viso. Il turchese dei suoi capelli
sembrava brillare sotto quei raggi lattescenti.
È abbastanza valido come motivo,
Remus?
*****
Una breve one-shot con l’unica pretesa di uscire dalla cartella Documenti
del mio pc. Povera creatura, vi sostava senza un futuro da mesi, ormai... oggi
mi ha guardato con gli occhi lacrimosi, e non ho potuto dirle di no.
“Sono figlio della libertà, e a lei devo tutto ciò che sono” è una frase di
Camillo Benso conte di Cavour, citata dal mio professore, durata una
sublime lezione di storia.
Sono in arrivo l’ultimo capitolo della
Storia della Bella e della Bestia senza Bella e senza Bestia (era ora...), e il
ventunesimo capitolo del Diario di un Lupo in un Branco di
Lupi.
...devo smetterla di scegliere titoli
così lunghi...
Avvertenze: potrebbe trasformarsi in una raccolta di
one-shot sul primo Ordine della Fenice. Sapete che ne
sono ossessionata...
Trick