Chasing the sun
‹‹Autostrada
deserta al confine del mare
sento
il cuore più forte di questo motore
sigarette
mai spente sulla radio che parla
io
che guido seguendo le luci dell'alba...››
Schiacciò
l’acceleratore, forte, sentendo il rumore del motore che
ruggiva riempirgli la testa e i sensi, distraendolo da quei pensieri
che gli pulsavano dentro
fastidiosi come
moscerini ma taglienti come pugnali.
Si stava facendo
giorno.
Sarebbe arrivato
presto, non c’era nessuno per strada.
‹‹Lo
so lo sai la mente vola
fuori
dal tempo e si ritrova sola
senza
più corpo né prigioniera
nasce
l'aurora››
La radio suonava
una vecchia canzone. Una canzone che doveva aver sentito, ogni tanto,
anni prima. Anche se non aveva mai avuto molto tempo per ascoltare la
radio, però quel motivo lo ricordava. Mah, poteva comunque
averlo sentito.
Si chiese
perché stava pensando alla radio e a quella vecchia canzone.
E si rispose che ultimamente
pensava solo a cose del genere. Le frittelle, la macchina,
la televisione.
E parlava con
Pikachu, ormai l’unico in grado di capirlo, ora che non si
capiva nemmeno lui.
Poi basta: da
quando era diventato Campione erano passati tre anni senza che neanche
se ne accorgesse. Senza che li vivesse.
E quando si era accorto di com’erano volati si era
sentito…male. Male, non sapeva come altro dirlo.
Male.
Male come uno che
butta via la sua vita e la sua felicità, anche se ha sempre
pensato di avere tutto.
Male come uno che
ha inseguito un sogno per quella che credeva sarebbe stata una vita, ma
l’aveva realizzato e la vita c’era ancora, ma non se n’era accorto.
Male come uno che
poi se ne accorge e pensa che sia semplicemente troppo tardi.
Troppo tardi per tutto. Perché tre anni sono passati e non
possono essere riportati indietro.
Poi tre giorni
lunghi come quei tre anni. Tre giorni a chiedersi perché.
Il primo giorno a
domandarsi perché aveva lasciato quella vita scorrergli
così lontano, come se fosse stata una fase che si sarebbe
conclusa. Non lo era.
Era la sua nuova-vecchia vita. Anche se non c’era
più abituato. Ma ora che si accorgeva di averla lasciata
così, praticamente come il giorno dopo la vittoria, si
chiedeva…cosa
si era perso?
Il secondo giorno
a chiederselo. E a rispondersi mille e più cose. Che in
fondo aveva visto Brock, il professor Oak, Gary, Tracey. Erano i suoi
amici. Che Lucinda era una brava coordinatrice, sulle orme di Vera e
Drew. Che Max era andato a lavorare anche lui al laboratorio di Pallet
e viveva con il professore, e si vedevano quasi tutti i giorni. Aveva
sentito tutti. Visto tutti. Si era divertito.
Allora…perché
gli sembrava comunque di aver dimenticato qualcosa?
Lo sapeva.
Lo sapeva fin
troppo bene. E in tre anni l’aveva sempre saputo, ma se
n’era accorto solo in quel maledetto momento. O meglio, solo
in quel momento si era reso conto che quel disagio che lo accompagnava
ormai da quasi sette anni aveva
un significato.
Sì, come se non
l’avessi mai saputo. Aveva cercato di zittire
quella voce.
Ok, non se
l’era mai chiesto. Aveva passato tre anni a cercare di non
farci caso ed il risultato era lui che correva
sull’autostrada con l’impressione di dover
ricostruire qualcosa che lui stesso aveva lasciato distruggersi.
…
E il terzo
giorno… Il terzo giorno lo aveva passato pensando a lei.
‹‹Tu
sei dentro di me come l'alta marea
che
scompare e riappare portandoti via››
Non sapeva cosa
voleva da lei.
Non sapeva cosa
lei avrebbe pensato.
Non sapeva cosa
gli avrebbe detto.
Non sapeva
perché non l’aveva mai chiamata. Avevi paura, stupido.
Sì, ok. Ma nel senso che non sapeva il vero motivo, nel
senso che non sapeva come
aveva fatto a
vivere senza di lei.
‹‹Sei
il mistero profondo, la passione, l'idea
sei l'immensa paura che tu non
sia mia››
Aveva quasi
ventuno anni.
Ora capiva cosa
voleva dire Gary, dicendo “Fatti una vita,
amico”
E Brock,
dicendogli che se gli mancava doveva solo chiamarla. E lui ribatteva
“Chi? E comunque non mi manca”.
Persino Brock
aveva lasciato perdere.
“Cosa?
Chi? Ah, lei...ormai
nemmeno si ricorderà di me” quante volte
l'aveva detto? Ovvio che anche Brock si fosse stufato di provare a
farlo riflettere.
Ma ora cos'era
quella sensazione insopportabile che lo assaliva al solo pensiero di
lei con qualcuno? Con qualcun altro?
Probabilmente lei si era fatta
una vita.
“Fatti
una vita, amico”. Gary aveva rinunciato.
“Chiamala!”
Addirittura Brock,
suo fratello, aveva rinunciato.
Forse voleva che capisse
da solo.
Forse tutte quelle
cose doveva
capirle da solo, sennò non le avrebbe mai realmente capite.
Ma ora era
così maledettamente tardi!
‹‹Lo
so lo sai il tempo vola
ma
quanta strada per rivederti ancora
per
uno sguardo per il mio orgoglio
…quanto
ti voglio››
Senza neanche
accorgersene era arrivato. Cerulean City. Il cuore gli batteva
così forte da sovrastare il rumore del motore, e da coprigli
ogni pensiero come se avesse voluto dirgli di non ascoltare
nient’altro, se non quel palpitare affannato che aveva
represso per troppo.
Troppo.
‹‹Per
dirti quanto ti voglio…››
La palestra!
Sentiva il cuore
pulsargli in gola e nello stomaco, che nel frattempo, per non essere da
meno, si contorceva fastidiosamente.
Frenò
bruscamente e temette che la carretta che sua madre chiamava macchina
si schiantasse sul muro. Ecco,
lo stava facendo di nuovo! Smettila di svicolare, Ash.
Cresci. Cresci!
Era il momento. Ash, è
l’alba. Bè? Non poteva esserci
momento migliore di quello. Perché quello era quello che lui
aveva scelto.
Davanti alla porta
della palestra, deglutì.
Bussò.
Suonò.
Non
c’era nessuno.
Ash, è
l’alba.
Non gli
interessava. Era il momento. Non avrebbe lasciato scappare (non di nuovo).
Girò
intorno alla palestra fino a dove sarebbero dovute essere le stanze
delle sorelle. Guardò la porta che aveva davanti, quella era
la porta di casa sua…
Poi
arretrò e guardò in alto. Chissà
qual’è la tua finestra…
Senza neanche
accorgersene se non il secondo dopo, iniziò ad urlare.
Urlò il
suo nome si rese conto che non lo pronunciava da chissà
quanto tempo.
Misty.
Era bello.
Faceva male.
Ma
continuò.
Continuò.
La mattina si stava facendo strada, ed un timido sole aranciato
iniziava a toccarlo. Come a dirgli di stare calmo, calmo
com’era ogni cosa, in quell’aurora dorata. Ogni
cosa tranne lui.
Perciò
continuò.
‹‹Per
uno sguardo
per
il mio orgoglio
quanto
ti voglio…
Per
dirti quanto ti voglio…››
-Ma sei scemo?!-
Il cuore di Ash
mancò un battito.
Era…
lei.
Affacciata alla
finestra.
Era lei che se
n'era andata da sette anni portandosi via, senza saperlo e senza che
lui lo sapesse, un pezzo del suo cuore.
Era lei e… Avrebbe potuto amarla.
Era lei e gli
diceva…ma sei
scemo?
Bè, aveva ragione.
-Niente di meglio
per salutarmi?- le disse, con un timido sorriso, che gli
sembrò così ridicolo a sentirselo addosso. Come
se non fosse successo nulla. (non è successo nulla, è questo il problema)
-Cosa potrei dire
sennò?- la voce di lei suonava amara.
Ash
aprì la bocca ma lei si era allontanata dalla finestra,
sparendo dalla sua vista.
In quel momento
pensò a come poteva anche solo sperare di respirare senza di
lei.
Ricominciò
a chiamarla buttando la testa indietro e fissando la sua finestra,
fregandosene del fatto che avrebbe svegliato le sue sorelle e anche il
vicinato.
Ma lei non si
affacciava.
Non seppe neanche
in seguito come fece a trovare il coraggio di dire quello che disse.
Forse
iniziò soltanto a delirare, pensando di impazzire al
pensiero che lei non volesse parlargli.
-Misty! Misty ti prego,
Misty…scusami… Io…non ce la
faccio! Non posso più stare senza di
te… N..non so perché ma è
così Misty mi odi? Perché io mi sa
che…che ti..ti amo Misty ti prego affacciati ti prego non so
che…-
Una rapidissima
figura rossa si fiondò su di lui.
-Stai…zitto!
Stavo solo…scendendo, scemo…- disse, tra le
lacrime, affondandogli la testa nel collo, stringendolo tanto da fargli
male. Però non era mai stato meglio in vita sua. Non
riusciva neanche a pensare a quello che stava succedendo. Succedeva e
basta.
Misty tra le sue
braccia. Succedeva e
basta. Era ora di smetterla di pensare. Era ora di vivere.
-Mi perdoni?-
disse, la voce bassa tra i suoi capelli rossi, stringendola a sua volta
e togliendole il fiato.
-No- rispose lei.
E lui non fece
neanche in tempo ad accorgersene che la stava baciando. O era lei cha
stava baciando lui. Non lo sapeva. E non gli sarebbe potuto interessare
di meno.
Sentire le sue
labbra che gli rispondevano, e la sua lingua, e le mani nei suoi
capelli, lei così… Lei…
E pensare che non
la vedeva da tutto quel tempo. Ma era la stessa, la stessa e lo sarebbe
rimasta per sempre, ora lo sapeva.
Era come se non
fosse passato così tanto tempo.
Come se non si
fossero mai persi di vista.
Come se quello
fosse il continuo di tutto. Il giusto
continuo.
E non sarebbe
potuto essere migliore.
Era quella la
felicità.
Lo
chiamavano…amore?
‹‹Tu
sei dentro di me come l'alta marea
che
riappare e scompare portandoti via…
Sei
il mistero profondo, la passione, l'idea
sei
l'immensa paura che tu non sia mia…››
Lei si
staccò a malincuore e lo guardò con gli occhi
ancora umidi tendigli una mano tra la guancia e i capelli. Il sole
nascente la illuminava rendendola ancora più bella.
-Non sei cambiato
tanto- disse, semplicemente.
-Tu per niente-
rispose lui, e la sua voce suonò tanto come quella di un
bambino, del bambino di anni prima.
-Meglio. Io andavo
bene- sorrise lei. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse
-Ash…ti posso chiedere una cosa?-
Lui
annuì.
-Perché
hai aspettato così tanto?-
Lo
fissò con quegli occhioni verdi che –solo in quel
momento se ne rese conto– gli erano mancati più
dell’aria che respirava.
Non sapeva che
dire. Si sarebbe maledetto a vita per aver lasciato passare tre (sette!) anni
così.
-Non lo
so…davvero. Vorrei saperlo, sai… E...mi dispiace-
disse. -Perché mi hai perdonato?- chiese poi, in un soffio.
-Lo
chiamano…amore, sai?- sussurrò lei,
abbracciandolo.
Ash la
circondò con il braccio mentre il sole li investiva e si
sentì davvero
l’uomo più fortunato sulla faccia della terra.
Misty lo amava.
Sì,
era quella la felicità.
Era lei la
felicità.
Forse aveva sprecato tutti
quegli anni.
Ma forse quegli
anni dovevano passare.
Forse lui doveva
crescere.
O forse no.
Non gli
interessava.
Perché
ora sapeva che avrebbe aspettato anche una vita per passare un solo
minuto con lei.
Perché
in realtà una vita senza di lei non contava,
perché la vita era solo lei.
Certo,
sì, aveva sbagliato.
Ma non gli
importava.
Perché
ora lo sapeva.
Perché
ora c’era lei.
E lei era tutto
ciò di cui aveva sempre
avuto bisogno.
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Ciaooo!!! Allora, che
dire... Sono già tornata! E' abbastanza positivo visto che
non ho scritto per un sacco... E ora... Sento una canzone e mi esce
qualcosa, non saprei come definirlo, perché ho immaginato
Ash in macchina che (finalmente!) è cresciuto è
capisce quanto è stato stupido... Poi il resto è
venuto da sé... Non so com'è il risultato, non
è che mi convinca molto ma mi è venuta di getto
è ho deciso di pubblicarla, a voi dirmi cosa ne pensate.
Mi dispiace per il titolo assurdo, come avrete notato non sono un
talento in questo genere di cose, ma ho pensato a "inseguire il sole"
nel senso della felicità, il barlume di ragione
che uno (stupido! nooo dai povero ti adoro ) come Ash non riusciva a
trovare, insomma lei è la sua luce, e poi riprendeva anche
il fatto dellìalba... Ok, lasciamo perdere!
La canzone è ovviamente Alta marea del mitico Antonello (che
ha frequentato la mia scuola! ^^ Ma che vi frega?! ^^
Bè dai un po' di orgoglio...) anche se mi hanno detto che
è una cover! Buuu ho sempre pensato fosse di Venditti! Oookk
vi lascio!
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato la mia precedente fic,
thxxx! :****
Ah, un'ultima cosa...vi sembra appiccicaticcia? La scrittura,
intendo. Poi così è troppo piccola, ma
più grande viene enorme, non riesco a trovare vie di
mezzo!!! Ueeeueueueee ç____ç mi serve aiutoooo!
Insomma sono una pippa con l'html perciò ditemelo se si
legge male che mi studio qualche guida per idioti! ^^"
Un bacione a tuttiiiii
Liu
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