Fabien e Ker sono due uomini molto particolari, si sono amati molto intensamente e si sono lasciati all'improvviso, senza segnali. Non era finito niente, non hanno risolto niente, tutto è rimasto congelato per diciassette anni, nonostante la loro storia non sia durata che cinque anni. Si rivedono ancora una volta all'improvviso dopo una vita intera, e nonostante le aspetative non sono pronti.
So che non è il tipo di storia che si legge o che si commenta, l'ho postata solo per metterla in gioco completamente, anche se è un testo un po' strambo... Buona lettura!
La Résilience
Quell'incontro viene rimandato da diciassette anni.
Un pomeriggio di primavera, all'aperto, sotto un sole tiepido, sopra l'erba
piccola e fresca, è un pomeriggio come un altro e vedrà un incontro
rimandato per diciassette anni, il primo confronto tra Fabien e Ker.
La cosa è surreale agli occhi degli amici, che per tutto quel tempo non li
hanno mai potuti vedere insieme; Ker, puntuale come sempre, ha preso il
compito di occuparsi del cibo; controllerà il fuoco, avrà qualcosa da fare.
Sa che deve succedere, è pronto, eppure qualcosa nel suo stomaco non
ne vuole proprio sapere di stare al suo posto, e i suoi occhi non sembrano
intenzionati a fargli vedere il mondo con chiarezza – o forse quello è il suo
cuore?
Quarantacinque anni. Ha quarantacinque anni e non riesce a controllare i
suoi stupidi sentimenti.
E se non dovesse venire? L'aspettativa che ha è talmente alta che
probabilmente se ne andrà, semplicemente.
Fabien, Fabien... che cosa gli ha fatto? L'ha fatto innamorare,
completamente, stupidamente, e poi ha soltanto scelto qualcosa di più
semplice. Dopo essere stato con lui per cinque anni.
Si sente incredibilmente stupido a rivivere qui momenti, a ripercorrere
quelle strade, ad affacciarsi alla finestra che si sta riaprendo su quella vita
vissuta così brevemente – così intensamente.
Probabilmente era stato solo un sogno, doveva essere stato uno sprazzo
della vita di un altro. Eppure... eppure da quel sogno non era riuscito ad
allontanarsi poi tanto; la vita presa in prestito tanti anni prima gli era entrata
sotto la pelle, non era riuscito a buttarla via neppure volendo, neppure
provandoci con tutte le proprie forze. Non è che passi i suoi giorni a
pensare a quei momenti, ma sapendo che proprio lui si sarebbe fatto vivo
quella finestra si era spalancata su di lui, e non era stato possibile non
affacciarsi almeno un po'.
Ker è sempre stato un uomo silenzioso, uno di poche parole, ma quel
giorno tutti si sono accorti che le cose sono diverse: non ha aperto bocca
praticamente mai, e tutti lo capiscono che probabilmente è stata una cattiva
idea invitarli entrambi; ma ormai le cose son fatte e non c'è tempo per
disdire. A momenti arriverà Fabien col suo compagno, e allora forse
capiranno qualcosa.
Quello a cui nessuno pensa è come Fabien abbia preso la cosa, perché
nonostante l'uno sia taciturno quanto l'altro chiassoso, né l'uno né l'altro
parlano mai davvero di sé.
Quando arriva i loro sguardi si incrociano subito – si cercano, si trovano
sempre anche senza volerlo – e tutto il resto scompare; sta ascoltando quel
dialogo muto che riempie diciassette anni di vuoto, il vento, non può
distrarsi per soffiare su quella gente ignara.
È Ker a distogliere lo sguardo per primo – mette fine a quel discorso
tanto intimo, vorrebbe fingere che non gli importa – Fabien non
reagisce.
Non gli si avvicina, Fabien; è sempre stato un vigliacco, come potrebbe
fronteggiare proprio lui? E l'uomo al suo fianco non può che essere una
pietra al collo che lo spinge verso il fondo nel confronto con Ker – a lui
non ha mai potuto mentire, come potrebbe cominciare a farlo per
quest'ennesimo uomo che non riempie il vuoto?
Le ore scorrono riempite dal tentativo disperato di Fabien di apparire
felice; e Ker lo spia di nascosto e vede lo sforzo nelle dita, nelle piccole
rughe che gli sono spuntate intorno alle labbra, agli occhi. Vuole parlare
con lui, ha bisogno di chiedergli perché, ma sebbene ne siano entrambi
consapevoli, sanno con altrettanta certezza che lui ha fatto la prima mossa
troppo spesso perché possa scegliere di farlo ancora, con l'altro al suo
fianco; e allora la scusa della brace e del fuoco è perfetta. Rimarrà al suo
posto, sta a Fabien fare la prima mossa – se farlo può avere ancora un
qualche valore.
Fabien ha paura – come sempre d'altra parte. Ha paura, ma ha capito che
Ker fa sul serio, che stavolta non correrà a salvarlo, che stavolta sta a lui.
Non può più sbagliare – vive un errore lungo tutta la vita – ma stavolta dovrà
farcela da solo.
Lo odia ancora? Lo pensa ancora, si ricorda ancora di lui e di quella breve
parentesi in cui sono stati “Noi”
Il suo compagno non vede i mostri silenziosi contro i quali sta combattendo,
non ha ascoltato le accuse mute che gli ha mandato – perché sei qui, perché
c'è lui, perché hai scelto ancora la strada facile, perché non sei mai
disposto a provare – quel compagno che occupa lo spazio al suo fianco
non sa chi sia, quel compagno che non vede, non sente e non capisce lui,
l'altro, loro due.
Il giorno si sta consumando, Ker sta per andarsene di nuovo dalla sua vita
– solo una microscopica giornata dopo tanta astinenza, basta questo a
minare la sua resistenza – ci vorranno diciassette anni per potersi ubriacare
di nuovo della vista di lui?
Non capisce quello che fa fino a che non distingue l'attaccamento dei suoi
capelli sulla nuca. Non è padrone del proprio corpo fino a che non allunga
la mano a riempirla con quelli, perfetti, fantastici e sempre gli stessi.
Gli occhi si spalancano – inorridito – quando lui si volta a quel tocco
inatteso – ancora familiare una vita dopo.
Lo saluta con un sorriso che fa storcere il naso a Ker, che lo guarda con
gli occhi profondi - non importa, non si aspettava davvero che lo avrebbe
fatto.
Sta molto bene, e glielo dice. Insinua che ci sia qualcuno a prendersi cura
di lui, che lo faccia per bene; lo dice prima di pensarci, e subito si accorge
di quanto è stato stupido, ma deve sapere. La forzata allegria della sua
voce fa a pugni col suo sguardo – pensava che fosse guarito da quella
falsità cronica – ma Ker sa di aver capito. Per un attimo valuta la possibilità
di mentire, di dirgli che è innamorato e felice con uno che non è lui, che
diciassette anni dopo non lo pensa più – si ferma, si ricorda che non è lui a
mentire, a montare artifici e macchinazioni.
Si limita a dargli dell'idiota, ma con tono strano, diverso, involontario.
Una parola sola, ma Fabien capisce e i suoi occhi blu si riempiono di
lacrime che stavolta non vuol piangere: non è mai stato di molte parole – il suo – Ker, una sola è più che sufficiente.
Vorrebbe chiedere scusa, vorrebbe dargli delle spiegazioni, vorrebbe
chiedergli un milione di cose, ma ha aspettato troppo, le domande che non
fa, le risposte che non da sono incollate sul suo viso e si riversano nei suoi
occhi – sempre limpidi, sempre sinceri malgrado tutto - ma s'è fatto tardi e il
suo uomo vuole andare.
Ancora una volta è un uomo molto più grande, ancora una volta è solo un
amante sconosciuto che vive al suo fianco da qualche tempo; dopo Ker ce
ne sono stati tanti, non è stato da solo – non è mai stato bravo a stare solo
– ma quest'uomo lo ama, lo adora. E lui si è accorto che gli basta questo
per rimanere insieme. Non è Ker, ma cerca di convincersi che non sia
importante, ci prova da diciassette anni lunghi come una vita intera.
Ecco, il primo contatto c'è stato; Simonne andrà a raccogliere i pezzi di
Ker che fingerà di stare bene mentre Fabien sarà a letto con quell'uomo
nella speranza di annullare se stesso.
La prossima volta farà meno male, lo sanno entrambi – lo sperano
entrambi. Diciassette anni di astinenza mandati all'aria da quelle due
parole pronunciate e dal milione che non sono state dette.
Ecco il problema: Fabien non ha la forza di tornare sobrio, vuole
ubriacarsi di nuovo con quelle emozioni. Ci sono voluti diciassette anni per
convincersi di aver dimenticato quegli occhi unici, quegli occhi così
espressivi; ci sono voluti diciassette anni per dimenticarsi della sua voce, del
suo modo di muoversi, del suo modo di essere, ci sono voluti diciassette
anni per decidere di andare avanti, e non ha davvero la forza di
ricominciare ancora quando pensava di aver fatto tanta strada... è solo
all'inizio, e se ne accorge in quel momento; è solo all'inizio, e non è in grado
di ripartire.
“Perché” è una cosa che chiede a se stesso ogni giorno.
Quello che Fabien nemmeno immagina è che per Ker è esattamente lo
stesso, e quando il suo telefono squilla si accorge di conoscere ancora
quel numero, di conoscerlo anche meglio del proprio.
Fabien è sorpreso di averlo fatto, di aver chiamato quell'uomo che da
diciassette anni non vedeva, ma le parole escono da sole e la voce è
inferma quando gli chiede di vederlo – per favore, ne ho davvero... ti prego,
vediamoci.
Le mani di Ker tremano un po' – rabbia, emozione, incredulità: sì, si può,
quando vuoi – adesso.
Fabien è perso. Nel parco sotto casa di Ker lo sta aspettando già, teme e
brama di vederlo mentre stringe forte il cellulare. Lo sta aspettando già –
no, gli sta andando in contro, stavolta.
Non può più aspettare.
Non è coraggioso, Fabian; se l'appuntamento venisse rimandato non si
presenterebbe, entrambi ne sono consapevoli.
Ker non è freddo come vorrebbe quando si presenta da lui: non è
distante, imperscrutabile, ghignante.
No.
È un contenitore di rabbia e dolore quando si incontrano, ancora non
riesce a capire o ad accettare le scelte dell'altro.
Il volto di Fabien è strano, come trasfigurato – sconvolto, spaventato,
ricolmo – e a quel punto lo capisce: la maschera non sta più su.
Era seduto su una panchina, ma al suo arrivo si è alzato balzando in piedi,
non sapendo cosa fare – ora si è seduto di nuovo.
Ker fa lo stesso con calma, con cautela. Le ginocchia si toccano,
l'elettricità, la tensione – l'aspettativa – passano dall'uno all'altro con la
densità del sangue, eppure nessuno si vuol spostare: tanti anni per arrivar
lì, che è esattamente il posto giusto in cui essere.
Hanno talmente tante cose da dirsi che rimangono entrambi in silenzio, e
Ker quasi si perde nella semplicità di quel momento, dimenticando quanto
tutto quello sia innaturale, dimenticandosi – quasi – di quanto quella
situazione sia intimamente sconvolgente.
Perché, lo soffia fuori piano. La sua voce è incredibilmente sottile in quel
momento, ed entra nelle ossa di Fabien che chiedono la stessa cosa.
È stanco, senza forze, e i suoi occhi parlano per lui. Si gira piano, lo
guarda negli occhi: i suoi stanno confessando tutta la paura provata, gli
stanno parlando delle lusinghe ricevute, gli stanno spiegando il panico
nell'affrontare l'enormità di quello che stavano vivendo, di quello che
provava per lui.
Ker capisce tutto, ma ha bisogno di parole: la rabbia è stata
momentaneamente dimenticata. Il dolore è sordo.
Non mi hai detto nulla, non mi hai fatto capire cosa c'era, forse lo dice
anche se è contro la sua natura farlo, quel biglietto lasciato lo ha letto e
riletto fino a fargli perdere di significato, fino a consumarsi il cuore – ma
questo non lo dice di certo.
Ha avuto paura, lo ammette, che di persona non sarebbe riuscito a farlo
mai, però non sa se lo ha detto davvero.
Ancora non riesce davvero a capire, Ker, ma quello è un idiota, e non ha
per forza senso quello che fa.
In silenzio, con le ginocchia che si toccano, sembrano godere della
primavera.
Non ha mai parlato di loro due, Fabien, senza sapere perché; Ker non
vuole che lo faccia, non vuole che svilizzi quello che hanno diviso, non vuole
che offra quella storia al primo che passa, non vuole che parli dell'impeto,
della tenerezza, non vuole che dica neppure una parola sulla breve
parentesi in cui sono stati “Noi”. Ma lui è Ker, e non parla così. Lui è Ker,
e non fa altro che stringere forte quel che resta di quel foglio consumato.
Dovrebbe piovere in quel giorno, lo dice Fabien ma lo pensano entrambi;
Ker non risponde, ma anche lui crede che il sole che in quel momento sta
scaldando i loro corpi sia tremendamente inadeguato.
Stavolta Fabien dovrà parlare, e dovrà essere sincero. Ker glielo dice con
un sussurro – non un ringhio, non un ruggito, e questo da a Fabien la
dimensione di quanto tutto sia grave – gli occhi socchiusi.
Non riesce, non l'ha fatto mai, non ha parlato mai come adesso gli si chiede
di fare, ma la verità è che sa di essere colpevole dell'omicidio della creatura
perfetta che è stato l'amore di Ker – non morto, non vivo – la colpa è sua,
la si può ancora salvare? È giusto provare?
È allora che lo dice, è allora che parla.
Come un fiume che rompe gli argini tutto vien fuori, a riempire gli spazi
circostanti – tutti, fino all'ultimo frammento, penetra nelle fessure, scivola
negli angoli e occupa le buche – tutto quello che ha tenuto dentro durante
ventidue anni di pioggia sta venendo fuori proprio adesso.
Occhi chiusi e testa che gira con forza, col ginocchio che tocca quello di
Ker, si sta mettendo a nudo come non mai.
Ker non lo interrompe, ma continua a respirare al suo fianco, se lo ricorda
il suono di quel respiro – profondo, regolare, lento, costante – e se si
fermasse e si concentrasse forte potrebbe vedere la loro camera da letto
immersa nella penombra di una prima alba tiepida. Sì, concentrandosi è
sicuro che potrebbe sentire quel respiro infrangersi sulla propria pelle e
incastrarsi nei suoi capelli – ma non ha tempo, Fabien sta confessando.
Che ha amato solo lui non lo dice. Che lo ama ancora non lo dice. Adesso
che tace sa che probabilmente non lo dirà mai, ma quando Ker – calma e
reticenza, cautela reverenziale, quasi stesse maneggiando una reliquia sacra
– gli porge un biglietto spiegazzato e sbiadito – è vecchio di diciassette anni,
ma non serve davvero vederlo per sapere cosa sia – Ker lo conosce,
Fabien lo riconosce – ecco il cadavere di “Noi”, ecco la scheggia che si è
conficcata nel mio cuore – Fabien piange.
S'era ripromesso di non farlo, aveva deciso di essere forte – lui, il più vile
dei vigliacchi aveva deciso di non cedere di fronte al suo carnefice
salvatore – ma non ce la fa: la scheggia impazzita può essere tolta? L'ha
scagliata lui, è stato lui a torturarlo per diciassette anni con quel colpo ben
assestato – non troppo, ad essere sinceri – può essere guarito?
Piange col cuore che gli scoppia di dolore, l'anima mutilata da quello stesso
colpo.
Ker non lo tocca – non lo perdona – allora è tutto perduto.
Singhiozza e trema molto sotto quel sole caldo, su quella panchina –
sposta il ginocchio, si fa più in là – è perduta ogni speranza, anche quella
che non sapeva di avere ancora.
Le mani nascondo il volto, i singhiozzi nascondono la voce – Ker non dice
niente, Ker non lo sceglie, Ker non lo salva!
È solo un istante – il vecchio foglio dimenticato è stato lasciato, stava
cadendo ma l'ha preso con sé il vento, non ha ancora toccato terra –
muscoli, carne, sangue, profumo di Ker – il mondo gira di nuovo nel
conforto di una stretta desiderata e inattesa: quello che Fabien ha fatto è
una scelta – ha scelto, l'ha fatto davvero.
E Ker? Ker l'ha scelto di nuovo, nonostante Fabien arrivi con diciassette
anni di ritardo?
Muscoli, carne, sangue, lacrime di Fabien – e il mondo finisce lì.
la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. (Wikipedia)
Bene, so che la storia è bizzarra, ma avevo davvero voglia di postarla nonostante i possibili errori di battitura e la probabile difficoltà di comprensione XD tra l'altro mi sembra una marea di tempo che non posto niente su questo sito, dunque potrebbero esserci degli errori di pubblicazione o roba simile, nel caso fatemi sapere! |