Fragile
Fragile (How to get to know your
son)
“Bé… quasi tutto”, fa
Skaracchio, e Stoick Haddock, detto l’Immenso, guarda il suo migliore amico,
compagno di tante battaglie, e pensa, Questa
volta è andato fuori di testa.
Suo figlio, Hiccup Horrendous Terzo,
più semplicemente Hic, unico erede della Tribù dei Bifolki Pelosi, è fra le sue
braccia, privo di conoscenza, leggero e bianco in viso come un foglio di carta,
le lentiggini ancora più evidenti del solito in quel pallore, la bocca
semiaperta, gli occhi chiusi, la tunica strappata, macchiata di sangue e fuliggine. Ha un brutto taglio sopra il sopracciglio
sinistro, una bruciatura all’angolo destro della bocca, una sul naso, e perde sangue dalle
narici. Più in basso, una ferita all’avambraccio sinistro sanguina pigramente.
Dallo strappo nella manica, Stoick può vedere che è piuttosto
profonda, ma niente di irrimediabile.
Hiccup è caduto dall’alto, da molto in alto e, malgrado la protezione
offertagli dal corpo e dalle ali della Furia Buia, potrebbe essersi fratturato qualche osso…
le costole, per esempio. O una gamba. O tutte e due. Ma niente, sommato alle
ferite più evidenti, che possa far sputare a Skaracchio, che ama il suo
apprendista come il figlio che non ha mai avuto, una battuta agghiacciante come
quella.
Le gambe.
Stoick abbassa gli occhi alle gambe di Hiccup, e lo
vede. Come aveva fatto a non notarlo prima?
Lo stivale sinistro del ragazzo
gronda sangue. Sul terreno polveroso sotto di esso si è già raccolta una piccola
pozza scarlatta. La caviglia è piegata verso l’esterno in modo innaturale, e non
è un osso spezzato quello che s’intravede sotto allo strappo del pantalone,
all’altezza del polpaccio?
“Granbestia!” chiama Stoick. “Sbrigati!”
Suo
fratello accorre, ha abbandonato ascia e scudo, e la sacca con gli attrezzi da
medico gli ciondola sulla schiena. “Eccomi.”
“Zio, che cos’ha Hiccup?”
domanda Moccicoso, che essendo suo figlio si sente in diritto di poterlo
seguire, malgrado ne sappia di medicina quanto di buone maniere.
“Vieni via,
Facciadimoccio”, Skaracchio lo prende per le spalle, fermo e gentile, e lo
spinge via, ma Moccicoso deve aver già visto abbastanza, perché Stoick lo sente
esclamare: “Ehi, che è successo alla sua gamba?”
La voce del nipote è preoccupata,
Stoick vi riconosce una nota isterica, e non riesce a reprimere un mezzo
sorriso. E’ la prima volta che sente Moccicoso preoccuparsi per Hiccup, di
solito il ragazzo si riferiva al cugino più giovane apostrofandolo come quell’incapace, o con altri epiteti
altrettanto poco gentili.
Mentre Granbestia taglia lo stivale e la gamba del
pantalone di Hiccup, Stoick sente Skaracchio ordinare ai presenti di stare
indietro. Le voci di Astrid Hofferson e Gambedipesce Ingerman s’ingarbugliano
concitate, domandano cosa sta succedendo, e Skaracchio risponde loro qualcosa di
vago sul fatto che Hiccup è ferito e deve essere medicato in fretta.
Qualcuno
scoppia a piangere, forse è proprio Astrid – è comprensibile, è una femmina, e
ha solo quindici anni. Anche Stoick però, guerriero ormai trentasettenne,
vorrebbe poter scoppiare in singhiozzi quando, una volta tolto lo stivale, il
danno alla gamba di Hiccup si presenta in tutta la sua gravità.
Stoick
l’Immenso del Clan Haddock è un Vichingo. E’ un guerriero, un condottiero, un Capo, un
cacciatore di draghi. Ha combattuto molte battaglie, ha visto molte ferite,
gravi e meno gravi; ne ha subite, anche. Ma questo è diverso. Qui si tratta di
suo figlio.
Suo figlio, che poche ore prima aveva diseredato e mandato in esilio, accusandolo di
essersi alleato con il nemico.
Suo figlio, sensibile e sarcastico, tanto
diverso da lui, che non è mai riuscito a comprendere, né fino in fondo, né
appena superficialmente.
Suo figlio, magro e gracile, coperto di lentiggini, dalle espressioni facciali tanto simili a quelle di sua madre.
Suo
figlio, il suo unico figlio, che lei,
prima di morire, gli aveva raccomandato di proteggere.
Suo figlio, che ha
attirato tutto da solo quel mostro dietro alle nuvole, e tutto da solo l’ha
combattuto e vinto.
E ora…
Skaracchio lo scuote: “Ehi, Stoick. Tutto
bene?”
Stoick annuisce.
Ma non va bene. Non va bene per niente. Il piede di suo figlio non
sembra più un piede, è gonfio come un pallone da
pallarozza, la pelle tesa fino a scoppiare, tumefatta, nera e viola e
blu e marrone, fino alla caviglia, che a sua volta è piegata
verso l’esterno, a più di novanta gradi. Ma il danno
peggiore è più su, a livello del polpaccio, dove
l’osso, spezzato, è fuoriuscito in due punti. La parte
inferiore della gamba è attaccata a quella superiore solo da un
pezzo di carne viva punteggiata di frammenti bianchi, mentre quella
superiore è marchiata da svariati, lunghi graffi sanguinolenti
che partono leggeri da sopra al ginocchio, per raggiungere
verticalmente, approfondendosi, il disastro sottostante.
C’è sangue ovunque, e l’emorragia non sembra
diminuire.
“Non c’è modo di salvare la gamba”,
sentenzia Granbestia, ma né Stoick né Skaracchio avevano bisogno della sua
conferma. “Piuttosto, sta perdendo troppo sangue. Bisogna intervenire subito.
Skaracchio, accendi un fuoco. Grankartone, cerca di tamponare questo macello con
delle bende pulite.”
Mentre Skaracchio e il giovane assistente di Granbestia
eseguono gli ordini, Granbestia prepara gli strumenti chirurgici. Attrezzi
puliti, dalle lame affilate e appuntite, assolutamente inutili in battaglia, ma
perfetti per salvare vite umane, come una volta Stoick aveva sentito dire al
fratello.
“Io farò il possibile, ma non garantisco niente”, dice Granbestia,
asciutto. Poi passa una mano fra i capelli del nipote: le punte sono
bruciacchiate. “Credo che per oggi abbia già esaurito la sua dose di fortuna. E’
stato un miracolo che non sia finito arrosto, o sfracassato al suolo.”
Stoick
allora si volta verso la Furia Buia, a pochi passi da lì. Ha perso conoscenza ed
è immobile, gli occhi chiusi. L’unico movimento è il lieve alzarsi ed abbassarsi
del suo torace nella respirazione, appena percettibile.
Hiccup si è salvato
dalle fiamme e dall’impatto con il terreno perché la Furia – Sdentato, come lo chiamava Hic – l’ha
protetto avvolgendolo nelle proprie zampe, nelle proprie ali.
Ma come ha
fatto a prenderlo, mentre precipitavano
entrambi alla velocità di chissà quante miglia all’ora?
Il muso della Furia
Buia è pulito, ma le sue zampe anteriori sono macchiate di sangue. In verità, la
bestia è macchiata di sangue un po’ dappertutto, ma sarebbe strano il contrario,
viste le ferite di Hiccup e le lesioni minori sulla schiena e sulle zampe del
drago stesso.
E quegli strani graffi...
Un dubbio, strisciante e atroce, si fa strada nella mente di
Stoick.
“Granbestia”, mormora. “Secondo te… come…”
Le parole non gli
escono. Non riesce a chiederlo. Ma suo fratello capisce. Solleva la testa dalla
gamba del nipote, dove le bende con cui Grankartone ha coperto e tamponato la
ferita sono già chiazzate di rosso, e sospira.
“La caviglia sembra spezzata di netto... forse il piede
gli è rimasto impigliato nella staffa, o qualcosa del
genere”, spiega. “Quanto al resto...” guarda la Furia
Buia, poi rivolge di nuovo lo sguardo verso Stoick. “Tutto
questo è pazzesco”, mormora. “Quel gamberetto di tuo
figlio ha addestrato un drago. Una Furia Buia.”
“Granbestia”, ripete Stoick.
“In qualche modo avrà pur dovuto afferrarlo”, sospira infine Granbestia. “Dal tipo
di lesioni, direi che l'ha fatto con gli artigli.”
Ma
Stoick non sente più le parole del fratello. Sente invece il sangue salirgli
agli occhi, accecandolo, poi alla testa, facendola girare. Non fosse perché
tiene Hiccup fra le braccia, si alzerebbe e impugnerebbe l'ascia, e…
“Se
quel gattone troppo cresciuto non l'avesse acchiappato per quella gamba e
protetto dalle fiamme”, interviene Skaracchio, alle prese con il fuoco, che
ormai crepita allegro, “tuo figlio sarebbe finito arrosto. E se non
fosse finito arrosto, ci avrebbe pensato l’impatto col terreno a ridurlo a una
polpetta.” Skaracchio alza la testa dalle fiamme e fissa Stoick, serio, alzando
la mano destra e incurvando pollice e indice a formare una c, i polpastrelli vicini fin quasi a toccarsi.
“Se non fosse stato per quel drago, di tuo figlio non ti sarebbe rimasto nemmeno
un ossicino lungo così per fargli il funerale.”
Granbestia annuisce. “Il danno alla caviglia era comunque
irrimediabile. Avrei dovuto amputare il piede in ogni caso.”
Stoick guarda la Furia Buia. Sdentato. Il sangue che ha alla testa,
bollente, sembra lentamente raffreddarsi e ritornare in circolo.
Una gamba in
cambio della vita.
Stoick non sa cosa pensare. Suo figlio ha addomesticato
una Furia Buia. Gli ha costruito qualcosa come una protesi per l’ala caudale
mozza, finimenti appropriati, e ha imparato a volare sopra di lui, come si
impara a cavalcare un cavallo.
Pazzesco.
E ancor più pazzesco, è che
Hiccup voglia davvero bene a quell’animale. E’ emotivamente, spiritualmente
legato a lui. Lo ha difeso nell’arena,
poi in seguito, durante il loro scontro nella Meade Hall, e non ha esitato a
tuffarsi nelle acque gelide dell’Oceano per salvarlo dall’annegamento.
Ma la
Furia Buia vuole bene a Hiccup? Può un demonio come quello provare sentimenti? I
draghi non sono semplici animali. Sono creature selvagge, demoniache, macchine
da morte volanti e, per quanto ne sa Stoick, non possono provare sentimenti,
tantomeno sentimenti di affetto.
Dalla gola della bestia esce un
brontolio lieve. Sdentato solleva la testa e guarda in direzione di Stoick, con
occhi color verde erba, vitrei e sofferenti, le pupille dilatate.
Stoick
aveva già guardato in quegli occhi, qualche minuto prima. E ora ha la conferma:
quell’animale non parla, ma sicuramente pensa, non come un cane o un gatto o una
qualsiasi altra bestia, ma esattamente come un essere umano, e la sua capacità
emozionale è la medesima.
Perdonami,
sembrano dirgli ora quegli occhi. Perdonami.
Era l’unico modo.
O forse è solo Stoick a volervi leggere quella muta richiesta di perdono?
“Grankartone, portami quella lastra di pietra”,
ordina Granbestia, prendendo gli strumenti chirurgici che aveva messo ad
arroventare nel fuoco. “Okay, mettila sotto alla gamba, mi serve una superficie
stabile su cui operare. Stoick, tieni Hiccup per le spalle. Skaracchio, tu
mettiti qui in ginocchio e tienigli le cosce. Non si sa
mai.”
Stoick stringe forte Hiccup, preparandosi al peggio ma pregando che il
figlio non riprenda i sensi. Il suo corpo è minuto e fragile al punto che Stoick
teme di rompergli qualcos’altro, nel caso dovesse tenerlo fermo con la forza.
Granbestia lega una striscia di cuoio a metà della coscia
sinistra di Hiccup, tanto strettamente da far sbiancare la pelle
circostante, poi versa abbondante alcol al di sotto di essa, sui graffi
e sulla frattura esposta. “Taglierò qui”, dice,
e con la lama indica il punto in cui l’osso si è spezzato,
dove ci sono solo carne sanguinolenta e frammenti biancastri.
“Sarà un lavoro veloce, l'osso è già tagliato e la parte superiore
è in buone condizioni.”
La Furia Buia si muove. A
fatica, barcollando e rantolando, si alza. Stoick, Skaracchio, Granbestia e
Grankartone la guardano stupefatti. Stoick, d’istinto, stringe a sé Hiccup
mentre Sdentato si avvicina al ragazzo, zoppicando sulla zampa anteriore
destra.
La Furia annusa la testa di Hiccup, gli da un colpo leggero sulla
fronte con il naso umido, gli lecca una guancia con la lingua rosea e biforcuta,
poi emette un lamento sommesso. Stoick e gli altri sono allibiti, incapaci di
muoversi.
Se questo demonio avesse avuto
altre intenzioni, ferito o meno, a quest’ora saremmo tutti quanti delle
frittelle.
Invece Sdentato, che ha iniziato a emettere un suono
simile alle fusa di un gatto, si acciambella vicino a Hiccup, il muso sopra alle
grosse zampe incrociate, e lo guarda con occhi apprensivi e preoccupati. In
quella posizione sembra davvero un gatto troppo cresciuto, munito di ali e
strane, buffe orecchie da coniglio.
“Tu…” mormora Stoick. “Tu… puoi capirmi?”
Sdentato solleva la testa e lo
guarda. Occhi verdi, grandi e lucidi e sofferenti e addolorati.
“Dobbiamo
fargli… una cosa brutta”, prosegue Stoick. Sta parlando con un drago, ma non si
sente affatto un idiota. Ha solo una sensazione di straniamento, come se la sua
mente fosse staccata dal corpo e potesse osservare tutta la scena a qualche
passo di distanza. “Molto brutta. Dobbiamo… tagliargli via quel pezzo di gamba.
E’ l’unico modo per cercare di salvargli la vita.”
Sdentato guaisce
debolmente, poi china la testa, riappoggia il muso sulle zampe e
sospira.
“Credo che non ci convenga tentare di allontanarlo”, commenta
Skaracchio, con un sorriso storto.
“Se resta lì, non mi da alcun fastidio”,
conferma Granbestia. “Del resto, non mi sembra ci sia altra scelta, e qui
dobbiamo sbrigarci. Allora, pronti?”
Stoick annuisce, e suo fratello inizia
a operare, veloce e preciso. In un baleno, la parte inferiore della gamba di
Hiccup è separata da quella superiore, ma il sangue, ora, esce di nuovo a
fiotti. Grankartone sposta da un lato il pezzo amputato, poi passa a Granbestia
un lungo bastone di ferro dall’impugnatura di legno, con una piastra rossa e
rovente e fumante all’estremità. Granbestia appoggia la piastra al moncherino, e
la ferita sfrigola, lo stesso rumore che fa il cibo gettato nell’olio bollente.
L’odore però è diverso, un lezzo dolciastro e metallico, di carne e sangue
umani. Stoick conosce quell’odore, lo ha già sentito parecchie volte nella sua
vita, ma ora sente lo stomaco contrarsi e ribaltarsi e spera di non
vomitare.
Contemporaneamente, Hiccup spalanca di colpo la bocca, inspirando
convulsamente in cerca di aria, tendendosi e torcendosi fra le braccia di
Stoick, che aumenta la stretta.
“Thor onnipotente”, sibila Skaracchio, che per riuscire a
tenere bloccate le gambe del ragazzo deve spostare su di esse tutto il peso del
proprio corpo.
Hiccup è piccolo e minuto, facile da tenere fermo, e resta
cosciente solo per pochi secondi. Ma Stoick sente gelare il sangue e quasi molla
la presa quando il ragazzo, con voce talmente straziata da sembrare
irriconoscibile, urla
Basta. Padre, basta,
ti prego, fa male. Fallo smettere. Ti prego, fallo smettere.
Poi,
grazie a tutti gli dei, perde nuovamente i sensi.
Sdentato alza la testa,
mugolando debolmente. Lecca di nuovo il viso di Hiccup, questa volta più a
lungo, pulendolo da lacrime e sudore e sangue e fuliggine. Poi riabbassa il
capo, appoggiandolo accanto al fianco destro del ragazzo.
Se non capisse che quello che stiamo facendo a Hiccup
è per salvargli la vita, questo demonio ci avrebbe davvero ridotti a un mucchio
di frittelle.
“Se me lo raccontassero, non ci crederei”, commenta
Granbestia, come a conferma dei pensieri di Stoick, lanciando un’occhiata alla
Furia. “Stoick, tu non dare troppo peso alle sue parole. Probabilmente,
non ricorderà nulla di questi momenti. E’ facile che non ricordi neanche di
essere caduto.”
Skaracchio annuisce. “A volte gli dei sono
misericordiosi.”
Ma a Stoick, questo non è di alcun conforto. Davvero Hiccup
aveva potuto credere che fosse suo padre a fargli del male?
Granbestia termina di medicare il moncherino, suturando dove necessario,
disinfettando di nuovo, infine
avvolgendo il tutto in bende pulite di lino bianco, fino a metà
coscia. Grankartone lo assiste, preparando e passandogli gli strumenti
richiesti, e intanto getta nel fuoco il pezzo amputato. Nell’aria
si diffonde lo stesso odore di prima, ancora più intenso e
penetrante, e Stoick sente le voci dei suoi guerrieri parlottare e
bisbigliare, qualcuno sta singhiozzando, qualcuno sta pregando. A
questo punto, devono aver capito cos’è successo al figlio
del Capo.
“Ora vediamo cos’altro c’è da
sistemare”, fa Granbestia, e inizia a tagliare la tunica di
Hiccup per esaminare il corpo del ragazzo. Continua a lavorare
sul nipote per un tempo che a Stoick sembra interminabile, in
silenzio, impartendo ordini a Grankartone di tanto in tanto. Hiccup ha
tagli e ferite e ustioni e contusioni più o meno gravi un po'
dappertutto. Ha picchiato la testa, e il taglio che ha sopra il
sopracciglio sinistro è solo la cima di un grosso bernoccolo.
Granbestia pulisce il taglio, dice che guarirà da solo e applica
un unguento sulla zona gonfia e livida tutto intorno, fin sotto
all’attaccatura dei capelli, e infine gli benda la fronte. La
ferita all’avambraccio sinistro è piuttosto profonda, e
Granbestia la sutura con una decina di punti, poi la disinfetta e la
fascia. Un’ustione sul fianco destro è parecchio estesa,
parte dal bacino e arriva fino al torace, ma per fortuna è solo
superficiale e Granbestia vi applica una pomata verdastra e
trasparente, prima di bendarla. Sempre sul lato destro, le prime
quattro costole sono incrinate, la pelle che le ricopre è
gonfia, tumefatta e violacea, e Granbestia sentenzia che le uniche cure
per questo tipo di contusione sono riposo, tempo e pazienza. La gamba
destra, fortunatamente, è illesa, eccetto qualche lieve
bruciatura sulla coscia, un livido sul ginocchio e uno sgraffio sullo
stinco.
Stoick non riesce a
distogliere lo sguardo dal busto nudo del figlio: il ragazzo è davvero scarno e
ossuto, le costole sporgenti, il ventre incavato, le spalle esili, le braccia
come ramoscelli. Gli avambracci sono coperti da vecchie cicatrici, perlopiù
bianche e sottili, che si mischiano alle lentiggini: deve essersele procurate
lavorando nell’officina di Skaracchio.
Da vestito, era evidente che Hiccup
fosse molto magro, il suo corpo fluttuava negli abiti, sempre troppo grandi per
lui… ma Stoick non si era mai reso conto che lo fosse così tanto. Diamine, lui alla sua età lo
superava in altezza di tutta la testa, e pesava almeno il doppio.
Da quanto
tempo era che non lo vedeva senza vestiti addosso?
E da quanto tempo non si
preoccupava che il ragazzo si nutrisse regolarmente? Hiccup era nato prematuro
ed era sempre stato piccolo e gracile, ma ora sembrava addirittura denutrito,
parecchio indietro rispetto al normale sviluppo di un ragazzo della sua età. Non
aveva nemmeno un accenno di barba e baffi sul viso, i suoi lineamenti erano
ancora quelli arrotondati di un bambino, e non fosse stato per la voce, che gli
si era abbassata circa un anno prima, anziché un Vichingo adolescente di quattordici
anni compiuti, in procinto di diventare un guerriero, sarebbe sembrato un
bambinetto di dieci.
Ammettilo, Stoick: da
quanto tempo è che non osservi tuo figlio?
Stoick sente un nodo alla
gola. Non riesce a rispondere a quella domanda, perché non ha la più pallida
idea della risposta. E’ talmente tanto tempo che non osserva il suo unico figlio
che non ricorda l’ultima volta che l’ha fatto.
Che razza di genitore sono mai stato?
Ci credo che ha creduto che fossi io a fargli del male. Averlo
diseredato e bandito è stata solo la punta dell'iceberg. Per
quattordici anni... l'ho trattato come una noia. Come il singhiozzo che
ho sempre pensato che fosse.
Ma gli voglio bene. Gli ho sempre voluto bene... l'ho sempre amato, almeno quanto amavo sua madre.
Un modo un pò strano per dimostrarglielo, non trovi?
“Ehi”, fa Skaracchio.
“Non sapevo che fosse… così magro”, si lascia scappare Stoick.
“E’ un singhiozzo”, ribadisce
Skaracchio. “Uno stuzzicadenti per draghi… che ha finito per addomesticare
nientepopodimeno che una Furia Buia e ammazzare quel… quel… coso. Quella Morte Verde.”
“Non so più cosa pensare”,
sospira Stoick.
“Nemmeno io”, conviene Skaracchio. “Ma tu pensa che sei
orgoglioso di lui.”
“Sono stato un pessimo genitore.”
“Nah. Tu e lui siete
incompatibili. Era difficile che tu riuscissi a fare di meglio, come suo padre…
ed era difficile che lui riuscisse a fare di meglio come tuo figlio.”
“Io gli
voglio bene”, esclama Stoick, piccato. “Gli ho sempre voluto bene!”
“Certo. E anche lui te
ne vuole. Te ne ha sempre voluto. Uno dei suoi desideri più grandi era
diventare come te.”
“Meglio di no”, sbuffa Stoick con un sorriso. “Di Stoick
Haddock al mondo ne basta e avanza uno solo.”
Skaracchio
ridacchia.
Credits: "Fragile" è una canzone di Sting.
Disclaimer:
I personaggi di Hiccup Horrendous Haddock Terzo, Stoick l'Immenso, Skaracchio
Ruttans, Granbestia Trippadibirra, Moccicoso Facciadimoccio, Astrid Hofferson,
Gambedipesce Ingerman, Grankartone, nonché Sdentato e Morte Verde (che poi nel
film viene chiamato Morte Rossa) appartengono a Mrs. Cressida Cowell e
DreamWorks.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua
proprietà, mi creda se gli dico che non l'ho fatto apposta, e spero non si
offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo
di lucro.
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