2.
“Questa mattina è cominciata proprio con il piede
girato a centottanta gradi” pensò Clio affaticata
mentre l’autobus che avrebbe dovuto prendere le sfrecciava
davanti. E non aveva di certo tutti i torti. Con una battaglia
all’ultimo sangue con la sveglia, una fetta biscottata con la
marmellata finitale sui pantaloni, e un cambio d’abito
all’ultimo secondo, quella era proprio la goccia che aveva
fatto traboccare il vaso in cui avrebbe dovuto essere contenuto il suo
buonumore.
La giovane cercò di non pensarci, controllando quale sarebbe
stato il prossimo bus rosso a passare, e a malapena soffocò
un gemito di frustrazione. “Tra quattordici minuti? Io non ce
li ho quattordici minuti” mormorò amareggiata, al
solo pensiero di ciò che l’avrebbe aspettata:
un’intera mattinata a farsi demolire la tesi dal suo tutor,
con tanto di battutina velenosa in omaggio.
“Posso dire che questa sarà la giornata migliore
della mia vita” stava riflettendo sarcastica, quando
improvvisamente si piazzò davanti a lei il bus a due piani
che stava disperatamente aspettando.
“Wow, beh, forse potrei ricredermi, no?”
sussurrò tra sé e sé ottimista, mentre
un ragazzo le finiva addosso in uno scontro frontale.
“Perché non guardi dove vai?” disse
glaciale il giovane, che notai essere molto affascinante, con una
chioma di capelli corvini ordinati e un paio d’occhi
altrettanto scuri, in contrasto con la carnagione molto pallida.
“Sei tu che mi sei venuto addosso”
ribatté la ragazza salendo sull’autobus, pensando
ad un tratto che quel viso le era familiare, “e poi
esisterebbe l’educazione, non te l’hanno
insegnato?” concluse, mentre le porte si chiudevano.
“Giovani moderni …. Non sanno proprio come
comportarsi” riflettè amara la giovane,
sistemandosi i capelli castani legati in una lunga treccia,
“eppure mi pare di averlo già visto …
bah, sarà la mia memoria fotografica” concluse
mentalmente, sapendo che ogni volto nella sua testa occupava un preciso
cassetto, ritornando a galla ogni qualvolta rivedesse qualcuno
già registrato. Sicuramente quel ragazzo le era passato
davanti durante una passeggiata, oppure aveva aspettato di attraversare
la strada con lei un pomeriggio qualsiasi. Ma certo, era sicuramente
così.
Come temeva la mattinata fu un vero inferno, e fu con un sentimento di
sollievo che tornò a casa sua, pronta per preparare il
pranzo. Si accorse che qualcosa non andava quando trovò
l’uscio dell’appartamento socchiuso. “Un
ladro” pensò istintivamente, recuperando dalla sua
enorme borsa lo spray al peperoncino che teneva sempre con
sé, persino sotto il cuscino. Prendendo un bel respiro
profondo per mantenere la lucidità spostò con il
piede, senza fare rumore, la porta, ed entrò a passo
felpato, nascondendosi in un angolo del corridoio d’entrata,
e cercando di carpire qualche rumore.
Sentì un tonfo in camera sua, come di libro caduto dalla sua
libreria, e, azzardando uno sguardo verso la camera interessata,
notò che dalla porta usciva uno spiraglio di luce. Si
arrischiò a continuare l’avanzata, cercando di
trattenere il respiro, e proprio quando si trovava di fronte
all’uscio, la porta venne a perta di scatto, rivelando
l’intruso.
Non ebbe un attimo di esitazione, e con una prontezza degna di Jackie
Chan assestò al malcapitato un calcio nei gioielli di
famiglia dopo avergli spruzzato una buone dose di spray sugli occhi. Si
aspettava quasi che il malfattore la bloccasse, o le puntasse
un’arma alla gola, ma non fece nulla di tutto ciò.
Mentre con una mano si copriva gli occhi e con l’altra si
massaggiava la parte lesa dal calcio, mormorò on voce
strozzata: “Ma che diamine fai? Io sono Harry
Potter!”
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