Poco più di una settimana ed eccomi con il secondo capitolo
della mia storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto il primo capitolo e ancora
più coloro che hanno avuto la gentilezza di commentare.
Onestamente, è più di quel che mi aspettavo.
Prima di lasciarvi al capitolo, vorrei chiarire alcune cose.
L'idea prima della storia è quella di raccontare dal punto
di vista di Ron ed Hermione quei pochi giorni trascorsi tra l'invito
alla festa di Lumacorno e il litigio tra Ron e Ginny. Di essi
non sappiamo praticamente niente, a parte il fatto che i due erano un po' più gentili
del solito l'uno con l'altra, che poi è quello
che nota Harry.
L'idea è che dopo un evento come l'invito alla festa ci
fosse molta aspettativa nell'aria tra loro, ma anche una certa
preoccupazione. Mi sono chiesta come si sentivano Ron ed Hermione
all'idea di avere un vero e proprio appuntamento. Questo fatto aveva
cambiato qualcosa nel loro modo di rapportarsi?
Ecco, è questo che cerca di indagare questa storia,
lasciando molto spazio all'introspezione come già avete
avuto modo di vedere.
Nel secondo capitolo toccherà a Ron, di ritorno
dall'allenamento di cui ci ha informato Hermione, riflettere su alcune
cose, ma non voglio anticiparvi nulla.
Buona lettura, e appuntamento alla fine del capitolo per alcune
considerazioni e i ringraziamenti.
_____________________________
2. Ron
La normalità
delle cose
Ron si buttò a peso morto sulla panca. Era ancora presto per
la
cena, eppure il suo stomaco aveva iniziato a brontolare già
da
un po’. Si tolse con calma i guantoni da portiere e si
passò una mano tra i capelli sudati.
Accanto a lui Harry, in piedi, con la scopa ancora in mano, non la
smetteva più di parlare.
“Non è per per fare il guastafeste, amico, ma ti
scongiuro, per oggi basta Quidditch... Le mie chiappe non riuscirebbero
a sopportarlo!”
Harry rise e si sedette a sua volta sulla panca di fronte. Erano gli
unici ad essere rimasti nello spogliatoio visto che il resto della
squadra era già rientrato al castello.
“E dire che io pensavo ti piacesse parlare di
Quiddich!” disse Harry con un sorriso mentre ripuliva gli
occhiali.
“Lo sai che mi piace” ammise Ron, “ma tre
ore di
allenamento speciale a cavallo di una scopa ti aiutano a riconsiderare
le tue priorità, capitano..”
Harry ridacchiò e inforcò nuovamente gli
occhiali.
“Lo so che sono pressante certe volte,” disse poi
tornando
serio, “ma voglio che la squadra sia al massimo al prossimo
incontro...”
“E’ logico che tu lo voglia. Sei il capitano,
no?” lo
interruppe Ron. “E comunque è quello che vogliono
tutti in
squadra, non preoccuparti. Non è certo a causa del tuo
fascino
magnetico che ci siamo allenati come matti con questo
freddo...”
Harry sorrise e scosse leggermente il capo.
“Non è come al solito, sai?” aggiunse
dopo un attimo
di silenzio. “Voglio dire, non è come gli altri
anni.
Insomma, è chiaro che se una squadra vince o perde
è per
merito di tutti i giocatori, ma essere capitano ti rende
più...
non so... più responsabile, ecco, e la vorrei davvero quella
coppa, Ron....”
Ron annuì. A dire il vero, tutto il Grifondoro la voleva.
“E poi...” proseguì Harry,
“non è solo
questo... Hermione direbbe che sono pazzo, ma... con tutto quello che
sta succedendo fuori da qui, io ho l’impressione che questa
cosa,
il torneo, sarà l’ultima cosa normale che
farò...”
Ron guardò il suo amico, che tuttavia volse lo sguardo
altrove. Non aveva difficoltà a capire a cosa si riferisse.
“E’ per via delle lezioni di Silente?”
Harry tornò a guardarlo e annuì.
“Silente mi sta
mostrando il passato di Voldemort. Evidentemente crede che possa
essermi utile. E’ come se mi stesse preparando ad
affrontarlo,
capisci? Non so cosa succederà in futuro, ma la situazione
è sempre più critica là fuori ed io ho
come la
sensazione che molto presto dovrò smetterla di nascondermi
dietro quelli che mi proteggono e darmi da fare.”
Ron non rispose subito. Osservò l’espressione
decisa di Harry.
La situazione
è sempre più critica là fuori.
Già...
Dopo la loro avventura al Ministero nel giugno precedente la gente
aveva dovuto ammettere che il mago oscuro più crudele di
tutti i
tempi era effettivamente tornato e tutti erano diventati più
sospettosi e impauriti. Le voci su Harry si erano moltiplicate e molti
lo indicavano come ‘il Prescelto’, colui che era
destinato
a sconfiggere Voldemort.
Lui ed Hermione ne avevano parlato a lungo quell’estate.
Erano
sempre stati al suo fianco quando lui aveva avuto bisogno di loro, ma
adesso... Se Harry davvero era il Prescelto, allora non aveva scelta,
non avrebbe mai avuto un’esistenza normale e se loro avessero
voluto continuare ad essere suoi amici... bè, allora nemmeno
loro avrebbero potuto continuare a vivere come se niente fosse.
In qualche modo, però, era proprio quello che stavano
facendo in quelle settimane.
“Senti Harry,” iniziò incerto Ron,
mentre il suo
amico si alzava, intenzionato ad andarsene, “le cose sono
cambiate, e forse cambieranno ancora in futuro, ma... Io credo che
abbiamo tutti bisogno di pensare che possiamo ancora avere la nostra
normalità.”
Harry l’osservò in silenzio, fermo sulla porta
dello spogliatoio.
“Hai visto Diagon Alley l’altro giorno?”
continuò Ron, fissando lo sguardo su Harry. “Tutti
correvano in fretta e furia, come se non vedessero l’ora di
tornarsene a casa, e tutto era grigio e triste in un modo... Mi ricordo
la prima volta che ci sono stato, con mio padre, quando ero piccolo. Lo
sai cosa mi colpì?”
Harry scosse il capo.
“I colori,” rispose prontamente Ron, “e
le voci.
Tutti continuavano a vociare ininterrottamente e non facevi altro che
vedere gruppi di persone ferme a chiacchierare tra loro. Adesso,
invece...”
“E’ un mortorio...” finì Harry
per lui.
Ron annuì. “Sembra che tutti abbiano paura che da
un
momento all’altro Tu-Sai-Chi possa sbucare da dietro un
angolo e
attaccarli. E magari è davvero così,
però...” Ron fece un piccolo sospiro e
guardò fisso
il suo amico. “Però, Harry, non lo so se si
può
vivere così... Forse hanno ragione Fred e George a
scherzarci
su, anche se la mamma rabbrividisce all’idea, ma non si
può pensare di passare tutto il tempo a preoccuparsi di
quello
che potrebbe succedere domani o tra dieci secondi. Rischi di impazzire,
sennò... E questo vale anche per te, amico, anche se tu
sei...
bè, quello che sei...” concluse con un gesto
eloquente.
Harry sorrise un po’. “Già... E forse
una buona
volta dovrei smetterla di preoccuparmi di quello che combina
Malfoy...”
Ron sorrise a sua volta, mentre l’amico sistemava per bene il
mantello sulle spalle.
Sarebbe bello se tu ci
riuscissi, Harry.
“Allora,” disse Harry dopo
un attimo di silenzio, “torniamo al castello?”
Ron alzò le spalle. “Inizia ad andare. Ti
raggiungo tra un po’.”
Harry annuì e lo salutò con un cenno della mano,
chiudendosi la porta dello spogliatoio alle spalle.
Rimasto solo Ron si mise in piedi. Posò i guanti che aveva
in
mano sul tavolo al centro della piccola stanza e si avvicinò
alla finestra che dava sul campo di Quidditch. Ormai il sole era quasi
del tutto calato oltre l’orizzonte e da lontano si scorgevano
le
luci del castello.
Diede le spalle alla finestra, guardando il piccolo spogliatoio senza
realmente vederlo.
Quando quell’estate si trovavano a parlare del futuro, lui ed
Hermione, avevano la certezza che molte cose sarebbero cambiate al loro
ritorno a scuola. Si erano chiesti come avrebbe reagito Harry, dopo
quello che era successo al Ministero e si erano detti di stargli
vicini, perché la morte di Sirius era stata davvero un duro
colpo per lui. Si erano addirittura trovati a pensare che il loro amico
avrebbe tentato di cercare Voldemort o Bellatrix, o entrambi, per
fargliela pagare. Alla fine si erano detti che, qualunque cosa fosse
successa, loro avrebbero fatto di tutto per proteggerlo, anche da se stesso
se necessario (erano state parole di Hermione, queste, e lui aveva
annuito, convinto).
Poi le cose erano andate diversamente.
Harry sembrava aver preso abbastanza bene la morte di Sirius e di punto
in bianco aveva confessato loro quel terribile segreto... la Profezia.
Certo, pensare che era stata la Cooman a pronunciarla un po’
lo
faceva sorridere – e dire che loro l’avevano
ritenuta
un’impostora per tutti quegli anni! – ma solo un
po’.
In realtà era una cosa orribile quella che aveva predetto.
Ron
sperava con tutto il cuore che non dovesse finire per forza
così.
Poi erano tornati a scuola, come tutti gli anni, e avevano ripreso la
loro vita di sempre, o almeno cercavano di non pensare al fatto che
ogni giorno, nel mondo reale, qualcuno scompariva e non dava
più
notizie di sé. Ad Hogwarts, in fondo, tutto era rimasto
normale
e anche se l’incidente di Katie Bell aveva fatto molto
scalpore,
sembrava che nessuno volesse davvero prendere in considerazione il
fatto che, ormai, nessun luogo fosse più sicuro.
Ron ricordò l’orologio che stava in cucina, alla
Tana, e
che da mesi segnava ‘pericolo mortale’ per tutti i
membri
della famiglia. Era rimasto sconvolto all’inizio, ma quando
lo
aveva raccontato ad Hermione lei, senza fare una piega, gli aveva fatto
notare che, a pensarci bene, non era affatto una cosa strana visto che
in fondo erano in guerra e che, anche se la situazione sembrava
tranquilla, sotto sotto non lo era per niente.
Hermione e la sua razionalità... Si era chiesto come potesse
affermare una cosa del genere con tanta tranquillità. Non
mostrava il minimo segno di incertezza, certe volte, quella ragazza.
Ron scosse la testa e strizzò forte gli occhi, come a voler
scacciare un cattivo pensiero.
Possibile che in un modo o nell’altro finisse sempre per
pensare a lei?
Sospirò e controllò l’orologio. Forse
era giunta l’ora di tornare al castello.
In fondo era quella la normalità, no? Lezioni, allenamento,
cena, studio.
Lezioni.
Allenamento.
Cena.
Studio.
E ancora così, all’infinito e senza paranoie
mentali finchè potevano permetterselo.
Ron si staccò dal muro e prese i guanti che aveva
abbandonato
sul tavolo. Poi afferrò il mantello e se lo
sistemò con
cura sulle spalle, lo sguardo rivolto alle luci lontane del castello.
Non potè fare a meno di chiedersi se lei fosse
già a
cena, visto che a quell’ora era probabile che avesse smesso
di
studiare per scendere in Sala Grande.
Istintivamente si ritrovò ad inghiottire. E se avesse
accennato a quello che si erano detti quella mattina?
Ron si impose di non pensarci e afferrò invece la scopa che
aveva lasciato poggiata alla parete dello spogliatoio. Quando la
spostò vide una minuscola scritta graffita che non aveva mai
notato prima.
Delle iniziali, racchiuse in un cuore.
H.G.
Sotto c’era una data.
04/14/1986.
Ron sbuffò.
Non. È.
Possibile.
Uscì dallo spogliatoio in gran fretta e si
ritrovò
all’aperto. Rabbrividì nel freddo della sera e si
incamminò a passi svelti verso il castello, stringendo forte
il
bavero del mantello davanti alla faccia per proteggersi dal vento
gelido.
La sua doveva essere una specie di maledizione, non c’erano
dubbi: in qualche modo, non sapeva nemmeno lui come, forse proprio per
merito dell’allenamento estenuante di Harry, era riuscito a
non
pensare ad Hermione e alla loro strana conversazione per tutto il
giorno, e adesso, proprio quando sapeva che l’avrebbe rivista
di
lì a pochi minuti, tutto, tutto, persino una
sconosciuta giocatrice di Quidditch di dieci anni prima, finiva per
fargliela tornare prepotentemente in mente.
Accellerò il passo, mentre un piccolo sorriso gli si formava
sul volto, suo malgrado.
In fondo era sempre stato così, non doveva stupirsene. Lei
aveva sempre invaso i suoi pensieri.
Sempre.
Dopotutto, pensò, anche quello era normalità.
Continua...
_________________________
Nota al capitolo:
Innanzittutto, il titolo. La normalità
delle cose
si riferisce ovviamente al fatto che tutti vorrebbero vivere una vita
normale, senza pensare continuamente allo stato di guerra in cui ormai
il mondo magico è caduto, e che i primi a volerlo fare sono
proprio i nostri protagonisti. Spero vivamente che la piega che
assumono i pensieri di Ron in questo capitolo non vi abbia lasciato
troppo perplessi. E' probabile che vi aspettaste una riflessione
sull'invito o la messa in scena dei suoi dubbi al riguardo, come avevo
fatto con Hermione. L'idea originale era quella, ma poi mi son detta
che crogiolarsi nei pensieri è tipico di Hermione, ma non di
Ron, e così il capitolo ha preso una piega diversa, molto
più puntata sull'attualità, se vogliamo.
Del resto è un pò questo il carattere del Principe Mezzosangue.
All'inizio l'atmosfera è cupa, insicura, tesa (pensate alla
visita a Diagon Alley, a cui accenna qui Ron), poi nel resto del libro
questo sensazione di perde. Harry rimane sempre sospettoso di Draco,
per esempio, ma anche lui si lascia trascinare da quella sorta di gaia
normalità del libro, da commedia romantica, fino, poi, alla
tragedia finale.
La mia storia, invece, è abientata nei primi capitoli del
libro, i ragazzi sono arrivati relativamente da poco a scuola e il
contrasto tra il dentro e il fuori, a mio modo di vedere, poteva
lasciare un pò spiazzati, nonostante si cercasse di non
pensarci, come succede a Ron. Vedrete, comunque, che non
è l'unico.
Ma la normalità
delle cose si riferisce anche al fatto che,
nonostante tenti di impedirlo, i pensieri
di Ron finiscono sempre, inevitabilmente, per confluire su Hermione che
è presente in ogni situazione e attimo della sua vita, dalla
discussione estiva prima dell’arrivo di Harry, ai compiti da
fare, alle lezioni da seguire... Fino a quel casuale quanto inaspettato
graffito sulla parete dello spogliatoio...
La parte, se volete, più squisitamente romantica (e spero
non banale) del capitolo.
Infine ringraziamenti:
*Carli*:
Felice che l'idea ti sia piaciuta. Spero che continui a
piacerti anche con questo secondo capitolo ^_^
daniel14: Ma
mille grazie dei complimenti! Sono contenta che ti sia piaciuto il
primo capitolo. Fammi sapere se col secondo ho azzardato!
Gluck88:
Eccoti il secondo capitolo. Piaciuto? Grazie dei complimeti anche a te!
Rik Bisini:
Bè, mi ha fatto molto piacere ricevere la tua recensione. Ed
hai ragione lo spunto è interessante, ma è
davvero una sfida, anche perchè, come tu sai bene, nei
missing moment si deve sempre fare attenzione a non forzare le cose e
le sensazioni in vista di quello che accadrà dopo. E' per
questo che vedrai Ron ed Hermione molto cauti l'uno con l'altra.
Riguardo la domanda che mi fai, credo di aver già risposto
al'inizio. No, l'allenamento a cui si accenna nel primo
capitolo non
è quello del litigio con Ginny. Anzi, la mia
storia nemmeno ci arriverà a descrivere quel litigio
nè tutto il patatrac che avviene dopo. Si ferma molto prima,
in modo da giustificare il pensiero di Harry che i due tra loro erano
più gentili del solito.
egip:
Particolare, eh? Credo possa stare per originale e ne sono felice.
Sì, tutti i kicker hanno sognato per poche righe quello che
poteva succedere. Fai conto che quelle poche righe, nella mia storia,
si siano trasformate in parecchie pagine di attesa.
Grazie ancora a tutti, alla prossima settimana.
Baci,
patsan
|