Control.

di GigyMorrison
(/viewuser.php?uid=176275)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Un marciapiede di cemento sotto un arco di glicini in fiore, che si staglia contro un cielo uggioso e umido, odorante di marcescenze e fiori defunti.

Io, imprigionata in una cabina ambulante, un carro bestiame infame, odorante di sudore e angoscia e non so quale disperazione.

Ah, quanto sono ora attaccata alla vita!

Il presente mi sfreccia accanto senza tangermi; io esisto in un'esistenza parallela e ostinata, ottusa in una dimensione di disumana ordinanza, che assume una parvenza di autentica vita nel momento in cui compio l'atto che in potenza la dona, mentre percepisco una minima ferita in me che il mio amante cura con baci osceni, mentre le mille minime ferite fisiche e mentali del mio corpo riprendono a sanguinare dissanguandomi.

Sento lo scorrere del Tempo pesarmi come un macigno sul cuore e le spalle, curvarmi come un vecchio bramino rinsecchito e macilento, nonostante il mio corpo sia florido e odorante di un'adolescenza che ancora m'attanaglia nelle sue spire.

Sento la giovinezza correre via, lontano, verso una destinazione a me ignota, un corpo e una mente più sani e spensierati, tediata da ciò che mi fiorisce in testa; e io la lascio andare, guardandola allontanarsi indifferente, salutandola con occhi vacui e il gesto di una mano.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1801356