“Lei ti sta cercando...” una voce flautata e
leggera, quasi aspirata aveva appena pronunciato quelle parole in un
mondo verde.
Nell'aria si sentiva l'odore della vegetazione viva, dei fiori che
sbocciavano felici e sani, legati artificialmente ad un ambiente
meticolosamente controllato.
Due figure parlavano serene sotto un salice piangente sulla riva di un
piccolo laghetto artificiale nel parchetto della corte.
Una grande e massiccia era coricata nell'erba fresca, la testa rialzata
grazie alle mani intrecciate dietro la nuca, come una ciotola per dei
fili d'oro liquido, gli occhi azzurri come lapislazzuli scintillavano
nella luce calda del pomeriggio; appoggiato al tronco fresco
dell'albero il ragazzo dai rossi capelli, il volto bianco che avrebbe
riflesso la luce come fa la neve nei giorni di sole d'inverno.
Uno sbuffo profondo e Thor con uno scatto contrasse il busto e
slanciò le braccia per alzarsi e fissare la figura vicino a
lui.
“Non sei il primo che me lo dice...”
sussurrò triste, il busto si era flesso in avanti, le mani
sulle ginocchia e il volto puntava l'erba. Sembrava quasi si fosse
contratto su se stesso, pressato da un pensiero troppo grande anche per
la forza di un dio. Quelle spalle immense sembrano vetro schiacciato
dall'ossessivo peso di una mancanza.
“Solo che...” provò a dire qualcosa di
più, ma le parole morirono in gola, o forse non c'erano per
uno che era dedito alla lotta: non un combattimento stupido e
forsennato, svuotato di ogni utilità, avvinghiato alla mania
dell'onore e dell'oppressione del debole; ma uno dedito alla fiera e
strenua difesa di un bene superiore, cristallino e vivo, tanto puro da
essere fragile.
“Solo che?” chiese dolcemente l'altro ragazzo.
“Sono un armadio, io non so come esprimermi... Servirebbe
Loki, lui si che...” e altra tristezza calò in
quei occhi puri, contaminandoli ed estinguendo la luce di cui
brillavano.
“Tuo fratello. Direi di lasciarlo da parte ora. Thor lei ti
sta cercando e ti troverà...”, il ragazzo
provò a rincuorare il giovane dio, che con uno scatto
posò i suoi occhi sul cielo.
“Dici?”
“Direi che sarebbe una stupida a non cercare uno come
te” e si mise a sghignazzare. Le risa aprirono un sorriso
flebile ma vero, increspando la bionda barba e partorendo fini rughe di
gioia.
“Da quello che so eri una persona leggermente arrogante prima
di conoscerla...”
“Si abbas... ma chi te lo ha detto?” e con uno
scatto il dio si levò in piedi e scherzosamente
mostrò un pugnò aggressivo al ragazzo.
“Bah, bah, principalmente i sogni...”
tergiversò il più piccolo, sostenendo lo sguardo
dell'interlocutore con due occhi nocciola pieni di serietà.
“Si certo i sogni...” disse con un sorriso sghembo
il dio biondo.
“Te la cavi bene nel fango...” e questa frase
spense il ghigno scherzoso dell'uomo, suscitando in lui una forte
curiosità.
“Puoi come Haindall vedere tutto?” chiese
interessato.
“Se mi paghi, certo...”
“Per tutti gli dei! Un favore puoi farmelo?”
“Ehm direi di no, ogni cosa che posso donare ha un prezzo...
Un augurio però non costa nulla” e un sorriso
timido si velò sul volto bianco ancora steso sotto l'ombra
fresca dell'albero.
Il dio spento da quella rivelazione sbuffò e si
lasciò cadere sull'erba a braccia aperte.
“Ventiquattro ore”, fu un sussurro che profumava di
frutta matura, bella, succosa.
“Che?” borbottò il dio.
“Ti posso mandare da lei ventiquattro ore, naturalmente non
è gratis”
“Il Bifrost è distrutto, non posso andare da
lei...”
“Ma ci sono tante vie che collegano i mondi, e non
è difficile aprirne una” furono parole dette col
sorriso ma estremamente serie.
“Sarebbe un sogno... Lo farei a qualunque costo...”
sussurrò il dio lasciandosi cullare dalla brezza fresca, il
calore dei raggi e il profumo dell'estate di Asgard.
“Salutami Jane...” non sentì altro, a
parte il frastuono delle macchine che strombazzavano ad un uomo steso
in mezzo ad un incrocio di una cittadina sperduta nel polveroso Texas.
“Hei biondino, pensi di fare un pic nic
sull'asfalto?” il grido di un guidatore trapanò il
timpano del giovane che si ritrovò davanti allo spiazzo dove
Jane viveva, prima di partire per cercare non un dio, ma l'uomo della
sua vita. Era spaesato: nessuna roulotte, un edificio di trasparente
vetro completamente spoglio e lei non era la sul tetto a fissare il
cielo, a rendere compatibili i dati sulle particelle o solo a ridere
con lui. Salì per la scaletta e si trovò su quel
terrazzo pieno di ricordi, pieno di emozioni. Mentre fissava un sole
che sorgeva, sentiva ancora il calore del fuoco sul volto, le scintille
nei muscoli quando la pelle si increspava in un sorriso e viveva ancora
quello sguardo pieno, curioso, che due occhi da cerbiatto, vivo, forte
e coraggioso, avevano posato su di lui quella notte, mentre lui
parlava, raccontava un modo nuovo di vedere le cose.
Quello sguardo, quegli occhi e la sua risata; la vedevi e pensavi ad
una povera dama indifesa, invece sotto la pelle era un torrente in
piena, potente, incontrollato che puntava solo a gettarsi nel mare. Lei
non c'era più, ma lo stava cercando.
“Fortuna che mi stava cercando!” urlò in
preda alla disperazione, le braccia spalancate al cielo. Forse si
aspettava un tuono, un segno, qualcosa.
Una vecchietta di passaggio si fermò notando il
bell'imbusto:”Cerchi qualcuno caro?” disse con una
voce coriacea.
“Jane Foster, abita ancora qua?” urlo alla vecchia
che guidava un enorme tir.
“Oh caro, quella ha fatto le valigie appena la
città è stata rasa al suolo. Mica scema. Quel bel
faccino non gira da queste parti da un bel po'”, la donna
abbassò gli occhiali da sole e dopo un ammiccamento
ingranò la marcia e partì.
“Fortuna che dovevo passare ventiquattro ore con
lei!” tuonò il dio, fissando un cielo che si era
scurito velocemente.
“Heimdall è più affidabile di
te!” e così dicendo venne giù la
pioggia.
“Grazie” sbuffò e saltò nel
vuoto piombando nel parcheggio, non fece mai in tempo a mettere i piedi
a terra che si trovò sbalzato di lato.
La macchina inchiodò, si aprì una portella e una
vocina dolce iniziò a squittire:”Oddio scusa,
scusa, scusa, non ti avevo...” e li si fermò. Una
giovane castana era ferma davanti al cofano a fissare Thor steso a
terra.
Non disse nulla. Il giovane si voltò, era steso a terra, un
po' intontito, ma non avrebbe potuto non riconoscere quella voce.
Rimase li a fissarla nella luce del sole che sorge, un nuovo giorno che
nasce, una nuova gioia che cresce.
“Tutti mi dicevano che mi cercavi, ma penso volessero dire
che volevi investirmi di nuovo” sussurrò con un
ammaliante sorriso sghembo.
Lei era ancora li ferma, in piedi a fissarlo, a pregare che quello che
la sua retina captava non fosse un miraggio della tequila, non fosse
uno scherzo della sua mente.
Poi smise di vederlo: le lacrime si fecero talmente grandi e dense da
offuscare e bruciare ogni immagine. Tutto divenne nebbia, un alone che
imperla l'atmosfera celando e risucchiando ogni dettaglio. Oddio, lei
pregava che quella nebbia coprisse tutto, divorasse ogni immagine,
ricordo e ciò che aveva appena visto. Perché lui
non poteva essere li; e invece sentì il suo respiro, le sue
grandi mani prendere la sua fragile e il solletico della barba sulle
nocche.
Le scappò un riso imperlato di acqua salata e il viso si
contrasse; due morbidi polpastrelli, caldi come il sole, dissiparono
quella nebbia e lo vide davanti a se. Era arrivato il suo arcobaleno.
“Jane...” sussurrò con la sua voce di
miele, e non finì mai quella frase perché le
labbra secche della donna che amava zittirono quelle inutili parole. Un
bacio non sensuale, non erotico, ma un bacio di chi ha appena visto la
propria disperazione colare via e scomparire.
Balzando lei aprì la portella della macchina e spintonandolo
lo fece salire in macchina, corse al suo posto e ingranò la
marcia. Le ruote sfrigolarono sull'asfalto fischiando di gioia e Jane
partì. Uscì dal rudere di quella città
a velocità folle con un sorriso idiota stampato in volto.
Thor non disse nulla, la guardò solo sconvolto, tanto da
rischiare una paresi di un sopracciglio che svettava sopra l'altro.
“Jane...” disse dolce.
“Io... Io... stavo, si” la ragazza parlava a
scatti, presa da il sacro fuoco della passione, e ad ogni parola o
sbatteva le mani sul volante o se le passava nei lunghi capelli.
“Si. Si... Dovevo passare a disdire una cosa, ma sai che ti
dico?” e fissò con uno sguardo da spiritata Thor
che per tutta la risposta lentamente le
chiese:”Cosa?”.
E come una mina che brilla inchiodò la macchina,
spalancò le braccia e
urlò:”CHISSENEFREGA!”. A quel punto il
dio si allacciò le cinture si sicurezza e con estrema
lentezza parlò alla donna che ancora ansimava e lo folgorava
con uno sguardo pieno di gioia:”Jane. Ho solo ventiquattro
ore...” a sentire quelle parole, la poveretta si
smontò come un soufflè.
Gli occhi si intristirono:”Vedi, il bifrost è
andato distrutto. Tutto bene la, e ecco... Sono stato mandato qua solo
per un tempo limitato, e penso ad un costo estremamente
elevato”.
“Non potevi chiedergli di più? Uno sconto per
pernottamento prolungato?” e il dio si mise a ridere a quella
battuta di una donna che tornava ad essere disperata.
“Jane... Sai che darei tutto per stare qua. Abbiamo un intera
giornata da passare assieme... dopo di questa troveremo il
modo”.
La ragazza si fece forza, e il dio lo vide; osservò lo
sforzo, la pazienza e il coraggio di una donna che non stava per dire
di si, ma stava per ingoiare tutta la disperazione che poco prima aveva
perso, acida e cristallina le avrebbe eroso, lacerato la gola,
l'esofago e sarebbe fermentata nello stomaco. Non poteva rimetterla,
doveva farla andare giù e custodirla per non rischiare di
distruggere anche l'uomo che lei cercava disperatamente nel vuoto del
cosmo.
“Quindi che facciamo oggi Jane?” rischiese il
giovane scrutandola e regalandole un sorriso d'oro.
“Io ho qualcosa da mangiare dietro e qua vicino
c'è una bella diga artificiale...”.
L'erba fresca cresceva attorno al bacino artificiale dalle acque
profondissime e color verde acqua. Un albero creava un po' di ombra
riparando dal sole cocente.
I due smontarono dalla macchina e la scienziata portò due
coperte, le distese dolcemente all'ombra e fissò il biondo.
“Beh, il menù di oggi: bagno fuorilegge, pranzo,
film. Ti va?” e il suo volto si illuminò di un
immenso sorriso. Non fece in tempo a darle una risposta che la giovane
scienziata si tolse maglietta e braghe e si lanciò in acqua.
Gridava contenta e lo intimava a raggiungerla se non voleva trovarsi
solo e sperduto in mezzo al nulla.
Anche lui così fece la stessa cosa e si trovarono a nuotare
naso contro naso, sentendo solo il rumore dell'acqua e il loro respiro.
“Chi ti ha spedito in vacanza?” chiese Jane,
rompendo il silenzio.
“Un ragazzo... Odino non sarà contento a meno che
non” e si interruppe.
“Cosa, Thor?” chiese Jane preoccupata.
“Penso che mio padre non se ne sia accorto. Di magia ne so
poco, ma sono certo che ogni arte lascia la sua traccia e per vederla
bisogna avere un potere superiore...”
“Tuo padre può vederci?” chiese un po'
imbarazzata Jane.
“Ehm, ha dato un occhio per l'onniscenza e possiede due corvi
che gli riferiscono ogni cosa... E' un uomo curioso”.
“E io sono mezza nuda a nuotare con suo figlio in
mutande!” strillò la ragazza.
“Beh, sa quando smettere...”
“E quando?”
“Ora” e sigillò quel sussurro con un
bacio.
Passarono molto tempo a divertirsi in acqua e fecero una passeggiata.
Si appisolarono al sole, stesi sulle coperte sotto l'albero ad ammirare
prima la luce che penetrava le foglie, poi a parlare delle loro vite
che si stavano intrecciando. Thor si assopì e
iniziò a russare rumorosamente, fu così che Jane
dovette svegliarlo a gomitate.
“Ora so perché sei il dio del tuono. Quando dormi
rombi che fai spavento!”.
“Mi dicevi di quello che ti ha spedito qua...” era
pomeriggio inoltrato e Jane era stesa vicino al biondo dio del tuono.
“Si... E' apparso un giorno e lui e mio padre non hanno avuto
un dialogo molto amichevole...”
“Ma è un dio anche lui?”
“No no, assolutamente è un umano, ma... tutte le
volte che gli parlo, lo guardo... beh...”
“Non ti sembra...”
“Sembra che scruti in profondità ogni cosa. I suoi
occhi sono come il sole che sonda il mare profondo; solo che lui
penetra con arguzia e con tanto silenzio che non lo noti. Tu lo fissi e
bam”, il dio si era girato rapidamente verso la sua dolce
metà e le aveva solleticato la vita facendola ridere.
“Dai, che stupido... Continua...” Jane si era
rifatta seria.
“Lui sa cosa vuoi... e da quanto ho visto può
dartela.”
“Pensi sia pericoloso?”
“Oh no. Potrei dire che ha due occhi soli e spenti... Penso
non voglia che nessuno gli stia vicino”, nel dire quelle
parole che gli frullavano nella testa Thor si sentì triste e
ripensò al fratello perso, e segregato nell'ombra. Lui non
poteva lasciare che qualcun altro si corrompesse sotto i suoi occhi
come era successo a suo fratello. Poteva impedirlo, aveva avuto
l'intuizione giusta questa volta.
“Mi dispiace... Cosa farai quindi?”
“Beh intanto lo ringrazierò prima di scoprire
quanto è salato il suo conto e poi boh, penso che lo
terrò sorvegliato, anche se ci pensa già il mio
amico...”.
Thor si alzò e fissò Jane.
Il suo sguardo era raggelato, serio e teso.
“Tuo amico? Non dicevi che era solo?”
Jane notò il cambiamento d'umore dello spasimante e attese
la risposta.
“Jane... Da chi sarà ucciso Odino?” e lo
sguardo del giovane si fece di diamante: duro, spigoloso e terrificante.
“Fenrir divorerà Odino, quando la catena magica
che lo segrega si romperà...”.
Jane era perplessa e sconvolta, vedeva nel volto dell'amato un forte
rancore, una immensa devastazione: il dolore stava dilagando e non
sapeva cosa fare, cosa dire per drenare quelle sensazioni.
“Perché mi dici queste cose, Thor?”
“Il ragazzo che scorta sempre chi mi ha mandato qua
è Fenrir e il suo padrone ha sciolto le catene solo
desiderandolo...”
Scese la sera e Jane estrasse il portatile, era l'ora del film.
“Così questo è quello che chiamata
cinema?” chiese sbadatamente e goffamente Thor.
Jane scosse il capo e lo posò sulla spalla del ragazzo.
Passarono il tempo così fissando le stelle nel cielo nero e
limpido, stringendosi fino ad accendere il fuoco nei loro corpi,
bruciandoli di passione e di desiderio. Il dio però
scrutò gli occhi della giovane che già si
spogliava e vide in lei un tormento infinito, pensate: l'illusione e il
dolore sarebbero cresciuti come metastasi cancerose se lei si fosse
concesso a lui, senza contare che un dio è dotato di una
forza inumana e il rischio di lasciarsi andare era grande.
Così dolcemente abbassò la maglia di Jane che lo
fissò un po' tra il sollevato e l'afflitto. “Jane
riposa...” gli disse Thor, ma lei non smetteva di guardarlo,
penetrarlo con quegli occhi.
“Non voglio dormire... Io non ti attraggo?” disse
timida.
“Jane, sei molto bella; ma eviterei di farlo per
disperazione, perchè è quello che vedo in te
ora”.
“Nei film sembra sempre il sesso migliore...” il
dio rimase turbato e leggermente eccitato dalla l'uscita particolare
della sua compagna.
“Se lo vuoi...”
“Sono laureata, con un PhD. So valutare quello che
voglio” disse decisa, e il turbamento lasciò
spazio negli occhi a coraggio e passione.
“Thor, io ti troverò!” e nel dirlo
sfilò la maglietta dal busto muscoloso del dio. Le soffici
mani accarezzarono la calda pelle bianca e un eccitato tremolio del
partner accese la scintilla.
Non dormirono tutta la notte e alle prime luci dell'alba Jane
crollò in un pianto disperato. Thor non provò a
fermarla, era suo diritto dilaniare il cuore dell'uomo che ogni volta
che la vedeva doveva abbandonarla. Mentre il sole sorgeva le prese fra
le mani dolcemente il viso, rosso per il dolore, rigato da ruscelli di
schietta realtà.
Un bacio leggero sulle sue labbra rosse, respirò a fondo il
profumo dei suoi capelli e nella luce che si diffondeva portandolo via
dalla braccia della sua amata le sussurrò poche
parole:”Ti amo”.
Il dio si ritrovò sotto l'albero di salice nel parco di
Asgard ad aspettarlo il giovane rosso con Fenrir al suo fianco.
“Odino non sa nulla” disse schietto il mercante di
sogni.
“Ora devi fare qualcosa per me...”
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