How do
you like me now?
Caroline
Forbes aveva evitato New Orleans per anni come se la città
fosse invasa dalla
peste. Era stata una decisione presa inconsciamente,
all’inizio, ma con
l’andare del tempo aveva iniziato a considerarla come una
tacita promessa fatta
a sé stessa.
Negli
ultimi vent’anni aveva girato il mondo – Mystic
Falls aveva iniziato a starle
stretta una volta che qualcuno se n’era andato per sempre
– e non aveva di che
pentirsi della scelta che aveva fatto. Per quanto solitaria, non
credeva che la
sua vita fosse un completo disastro, e anzi le esperienze
l’avevano resa ben
più matura, forte ed indipendente rispetto alla ragazzina
che era stata una
volta.
O
forse no. In fondo era sempre in fuga da qualcosa, non era forse
così?
Per
i primi tempi si era dovuta nascondere dai fratelli Salvatore, che
chissà per
quale motivo la rivolevano con loro a Mystic Falls o in qualsiasi
dannato posto
si trovassero, forse per cercare di agevolare la ricerca dei sentimenti
perduti
di Elena. Dio, si sarebbe potuto scrivere un libro – per non
dire una saga –
sulle disavventure di quella ragazza, ma Caroline ne aveva abbastanza
di quella
vita: la sua migliore amica era stata spazzata via da una stronza
incapace di
provare rimorsi, e lei non aveva più né il tempo
né la voglia di farle da
babysitter. Se Stefan o Damon credevano il contrario, erano problemi
loro: dopo
i primi cinque o sei anni smisero di cercarla, e dovettero rassegnarsi
ad
occuparsi da soli della povera, sfortunata Elena. Avevano voluto la
bicicletta,
che adesso pedalassero senza rovinare la vita agli altri!
Per
quello che ne sapeva anche Bonnie se n’era lavata le mani.
Ormai aveva perso i
contatti persino con lei, ma confidava sempre sul fatto che, se la
strega
avesse voluto, avrebbe potuto rintracciarla con uno dei suoi
incantesimi.
Finora non era mai successo. Chissà, forse si era resa conto
di non voler
essere amica di un vampiro, alla fine.
Per
farla breve, Caroline aveva tagliato completamente i ponti con il suo
passato.
Per un periodo aveva anche camuffato il suo aspetto –
tingendosi i capelli e
vestendosi in modi che la vecchia Caroline Forbes non avrebbe mai
nemmeno preso
in considerazione – ma alla fine, quando aveva compreso che
ormai nessuno
l’avrebbe più seguita, riprese a comportarsi come
al solito e a tornare, almeno
all’apparenza, sé stessa. L’unico
problema era il dover cambiare città ogni due
o tre anni – prima che gli umani si accorgessero che non
invecchiava di un
giorno – ma alla fine aveva fatto il callo anche a quello. In
fondo, se la
città le era piaciuta poteva sempre tornarci nel giro di una
decina d’anni.
Sì,
Caroline non era del tutto delusa della sua nuova esistenza. Per la
prima volta
si sentiva libera, impavida – non aveva nulla da temere o
nessun nemico cattivo
da combattere. Quei tempi, grazie al Cielo, erano finiti.
Eppure,
qualcosa continuava a mancarle.
Aveva
perso i contatti anche con lui. I
primi tempi si chiamavano spesso, anche solo per un brevissimo saluto,
ma poi
doveva essere successo qualcosa – Caroline ancora non capiva
cosa – che aveva
fatto sì che Klaus non le rispondesse più
né alle chiamate né ai messaggi, un
po’ com’era successo anche con Tyler dopo che aveva
lasciato Mystic Falls, e
alla fine, benché intimamente delusa, si era rassegnata
all’idea che anche per
l’ibrido Originale doveva essere stata nientemeno che una
semplice distrazione.
In
fondo era quello da sempre, no? Sembrava che non potesse ambire ad
essere di più.
Era destinata ad essere sempre la seconda – o, peggio, la
terza – scelta di
tutti gli uomini della sua vita. Persino di suo padre, che
l’aveva abbandonata
per ben due volte.
Col
tempo, aveva imparato a seppellire questi sentimenti nelle
profondità del suo
animo. Non era mai arrivata a spegnere l’umanità
come a suo tempo avevano fatto
Stefan, Damon e la stessa Elena, ma era semplicemente diventata
più brava a
controllare e a gestirle con una freddezza che, talvolta, ancora la
sorprendeva. Aveva scoperto che in quel modo riusciva a vivere meglio,
e
colmava il vuoto con avventure brevi e prive di ulteriori
coinvolgimenti
affettivi; sceglieva solo esseri umani, li soggiogava e poi se ne
liberava.
Loro si dimenticavano di lei e lei di loro.
Triste,
ma efficace.
Ma
alla fine anche questo modo di vivere l’aveva stufata. Lei
non era fatta per
quello! Poteva andare bene per un po’, il divertimento e gli
sfoghi di varia
natura, ma pensare di trascorrere l’intera
eternità in quel modo… Qualche volta
le era persino balenata in testa l’idea di levarsi
l’anello diurno – unico
ricordo che aveva di Bonnie – e aspettare l’alba
sulla cima di un palazzo. No,
meglio, su una spiaggia in riva al mare – le sarebbe piaciuto
morire così,
vedendo il sole sorgere dalle onde, all’orizzonte. Tuttavia,
non aveva mai
avuto il coraggio di farlo. Ah, come se non bastasse era anche una
codarda!
In
tutto questo frattempo, come già accennato, aveva evitato di
mettere piede a
New Orleans. La Louisiana l’aveva sempre affascinata
– il fascino del sud, la
storia che permeava quelle terre, le guerre e le conquiste che si erano
susseguite tra quelle paludi, la magia, l’impronta francese
– ma non era pronta
all’eventualità di poter rivedere lui. Aveva
girato il mondo, era stata ovunque
o quasi, e mai una volta era incappata in Klaus, né nella
sua famiglia, né in
qualcuno che lo avesse visto anche solo di sfuggita: e ciò
l’aveva portata a
credere che lui dovesse essere ancora nel luogo in cui si era
trasferito
vent’anni prima, quando aveva lasciato Mystic Falls
– quando aveva lasciato lei
– per chissà quale diavolo di motivo.
Non
sapeva neppure il motivo di questa decisione, a dire il vero. Insomma,
che
diritto aveva di essere arrabbiata per il fatto che Klaus fosse andato
via? In
fondo non c’era nulla per lui a Mystic Falls, se non un folto
gruppo di umani
ed esseri soprannaturali che lo volevano morto e una ragazza di cui era
innamorato che non lo ricambiava. Se fosse stata al suo posto,
probabilmente
anche lei sarebbe fuggita via.
Il
punto, però, era che lo riteneva fatto di una pasta diversa!
Da quel lato
l’aveva delusa, ecco. Forse era questo il problema.
Ma
forse era anche giunto il momento di affrontarlo, il problema, e con
esso
chiudere i conti anche con l’ultimo legame che aveva col
passato. Dopo, solo
dopo, sarebbe stata davvero libera di andare avanti.
*
«Benvenuti nel lato oscuro di New
Orleans. Un
parco giochi soprannaturale, dove i vivi si perdono facilmente e i
morti
restano a giocare.»
New
Orleans. Una delle più famose città della Louisiana - più conosciuta della stessa capitale, Baton Rouge - ex colonia francese e patria di
Louis
Armstrong, di cui Caroline si era riscoperta fan a quindici anni,
ascoltando un
vecchio disco in vinile di sua madre.
Caroline
ascoltava distrattamente le parole della guida, mentre gli occhi
vagavano
curiosi e avidi di dettagli sugli antichi palazzi del Quartiere
Francese.
Senza
farsi notare, sgattaiolò via dal gruppo di turisti e si
infilò in mezzo alla
folla, perdendosi nell’atmosfera. Non avendo nessuna fretta
al mondo, si prese
tutto il tempo che ritenne necessario per godersi la città.
Si fermò di fronte
ai piccoli gruppi di musicisti di strada, applaudendo alla fine delle
esibizioni e lasciando loro una discreta mancia nelle custodie degli
strumenti
lasciate aperte per quello scopo; assaggiò i cibi che
offrivano le bancarelle,
comprò orecchini, bracciali e foulard nei negozi di souvenir
e fotografò
praticamente tutto quello che le capitava a tiro. Era andata per stare
qualche
giorno come turista, ma forse non le sarebbe dispiaciuto trattenersi un
po’ più
a lungo.
All’ora
di pranzo andò alla ricerca di un bar dove trovare qualcosa
– o qualcuno –
che placasse la sua fame.
Aveva smesso di nutrirsi dalle sacche di sangue quando aveva capito che
era
impossibile rubarle sempre dagli ospedali senza che nessuno se ne
accorgesse, e
in fondo finché non uccideva, dissanguandolo,
l’umano dal quale beveva non
c’era nulla di male nel farlo. Senza contare che
così, preso direttamente dalla
vena, il sangue era anche più gustoso.
Si
avvicinò con passo sicuro al bancone, sedendosi su uno degli
sgabelli e
chiedendo il menù. Avrebbe voluto ordinare uno Spritz
– oh, a Verona li
facevano buonissimi – ma dubitava che un piccolo bar di New
Orleans vantasse la
presenza di quell’aperitivo. Alla fine si risolse ad ordinare
qualcosa che
mescolava vodka, gin e rum con succo di mirtillo, e che sembrava
abbastanza
alcolico da placare la sua sete di sangue il tempo necessario per
trovare
qualche umano disponibile ed appetitoso.
Alla
fine, com’era prevedibile, fu un ragazzo creolo ad
avvicinarsi a lei: a quanto
pareva una ragazza sola che ordinava vodka all’una del
pomeriggio era una preda
succulenta per qualsiasi essere di genere maschile. Aveva la carnagione
deliziosamente scura, come un pezzo di cioccolato, e degli occhi neri
come il
carbone: nel complesso era affabile e gentile, si offrì di
pagare il drink per
lei e lei si innamorò del suo accento. Quindici minuti dopo
qualche chiacchiera
e convenevole, si ritrovarono in un vicolo cieco nel retro del locale,
e
Caroline lo soggiogò per impedirgli di urlare mentre
procedeva a morderlo sul
collo.
Tuttavia
non aveva fatto in tempo neppure a sbottonargli la camicia, che
qualcuno la
afferrò bruscamente per le spalle strappandola
dall’umano, spingendola contro
il muro opposto con uno schianto doloroso e ringhiando contro di lei.
Il
ragazzo parve liberarsi dal soggiogamento e saggiamente decise di
andarsene per
evitare di trovarsi coinvolto in quel diverbio; Caroline, da parte sua,
aveva
superato la soglia della normale arrabbiatura.
«Ehi!
Chi diavolo pensi di essere? Non ti hanno insegnato che è
buona educazione non
interrompere il pasto di un vampiro?» Sibilò
mostrando le zanne al nuovo
arrivato.
Quest’ultimo,
chiaramente un lupo a giudicare dall’odore, si
limitò ad ammonirla con gli
occhi dorati e brillanti che erano tipici di quelli come lui.
«E a te non hanno
insegnato a presentarti prima di cacciare nel territorio di un altro
vampiro?»
Ribatté come risposta, sempre senza abbandonare la posizione
d’attacco.
Caroline
strinse gli occhi, indecisa, ma poi ritenne che non era il caso
macchiarsi le
mani del sangue di quel ragazzino. Soprattutto non in un territorio che
non
conosceva e che si trovava sotto la giurisdizione di chissà
chi, come le aveva giustamente
ricordato lui. Così riprese un’espressione
tranquilla, sospirò e lasciò che gli
occhi le tornassero azzurri e che i canini si rimpicciolissero, e per
prendere
tempo si diede una sistemata ai capelli e all’abitino che
indossava. «A mia
discolpa posso dire che non conosco le leggi di New Orleans. Sono
arrivata oggi»,
spiegò pacata, mostrando le mani con i palmi aperti e
rivolti all’insù per far
comprendere al licantropo di non avere cattive intenzioni.
«Non avevo nessuna
intenzione di uccidere quel ragazzo, ad ogni modo.»
Anche
quest’ultimo ritirò l’atteggiamento
minaccioso, accettando le scuse della
ragazza. «No, ma prima di cacciare qui, specialmente in
questo Quartiere, devi
chiedere il permesso al re. Non si fa nulla senza il suo
consenso.»
Il
re? A New Orleans c’era un re? Questa notizia le giungeva
nuova. Era incappata
in situazioni del genere nelle città della Vecchia Europa,
dove concetti come
monarchia e plebaglia sembravano tuttora piuttosto in voga tra i
vampiri, ma
credeva che i non-morti americani ne avessero fatto a meno.
Evidentemente si
sbagliava, anche se forse era un bene che un centro del sovrannaturale
come la città più grande della Louisiana avesse un governo stabile, per così
dire.
Non
le piaceva molto l’idea di dover andare a porgere omaggi a
questo misterioso
sovrano, ma a giudicare dall’atteggiamento risoluto del
licantropo capiva di
non avere molta scelta.
Improvvisamente
il ragazzo, che sembrava ad ogni minuto sempre più
familiare, le fece una
domanda che la mise in allarme. «Hai un anello diurno. Chi te
l’ha dato?»
D’istinto
Caroline infilò le mani in tasca. «Se non ti
dispiace, questi sono affari miei.»
«Se
non ti dispiace, dolcezza, questi sono anche affari miei, dato che fino
a prova
contraria potresti essere una minaccia per il mio territorio.»
«Il
tuo territorio? Credevo che appartenesse al re»,
ribatté Caroline, cercando di
cambiare argomento. Poi però sbatté le palpebre,
perplessa. «Mi hai appena
chiamato dolcezza?»
Il
licantropo, ancora senza nome, ghignò in un modo che lei
trovò terribilmente
familiare. «Ti da fastidio se ti chiamo dolcezza?
Preferiresti tesoro?» La
provocò, avanzando di qualche passo nella sua direzione.
Caroline
mantenne un invidiabile sangue freddo. «Preferirei che non
usassi affatto dei
nomignoli quando ti rivolgi a me», ribatté,
inarcando un sopracciglio. «Posso
anche essere un’intrusa nel tuo territorio, ma sono pur
sempre un vampiro più
vecchio di te. Perciò rilassati, ragazzino.»
Per
tutta risposta, il ragazzino in questione scoppiò a ridere.
Ai lati della sua
bocca si formarono due piccole fossette, che Caroline si
ritrovò ad osservare
nel disperato tentativo di ricordarsi a chi diavolo somigliava quel
piccolo
lupo arrogante.
«Va
bene, miss. Dovrai dirmi come ti chiami, allora», propose,
tendendole una mano.
«Io sono Killian.»
«Caroline»,
si presentò lei controvoglia, stringendogli comunque la
mano. E tanti cari
saluti all’intenzione di rimanere in incognito.
Killian
strinse gli occhi, studiandola. «Okay, Caroline»,
fece, come se stesse saggiando il suo nome sulla punta della lingua.
«Vieni con
me. Prima conosci il re, prima potrai nutrire la tua sete.»
**
How do you like me now?
How do you like me now,
Now that I'm on my way?
Do you still think I'm crazy
Standin’ here today?
I couldn’t make you love me
But I always dreamed about living in your radio
How do you like me now?
Dando
prova di essere un’ottima guida turistica, Killian le aveva
fatto strada lungo
Bourbon Street, facendole un rapido tour di quella zona del Quartiere
Francese
occupata da più di ottant’anni per la maggior
parte da creatura sovrannaturali.
Caroline questo avrebbe potuto capirlo da sola, dato che era
perfettamente in
grado di distinguere l’odore di un licantropo o di altri
vampiri da un essere
umano, ma si sforzò di non essere odiosa e di comportarsi da
brava ospite. Non
voleva venire esiliata dalla città solo perché
aveva spezzato il collo a un
lupo insolente.
«Ti
posso fare una domanda?» Gli chiese, interrompendo la sua
disquisizione sulla
nascita del jazz.
Il
ragazzo sorrise, facendo balenare rapidamente una fila di denti
più affilati
del normale. «Prego, dolcezza, sono al tuo
servizio.»
Lei
roteò gli occhi a quel tono palesemente flirtante.
«Perché mai un licantropo
come te dovrebbe lavorare così lealmente per un re
vampiro?» Indagò, sfogando
finalmente la sua curiosità. «Ho visitato molti
posti, sai, e in nessuno di
essi mi è mai capitato di imbattermi in una situazione del
genere. La mia
teoria è che vi tenga prigionieri con qualche ricatto o
minaccia.»
«Sai,
non è mia abitudine discutere della nostra politica con il
primo vampiro che
passa, per quanto grazioso ed affascinante possa essere»,
replicò Killian, con
un sorriso che però aveva perso un po’ della sua
spontaneità. «E se davvero sei
così vecchia come dici di essere, dovresti anche cercare di
essere più saggia
di quello che sembri. A New Orleans non è prudente andare in
giro a criticare
il modo in cui viene governata la città.»
«Quindi
avevo ragione, tu e il tuo branco siete sotto minaccia»,
insisté lei,
abbassando la voce.
«Non
mi sembra che siano state quelle, le mie parole», la corresse
lui. Abbassò lo
sguardo verso Caroline e aggrottò la fronte, per poi
sbuffare divertito. «Certo
che sei testarda, eh!»
«Cerco
solo di capire in che razza di universo parallelo sono
finita», si ritrovò a
borbottare, incrociando le braccia.
«Ehi,
sei a New Orleans. Le cose qui sono diverse da quelle a cui sei
probabilmente
abituata.»
«Già,
immaginavo. Allora, non siamo ancora arrivati? Inizio a morire di fame
e a
trovarti appetitoso.»
Il
ragazzo ridacchiò. «Ci siamo quasi,
tesoro», la rassicurò, poggiandole una mano
sulla base della schiena per spingerla gentilmente verso un cancelletto
in
ferro battuto che dava accesso al cortile interno di una palazzina di
qualche
secolo prima.
Questo posto pullula
di licantropi,
fu il primo pensiero che balenò nella mente di Caroline non
appena ebbe varcato
la soglia, ritrovandosi ad inalare il forte odore di una cinquantina di
lupi.
Il cortile, a quell’ora del pomeriggio, era relativamente
vuoto – di certo i
vampiri non potevano gironzolare a quell’ora, a meno che non
avessero avuto il
privilegio di possedere un amuleto che li proteggesse dalla luce del
sole – se
si escludevano un paio di ragazze sedute al bancone di un bar
all’aperto e
alcuni mannari che chiacchieravano accanto a loro. In un angolo, sotto
il
porticato, c’era un piccolo palco che ospitava alcuni
strumenti di un’ipotetica
orchestra, che probabilmente sarebbe venuta a suonare più
tardi; alcune piante
frondose, Caroline riconobbe il profumo dei glicini, coloravano e
rinfrescavano
l’ambiente.
Tutto
sommato sembrava un posto piuttosto tranquillo,
all’apparenza, per essere
l’abitazione di un re.
Caroline
dovette ricredersi quando Killian la fece entrare in
“casa”. Sempre con la mano
del licantropo a contatto con la sua schiena – in
un’altra occasione
gliel’avrebbe già staccata dal polso, ma ora come
ora aveva ritenuto più
prudente mostrare di essere un’ospite di quello che sembrava
un lupo Alpha o
come lo chiamavano laggiù – attraversarono un
salone d’ingresso che pareva la
sala di ricevimento di un albergo, con parquet e divani color crema,
piante,
quadri che riempivano le pareti, un grosso impianto stereo, un paio di
tavoli
da biliardo, altri minibar e persino un acquario dall’acqua
limpida, il tutto
completato dalla presenza di un notevole numero di licantropi,
prevalentemente
maschi.
Killian
salutò ciascuno di loro con degli enormi sorrisi, venendo
ricambiato con
medesime reazioni, ma non si fermò con nessuno di loro
andando direttamente a
passo sicuro verso una scalinata con la ringhiera di ferro battuto
dipinto di
bianco. Caroline continuò a seguirlo, guardandosi intorno
con attenzione attenta
a non farsi sfuggire un solo dettaglio, nel caso più tardi
le fosse servita una
qualche via di fuga.
«Non
ci sono molti vampiri, considerando che stiamo andando dal loro
re», osservò
con fare pungente una volta arrivati nel pianerottolo, obbligando
Killian a
fermarsi con un sospiro tra l’esasperato e il rassegnato.
«Non
credi che se questa fosse stata una trappola, tu saresti già
morta?» Le domandò
gentilmente, senza alcuna traccia di minaccia nel tono di voce.
In
effetti, stando alle precedenti esperienze che Caroline aveva avuto in
fatto di
trappole e torture, il ragionamento del ragazzo non faceva una piega;
ma
considerando che si trovava in quella situazione da sola, senza che
nessun
altro ne fosse a conoscenza, preferiva non cullarsi troppo su false
speranze.
Con
un sospiro, fece un cenno a Killian di andare avanti. «Va
bene, va bene,
sbrighiamoci.»
«Tranquilla,
siamo arrivati», sorrise lui, attraversando il corridoio e
fermandosi di fronte
ad una porta chiusa. Sollevò una mano e bussò tre
volte – Caroline si domandò
se era un caso – poi, alle successive parole che
pronunciò, la vampira si gelò
sul posto. «Papà, posso entrare?»
Papà? Papà?
Che razza di scherzo
era, quello? Era il figlio di un vampiro? O il re era un licantropo e
lei non
aveva capito un accidente di niente in tutto quel frattempo? Dannazione, Caroline!
«Sì,
Killian, entra pure.»
Il
licantropo abbassò la maniglia e spalancò la
porta, voltandosi solo per
osservare un’improvvisamente pallida Caroline e per farle
cenno di seguirlo
ancora all’interno di quella stanza. Entrò
comunque per primo, e quando anche
lei fu dentro la porta si richiuse con un tonfo.
A
quel punto, tutta l’aria presente nella camera parve venire
risucchiata via
all’improvviso.
Avrebbe
dovuto capirlo. Avrebbe dovuto immaginarlo! Tutto quello che avevano
visto i
suoi occhi portava il suo marchio – anzi, non capiva come
aveva fatto ad essere
così stupida da non capirlo prima.
Lui
era ancora di
spalle, rivolto verso un’enorme tela dal disegno incompiuto
– benché già si
potesse intuire qualcosa del soggetto raffigurato. Stava ripulendo un
pennello
con un panno macchiato di pittura vecchia, secca, ma qualcosa
– che avesse
avuto anche lui la stessa sensazione che aveva bloccato il respiro a
Caroline?
– parve impossessarsi di lui e spingerlo a cessare qualsiasi
attività. Posò il
pennello sul tavolo e poi, con studiata lentezza, si voltò
verso di loro.
Caroline
vide le sue nocche sbiancare da quanto stava stringendo quello
strofinaccio.
«Caroline»,
mormorò. La sua voce era bassa, ma non tremava.
Killian
apparve confuso. «Voi due vi conoscete?» Fece, con
lo stesso tono incredulo che
hanno i figli quando scoprono che i propri genitori avevano una vita
prima di
avere loro.
Entrambi
lo ignorarono.
«Ciao,
Klaus», lo salutò lei a sua volta, dopo essersi
schiarita la voce. Perché tutta
quell’agitazione? Che bisogno c’era di essere
nervosa? Era solo un amico, in
fondo. Un amico di cui aveva sentito la mancanza ogni santo giorno
degli ultimi
vent’anni, un amico che le aveva promesso il mondo e che
invece era sparito da
un momento all’altro senza un solo straccio di spiegazione.
Cercò
di non piangere, ma gli occhi le si annebbiarono lo stesso. Che stupida.
Allora,
sotto gli occhi esterrefatti di Killian – che non aveva mai
visto nei suoi
vent’anni di vita una simile espressione sul volto del padre,
neppure quando si
trattava di lui – Klaus attraversò la stanza e si
fermò a pochi centimetri da
Caroline, guardandola come se si stesse trattenendo a forza dal
toccarla.
Alla
fine le sorrise, prendendo le mani tra le sue e sollevandole per
posarvi
gentilmente le labbra.
«Sapevo
che prima o poi avresti bussato alla mia porta, Caroline.»
***
Killian
aveva lasciato loro un po’ di privacy – sotto
ordine di Klaus, naturalmente.
Fosse stato per lui, non si sarebbe di certo perso
quell’inaspettata
riconciliazione.
Così
adesso sedevano su due poltrone, separati soltanto da un basso tavolino
in
mogano sul quale era stato posato un vassoio con delle sacche di sangue
tiepido
a beneficio di Caroline e del pregiato bourbon per il re.
Inizialmente, avevano chiacchierato del più e del meno:
Klaus
sembrava terribilmente interessato alla vita che la vampira aveva
condotto dal
momento in cui si era lasciata alle spalle Mystic Falls per gettarsi
nel caos
del mondo, e da parte sua lei trovava divertente raccontargli alcuni
aneddoti –
come la notte in cui aveva soggiogato tutte le guardie del Louvre per
poter
gironzolare nel museo da sola, senza la fastidiosa calca degli umani
che lo
invadevano di mattina. Ammise di aver perso del tutto i contatti con i
suoi
vecchi amici – e poté giurare di aver visto un
lampo di soddisfazione
attraversare gli occhi dell’ibrido a tale notizia –
e di aver mantenuto intatto
solo il rapporto con sua madre, ormai ex sceriffo in pensione. Si
sentivano
solo per telefono, prevalentemente – Caroline non si sentiva
in vena di tornare
nella sua città d’origine – ma a volte
capitava che Liz Forbes la raggiungesse
in qualsiasi posto la figlia si trovasse al momento. L’ultima
volta si erano
viste a Toronto, per trascorrere insieme il Ringraziamento e il Natale
dopo
tantissimo tempo, ed erano rimaste insieme per due mesi prima che
Caroline
decidesse di fare nuovamente i bagagli.
Anche
Klaus, comunque, scoprì di avere molte cose da raccontarle,
benché all’inizio
sembrasse un po’ restio a lasciarsi andare. Più
che altro si limitò a spiegarle
la situazione di New Orleans, il modo in cui aveva scacciato il vecchio
re, un
vampiro di nome Marcel che aveva trasformato lui stesso, per impedirgli
di far
del male al proprio erede, e come si era riappropriato della capitale
modellandola secondo il suo gusto e il suo volere. Elijah e Rebekah lo
avevano
aiutato in quell’oscuro periodo di transizione, ma Klaus era
convinto che
avessero deciso di fermarsi solo per amore di Killian – come
dimostrava il
fatto che adesso non ci fossero più.
Accarezzando
con un dito il bordo del bicchiere di bourbon che Klaus le aveva
gentilmente
versato, Caroline decise di prendere un altro argomento che nelle
ultime ore
non ne aveva saputo di lasciarla in pace.
«Quindi
è vero, hai un figlio. Sangue del tuo sangue»,
esordì, senza guardarlo
direttamente.
L’espressione
dell’ibrido si fece immediatamente seria, come se si sentisse
in colpa che
Caroline l’avesse scoperto in quel modo; non poteva negare
che avrebbe voluto
dirglielo lui, infatti. «Già. Non te
l’ha mai detto nessuno in questi anni?» Si
informò, con un tono studiatamente noncurante.
Lei
scrollò brevemente le spalle, sollevando infine gli occhi su
di lui. «Mi erano
arrivate delle voci, in realtà, ma mi sembrava una notizia
troppo assurda per
prestarvi attenzione. Altrimenti sarei venuta prima a farti le mie
congratulazioni.»
Quell’ultima
frase aveva qualcosa che somigliava al risentimento, e Klaus
sospirò. «Caroline…»
«No,
no, dico sul serio», lo interruppe, sollevando una mano.
«E la madre? Lei non
c’è?»
«No.
Lei… Hayley è morta dopo il parto.»
Oh.
Sentire pronunciare
quel nome dopo tutti quegli anni aveva ancora uno strano effetto su di
lei. E vederlo
associato a Klaus in qualche modo le fece più male di quanto
potesse
immaginarsi. Sapeva che erano stati insieme – era stata Elena
a dirglielo, nel
periodo in cui era una stronza senza sentimenti, e ancora adesso
Caroline non
aveva idea di come diavolo facesse lei a saperlo, anche se per un certo
periodo
aveva vissuto insieme a Rebekah – ma che addirittura ci
fossero simili risvolti…
Comunque, era acqua passata. E lei non aveva alcun diritto di
prendersela. «Beh,
può sembrare strano ma mi dispiace. Non eravamo grandi
amiche, ma comunque… mi
dispiace», mormorò alla fine.
«Ah,
dolce Caroline… Sempre così misericordiosa e
comprensiva. Anche quando il tuo
istinto ti urla di non esserlo.»
La
vampira distolse lo sguardo, preferendo farlo vagare per la stanza.
«Non avevo
nulla contro Hayley», disse semplicemente. «Ci
siamo conosciute in un periodo
difficile per entrambe, il destino non è stato molto
favorevole a una nostra
eventuale amicizia. E probabilmente avrei fatto anche io le stesse cose
che ha
fatto lei… Per cui, ripeto, mi dispiace.»
Klaus
la fissava come se avesse voluto leggerle dentro; non riuscendoci, si
limitò ad
annuire piano. «Sì, anche a me.»
Lei
non resistette. «Eri innamorato di lei?» Le
scappò a mezza voce, osservandolo
di sottecchi.
Le
labbra di Klaus si piegarono in un sorriso sarcastico. «Ero
ubriaco, deluso e
arrabbiato quando sono stato con lei, Caroline. Oltre a quello, non
c’è stato
niente prima e non c’è stato niente dopo. Ma
ciò non mi impedisce di amare mio
figlio», chiarì, con un tono pacato.
Caroline
sbatté le palpebre, perplessa: chiaramente, quello non
l’aveva mai messo in
dubbio. «Certo, non volevo insinuare nulla del
genere.»
Klaus
colmò il silenzio versandosi un altro bicchiere di liquore e
mandandone giù più
della metà in un unico sorso; per le creature come loro era
difficile ubriacarsi
davvero, ma con una buona dose di alcool e una ferrea determinazione
chiunque
ci sarebbe riuscito. Caroline fissava un punto indefinito fuori dalla
finestra,
ma l’ennesimo sospiro dell’ibrido la costrinse a
riportare la sua attenzione su
di lui.
«Tutto
ciò che Killian ha di lei è una fotografia e una
voglia sulla spalla», ammise
amaramente. «Io non la conoscevo, e non ho potuto raccontare
niente a mio
figlio su sua madre.»
«Dev’essere
stato difficile, per lui…»
«È
sopravvissuto. E per quanto possibile, ho cercato di non fargliene
sentire la
mancanza.»
Rimasero
in silenzio per una manciata di minuti, metabolizzando quanto era stato
detto.
Non era un silenzio imbarazzante, tuttavia, sembrava invece piuttosto
confortevole.
«Che
fine ha fatto il resto della tua famiglia? Credevo aveste deciso di
rimanere
insieme una volta per tutte», chiese Caroline cambiando
discorso, abbassando la
voce come se questo potesse rendere più delicata la sua
domanda.
Klaus
scrollò le spalle con apparente noncuranza.
«L’ultima volta che ho sentito
Rebekah era in Nord Europa, in Danimarca credo. Elijah invece
è da qualche
parte in Sud America con Katherine», rispose, prima di
sorseggiare il suo
costoso liquore. «Evidentemente non riescono a sopportare la
mia presenza per
più di una o due settimane.»
«Mi
era sembrato di capire che aveste risolto i vostri… precedenti.»
«Lo
credevo anche io, ma a quanto pare è più
difficile di quanto sembri cancellare
mille anni di tradimenti», replicò Klaus, facendo
ondeggiare il liquido ambrato
all’interno del bicchiere. «Suppongo di non essere
nella posizione più adatta
per poterli biasimare.»
«Sai,
per quanto discutibile possa essere stato il tuo comportamento, le
decisioni
che hai preso partivano tutte dal principio di volerli proteggere.
Credo che
prima o poi questo dato di fatto avrà la meglio su tutto
l’astio che magari
nutrono in questo momento… Nessuno è capace di
portare rancore per sempre, e
voi siete una famiglia immortale», gli ricordò
dolcemente Caroline, cercando di
non suonare troppo arrogante e sperando di non aver superato il limite
con quel
discorso.
Ma
ormai avrebbe dovuto conoscere abbastanza bene Klaus da
sapere che le permetteva di dire qualsiasi
cosa senza mai arrabbiarsi. «Sei una sorpresa costante,
Caroline. L’ultima volta
che ci siamo visti non la pensavi in questo modo», le fece
notare infatti con
uno strano sorrisetto.
Sorrise
anche lei, più tranquilla. «Beh, sono passati
tanti anni. Dovevo pur trovare
qualcosa da fare tra uno shopping e l’altro»,
scherzò, poggiando il proprio
bicchiere sul tavolino e allungando le gambe sul pavimento per
sgranchirsele un
po’.
«Posso
farti una domanda?» Le chiese lui all’improvviso,
tornando di nuovo mortalmente
serio. Al cenno affermativo e curioso di lei, Klaus
proseguì. «Che fine ha
fatto Tyler?»
«Tyler?»
Ripeté Caroline, inarcando un sopracciglio. «Non
ne ho la più pallida idea. Te l’ho
detto, no?, che ho perso i contatti con tutti i miei amici.»
Klaus sembrava
sorpreso, così a suo beneficio Caroline cercò di
essere più esauriente. «Non lo
vedo dal ballo di fine anno, Klaus. Non ci siamo più visti,
né sentiti»,
confessò tranquilla, senza sembrare particolarmente ferita o
dispiaciuta.
«Ero
convinto che dopo la mia ritirata da Mystic Falls foste tornati insieme. Mi
era sembrato
di capire che fosse ciò che volevi, no?»
Caroline
rise, un po’ nervosamente. «Oh, beh, il
cuore di una donna è un profondo oceano di segreti»,
rispose, usando una di
quelle citazioni che aveva in programma di dire ad alta voce, almeno
una volta
nella vita. Si alzò, aggirando la poltrona di Klaus e
raggiungendo la finestra
spalancata su una via abbastanza calma del Quartiere Francese. In
lontananza si
sentivano voci, musica e chiacchiere, e dovette resistere per non
fuggire lì in
mezzo evitando quell’imbarazzante confronto con Klaus. Di
certo non poteva
dirgli che non era di Tyler che aveva sentito la mancanza, una volta
che lui se n’era andato
da Mystic Falls…
Avrebbe finito per fare soltanto la figura della vampira patetica e
indecisa. E
non voleva comportarsi come Elena neppure se da ciò ne fosse
dipeso la sua
vita, tante grazie!
Ad
ogni modo avrebbe dovuto immaginare che per Klaus l’argomento
era ben lungi
dall’essere concluso.
Sentiva
la sua presenza dietro di sé – si era mosso
così in silenzio da non farla
accorgere di niente, proprio un assassino perfetto – ma si
sforzò di rimanere
calma e impassibile.
«Sai
che non posso, né voglio, obbligarti a fare
qualcosa», sussurrò la sua voce al
suo orecchio, facendola rabbrividire istintivamente. «Ma
pensi che adesso mi potresti
permettere di mostrarti New Orleans? Il mondo, purtroppo,
l’hai già visto senza
di me – ma mi piacerebbe davvero essere la tua guida a casa
mia.»
Se
fosse stata ancora umana il suo cuore si sarebbe fermato, con ogni
probabilità.
Prendendo un profondo respiro si voltò verso di lui,
sollevando infine gli
occhi su un’espressione così dolce e carica di
aspettative da farle tremare le
gambe. Dopo tutto quel tempo, davvero,
lui la stava ancora aspettando?
«Mi
stai chiedendo di restare, Klaus?» Gli chiese piano.
Lui
sorrise, ma era un sorriso leggermente incerto. «Ti sto
chiedendo se vuoi
restare», specificò, senza
lasciar intendere né più né meno di
quello che aveva detto.
«Beh,
New Orleans mi affascina… Contavo di trattenermi un
po’ più a lungo del solito»,
rispose con aria volutamente vaga, indietreggiando di qualche passo.
«In
effetti, sono venuta solo per chiedere il permesso al re»,
aggiunse poi,
incapace di trattenere ancora il sorriso.
«Sei
fortunata, allora. Conosco il re, sono sicuro che ti lascerà
rimanere.»
«Oh,
che pensiero gentile da parte sua!»
«Vero?
Sì,
lo penso anch’io.»
«Credo
che avrò bisogno di un altro drink.»
«Caroline,
I’m standing in one
of my favorite places in the world,
surrounded by food,
music, art, culture.
And all I can think about
is how much I want to show it to you.
Maybe one day you’ll
let me.»
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Angolo
Autrice.
Il
mondo ha decisamente bisogno di più Klaroline,
dopo la puntata/pilot dello
spin-off.
E
io ho intenzione di contribuire, nel mio piccolo.
ù_ù
Cercando
quindi di raddrizzare questa sottospecie
di trama – che poi, l’unica cosa marcia
è la faccenda del bambino, perché, dai,
da che mondo e mondo i vampiri sono
defunti e non possono procreare – è venuta fuori
questa sorta di What if? ambientata
nel futuro, e
niente… Spero che l’idea sia gradita :)
Perché se proprio dev’esserci questo
bambino, insomma, che almeno diventi figo come il padre. xD
[PS:
La telefonata finale è stata un colpo al mio
povero cuore di fangirl, mannaggia.]
Continuerò
a sperare e a credere fino alla fine che
il Klaroline sia end-game, un po’ come il Delena,
perché dai, facciamoci due
conti… La 4x20 valeva come pilot dello spin-off, dunque
mettetevi nei panni di
chi, non conoscendo The Vampire Diaries,
si è visto questo pilot dove alla fine il protagonista
principale telefona
questa fantomatica Caroline con l’aria di esserne
completamente innamorato, e
allora questo Nuovo Fan si domanderà in continuazione chi
sia questa Caroline –
perché, ricordiamoci, lui non ha visto TVD – e
spererà che prima o poi appaia
durante la serie… E poi, quando meno ce
l’aspettiamo, BOOM! Nella season finale
di The Originals Caroline arriva
con
dieci valige con tutta l’intenzione di sistemarsi a casa di
Klaus e di fare da
matrigna al piccolo ibrido ù_ù
Vabbè,
sognare è gratis. Lol.
Comunque mi è piaciuto scrivere di Killian, il bimbo di
Klaus, magari in futuro scriverò ancora di lui. :D
Ci
leggiamo presto, spero, fanciulle! Ho scoperto
questa vena di ispirazione per questo fandom e non ho intenzione di
lasciarmela
scappare, per vostra sfortuna ;) Grazie in anticipo a tutti coloro che
leggeranno!
Un
bacio,
Niglia.
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