Ombre che non
dormono mai
- Tre passi
per volta, fermati e poi ricomincia. Non smettere mai, se
vuoi sopravvivere. –
Strano se
tutto non fosse naufragio, se tutto non
fosse travolto, soffocato, consumato dal tempo.
[G.
Ungaretti, Vita d’un Uomo]
[1]
Non al denaro, non all'amore né al cielo.
Il
corridoio era
vuoto e l’odore di disinfettante a buon mercato pizzicava le
narici. Il
carrello dell’inserviente con il turno di notte doveva essere
appena passato,
lasciando dietro di sé quel pulito innaturale tipico degli
ospedali.
Naruto
si mosse
sul sedile di plastica, a disagio, incapace di trovare una posizione
confortevole. I tre bicchierini di caffè che si era
costretto a ingurgitare per
restare sveglio contribuivano ad accelerare i battiti del suo cuore in
subbuglio,
eppure cominciava a sentire le palpebre sempre più pesanti.
La stanchezza di
una giornata passata a lavorare si ripercuoteva tutta sulle sue ossa.
Quando
finalmente comprese che stare seduto non avrebbe placato né
il dolore né il
sonno, si alzò e si trascinò verso il
distributore automatico più vicino.
Inserì qualche moneta nella bocca aperta del macchinario,
spinse un pulsante
sbiadito dal tempo e dalla luce debole, e per qualche secondo un ronzio
riempì
il vuoto del corridoio e della sua testa. Il pulsare costante
dell’emicrania
non produceva nessun rumore: era solo con se stesso. Aveva cominciato a
credere
di essere diventato sordo, tanto lo innervosiva l’innaturale
silenzio di quel
posto.
Si
riscosse dal
colpo di sonno che lo aveva spinto ad appoggiare la nuca alla
macchinetta
quando il bip metallico del
distributore lo avvertì che la sua dose di caffeina era
pronta. La mandò giù
bollente, senza aspettare che si raffreddasse, senza aggiungere nessuna
dose di
zucchero. A lui il caffè nemmeno piaceva, ma punirsi faceva
bene. Il calore
ustionante lungo la gola e il sapore amaro erano un toccasana pungente
per il
suo senso di colpa.
Sentiva
freddo.
Strisciò lungo il muro fino ad arrivare davanti al
termosifone, vi appoggiò le
mani e chiuse gli occhi; ora il silenzio era turbato. Le voci tornavano
a farsi
sentire, le luci si accendevano di nuovo; ricominciava lo spettacolo
sul palco
della sua vita. Tremava, Naruto, di fronte
all’immensità della morte che
striscia.
Decesso.
Menomazione a vita. Degenerazione psichica. Danni mentali. Non toccava
a lui
decidere, ma non avrebbe potuto farlo comunque. Cosa sarebbe stato
meglio? Cosa
avrebbe scelto lui?
Naruto
si prese
la testa tra le mani e appoggiò le spalle al muro.
Scivolò con la schiena lungo
la parete fino a trovarsi seduto per terra, senza far caso alle
piastrelle
gelide che gli pungevano la carne attraverso il tessuto dei jeans,
strappato e
insanguinato. Aveva respinto le infermiere che volevano applicargli
qualche
punto di sutura senza nemmeno rendersene conto.
Aveva
cambiato
idea. Voleva dormire, ‘fanculo quello che sarebbe successo
mentre lui era privo
di sensi: tanto non poteva fare nulla. Quel senso d’impotenza
lo spinse a
prendere a pugni il muro; dal taglio che gli sfregiava le nocche
sprizzò sangue
dappertutto. Lasciò la sua impronta sulle pareti, ma non se
ne curò.
I
pensieri gli
facevano male alla testa. Dormendo li avrebbe lasciati da parte, ma
riposarsi
sembrava un tradimento verso la persona che, in quello stesso momento,
in
quello stesso ospedale, lottava per non addormentarsi per sempre.
Spinse
la nuca
all’indietro, in uno scatto improvviso, e il dolore auto
inflitto gli schiarì
le idee già annebbiate dal sonno. Doveva restare sveglio.
Doveva capire.
Cosa
aveva
sbagliato? Cosa avrebbe potuto fare per cambiare le cose?
Guardare
in
altro non serviva a niente. Non c’era nulla che lenisse
almeno un po’ quel
bruciore al petto che – ne era sicuro – forse non
se ne sarebbe andato mai.
~°~
-
Una vita prima -
La
musica era
alta. La radio, sintonizzata su un canale a caso, continuava a
gracchiare
storie d’amore d’altri tempi in versi, sebbene
nessuno l’ascoltasse. Naruto era
costretto a gridare per farsi sentire sopra le note ululanti, ma non
gli venne
in mente di abbassare il volume per concedere un po’ di
riposo alle corde
vocali ormai in fiamme. Aveva le gote rosse per la stizza e stringeva i
pugni
da così tanto tempo che le sue mani erano indolenzite. Non
ci faceva caso.
Alla
guida c’era
Sasuke. Inspiegabilmente, lui non aveva bisogno di alzare la voce;
quando
parlava, con quella sua tonalità bassa e roca, lo stesso
mondo si zittiva per
starlo ad ascoltare. Anche Naruto si acquietava per sentire le sue
parole.
Stavano
litigando. La strada nera scorreva fuori dai finestrini, illuminata
solo da
qualche lampione occasionarlo, e la pioggia battente ticchettava senza
tregua
sui finestrini; i tergicristalli si muovevano freneticamente per stare
al passo
con le gocce che continuavano a ricoprire il parabrezza.
«Tu
non
capisci!»
A
posteriori,
Naruto rammentò di aver pronunciato quella frase almeno
cinque volte. Era
l’unica che ricordava; perfino il motivo del loro battibecco
era svanito in una
nuvola di fumo. Probabilmente era un pretesto stupido, infantile, come
sempre.
Il
tachimetro
segnava una velocità eccessiva, molto al di sopra del limite
imposto per una
strada del genere, ma nessuno dei due sembrava farci caso. Sasuke
teneva gli
occhi sul percorso e pareva non ascoltare i suoi lamenti, eppure
approfittava
dei rari momenti di silenzio per rispondere a tono. Sempre con quella
sua voce
bassa.
Naruto
ricordava
benissimo quello che era successo, ma in sottofondo sentiva solo il
battere
incessante del suo cuore. Sembrava di guardare un film senza volume;
ecco che
afferra la spalla di Sasuke per scuoterlo e indurlo a rispondere alla
sua
domanda, ecco lui che si gira infastidito ed eccolo fissare un punto
indistinto
dietro alle spalle di Naruto, con due occhi vuoti da far paura, il
volto
illuminato dai fari di un’auto in avvicinamento.
Sasuke,
forse
per la prima volta in vita sua, non aveva controllato
l’incrocio.
Naruto
si era
voltato appena in tempo per vedere la spider che si schiantava contro
il loro
SUV.
Dopo
quello, il
caos. Sasuke lo aveva afferrato per i capelli biondi, costringendolo ad
abbassarsi, e aveva cercato di proteggerlo con il suo corpo, per quanto
la
cintura di sicurezza allacciata glielo permettesse. Il rumore ce lo
aveva
ancora in testa: roboante, minaccioso e incredibilmente crudele.
Naruto
ricordava
benissimo il momento in cui era svenuto; il suo ultimo pensiero, lucido
anche a
distanza di ore, era una preghiera. A chi fosse rivolta, non lo sapeva
nemmeno
lui. Non conosceva nessuna entità abbastanza potente da
salvarlo dal mondo.
Sasuke,
Sasuke,
Sasuke. Non gli importava davvero di morire, l’unica cosa che
chiedeva era
Sasuke. Forse era stato quello a fargli perdere i sensi, pensare che
sarebbe
potuto accadere qualcosa a Sasuke. Era talmente straziante da
togliergli
l’aria, e un cervello senza ossigeno si scollega in fretta.
Lo
sentiva sopra
di sé, caldo e freddo allo stesso tempo, con il cuore che
batteva così forte da
trapassare tutti i vestiti e arrivare al suo.
Sasuke.
L’aveva
perfino sillabato senza voce, appena prima che il mondo sbiadisse
nell’oscurità.
“Non
morire.”
[2]
Aspettiamo la fine del mondo.
Quello
che era
successo dopo gliel’avevano raccontato i medici, grazie al
resoconto sputato a
monosillabi dalla donna seduta nella spider.
Si
era
risvegliato fuori dall’auto, accasciato lungo la strada;
Sasuke l’aveva
trascinato fuori e poi era tornato indietro per soccorrere i passeggeri
dell’auto coinvolta nell’incidente, ma quando
Naruto aveva ripreso i sensi la
strada era ancora buia. Una crescente sensazione di panico, acida e
dagli
angoli taglienti. C’erano voluti un paio di secondi per la
deflagrazione che
aveva rischiarato incredibilmente l’intero incrocio, e
l’urlo di Naruto che
squarciava l’aria era venuto subito dopo. L’incubo
nasceva dalle corde vocali e
non moriva mai: perfino la paura si era accasciata su se stessa, mentre
la
disperazione si erigeva dalle sue ceneri.
«No!»
Insieme
a lui,
strillava la donna portata in salvo da Sasuke appena un minuto prima.
Il
guidatore – suo marito – era ancora troppo vicino
alla macchina per non
rimanere coinvolto nell’esplosione del serbatoio.
Anche
Sasuke lo
era, ma a Naruto non importava. Non poteva essergli successo nulla di
male, non
poteva perché non era giusto.
Voleva
scappare il più lontano possibile. Non voleva tornare.
Voleva solo smettere di
ascoltare il cuore che batteva troppo forte, così tanto da
fare male.
“È
colpa mia”, pensò
mentre correva verso le auto. Si sfilò il giubbotto e lo
sbatté più volte sul corpo
disteso a terra, in preda alle fiamme, tentando disperatamente di
spegnere il
fuoco, ma la posizione innaturale del collo toglieva il fiato. Era
morto e lo
aveva capito ancora prima di arrivare accanto a lui. Morto. Ucciso da
lui, in
fin dei conti. Lui che si ostinava a scuotere il braccio di Sasuke
mentre
guidava, anche se si era beccato un buon numero di rimproveri a causa
di quel
suo comportamento infantile.
“È
colpa mia”, ripeté
più volte, come un mantra, e le vampe avevano cominciato a
divorare il tessuto di
pelle e a scottargli le mani. Sentiva le dita bruciare e non riusciva a
interessarsene. Voleva salvare quel corpo, perché non poteva essere morto.
“È
colpa mia”, e
intanto continuava a cercare di spegnere il fuoco, rischiando la vita
per un cadavere.
Non
si fermò
fino a che due braccia lo strinsero da dietro, costringendolo a
lasciare la
presa sul giubbotto ormai in fiamme.
«Basta!
È
inutile ormai, non puoi fare più niente. Vieni via da
qui!»
Si
era
allontanato solo perché era stato trascinato con la forza.
Non riusciva a
pensare a nulla, solo a quel nome che continuava a occupargli il cuore,
la
testa, tutto. Scalciava e urlava parole che non ricordava, forse erano
solo
contenitori casuali di dolore.
Sasuke.
“Che
cosa ho fatto?”
~°~
Seduto sul
pavimento
di quel corridoio d’ospedale, Naruto interruppe il suo ciclo
di ricordi con un
sussulto. Fisicamente era quasi illeso, dal punto di vista psicologico
si
sentiva come se quella spider lo avesse investito più e
più volte. Gettò lo
sguardo lontano, fuori dalla finestra, dove il buio era ancora buio, ma
le
stelle accennavano a scomparire. Era quasi mattina, eppure il nero
pennellava
tutti i colori e li storpiava nell’oscurità
più assoluta, o forse era colpa sua
che filtrava la realtà con il cuore.
Lo
fecero
entrare in una stanza bianca, asettica, identica a centinaia di altre
stanze
d’ospedale. Si lasciò cadere sulla sedia che
trovò accanto al letto con un
sospiro, senza preoccuparsi di mantenere il silenzio. Lo voleva
rompere, voleva
assolutamente sentire qualcosa che non fosse la folla di voci nella sua
testa.
La sirena dell’ambulanza, le grida straziate, il dolore che
cantava una canzone
di morte.
Naruto
prese la
mano bianca, ancora più chiara delle lenzuola, e ne
baciò ogni nocca, piano,
accorgendosi a malapena delle lacrime che scorrevano tra le dita.
Sasuke
lo lasciò
fare, esausto sebbene fosse stato privo di sensi fino ad allora.
Nessuno
dei due
parlò.
Non
si capivano
con uno sguardo, come invece professavano tante di quelle coppiette
della loro
età. Non bastava toccarsi per riversarsi l’uno
nell’altro. Per capirsi avevano bisogno
di parlare, a volte nemmeno quello era sufficiente, semplicemente
perché erano
solo troppo diversi.
In
quel momento
erano estranei provenienti da due mondi agli antipodi. Naruto lo
toccava e gli
sembrava di sfiorare la lastra di vetro che li separava.
«Come
stai?»
Perché
Naruto
quel silenzio non lo sopportava, pesava troppo sulle spalle. Aveva
bisogno di
qualcosa – di qualsiasi cosa.
«Come
uno su un
letto d’ospedale.» bofonchiò Sasuke,
accigliato. La voce roca era il risultato
delle tante ore in cui era stato privo di conoscenza. «Vammi
a comprare le
sigarette.»
Naruto
sospirò e
si impose di controllare i battiti del cuore.
Vivo.
Vivo.
Vivo. È vivo.
Sentirlo
respirare, sebbene a fatica, vederlo muoversi al ritmo
dell’aria che gli
scorreva nei polmoni, era tutto ciò che Naruto riusciva a
desiderare. Lo faceva
sentire in colpa pensare che quella donna bramasse la stessa cosa per
suo
marito, ma comprese a pieno la sua mostruosità quando la
felicità che su quel
letto ci fosse Sasuke, e non l’uomo ancora in sala
operatoria, lo travolse come
un fiume in piena.
«Non
puoi fumare
qui.» indicò con un cenno del capo
l’allarme antincendio sopra la finestra. «E
non puoi alzarti.» non riusciva a lasciare la sua mano.
Separare le loro dita
poteva significare solo perdere quella sensazione di ritrovata
tranquillità. A
stento riusciva a credere che davvero fosse vivo, dopo le ore di
strazio
passare nella sala d’attesa; quel corpo in fiamme, nella
tragica confusione
dell’incidente, gli era parso essere proprio quello che aveva
stretto a sé in
infinite notti durate troppo poco.
«Aumenta
la dose
di morfina, allora. Voglio dormire.»
«Non
posso.»
«Fallo.»
«No.»
Come
poteva
spiegargli di essere egoista? Aveva bisogno di tenerlo sveglio con
sé, di
vegliare con lui sull’uomo che insieme avevano forse ucciso.
Non ce la faceva
da solo.
Sasuke
spinse il
pulsante per chiamare l’infermiera. La ragazza trafelata e
assonnata che arrivò
oppose una fiacca protesta prima di soccombere alle sue pretese.
Armeggiò con
il morsetto della flebo e Sasuke si assopì in una manciata
di minuti.
Naruto
rimase
solo con il suo dolore. Ancora una volta. Non ebbe il coraggio di
chiedere
informazioni su uno dei pazienti che quella notte stavano rischiando la
vita.
[3]
Arriverò quando non avrai più bisogno di me.
Sentimi.
Amava
costringerlo a farlo, proprio perché da solo Sasuke non era
in grado di capire
quel bisogno di essere il riflesso del suo specchio. Non si sentiva
presuntuoso
o arrogante, forse solo un bambino che pretendeva amore incondizionato.
Lo
voleva perché Sasuke non era in grado di darglielo, e
impiegare tutte le sue energie
per ottenerlo lo faceva sentire proprietario di una vita completa. Era
solo un
frammento monco di sogno, ma a lui piaceva così.
Nella
stanza
d’ospedale numero quattrocentoottantatrè qualcosa
di tutto questo si era rotto.
Somigliava al filo che esce dalla cucitura e minaccia di sfaldare tutto
il
ricamo, la tessera del puzzle rovinata a
un’estremità che non combacia più con
la sua vicina. Era Sasuke che si rifiutava di condividere con Naruto il
momento
più difficile della sua vita.
Non
era una
relazione facile, ma l’amore non lo è mai. Nel
mondo segreto dei quasi adulti
sopravviveva tra alti e bassi, ma nella realtà
più crudele era destinata a
incrinarsi al primo impatto. In un incidente non aveva
possibilità: la crepa
diventa fessura e la fessura diventa voragine.
Naruto
uscì
dalla stanza dopo che Sasuke si fu addormentato; forse la vedeva come
una
risposta a quel comportamento ancora più egoista del suo,
magari pensava che
non si meritasse di vedere un volto conosciuto al suo risveglio. Non
quando si era
rifiutato di accettare la sua metà delle colpe, scaricandole
tutte sulle spalle
di Naruto.
La
sala
d’aspetto tornò ad accoglierlo tra le sue sedie
scomode e il caffè scadente del
distributore. Gli occhi azzurri si erano venati di rosso. Lacrime o
stanchezza,
non faceva più differenza; tutto si sommava in un crescendo
che, presto o
tardi, sarebbe esploso.
A
lui non servì
la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, né
arrivò il momento in cui
una sola molecola in più di quell’aria viziata lo
avrebbe fatto soffocare. Fu
una decisione sofferta, di quelle in cui il piede pesta più
volte la soglia
della porta senza attraversarla del tutto. Naruto uscì e
rientrò nella sala
d’aspetto almeno tre volte, prima di andarsene
definitivamente.
Non
sapeva
nemmeno in quale reparto cercare. La donna alla reception lo
indirizzò verso
neurochirurgia con un gesto della mano, mentre tra la spalla e
l’orecchio il
telefono minacciava di scivolare alla minima distrazione. Le unghie
smaltate di
rosso non erano uscite da una manicure recente e i capelli in disordine
sicuramente avevano bisogno di un parrucchiere. A Naruto servivano una
doccia e
almeno dodici ore di sonno: con vena malinconica si ritrovò
a pensare che dalla
vita non si salva nessuno.
Riconobbe
la
donna dalla postura delle spalle. Sebbene ci fossero decine di sedie
vuote
accanto a lei, era accasciata a terra, con la schiena sostenuta dalla
parete,
nella stessa posizione che Naruto aveva fatto sua appena poche ore
prima.
Mentre
si
avvicinava i suoi occhi furono catturati da quella figura piccola,
quasi
insignificante, ma non riuscì a vederla davvero. Si limitava
a riconoscere i
sintomi del dolore dopo averli assaggiati sulla propria pelle, eppure
quelle
cicatrici invisibili alla vista e non al cuore erano ancora
più profonde delle
sue. Quasi si vergognava a soffrire così poco, in confronto
a lei.
Non
sapeva cosa
dire. I piedi andavano avanti e la testa restava indietro. Le labbra
secche e
la voce sparita nel nulla: in che modo avrebbe potuto scusarsi?
«Vattene.»
Naruto
continuò
a camminare.
«Assassino.
Vattene.»
Naruto
si fermò.
«È
morto. È
questo che volevi sapere? La risposta è no. Non puoi pulire
la tua coscienza
commiserando gli altri.»
Le
lacrime
spezzavano le frasi e i singhiozzi causavano degli strappi allo stomaco
troppo
dolorosi da sopportare. Il bruciore saliva sempre più in
alto, dalla pancia al
petto agli occhi. Piangere sarebbe stato offensivo, non meritava di
esorcizzare
il dolore con lacrime che non gli spettavano.
Naruto
si odiò,
tornando indietro. Ma l’uomo è egoista.
L’uomo è cenere nel vento. L’uomo
scappa di continuo e nemmeno quando manca il fiato può
fermarsi.
Naruto
camminò
fino a uscire dall’ospedale. Andò a comprare le
sigarette per Sasuke, perché
tutte le ragioni che si era dato per non farlo quando lui glielo aveva
chiesto
ormai non importavano più. Insieme dovevano punirsi fino a
pulirsi, perché
doveva per forza esserci il modo
per
farlo. Non poteva sopportare il peso di quella colpa per tutta la vita.
La
sua colpa era
ancora quella di aver provocato l’incidente. Non di aver
ucciso una persona,
perché quell’uomo non era morto. Non era vero. Si
rilassò e si concesse anche
un sorriso, pensando che c’era ancora la speranza di non
essere un assassino.
Il
cellulare
squillò mentre stava per rientrare nell’ospedale.
Rispose senza pensarci.
«Dove
sei?»
Si
era
svegliato. Con un’occhiata all’orologio Naruto si
accorse di aver girovagato
senza meta per ore. Chissà da quanto aveva ripreso
conoscenza.
«Come
stai?»
«Ancora
su un
letto d’ospedale, idiota. Ti ho chiesto dove sei.»
«Ti
serve
qualcosa?»
Sentì
la voce
irritata di Sasuke sbuffare e allontanò l’orecchio
dal cellulare. Coprì il
microfono per nascondere un singhiozzo.
Non
sembrava
straziato dal senso di colpa quanto lui. Non sembrava un ragazzo che
aveva
appena messo a rischio la vita di un’altra persona. Non
sembrava capire il suo
dolore.
«Sono
sveglio.
Se proprio vuoi, puoi venire qui.»
Non
“Ho bisogno di vederti”,
né “Voglio condividere
questo peso con te”.
A
Naruto non
importava, in realtà: era abituato al carattere schivo del
suo ragazzo e aveva
imparato a decifrare le sue frasi per capire il vero messaggio che
Sasuke
cercava di inviargli tramite il suo tono scontroso, quasi annoiato.
“Non
voglio stare da solo.”
Nemmeno
Naruto
lo voleva. Voleva andare da lui, tentare di abbracciarlo, magari, forse
perfino
riuscire a sorridere del suo caratteraccio.
Eppure
le parole
uscirono da sole, senza che lui potesse in qualche modo controllarle.
«Sono
già andato
a casa, in realtà. Ero veramente a pezzi e avevo bisogno di
una doccia. Ci
vediamo domani.»
Sasuke
non
rispose subito, forse spiazzato da quella risposta, basito
nell’apprendere che
non era stato messo al primo posto.
Naruto
aspettò
qualche secondo di sentirsi dire “Non
me
ne frega niente, idiota, alza il culo e torna qui, ho bisogno di averti
con
me”.
Poi
si diede
dello stupido e chiuse la conversazione. Si fumò
l’intero pacchetto di
sigarette e camminò verso il loro appartamento.
La
prima crepa
si riconosce solo con il senno del poi.
[1]
Solo ore, solo minuti, solo tempo. Quanto manca?
Naruto
il giorno
dopo non andò da Sasuke. Si trascinò fino
all’ospedale, alzandosi dal letto
senza nemmeno sapere come, ma si tenne lontano dalla stanza
quattrocentoottantatrè. La notte era stata crudele, con lui,
e sul quel
materasso troppo vuoto non era quasi riuscito a chiudere occhio. Ogni
tanto
aveva allungato la mano verso destra, dove di solito le sue dita
incontravano i
fianchi nudi di Sasuke, ma non aveva trovato altro che aria fredda. Il
suo
profumo era ovunque, sul cuscino, sulle coperte, su di lui. Visse di
lui per
tutta la notte.
La
mattina dopo,
all’ospedale, aveva inseguito medici troppo occupati a
lottare contro il tempo
per dargli retta. Solo dopo essersi trovato sull’orlo di una
crisi di nervi una
dottoressa aveva avuto pietà di lui, e gli aveva offerto un
caffè annacquato
alla mensa del piano terra.
Era
stata
gentile con lui. Aveva raccontato, con termini semplici e innocui,
quello che
era successo agli organi del pover’uomo e perché
il cuore aveva smesso di
funzionare. Non lo aveva accusato di nulla, anche se ogni volta che
Naruto
abbassava lo sguardo si vedeva, riflessa nella sua colpa, la parola
“assassino”
impressa sulla fronte come un
tatuaggio.
«Quando
ci sarà
il funerale?»
La
dottoressa
aveva fatto un sorriso triste.
«Non
credo sia
una buona idea.»
Non
lo credeva
nemmeno lui.
Una
volta che la
donna se ne fu andata, le sue mani si mossero da sole per andare a
cercare il
cellulare.
Sasuke
rispose
al secondo squillo.
«Mi
dimettono
domani.»
Non
“Ciao”. Né
“Come stai?” o
“Sono felice
di sentirti”. Andava bene così. Andava
bene? Sì.
E
allora perché
non era riuscito a rispondere come voleva davvero?
“Ti
porterò a casa io. Sarà tutto come
prima.”
«Dovrai
chiamare
un taxi. Non posso venire a prenderti, mi dispiace.»
La
voce di
Sasuke sembrava infastidita.
«Cos’hai
da fare
di tanto importante?»
«Vado
al suo
funerale.»
«Di
chi?»
Solo
ora se ne
rendeva conto: non sapeva nemmeno il suo nome. Sentì il
desiderio di esplodere
in quel momento, in tanti piccoli pezzi di quello schifo che era.
«Dell’uomo
che
abbiamo ucciso.»
Silenzio
dall’altra parte.
«È
morto?»
Non
glielo aveva
detto. Se ne ricordava solo adesso. Dove aveva la testa?
Meglio
così. L’ho preso alla sprovvista. Non
farà in tempo a nascondere il dolore.
«Sì.»
«Non
lo sapevo.»
Nient’altro.
Doveva chiudere la telefonata prima di morire dentro.
«Ci
vediamo a
casa.»
Pigiò
il tasto
di fine chiamata senza aspettare nulla, stavolta.
~°~
Al
funerale non
ci era andato. Non era andato nemmeno a prendere Sasuke. Il telefono
squillava
di continuo, ormai da giorni, ma non rispondeva mai. Tanto non era mai
Sasuke,
a chiamarlo.
Quel
pomeriggio
era andato in riva al fiume a pensare, steso sull’erba ancora
umida per la
pioggia della sera prima, e il tempo si era portato via tutte le ore di
luce
prima ancora che fosse riuscito a formulare un pensiero coerente.
Quando ne
cominciava uno, immagini e flash di sangue e luci abbaglianti gli
apparivano a
intermittenza, e la mente s’ingarbugliava. Sarebbe mai
tornato normale? Le
gambe si erano mosse fino a trasportarlo sul luogo
dell’incidente.
Era
solo sera,
ma lui vedeva la notte. L’incrocio era vuoto, ma gli
abbaglianti della spider
gli ferivano gli occhi. Alzò le mani e le vide incrostate di
sangue. Vomitò tra
i cespugli e si accoccolò nel punto preciso in cui si era
svegliato dopo aver
perso conoscenza.
Averlo
detto a
Sasuke lo rendeva vero. Non c’erano più scuse: era
morto davvero.
E
la colpa era
sua.
L’unica
parola
che gli lampeggiava davanti era il nome di Sasuke. Era ancora tutto.
Era lui a
non essere più niente.
Finalmente
riuscì a piangere, singhiozzando fino a quando i polmoni non
iniziarono a
pulsare affannosamente. Il dolore, invece di uscire insieme alle
lacrime, si
ingrossò fino ad occupargli tutto il cuore. Sentiva il
sapore salato che gli
inumidiva le labbra e si asciugò le guance graffiandosi la
pelle. “Assassino”, intonavano
i gufi nel
linguaggio della notte.
Il
cellulare
suonò per l’ennesima volta. Naruto
zittì la suoneria e ignorò la telefonata.
Era stupido, ma controllò se il display portasse il nome di
Sasuke sopra
all’immagine standard per le chiamate in entrata. Non era
lui, non lo era mai.
Ormai
si era
fatto buio. Qualcun altro si sarebbe preoccupato per il fidanzato in
ritardo.
Non lui.
Naruto
tornò a
casa e vide la luce accesa in camera da letto. Aspettò che
si spegnesse prima
di entrare, poi cercò una coperta nel guardaroba e si
addormentò sul divano.
Stavolta non c’era nemmeno il profumo di Sasuke, ma
pensò che non sarebbe
riuscito a sopportare il contrario.
Perché
devo soffrire solo io?
Se
lo chiese
tutta la notte. Si alzò più volte per raggiungere
il frigorifero, aprirlo,
richiuderlo e poi tornare sul divano. Verso le tre del mattino Sasuke
aveva
acceso la luce del salotto e l’aveva trovato lì.
Naruto aveva finto di dormire
e aveva aspettato per qualche minuto che il ragazzo se ne tornasse in
camera.
Dopo essere rimasto di nuovo solo, si era alzato e aveva raggiunto la
credenza
degli alcolici.
Svuotò
una
bottiglia di vodka e poi la vomitò interamente nel lavandino
della cucina.
La
mattina dopo
Sasuke scese a preparare qualcosa di caldo per entrambi.
Posò una tazza di
latte sul tavolo davanti al divano e si sedette accanto a lui, che era
ancora
steso sotto la coperta, spostandogli le gambe in malo modo.
Sorseggiò il suo
caffè senza una parola, aspettando che Naruto uscisse dal
suo antro e
consumasse la sua colazione.
«Grazie.»
«Mh.»
un’alzata
di spalle. Tutto quello che poteva aspettarsi da lui.
Naruto
non si
era nemmeno preparato una storia per nascondergli che non era andato al
funerale. Non ce n’era bisogno, perché tanto era
sicuro che Sasuke non gli
avrebbe chiesto niente.
Infatti
non lo
fece.
«Ti
ho sentito
camminare mentre scendevi a preparare il caffè.
Zoppichi.»
Sasuke
notò che
il suo tono era completamente indifferente. E che non gli aveva chiesto
come
stava. Fece finta di nulla perché non ammetterlo era facile.
Accettare di avere
un problema, invece, era scomodo. E lui era stanco.
«Ho
una caviglia
slogata.»
«Ah.
Mi
dispiace.»
«Non
è niente.»
Silenzio.
Sarebbero state così le settimane seguenti? E i mesi? Gli
anni?
Naruto
non
poteva sopportarlo. Ignorarlo in quel modo non faceva parte del suo
carattere,
non avrebbe resistito fino a quando Sasuke non si fosse deciso ad
aprirsi con
lui. E aveva perfino paura che lo facesse, terrorizzato dallo scoprirlo
vuoto
come il ragazzo freddo che continuava a fingersi.
«Abbiamo
ucciso
una persona.»
Sasuke
non parve
preso alla sprovvista, ma se Naruto avesse osservato meglio, guardando
i suoi
occhi invece di concentrarsi sulle proprie unghie conficcate nella
pelle, forse
avrebbe visto qualche pezzo dell’armatura di ghiaccio che
scivolava via dal suo
corpo.
«È
morta una persona. Io non
c’entro nulla.
Tu compatisciti pure quanto ti pare.»
«Si
sono
schiantati contro la nostra auto!»
Sasuke
si alzò
dal divano e lanciò la tazza contro il muro. La porcellana
esplose e i
rimasugli di caffè macchiarono le pareti bianche.
«Non
si è
fermato allo stop. Non mi ha dato la precedenza.»
Naruto
strinse i
denti e guardò le lacrime di liquido scuro che gocciolavano
a terra come sangue
da una ferita.
«Eri
cinquanta
chilometri sopra il limite di velocità.»
Non
più “Noi
abbiamo ucciso”, non più “la nostra macchina”, ma
“Tu eri sopra il
limite”. Se Sasuke non
era intenzionato a dividere le colpe, lui non avrebbe condiviso nemmeno
l’assoluzione.
Il
ragazzo lo fissò.
Forse si aspettava una fedeltà senza vacillamenti, una
totale e incondizionata
protezione. Forse era solo così sicuro di sé da
non tollerare accuse di quel
genere. Forse si sentiva così in colpa da aver bisogno di
negare tutto e
soffocare il suo dolore sotto l’alterigia.
Naruto
tutto
questo non lo capiva, perché aveva il suo strazio a cui
pensare, così non lo
fermò mentre se ne andava sbattendo la porta.
Aspettò di sentire il rombo della
moto che usciva dal garage prima di andare in camera a fare i bagagli.
Mentre
usciva fissò i pezzi della tazza ancora a terra e
pensò di raccoglierli.
Prese
una
scheggia tra le mani e la strinse fino a farsi sanguinare il palmo, poi
la
gettò a terra.
Sasuke
non aveva
nemmeno provato a raccattare i cocci del suo cuore.
Lasciò
un
post-it sul frigorifero dicendo che se ne andava qualche giorno da
Sakura per
pensare. Giorni, settimane, mesi, che importa?
È
solo tempo. E
Sasuke se ne frega, no?
[2]
Fitte acute come spilli, ma non così sottili.
Sakura
l’aveva
accolto volentieri, malgrado lo scarso preavviso, e lo aveva sistemato
in una
camera degli ospiti improvvisata. Era felice di vederlo dopo non essere
riuscita a contattarlo in seguito all’incidente, ma i suoi
occhi non riuscivano
a nascondere del tutto la preoccupazione dietro al sollievo.
«Sei
sicuro che
vada tutto bene, Naruto?»
«Certo
che sì.»
il sorriso più finto che aveva. «Mi conosci, no?
Tempo un paio di settimane e
sarò come nuovo.»
La
ragazza aveva
sospirato, poggiandosi le mani in grembo. Sembrava pallida e stanca e
lo
conosceva troppo bene per lasciarsi ingannare da quel surrogato di vita.
«Non
sai quanto
mi avete fatto preoccupare. Ho cercato di chiamarvi centinaia di volte
e non mi
avete mai risposto. Ho davvero temuto il peggio.»
Il
viso di
Naruto si rabbuiò e le ombre tornarono di colpo a coprire la
luce del suo
sguardo. Non sopravviveva tanto a lungo, ormai, sotto il peso del buio.
«Scusami.
È solo
che è stato molto difficile.»
Sakura
gli prese
la mano e la strinse, forte.
«Andrà
tutto
bene. Ne uscirai.»
Fortunatamente
aveva evitato di fargli domande su Sasuke. Naruto non avrebbe retto. Le
ore
erano passate e si erano trasformate in un giorno, poi in due. Nessun
segno di
vita. Nessuna chiamata. Nessun gesto a indicargli che lo voleva ancora.
Alla
fine fu lui
a telefonargli, sotto le pressioni di Sakura che lo vedeva perdere
colore dal
viso e forza vitale. Lontano da lui non aveva più speranze
di sopravvivere di
una pianta recisa.
Il
cellulare non
era raggiungibile. Riprovò al telefono di casa.
«Pronto?»
La
sua voce
sembrava seccata e Naruto si chiese se non avesse spento
l’iPhone proprio per
evitarlo.
«Sono
io.»
«Lo
so.»
Silenzio.
Cominciava a far male tutta quell’assenza di parole. Non
erano mai state
indispensabili, ma ora che non potevano toccarsi parlare era
l’unico modo per
capirsi.
«Volevo
solo
dirti che penso di rimanere da Sakura ancora per un
po’.»
«Come
vuoi.»
«Sasuke…»
Lui
non aspettò
che completasse la frase.
«Che
c’è?»
chiese, rabbioso, forse solo per esprimere un po’ di tutta
quell’energia
repressa.
«Vuoi
che torni?»
«Te
l’ho già
detto. Fai come vuoi.»
Naruto
non
aspettò di sentire il rumore della linea libera. Chiuse la
chiamata prima che
potesse farlo lui e lanciò il telefono sul divano. Il
cellulare rimbalzò e
scivolò a terra, aprendosi in due. Naruto scivolò
a terra e cercò, inutilmente,
di piangere.
Il
dolore ormai
era troppo grande per lasciarlo colare fuori da sé insieme
alle lacrime.
Bisognava tenerselo dentro e inghiottirlo. Le mani di Sasuke erano
sempre state
brave a strapparglielo di dosso, ma in quel momento Naruto non poteva
nemmeno
immaginare l’ipotesi di rivederlo.
Abbiamo
ucciso una persona e non gli interessa. Ho ucciso una persona e non
vuole
salvarmi. Ha ucciso una persona e non vuole essere salvato.
Sakura
rimase a
guardarlo dalla soglia. Impiegò alcuni minuti per convincere
i suoi occhi a non
piangere, poi entrò e si andò a sedere a terra,
accanto a lui.
«Richiamalo»
disse dolcemente. «Richiamalo e aggiusta le cose. Puoi
farlo.»
Naruto
scosse la
testa. Coltelli nel cuore lo trafiggevano da parte a parte. Stringere i
denti e
serrare le palpebre erano le uniche cose che servivano a sopravvivere.
«No.»
mormorò.
«Fa troppo male. Di solito riesco a gestirlo, lo accetto, ma
ora no. Fa troppo
male per riuscire a sopportare anche la sua indifferenza.»
La
ragazza si
alzò e raccolse il cellulare dal pavimento.
Rimontò lo sportello che celava la
batteria, saltato a causa dell’impatto, e lo
riportò all’amico.
«Non
perdere
l’ultima cosa bella che ti è rimasta.»
Lo
lasciò solo.
Naruto guardò il graffio sul display e poi chiuse gli occhi.
La figura di
Sasuke si stagliò di fronte a lui.
L’ultima
cosa
bella.
Ma
se la
meritava?
Lasciò
il
cellulare sul pavimento e andò a farsi una doccia.
No.
~°~
«Sai
che puoi
restare quanto vuoi. Vorrei solo che tu fossi felice.»
«Lo
sono.»
«Davvero?»
“No.
Ma stando qui, almeno, sarò meno triste.”
«Certo.»
«Bugiardo.»
Sbatté
la porta
e se ne andò, Sakura, perché non poteva
permettersi di guardare uno dei suoi
migliori amici distruggersi in quel modo.
Si
attaccò al
campanello per cinque minuti buoni, prima che Sasuke venisse ad aprirle
la
porta.
«Cosa
vuoi?»
Gentile
come
sempre. E aveva la stessa tenuta di Naruto, a quanto poteva vedere:
boxer e
t-shirt scolorita. Solo che il suo fiato puzzava di birra tanto da
farle
arricciare il naso.
«Cosa
aspetti a
venire a riprenderti Naruto?»
Sasuke
si lasciò
andare a un gemito di esasperazione. Tentò di chiudere la
porta, ma lei fu più
veloce e infilò una scarpa da ginnastica tra lo stipite e il
bordo.
«Se
non vuole
tornare sono affari suoi.» sbottò, irritato, ma la
lasciò entrare. La
precedette e si gettò sul divano, nascondendo il viso tra le
pieghe di un
cuscino. Diverse lattine vuote di Sapporo giacevano rovesciate sul
tappeto.
«Siete
uno più
testardo dell’altro. State rovinando tutto.»
Sasuke
si voltò
verso di lei e le gettò uno sguardo astioso.
«Lo
so
benissimo, Sakura. Adesso che hai detto la tua, vattene.»
La
ragazza se ne
andò senza degnarlo di uno sguardo.
«Almeno
abbi le
palle di chiamarlo, prima che sia troppo tardi!» gli
gridò dall’ingresso.
Sasuke
guardò il
cellulare abbandonato sul pavimento. Poi si girò
dall’altra parte e si
addormentò.
Fu
Naruto a
svegliarlo, mentre entrava in casa in punta di piedi. Urtò
il portaombrelli e
la sua imprecazione soffocata lo raggiunse nel momento in cui
aprì gli occhi.
«Oh»
disse
quando lo vide. «Pensavo fossi al lavoro.»
«Sono
in ferie.»
“E
allora perché ti muovevi come un ladro?” avrebbe
voluto chiedere Sasuke. Non lo fece
perché sapeva la risposta che lui non avrebbe avuto il
coraggio di dargli.
“Perché
nel caso in cui fossi stato in casa, non avrei voluto
incontrarti.”
L’Uchiha
notò lo
zaino sulle sue spalle. Naruto non si mosse né aggiunse
altro.
«Torni
a casa?»
gli chiese, alzando un sopracciglio.
Lui
abbassò lo
sguardo.
«Sono
venuto a
prendere qualche cambio di vestiti puliti.»
Una
settimana.
Due settimane. Quanto era passato? Naruto non era in grado di
quantificarlo in
tempo, ma in dolore. Ed era tanto.
E
ora era ancora
di più. Sasuke stravolto, visibilmente ubriaco, con due
scatole di pizza
semivuote sul tavolo e circondato da lattine di birra. Seminudo, e
anche quello
aveva il suo effetto.
Non
riuscì a
resistere. Scavalcò lo schienale del divano e si
lasciò cadere su di lui,
intrappolandolo in un abbraccio che aveva il sapore della disperazione.
Inspirò
a pieni polmoni l’odore di Sasuke sotto la puzza
d’alcool. Era lui casa sua.
«Mi
manchi.»
confessò. Dovette cavarselo fuori dalla gola a forza.
Mandare giù l’orgoglio e
riemergere con quel pizzico di umiltà necessario a
riaggiustare tutto. Mancava
solo il collante per rimettere ogni cosa al suo posto, ma a quello
serviva
Sasuke.
Sarebbe
bastato
poco, davvero. Ricambiare l’abbraccio, dire “Anche
tu”. Chiedergli di tornare a casa. Baciarlo e fare
l’amore. Perfino una
carezza sui capelli sarebbe bastata, a Naruto, per mettere una pietra
sopra a
tutto.
Eppure
non ebbe
niente. Rimase lì per minuti interminabili ad aspettare una
qualsiasi reazione.
Non accadde nulla. Sasuke si lasciò stringere senza mostrare
niente di ciò che
lo rendeva umano.
Naruto
andò di
sopra, pigiò qualche maglietta e un paio di jeans nello
zaino e se ne andò
senza aggiungere una parola.
I
coltelli
affondavano sempre di più ad ogni passo. Presto del suo
cuore non sarebbe
rimasto più nulla.
[3]
L’ultimo ballo: provaci, ma la morte non si lascia ingannare.
Tempo.
Ancora
più tempo. Ancora più dolore.
Ormai
Naruto lo
chiamava tutti i giorni. L’astinenza da lui era
insopportabile, aveva bisogno
almeno di sentire la sua voce. Le telefonate duravano poco, recise a
metà dalle
loro parole sempre più apatiche giorno dopo giorno.
Dopo
ogni
chiamata Naruto piangeva. Chiudeva il collegamento telefonico quando
sentiva
che non sarebbe più riuscito a trattenere a lungo le
lacrime. Sakura lo
guardava sfiorire con il dolore di una madre.
Naruto
non si
accorgeva che Sasuke non interrompeva mai le telefonate. Stava in
silenzio per
minuti interi, ignorandolo, ma non riattaccava. Lo ascoltava respirare
trattenendo il fiato, beandosi della vita che trascorreva lontano da
lui.
Il
fantasma
dell’uomo morto tornava ogni notte. Lo indicava e basta,
perché era
sufficiente. Era il suo assassino, ma non serviva designarlo come tale:
lo
sapeva da solo. Si chiedeva tutti i giorni perché Sasuke non
soffrisse del suo
male, perché lui non avesse i suoi incubi. Fantasticava su
come sarebbe stato
dividere il peso fino a farlo sparire. Tornare a essere una persona
sola, come
una volta. Invecchiare insieme.
«Oggi
è il compleanno di Sakura. Magari puoi venire a farle gli
auguri.»
«Le
manderò un messaggio più tardi.»
Silenzio.
Groppo in gola. Puoi resistere, Naruto.
«Non
ti va di vedermi?»
«Ho
del lavoro da sbrigare.»
«Capisco.
Sarà per un’altra volta.»
Batti
sul tempo le lacrime, Naruto. Riattacca prima che arrivino.
Ce
la fa sempre. Forse, se per una volta, una soltanto, non ci riuscisse,
se
Sasuke sentisse cosa significa stare lontano da lui, allora…
Naruto
scuote la testa.
Tanto
non succede mai.
«Cosa
fai stasera?»
«Nulla.»
«Nemmeno
io.»
Il cuore di Naruto batte
inutilmente: Sasuke
non gli chiederà di vedersi.
«Pensi
mai a me?» domanda allora.
Silenzio.
Deve inventare una bugia o sforzarsi di celare la verità?
«Dipende.»
«Da
cosa?»
«Non
ho tempo per parlare, ora. Sono in ufficio.»
«Oh,
scusami. Ti richiamerò stasera, allora.»
Riattacca.
Non lo richiamerà.
~°~
Accadde
una sera
di fine aprile. Sakura era uscita con Ino e la casa, oltre a lui, era
vuota.
Il
campanello
suonò alle nove e mezzo, troppo presto per pensare che la
ragazza fosse già
tornata. Naruto andò ad aprire con il cuore che batteva
esageratamente forte;
posò una mano sul petto per convincerlo a rallentare.
Galoppava come quello di
chi sa di essere appena stato condannato a morte.
Era
lui. Lo
sapeva.
Sasuke
era sulla
porta. Con due valigie in mano.
«Ciao.»
mormorò
Naruto, troppo scioccato per riuscire a invitarlo in casa.
«Ciao.»
biascicò
lui. Fece un passo avanti, costringendolo a farne uno indietro per
lasciarlo
passare. Si sfiorarono e l’elettricità li accese
in ogni anfratto di anima.
«Che
ci fai
qui?»
Sasuke
lo fissò
dritto negli occhi, prima di passargli una delle valigie.
«Ti
ho portato
le tue cose. Tutte. Vestiti, CD, documenti, libri.
C’è tutto.»
Un
colpo al
cuore per Naruto. Immaginava che ne fossero arrivati altri prima della
fine
della serata e si chiese se sarebbe riuscito a sopportarli senza
morirne.
«Perché?»
Non
riuscì a
chiedere altro, e per di più gli tremava la voce. Si diede
dello stupido.
«Quest’altra,
invece, è vuota. Puoi metterci le cose che hai portato
qui.» continuò lui,
senza rispondere. «E poi… tornare a
casa.» distolse lo sguardo mentre
completava la frase.
Andarsene
o
tornare. Entrambe per sempre.
Cosa
sceglierai, Naruto? Te stesso o lui?
«Hai
capito
perché sono venuto a vivere qui?»
Aveva
bisogno di
saperlo. Di sapere se sarebbe stato tutto inutile o se c’era
una minima
speranza di aggiustare le cose. Doveva saperlo, perché gli
sarebbe bastata una
scintilla di comprensione da parte di Sasuke per perdonarlo di tutto.
«No.»
Almeno
provaci, testa di cazzo. Inventa. Qualsiasi cosa…
«Sasuke.»
…andrebbe
bene qualsiasi cosa.
«Dimmi
che ti
senti in colpa per quell’uomo. Che soffri. Che hai bisogno di
me per superarlo,
come io ho bisogno di te.»
Ormai
stava
implorando.
Sasuke
si
avvicinò a lui. Era poco più alto e le sue labbra
potevano rispondere
direttamente sussurrando all’orecchio di Naruto.
«Tutto
questo
per me è insignificante.»
Naruto
lo baciò.
A lungo e intensamente. Lo spogliò e sentì sotto
le dita la pelle bruciare mano
a mano che la denudava. Gli leccò il collo e poi il petto,
lo assaggiò
dovunque. Lo toccò e lo strinse forte a sé,
cercando di fondersi con lui, ma
era un incontro impossibile. Si erano allontanati così tanto
nelle ultime
settimane che il suo corpo era come quello di un estraneo, eppure era
ancor
Sasuke. Solo un po’ più freddo del solito.
Fece
l’amore con
lui sul pavimento. Gridò il suo nome e pianse dentro ad ogni
spinta. Le lacrime
uscirono solo quando Sasuke si svuotò dentro di lui. Lo
aveva a malapena
accarezzato, ma la disperazione nei suoi gesti era palpabile. Solo
Naruto non
poteva vederla, coperto dal suo stesso dolore come circondato da un
muro
invalicabile. L’orgasmo fu doloroso, una pioggia di acido
sulla sua anima
rovinata.
Si
alzò e si
rivestì appena finito. La mano di Sasuke rimase sollevata
verso di lui per
qualche secondo per cercare di trattenerlo, ma Naruto non la vide
perché era
girato di spalle. O forse perché Sasuke non era in grado di
essere umano e si
era solo immaginato di fare qualcosa per riattaccare i cocci.
La
parete era
stata pulita, ma la tazza era ancora in pezzi sul pavimento.
Naruto
non
sapeva cosa dire.
Come
si chiude
un amore? Quando finisce, è facile. Quando si ama ancora, ma
è impossibile
farlo senza soffrire, è impossibile. Naruto però
voleva scegliere se stesso.
«Grazie
per
avermi portato le mie cose.» mormorò, senza
girarsi. Continuò a dargli le
spalle perché guardarlo negli occhi avrebbe significato
cedere.
Non
serviva
altro. Sasuke capì immediatamente. Si rivestì con
calma e si alzò.
«D’accordo.»
disse solo. Si lasciò accompagnare alla porta senza una
parola, sebbene il
desiderio di prendere Naruto per le spalle scuoterlo fino a
costringerlo a
guardarlo si fosse fatto impellente.
Il
ragazzo
spostò il peso da un piede all’altro, a disagio.
Aveva aperto la porta, ma
l’Uchiha non accennava ad andarsene. Sapeva che ancora
qualche minuto a così
poca distanza dal suo corpo gli avrebbe impedito di mantenersi fermo
nella sua
decisione.
«Allora…
ci si
vede.»
Sasuke
lo guardò
ancora per qualche secondo. Poi, inspiegabilmente, sorrise.
«Non
credo.»
Il
suo tono non
era né risentito né amareggiato. Solo un
po’ triste e venato da rimpianti. Si
chinò, forse per baciarlo, poi sembrò ricordarsi
che le cose non erano più come
prima e si limitò a sfiorargli i capelli. Se ne
andò con la valigia vuota.
Naruto
chiuse la
porta.
Poi
la riaprì.
«Sasuke!»
Lui
si fermò.
«Aspetta.»
Non
si voltò.
«Volevo
solo…»
Dannate
parole
che non arrivano mai.
«Grazie
di
tutto.»
Sasuke
alzò una
mano in segno di saluto. Poi scomparve nel buio e Naruto non lo vide
più.
Se
n’era andato
davvero. Per sempre. La consapevolezza era pesante come un macigno.
Capì solo
in quel momento di aver voluto fare l’amore
perché, in qualche angolo nascosto
della sua testa, sperava che in una situazione del genere la vicinanza
avrebbe
fatto cadere tutti i veli.
Non
era stato
così. Sasuke non era tornato a essere Sasuke e la loro
storia non era rinata
dalle ceneri. Ogni speranza se n’era andata insieme alla
porta che si chiudeva.
Naruto
si
appoggiò al muro e pianse in silenzio fino a non poterne
più. Poi ricordò il
sorriso dell’Uchiha e sorrise anche lui. Andò a
letto con il cuore più leggero
e si addormentò pensando a tutte le cose che avrebbe
cominciato il giorno dopo.
In
realtà, non
ne fece nessuna. Riflettere però lo aiutò a
superare la notte, e quando
incontrò Sakura davanti a una dose di caffè
riuscì perfino a replicare il
sorriso della sera prima.
Si
sentiva
libero, in qualche modo. Non doveva litigare con se stesso per decidere
se
chiamare Sasuke o aspettare. Non doveva piangere. Non doveva imporsi di
scegliere. Non doveva sopportare la sua colpa tutto da solo.
Già,
la sua
colpa.
Per
la prima
volta dopo tanto tempo, non aveva sognato l’uomo
dell’incidente.
Naruto
sorrise
ancora, senza riuscire a trattenersi.
Era un
nuovo inizio.
Note:
- Questa
storia
partecipa al “Sensation Contest” indetto da La
Lolly Dolly sul forum di EFP;
-
“Non al
denaro, non all'amore né
al cielo” è il titolo delle edizioni successive
dell’omonimo album di Fabrizio
De André (“Non al denaro non all’amore
nè al cielo);
- La
Sapporo è
una birra giapponese
Note
dell’autrice:
È
passato
qualche mese, ma sono di nuovo qua. Speravo di tornare con qualcosa di
meglio,
e non nego che questa storia sia una delusione per me, ma ormai
è andata così
XD Mi aspettavo grandi cose dall’idea originale, ma si sa,
non sempre le
aspettative vengono rispettate. Andrà meglio la prossima
volta (quando non sarò
con l’alito della maturità sul collo, magari u.u).
Un commento mi farebbe
piacere, quindi se avete tempo che ne dite di lasciarmi due righe?
A presto,
si
spera!
shirangel
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