Cinque
giorni. [1/5]
Quella
di fare un viaggio all'estero, era stata un'idea di Jinki. A suo dire
avevano tutti bisogno di cambiare aria, di vedere cose nuove e
sperimentare nuove esperienze. Solo così – diceva
il leader –
sarebbero riusciti a trovare l'ispirazione che serviva loro per
sfondare nel mondo della musica.
Jonghyun
si accese una sigaretta osservando Taemin chiudere a fatica la
propria valigia, stra colma di abiti che in cinque giorni non sarebbe
mai riuscito a sfruttare pienamente. Taemin era così, era un
ragazzo
a cui piaceva esagerare. Per lui non c'era limitazione a niente, era
incredibile quante cose contenesse la sua testolina, era impossibile
sapere cosa frullasse là dentro, e Jonghyun non era sicuro
di
volerlo sapere. Aveva un corpo esile e il viso da “bravo
ragazzo”,
niente a che vedere con la belva che si scatenava sul palco, quando
le luci si spegnevano e i riflettori gli venivano puntati addosso. Le
sue braccia e gambe magre non sembravano essere le più
adatte a
reggere una chitarra di quasi dieci chili, ma Taemin era davvero
bravo a suonarla, decisamente il migliore tra quelli che aveva
sentito durante i provini nel garage di casa sua.
Una
band rock.
Ricordava bene il
giorno in cui lui e Jinki avevano deciso di fondarne una,
scambiandosi idee con le guance appoggiate contro le pagine lucide
del libro di matematica che stavano cercando – con scarsi
risultati
– di studiare. In quel momento non avevano mai pensato che la
loro
idea si sarebbe concretizzata, che sarebbe diventata qualcosa di
più
di un sogno, che ci si sarebbero impegnati. A tre anni da quel
giorno, avevano trovato due membri e pubblicato un primo cd, che
anche se non aveva ottenuto successo, li aveva fatti sentire
pienamente realizzati.
Ora
si trattava solo di incanalare il loro talento e la loro passione in
qualcosa che li facesse esplodere. Perché una bomba, senza
una
miccia, non è nient'altro che una palla di ferro molto
pesante.
E
a quanto diceva Jinki, non c'era niente di più infiammante
che un
viaggio all'insegna dell'avventura. Jonghyun non sapeva se avrebbe
davvero funzionato, solo che non era deliziato all'idea di partire,
non si sentiva per niente eccitato. Avrebbe voluto restarsene a casa,
ma non ci teneva a far capire agli altri che stava facendo tutto
contro voglia. Così stette zitto, si sedette sul materasso
del suo
letto e guardò Taemin armeggiare con la cerniera, tirandola
con
tutta la forza che aveva in corpo verso la fine della zip.
«Hyung,
mi daresti una mano?»
«Siediti
sopra il bagaglio, cerco di chiuderla.»
Taemin
obbedì e Jonghyun riuscì, con un gesto secco, a
far incontrare i
due gancetti della cerniera. «Mettici il lucchetto,
hyung!» fece
Taemin, passandogli l'oggetto.
«Rosa?
Davvero?» Jonghyun non si trattenne dal ghignare, chiudendolo
attorno ai ganci.
«Era
l'unico che vendevano al negozio di ferramenta! Sembra che ormai
vengano usati solo per scriverci iniziali e attaccarli ai
ponti...»
«Stupidi
ragazzini.» Jonghyun scrollò la cenere dalla
sigaretta, il cilindro
grigio si infranse contro il pavimento. Minho odiava quando Jonghyun
lo faceva, ma in quel momento non era lì, quindi, non poteva
di
certo lamentarsene. Minho del gruppo era quello sportivo, quello che
amava correre, praticare sport e guardare le partite di calcio
bevendo bibite energetiche. Era il secondo chitarrista, e anche se
non brillava nel suo ruolo, aveva un viso sufficientemente bello per
attirare ragazzine e far guadagnar loro qualche fan. Certo, non era
una mossa corretta, ma se Jonghyun e Jinki avevano preso una
decisione del genere, era solo perché Minho era un loro caro
amico e
non volevano tenerlo fuori dal progetto.
«Dicono
che se fai così, allora il tuo amore durerà per
sempre» sussurrò
Taemin, restando seduto sulla valigia.
Jonghyun
restò in silenzio, indeciso se dire qualcosa o stare zitto.
Tra lui
e Taemin, un tempo, c'era stato qualcosa. In realtà per
Jonghyun non
erano state altro che un paio di scopate per riempire i pomeriggi, ma
non aveva mai preso in considerazione l'idea che per Taemin non
potesse essere lo stesso. Ci era rimasto sotto, per così
dire, e
quando Jonghyun si era accorto della cosa aveva deciso di troncare il
rapporto. Non ne parlavano quasi mai, ma a volte capitava che Taemin
dicesse qualcosa, come in quel momento, che portasse quel periodo nel
presente. A Jonghyun non piaceva. Lo faceva sentire stronzo e senza
cuore, e lui non era così. Era solo giovane, e tutti possono
sbagliare, ma non aveva intenzione di ripeterlo. Come gli aveva
già
detto, Taemin era stanco di sentirsi definire un errore.
«Forse
avresti dovuto farlo anche tu, allora.»
«Pensi
che avrebbe funzionato?»
«No,
credo di no. Non è un lucchetto a cambiare le
cose.»
Taemin
si morse un labbro e poi si alzò, aggiustandosi una ciocca
rossiccia
dietro l'orecchio e avvicinandosi al suo Eastpak. «Forse
faresti
meglio a prepararti anche tu. Non ti ridurrai sempre all'ultimo come
al solito, vero, hyung? La partenza è per sta
sera.»
«Sono
solo cinque giorni, non mi devo portare tutto l'armadio come hai
fatto tu.» Jonghyun spense quel che restava della sua
sigaretta
contro una mattonella, e poi si avvicinò alla porta della
camera da
letto. «Questa camera fa schifo.»
«Se
non la trattassi come la tua ciminiera personale, sarebbe un po'
meglio.»
«Resta
comunque una stanza deprimente in un appartamento fatiscente. Senza
contare che lo divido con quattro ragazzi. Che palle.»
Taemin
scosse la testa; quando Jonghyun era turbato, si lamentava. Stare
lì
a cercare di ragionare con lui in certi momenti era inutile, molto
meglio non dargli corda e lasciarlo nel suo brodo. Era stato
difficile, ma con il tempo era riuscito a conviverci e a capirlo. Kim
Jonghyun era un orso. Un po' bruto, ma in fondo buono. Forse, se
addomesticato, un giorno sarebbe migliorato.
▪▫▪▫▪
Il
gate 7 dell'aeroporto di Incheon era affollato di gente che aspettava
ansiosa che l'aereo partisse. Era stato rimandato prima di
trentacinque minuti, poi di un'ora, e Jonghyun aveva cominciato a
spazientirsi. Non poteva fumare, il cellulare era quasi scarico e la
signora affianco a lui puzzava di sudore. Quel viaggio – che
già,
ricordiamolo, non voleva fare – aveva un prologo tutto
fuorché
“emozionante”. Avrebbe voluto strozzare Jinki,
seduto qualche
metro davanti a lui, affianco a un Taemin mezzo addormentato e Minho,
che stava leggendo una rivista con scarso interesse. Jinki stava
scrivendo qualcosa su un quadernino, forse il testo di una nuova
canzone. Jonghyun non voleva che si offendesse, per questo motivo non
lo aveva mai detto al leader, ma credeva che i suoi testi fossero
noiosi. Non era quello che la gente voleva, a suo dire. Si reputava
più bravo a scrivere i testi, e se ne avesse scritto
qualcuno lui,
nello scorso album, forse le vendite sarebbe state migliori.
Però
non lo aveva fatto. Non aveva mai portato alla conclusione nemmeno
uno dei suoi mille testi, per cui, con quale diritto poteva giudicare
il lavoro di Jinki? Forse avevano ragione quelli che gli dicevano che
era solo un antipatico frustrato. Ma non era colpa sua, se
ultimamente non riusciva a sentirsi sereno. Era come se nel suo
stomaco si fosse formato un groviglio nero.
Chiuse
gli occhi e iniziò a picchiettare i piedi contro il
pavimento,
canticchiando sotto voce una vecchia canzone dei Pink Floyd.
Rimpianse di aver chiuso l'iPod in valigia, la musica avrebbe
migliorato quell'estenuante attesa, ma ormai era fatta. Poteva solo
sperare che non durasse ancora a lungo.
Un
brusio proveniente dalle sue spalle gli fece capire che qualcosa
cominciava a smuoversi. Le hostess di terra si erano avvicinate alla
macchinetta del controllo dei biglietti aerei e alcune persone
avevano cominciato ad alzarsi, avvicinandosi al cancelletto. Con un
cenno, Jinki gli fece capire che dovevano alzarsi, poi
assestò una
piccola gomitata a Taemin per svegliarlo dal suo dormi veglia e
picchiettò il braccio di Minho, che distolse finalmente la
sua
attenzione dal giornale. Jonghyun sbuffò e si
alzò dal sedile e non
appena si allontanò di qualche passo da dove era stato fino
a quel
momento, si rese conto di come l'aria risultasse più
gradevole
lontano da quella grassona allergica al deodorante.
«Tutto
okay?» gli domandò Jinki, «Hai una
faccia...»
«Non
mi piace volare.» mentì Jonghyun.
«Andrà
bene. Non ci sono molti incidenti aerei, sai? Statisticamente
parlando.»
«Statisticamente
parlando, un uomo con la testa nel forno e il culo nel freezer
è
okay.»
Jinki
ridacchiò, scuotendo la testa. «Questa l'hai
rubata da Facebook!»
«Un
vecchio libro, in realtà, ma fa lo stesso. Non mi fido di
una cosa
che si alza da terra e resta in aria non si sa come.»
Minho
si intromise nel discorso «Credo che qualcuno sappia come si
mantiene in cielo, hyung.»
«Beh,
io no. E per quello che conta, non mi fido. E poi chi è il
pilota?
Sarà davvero qualificato?»
«Hyung,
sei una lagna. Fidati e basta!» Rise Minho, dandogli un
colpetto.
«Andrà bene, come quella volta che siamo andati a
Tokyo. Lì non
avevi paura.»
«Ora
ce l'ho. Non è esattamente un volo da un paio di orette,
questo.»
«Sarà
emozionante, invece! Non vedo l'ora di essere a bordo e vederci tra
le nuvole» disse esaltato Taemin. «E di mangiare il
cibo
sull'aereo! Tutto sembra più buono, a nove mila metri da
terra!»
«Il
cibo sull'aereo fa schifo, e di solito è misero.»
Jinki se ne
intendeva di cibo, dato che oltre a dormire, mangiare era la sua
principale passione. Lui era la seconda voce del gruppo, non che
batterista e compositore. Le sue basi erano davvero belle, i suoi
testi, a detta di Jonghyun, un po' meno. Era fissato con la cucina ed
era raro trovare qualcosa che non gli piacesse, se ben cucinato.
Poteva mangiare qualsiasi cosa in grande quantità
– se si
manteneva in forma, era solo per via delle due ore di nuoto
mattutine. Jonghyun non sapeva se ce l'avrebbe mai fatta a impegnarsi
costantemente alzandosi ogni giorno all'alba. Preferiva evitare di
mangiare cibi grassi o di mangiare troppo. In palestra andava giusto
un paio di volte a settimana.
L'hostess
di terra aprì il cancelletto e iniziò a
controllare i primi
passeggeri, dandogli il buon viaggio e facendoli passare uno dopo
l'altro. Jonghyun aspettò il suo turno, allacciando il suo
chiodo di
pelle e cercando di non pensare a nulla, anche se non era facile. Non
era stata del tutto una bugia la sua, in realtà. Aveva
sempre paura,
quando saliva su quei cosi traballanti.
«Coraggio~»
gli sorrise Taemin, intrecciando le loro dita. Jonghyun lo
guardò un
po' seccato. Gli sarebbe mai passata, quell'assurda cotta?
L'amore
per Taemin era come la possibilità di Jonghyun di tornarsene
a casa
ora e mandare al diavolo tutto, piazzarsi davanti alla Play Station e
aprirsi una lattina di birra: impossibile.
▪▫▪▫▪
Almeno
a bordo, non fu Jonghyun a capitare tra due sconosciuti, ma questa
sorte toccò a Jinki. Fortunatamente la signora puzzolente
era ben
lontana da entrambi, piazzata nelle prime file, quelle riservate a
chi aveva pagato di più per una zona
“comfort”. Jonghyun
immaginava bene quanto si sentissero “agiati” gli
altri
passeggeri che avevano pagato quel supplemento, ad avercela vicina.
Lui si trovava seduto tra un Taemin iper eccitato («Hyung,
guarda
quella nuvola!», «Si vede una montagna,
hyung!», «Il mare, hyung,
il mare, guarda che bello!») che continuava a scattare
fotografie, e
Minho, che gli raccontava della sua ultima avventura con una ragazza
che aveva conosciuto ai corsi serali di chitarra.
Jonghyun,
a differenza di Minho, era da tempo che non usciva con una persona e
non si faceva una scopata. Forse era anche per quel motivo che stava
diventando così acido e intrattabile. Aveva un sacco di
persone
disposte ad aprire le gambe per lui, ma nessuna di esse lo
interessava davvero. Spingere e venire era triste, a lungo andare, e
non poi così tanto soddisfacente. Aveva usato quel metodo
per un
certo periodo, ma alla fine si era ritrovato ad odiarlo. Fottere,
fottere e fottere ancora. Non aveva senso, se poi finiva con
l'addormentarsi la sera da solo, sbloccare il telefono e non trovarci
nessun messaggio carino, non avere nessuno da portare fuori a cena
nei giorni speciali. Era stupido e da femminuccia, ma Jonghyun era
fondamentalmente un tipo romantico e a lui quelle cose importavano.
Voleva un fidanzato o una fidanzata, ecco cosa. Non una persona
qualunque, però, altrimenti si sarebbe accontentato di
Taemin. Non
sapeva esattamente cosa cercasse, ma probabilmente lo avrebbe capito
solo trovandolo. L'aereo sobbalzò e Minho si
guardò intorno,
inquietato, ma nessuno sembrò farci caso.
«E'
solo un po' di turbolenza, tranquillo.» Lo
rassicurò Jonghyun.
«Non
era tu quello terrorizzato, hyung?»
Jonghyun
fece per parlare, ma Taemin richiamò la loro attenzione
«Iniziano
ad accendersi le stelle nel cielo! E' davvero... Wow! Dovete
guardare!»
Il
resto del viaggio proseguì tranquillamente.
▪▫▪▫▪
«Quando
arrivano i bagagli?» fece Jinki, spazientito. Erano circa
quindici
minuti che se ne stavano in piedi a fissare il nastro trasportatore
starsene immobile davanti ai loro occhi. I posti a sedere erano
già
stati occupati, perciò non gli restava altro da fare se non
starsene
lì, in piedi, ad aspettare che le loro valige arrivassero.
«Ci
mettono un po' a scaricarli dalla stiva» disse Minho,
inclinandosi
un po' per scorgere verso la fine del nastro, speranzoso di vedere il
primo bagaglio arrivare, ma non accadde nulla.
«Spero
proprio che non abbiano perso nessuna delle nostre valige»
mugugnò
Taemin, mordicchiandosi di nuovo il labbro. Era un gesto automatico,
il suo, che smascherava benissimo il suo nervosismo. «Come
potrebbero perdere la tua, con quel lucchettone rosa
scarlatto?!»
commentò Jonghyun, ricevendo dal più piccolo
un'occhiata di
rimprovero.
«Ti
ho già detto che-»
«Okay,
okay. Non ti arrabbiare! Guardate, stanno arrivando i bagagli! Minho,
inizia a chiamare il taxi.»
Minho
annuì e Jonghyun iniziò a pensare a come sarebbe
stato confortante
buttarsi su un materasso e dormire per dodici ore consecutive.
▪▫▪▫▪
Anche
se non erano sicuri di cosa la receptionist stesse cercando di dir
loro, erano abbastanza certi che ci fosse qualche problema con le
loro camere. La donna continuava a cercare di spiegare con parole
elementari e ben scandite quale fosse l'inghippo, ma nessuno di loro
quattro sembrava conoscere l'inglese abbastanza bene da afferrare il
concetto. Jonghyun cominciava a innervosirsi e gli altri tre non
erano da meno. La donna continuava a gesticolare e più
Jonghyun
vedeva le sue mani muoversi da una parta all'altra a mezz'aria,
più
pensava a quanto fosse irritante non parlare l'inglese. Ma
perché
erano dovuto andare in un paese all'estero?! Che razza di idea.
L'unica cosa che stava accendendo, quella avventura, era la sua
rabbia.
Le
cose divenne immediatamente più chiara quando la donna mise
solo tre
chiavi sul bancone, anziché quattro. «No room! No.
Room.»
«Rhum?
Ci sta dando degli alcolizzati? Non ce l'abbiamo il dannato Rhum! We
don't rhum! Come si dice? Yah! Che cazzo, perché non il
Giappone?
Potevamo andare in Giappone a cercare questa dannata
ispirazione!»
«Jonghyun,
datti una calmata. Irritarsi non servirà a nulla!»
fece Jinki,
«Penso stia cercando di dirci qualcos'altro. Room
è stanze, no? E
le chiavi sono tre, di conseguenza...»
«...
Non dirlo.»
«Another
hotel!» cercò di spiegarsi la donna, in maniera
elementare. «One
of you. Do you understand?»
«Credo
voglia dirci che uno di noi dovrà andare in un altro
hotel...» fece
Taemin.
«...
Vedetevela voi, io non ne voglio sapere niente! Ve lo scordate che mi
infili in un taxi e vada a piazzarmi in un altro hotel, da solo,
senza capire una parola di quello che la gente dice attorno a me!
Sarebbe un incubo!» sbottò Jonghyun. Gli altri tre
si guardarono
negli occhi, e poi, di scatto, afferrarono una chiave ciascuno.
«...
No. Davvero. Scordatevelo. Non accadrà mai.»
Dieci
minuti dopo, Jonghyun stava seduto sui sedili posteriori di un taxi
giallo limone, con una delle più grandi incazzature di
sempre.
▪▫▪▫▪
L'hotel
in cui mandarono Jonghyun era più carino del primo, e per
scusarsi
del disturbo, gli avevano anche riservato una stanza di classe
superiore. Alla fine non gli era andata poi così male,
pensò nello
sdraiarsi contro uno dei materassi più comodi che avesse mai
provato. La stanza era sobria, ma elegante. C'erano delle tende
arancioni e rosse, un armadio dall'aria antica e un grosso bagno con
vasca idromassaggio. Lì dentro – pensò
– ci avrebbe passato
davvero un sacco di tempo.
Stava
per farsi rapire dal sonno, quando il suo telefono squillò.
Lo prese
tra le mani e lesse il messaggio di Minho, che gli diceva di
incontrarsi tutti assieme per cenare fuori. Lui si sentiva stanco, ma
dire di no era fuori questione. Del resto, starsene da solo chiuso in
una camera d'albergo non era il prototipo di serata ideale. Si
alzò
pigramente e si scompigliò i capelli, prima di prendere dal
proprio
bagaglio qualche vestito pulito e prepararsi per il primo bagno
lussuoso.
Immerso
fino al mento nell'acqua calda, sentì lo stress accumulato
durante
quella dura giornata scivolargli via dal corpo. Mosse le dita dei
piedi e inclinò la testa all'indietro, respirando a pieni
polmoni.
L'odore del bagno doccia al miele era inebriante, e aleggiava per
tutta la stanza. Alla fine non era male, come cosa. Anche se era da
solo e in un altro hotel rispetto ai suoi amici, erano in una camera
d'hotel cento volte più bella della sua stanza a casa. Sulla
moquette morbida non avrebbe potuto spegnere nessuna cicca di
sigaretta, e probabilmente nemmeno fumare in stanza, ma era un
piccolo pegno da pagare in cambio del relax che lo aspettava. Avrebbe
approfittato di quei cinque giorni per rilassarsi e nient'altro.
Sarebbe
stata una pacchia.
▪▫▪▫▪
Avevano
optato per un ristorante di piccole dimensioni, praticamente un pub,
in cui consumare un pasto veloce e bere qualcosa. Niente di troppo
elaborato o costoso, tutti avevano intenzione di mantenersi bassi coi
prezzi ed andare al risparmio. Non parlando nemmeno una parola di
inglese, né della lingua che parlavano in loco, avevano
ordinato i
piatti in preda a pura ispirazione mistica, andando, dunque,
completamente a caso.
Il
più fortunato di tutti era stato Jinki, a cui avevano
portato una
decisamente poco promettente poltiglia arancione con dei pezzi di
carne dentro, ma di cui il sapore si era rivelato ottimo. A Minho
avevano portato del riso con qualcosa di giallino che sapeva di
menta, Taemin aveva ordinato un raviolo con dentro del pesce e
Jonghyun si era ritrovato a mangiare una specie di passato di
chissà
quasi verdure e animali. «Non
fate gli schizzinosi, dai. Questa è la nostra
cena!» fece Jinki, ma
era facile parlare con qualcosa di buono da mettere sotto i denti.
Jonghyun si fece forza e soffiò sul proprio cucchiaio,
ingurgitando
quella roba a fatica. Il sapore non gli piaceva per niente, ma aveva
troppa fame per digiunare.
«Com'è
il tuo hotel, hyung? Ti senti solo?» domandò
Taemin, abbandonando
la forchetta nel piatto e guardandolo con preoccupazione.
«E'
molto bello e ci si sta benissimo!» rispose Jonghyun
immediatamente.
Non voleva rischiare che il più piccolo si offrisse di
passare la
serata con lui, perché sarebbe stata davvero la ciliegina
sulla
torta per completare quella assurda giornata.
«Meno
male! Anche il nostro hotel non è male-»
«Se
non si considera il rumore che fanno i materassi quando ti ci sdrai
sopra. Gneek, gneek!» si lamentò Minho.
«Sarà un inferno dormire
così. Ho il sonno leggero, continuerò a
svegliarmi.»
«Non
possiamo lamentarci, abbiamo pagato pochissimo del resto»
Jinki alzò
le spalle. «A quel prezzo, come alternativa avevano l'ostello
della
gioventù.»
«Forse
sarebbe stato meglio.» commentò di nuovo Minho.
Taemin
si illuminò e iniziò a raccontare «Una
volta un mio amico andò in
un ostello della gioventù, e siccome aveva paura che gli
rubassero i
soldi, li nascondeva nelle mutande! Negli ostelli dormono tutti
assieme nella stessa stanza, anche se non si conoscono!»
«...Che
esperienza eccitante.» commentò sarcastico
Jonghyun. «Il mio hotel
è una favola, mi spiace per voi. Per scusarsi di avermi
fatto
trasferire, mi han dato una camera con l'idromassaggio.»
«...Cosa!?
Non è giuro!»
«Inizi
a pentirti, hyung?» ghignò Jonghyun nei confronti
di Jinki.
«Non
lo so» rispose il leader «Almeno se mi succede
qualcosa, io ho
qualcuno che parla coreano a cui rivolgermi, tu come farai?»
«Il
massimo di cui avrò bisogno sarà una saponetta
alla rosa indiana in
più~ Non ti preoccupare, me la caverò alla
grande.»
▪▫▪▫▪
Se
aveva sperato di passare la notte a riposarsi, dormendo e liberandosi
della stanchezza del viaggio sul suo letto morbido e confortante,
allora si sbagliava. A circa un quarto dalla mezzanotte, dalla stanza
affianco avevano cominciato ad alzarsi alti gemiti che rimbombavano
dritti nelle sue orecchie. Era la cosa più irritante gli
fosse
capitata nella sua vita. Continuava a rivoltarsi nel letto nella
speranza di prender sonno, e ogni volta che i gemiti si
interrompevano e lui riusciva finalmente ad assopirsi, quelli nella
camera affianco ricominciavano a darci dentro. Ma che diavolo avevano
nelle mutande?! Jonghyun iniziava a perdere la pazienza, sperava che
il tizio finisse presto i colpi in canna e lo lasciasse dormire,
perché non era possibile che passasse una notte in bianco
per colpa
di una scopata, specialmente perché non era manco lui a
starsela
facendo!
Non
sapeva quanto avesse resistito, ma ad un certo punto capì
che era
stato decisamente troppo. Anche se non conosceva la lingua e non
sapeva se avrebbe risolto o no qualcosa, si alzò tutto irato
dal
letto e uscì fuori dalla stanza, sbattendo la porta, prima
di
aggredire quella della stanza affianco e bussare con forza.
«YAH!
Che diavolo, smettetela! Stop it! Stop it!»
I
gemiti si interruppero e Jonghyun sentì un leggero brusio,
prima del
silenzio e di passi leggeri. Quando la porta si aprì,
restò
sorpreso. Il ragazzo che aveva aperto era asiatico e aveva una folta
chioma bionda, gli zigomi alti e un paio di labbra color fragola. Era
già bello di suo – Jonghyun dovette ammettere
– ma con quella
espressione mezza sconvolta da un orgasmo era ancora più
attraente.
Jonghyun deglutì a vuoto, sentendo una pulsione al basso
ventre.
«I... I want to-»
«Mi
hai appena imprecato addosso in coreano. Beh, sono coreano anche io,
vengo da Daegu. Che diavolo vuoi, si può sapere?!»
Coreano.
Un coreano sexy che scopava nella stanza affianco alla sua. Non
facendolo dormire. Non sapeva se essere felice, disgustato,
arrabbiato o chissà cos'altro. Irrazionalmente,
pensò a quanto
sarebbe stato fantastico essere al posto della persona con cui stava
passando la notte il biondino. «Dormire. Sono molto stanco e
i tuoi
gemiti-»
«Questa
è la MIA stanza d'albergo e quella è la TUA.
Quello che faccio
nella MIA stanza sono affari miei, quindi, cerca di non rompere le
palle, razza di nano-»
«Yah!
I tuoi fottuti gemiti da cagnetta mi impediscono di-»
«Sono
solo problemi tuoi!» fece di nuovo il biondo, quando una voce
detta
in chissà quale lingua (Jonghyun non riusciva nemmeno a
riconoscere
l'inglese) giunse dalle sue spalle. Il biondo rispose qualcosa nella
stessa lingua, prima di posare di nuovo lo sguardo su di lui.
«Io
sarei un po' impegnato, perciò-»
«Potreste
almeno abbassare la voce?!»
Il
biondo posò le mani sui fianchi del proprio corpo,
squadrandolo
dalla testa ai piedi. Jonghyun si sentì sotto esame, come se
l'altro, al posto delle pupille, avesse una macchina a raggi X.
«Se
ti senti frustrato perché non scopi da un po', non
prendertela con
chi è più fortunato di te. Ora, mi dispiace, ma
io avrei qualcosa
da continuare.»
«...
Chi ti dice che non-»
«Se
avessi da scopare, scoperesti, e non romperesti il cazzo a chi lo
fa.» ribatté semplicemente l'altro, alzando le
spalle. Indossava
una maglia molto più larga (probabilmente rubata al partner)
e sulle
clavicole e il collo erano ben visibili succhiotti rossi e morsi.
Jonghyun si ritrovò a desiderare di assaggiare quella pelle.
Quel
ragazzo lo attraeva, anche se era un piccolo stronzo. Decisamente, un
giro con lui se lo sarebbe fatto.
«Perché
non ti offri tu, allora?»
Il
biondo restò in silenzio, prima di ridacchiare.
«Ti prego. Stai
cercando di rimorchiare uno a cui hai appena interrotto una scopata?
Che ne sai se quello là dentro è il mio
ragazzo?»
«I
coreani tendono a-» cercò di inventarsi una
qualsiasi scusa. La
realtà è che non stava pensando affatto. Aveva
smesso nel momento
in cui il biondo aveva aperto la porta. «Impegnarsi con altri
coreani, suppongo.»
«Mi
sono stufato ed ho qualcosa da finire, per cui, come ti chiami,
sparisci. Chiaro? Tenteremo di fare meno rumore» disse,
facendogli
l'occhiolino.
Jonghyun
annuì, rapito. Non si era mai sentito così idiota
in tutta la sua
vita.
Solo
quando la porta sbatté a pochi palmi dal suo naso,
l'incantesimo si
ruppe e capì di essere stato raggirato. Se ne
tornò in camera,
ancora mezzo sconvolto, e cercò di togliersi dalla mente
l'idea
assurda che gli era venuta. Provarci con uno già
evidentemente
impegnato, non si era mai abbassato così tanto. Doveva
essere
l'astinenza ad aver parlato per lui, non c'erano alternative. Si
infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi, gustandosi il
silenzio.
Ma
durò poco.
Molto
poco.
Dei
gemiti ancora più alti dei precedenti cominciarono a
riempire la sua
stanza.
A/N
Buona notte a tutti,
l'ultima volta che ci siamo sentiti mi pare fosse per comunicare un
trasferimento sull'archivio; da allora mi sono presa una pausa (dalle
fanfiction, dalla scrittura) che è durata circa un mese.
Sono una persona che cambia idea molto facilmente, che è
guidata dai sentimenti (qualsiasi essi siano) e che va un po' dove la
spinge il vento. Oggi il vento mi ha spinta qui, per questo ho deciso
di riprovarci, nonostante tutto, e mettere in pausa (momentanea o meno)
il progetto dell'archivio.
Spero che questa fanfiction vi possa piacere; l'ho pensata mentre ero
in viaggio a Praga, ma non ho voluto dare una vera identità
alla città protagonista di questa storia. Potete immaginare
qualsiasi posto voi vogliate: Londra, New York, Hong Kong, la vostra
stessa città. Ho deciso di lasciare questa
libertà al lettore perché mi sembrava la scelta
più giusta.
Questa storia (come credo si sia già intuito)
conterà un totale di cinque capitoli. L'ho già
pubblicata da più di un mese nel profilo privato (friends
only) di AsianFanfiction e ho ricevuto un riscontro positivo, quindi
spero possa lasciare le stesse impressioni anche a voi; ovviamente mi
farebbe piacere sapere cosa ne pensate, quindi, se vi va di lasciare un
commento fatelo pure!
Volevo dedicare questa storia alle mie amiche, che anche se non la
leggeranno per diversi motivi, mi son state vicine durante la stesura
in modo inconsapevole.
Nella speranza che possa lasciarvi viaggiare almeno un po'.
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