Je t'attends
Je t'attends
Quella
giornata, a Chloé, era pesata più delle altre. Questo le
risultava strano - ultimamente aveva passato dei momenti difficili, tra
Alexandre e la gravidanza -, ma anche se quello era stato un giorno
quasi come tutti gli altri, non riusciva a spiegarsi il motivo del suo
umore uggioso.
Certo, l'ultimo caso che
l'aveva impegnata era stato diverso dal solito: uno psichiatra trovato
ucciso e appeso nel suo ufficio davanti alla finestra, come se
l'assassino lo avesse voluto mettere bene in vista. Chloé aveva
capito subito che c'era qualcosa di strano in quella messinscena ed era
arrivata alla conclusione che non era la prima volta che l'assassino
uccideva in quel modo.
Ma l'omicidio era stato
risolto e, nonostante la particolarità di quelle uccisioni e il
fatto che l'assassino fosse una donna, la sua vita sarebbe dovuta
tornare a scorrere con tranquillità, com'era sempre successo
dopo la chiusura di un caso.
Ma non era stato così.
Un avvenimento aveva
turbato Chloé nel profondo. Una bambina, seduta su una panchina,
che aspettava la madre da tutto il giorno e non si era mossa di
lì. Appena Chloé l'aveva vista - i capelli biondi che
splendevano sotto il sole, i piedi che dondolavano non riuscendo a
toccare il suolo, le sue piccole mani sotto le gambe - un senso di
protezione l'aveva pervasa. Doveva fare qualcosa per quella bambina.
Così, intuendo quello che era successo, aveva portato Lili in
ospedale, dove la madre era stata ricoverata per overdose.
Ma la cosa più
importante, ciò che più aveva scosso Chloé, era
l'essersi resa conto di una cosa: lei era come quella bambina.
Nonostante i suoi sforzi
di farle vedere la madre prima che morisse, l'assistente sociale non le
aveva permesso di farlo, sostenendo che bisognasse proteggere Lili. Ma
lei non era convinta che fosse stata la scelta migliore per la bimba.
Non dire addio ad un genitore era la cosa peggiore che un bambino
potesse sopportare e Chloé questo lo sapeva bene. Lei non aveva
avuto la possibilità di salutare sua madre prima che suo padre
la uccidesse e questo vuoto la accompagnava da tutta la vita.
Chloé aveva passato la sua intera vita ad aspettare,
proprio come Lili su quella panchina. Aveva aspettato che arrivassero i
soccorsi quando aveva trovato la madre distesa sul pavimento della
cucina con i segni di venticinque coltellate al petto. Aveva aspettato
che il dolore si affievolisse con il tempo, ma ce n'era voluto troppo.
Quando Lamark le aveva detto che aveva bisogno di lei per aiutare la
polizia con le indagini, aveva aspettato che la squadra di Perac la
accettasse. Quando Matthieu era morto, aveva aspettato di riprendersi
dal lutto. Quando aveva scoperto di essere incinta, aveva aspettato per
dirlo a Hoffman. Quando aveva scoperto che Lamarck aveva una relazione
con sua madre, aveva aspettato che le desse delle spiegazioni.
E in quel momento, seduta
sulla stessa panchina dove aveva trovato Lili, mentre fissava il vuoto
di fronte a sé e stringeva la sua borsa gialla, pensava a come
la sua vita fosse cambiata nelle ultime settimane. Ma quella familiare
sensazione di attesa aleggiava ancora nell'aria. Cosa stava aspettando,
di preciso, in quel momento?
Il peso della presenza di
qualcuno si materializzò accanto a lei e si sedette sulla
panchina. Chloé fermò i pensieri e lentamente si
voltò, per trovarsi a fissare gli occhi nocciola di Rocher. La
stava guardando, il volto come sempre serio, ma il suo sguardo rivelava
un'emozione... era perplessità? Preoccupazione? Comprensione?
Chloé si
sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e il suo sguardo
si spostò involontariamente verso il basso, forse a causa
dell'imbarazzo. "Come... come ha fatto a trovarmi?", domandò con
voce insicura.
"Sono un comandante della
polizia", disse Thomas, come se quella risposta dovesse esaurire la
curiosità della rossa. Chloé alzò lo sguardo e un
angolo della bocca si sollevò impercettibilmente. Rocher fece lo
stesso, come se i due si trovassero davanti ad uno specchio.
Chloé sapeva che
Thomas si stava chiedendo cosa fosse successo, perché lei si
sentisse così scossa. Ma non aveva voglia di spiegarlo. Non in
quel momento.
Rocher si alzò e
diresse lo sguardo verso il suo viso. Infilò le mani nelle
tasche della giacca e le fece un cenno con il capo. "Venga, la
accompagno a casa".
Chloé lo
fissò per un secondo, confusa. Forse Thomas non voleva sapere
cos'era successo perché si era accorto del suo disagio. O magari
lo aveva già intuito.
Si alzò in piedi e affiancò Rocher.
Forse Chloé non avrebbe più dovuto aspettare.
Nota dell'autrice
Questo
è il mio tentativo di entrare in punta di piedi in questo
(piccolo) fandom. Forse non più tanto piccolo, solo qualche mese
fa in questa sezione avevo contato solo tre storie, ora invece sono
molte di più. Così ho deciso di dare anche il mio
(piccolo) contributo: dovevo assolutamente farlo, perché amo
Profiling, amo Chloé e amo Rocher (forse un po' più di
quanto ho amato Perac, ma solo un filino di più). Amo anche
molti altri (innumerevoli!) fandom, su cui ho deciso che
militerò, in futuro, anche solo con una flash. Anche se, magari,
per questo fandom scriverò qualcosa di più.
Questa shot è saltata
fuori grazie ad un ideuzza della mia mamma (grazie mamma!) che, finita
la puntata 4x03 che si conclude proprio con la scena di
Chloé seduta su quella panchina, se n'è saltata fuori con
la frase: "Anche lei, come la bambina, sta aspettando qualcuno".
In quel momento sono stata come folgorata, ho ringraziato la
manna che è arrivata dal cielo sotto una forma così
inusuale e ho scritto questa storia.
Essendo il mio primo tentativo in questo fandom, sarei super felice se mi lasciaste un commentino piccino piccino :)
Spero di passare di nuovo da queste parti molto presto! Alla prossima!
Chiara
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